Enrico Agostinis

 

I LUOGHI E LA MEMORIA

Toponomastica ragionata (e non) della Villa di Collina, Territorio della Carnia

Si pubblica la parte centrale del saggio, costituita dal Repertorio toponomastico. L'opera completa, contenente anche le indicazioni necessarie alla lettura appropriata del repertorio, è scaricabile qui sotto in formato pdf.

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Scarica questo file (LuoghiMemoria.pdf)I luoghi e la memoria[© 2007-2016 Enrico Agostinis]1993 Downloads

 

Guida alla lettura

 

Altre parti dell'opera

 

REPERTORIO TOPONOMASTICO

1. Agadòrio [in -]   Q1400, ✧SE.   Prato ripido [id. inselvatichito]. Agadòrio è termine generico per indicare il canale o solco naturale di scorrimento d'acqua (Sc2), per lo più di piccole dimensioni. Sta con il lat. aquatoria = fosso d'irrigazione (REW579).

Sembra trattarsi di toponimo comune, che si riscontra anche altrove in Carnia1.
Il luogo è così detto per il piccolo corso d’acqua che attraversa il prato, sito fra Sôro Stâli e Creşadìço. Il ruscello, peraltro senza nome, discende quindi in Fontànos, per gettarsi infine nel riù di Morarìot in prossimità della Cjalcinêro di CG.

2. Agâr [in -]  Q1220, ✧SE.  Coltivi in declivio dolce [orti e prato inselvatichito] poco sotto l’abitato (S) di CG, in direzione della chiesa. In lingua friulana è detto agâr il solco formato dai corsi d’acqua (Sc2), dal latino aquarium = solco d'acqua, acquaio (REW576)2.

Nei documenti e regesti notarili la prima menzione del toponimo è della fine del XVI secolo: “A di 24 sembrio 1595. jacomo fiolo di antonio barbolan è debitor alla … Giesia di santo michiael di contadi per li ficti lire cioè L.8 obliga … in agar3.
Agâr ricompare in un documento notarile di oltre un secolo più tardi: “il soprascritto S.r Nicolò di proprio judicio … sotto speranza di futuro esborso et per assicuratione e manutentione d'essi d.tti 80 … ha sotto posto … un pezzo di Pratto chiamato d'agar situato in dete pertinenze appo li suoi confini4.
Nel linguaggio corrente e nella toponomastica l’agâr è sempre inteso come il solco di scorrimento delle acque meteoriche, di dimensioni variabili ma per lo più privo d'acqua in assenza di piogge o di fusione delle nevi. È pertanto termine generico, a cui di volta in volta sono associati aggettivi o altri elementi identificativi.
“Firmati” o anonimi che siano, il numero di agârs nel territorio di Collina è davvero considerevole. Comprensibilmente, verrebbe da dire, vista la morfologia del territorio e le abbondanti precipitazioni: ripidi e stretti in mezzo al bosco (A. Scûr, A. dal Cjavàl), autentici canaloni rocciosi larghi decine o centinaia di metri (A. dal Furlàn e A. di Róndoi), interamente erbosi e quasi inavvertibili (A. di Macìlos e questo stesso toponimo, Agâr), gli agârs solcano numerosi i pendii della valle, accompagnati dall’attributo che ne richiama le caratteristiche.
Tuttavia, forse per maligno contrappasso, forse per rivincita di etimologia violata, certo per paradosso, la presunta antonomasia di questo toponimo privo di attributi – in Agâr –, proprio quello che potrebbe e forse dovrebbe rappresentare tutti gli agârs di Collina, …non c’è. In Agâr è o certamente fu un aquarium, ma non è un agâr lontanamente simile ai suoi numerosi omonimi dei quali non possiede, se si eccettua la concavità, alcuno dei principali requisiti.
Al contrario dei suoi omonimi variamente aggettivati, quasi sempre rocciosi e a regime bizzarro almeno quanto la meteorologia locale, in Agâr individua un’ampia area entro l’abitato di CG5, un tempo coltivata e oggi prativa, dalla caratteristica forma concava, che dall’abitato scende in direzione della chiesa6.
L’area sottostante Agâr (Valgèlo) è caratterizzata da numerosi fenomeni di risorgiva e da una diffuso reticolo di ruscelli, mentre il terreno identificato dal nostro toponimo sta ben all’asciutto, tanto da farne un’eccellente area a coltivi e orti, a dispetto di tutti gli agârs di questo mondo.
Siamo insomma in presenza di una delle non rare contraddizioni apparenti che popolano la toponomastica di Collina, e a cui si è già fatto cenno nella parte introduttiva. La prima contraddizione, non certo l’ultima: altre ne incontreremo nel prosieguo di questo lavoro.

3. Agâr Balt [lu -]  Q1530-1465, ✧S.  Ripido solco di scorrimento d’acqua [id.]. V. Agâr; Balt è dal lat. balteum = cintura (REW), pl. baltea = muro di cinta dell’anfiteatro e, per estensione, luogo scosceso e dirupato (da cui anche l'it. “balza”).

Ripido e precipite7 nella sua parte superiore, l’Agâr Balt scende lungo il versante orientale del “monte del fieno” o mont dal fén (Creşadìço), e insieme al Riù de Cjafòlto è il precursore dell’Agâr di Macìlos: quest’ultimo continua infatti il corso dei primi due a valle della loro confluenza.
Come quasi tutti i suoi simili, l'agâr è a regime torrentizio: in condizioni normali la portata d’acqua è modesta, potendo contare solo sulla piccola sorgente detta fontano di Agâr Balt.

4. ⇑ Agâr Balt [in -]   Q1390, ✧SE.  Prati in medio pendio [id. inselvatichiti]. V. il lemma prec.

Meritevole d’interesse in sé e di denominazione da parte dei Collinotti non è naturalmente l’agâr del lemma che precede, quanto piuttosto i prati di mont la cui parte superiore affianca l’agâr stesso sulla dx orografica, e che furono sfalciati per secoli.
Negli archivi ritroviamo infatti diverse menzioni del nostro agâr a partire dal '600: “…consegnerano a Biasio minor figliolo … la mittà del prato d'Agarbarp verso sol à monte giusto li suoi confini…8.
Come pure, trent’anni più tardi: “Zuan Tamusino per nome della moglie et delli di loro H.di ha sotto posto … altro pezzo pratto locho detto Pradut in agar balp, conf.a con S.r Biasio Barbolan…9.
Prati lontani e disagiati, questi di Agâr Balt, ben presto in disuso e poi definitivamente abbandonati nel secondo dopoguerra.

5. ⇑ Insom d’Agâr  Q1560, ✧S.  Prato ripido [id. inselvatichito]. V. Agâr e insòm = in cima a.

Il toponimo non è più in uso, ed è stato desunto da un documento notarile del XVII secolo che così recita: “Per una solla fieno del pratto nel monte del fieno detto in som d'agar… Ducati X per la stima di perciò pratichatta…10.
Il prato così denominato non sta, come ci si dovrebbe ragionevolmente aspettare, sopra in Agâr, ma bensì sopra l’Agâr Balt, lungo il versante orientale del “monte del fieno” (v. Creşadìço), sotto la Cjafòlto.

6. Agâr dal Cjavàl [lu -]   Q1330, ✧NO.  Ripido solco di scorrimento d’acqua nell’abetaia [id.]. V. Agâr; cjavàl è il cavallo (Sc47), dal lat. caballus (REW1440).

Il versante meridionale della valle di Collina è solcato da numerosi agârs11, per lo più rocciosi e precipiti, che scendono al Riù di Morarìot: quello del Cjavàl è il più a dx (dirimpetto a CP), per chi osservi l’ampia fascia boscosa che fronteggia gli abitati.
Per lo più asciutti in condizioni normali, in caso di forti piogge questi agârs acquisiscono una discreta portata, tale da formare una serie di cascatelle ben visibili soprattutto dall’abitato di CP.
Il toponimo è recente, risalendo ai primi anni del secolo scorso12, e si deve al valoroso (nel senso economico del termine…) animale che vi scivolò, precipitando fortunatamente solo per qualche metro. Non casualmente, il luogo è anche detto Salt dal Cjavàl, Salto del Cavallo. Nella sua scomoda posizione, incastrato nell’agâr ripido e scivoloso, il caballus dovette essere imbragato e quindi sollevato, con non poco lavoro e fatica13.

7. Agâr dal Clap de Fàrio [lu -]   Q1380-1135, ✧NO.   V. rispettivamente Agâr, Clap, e Fàrio: il risultato è una sorta di letterale e decisamente insolito “solco del sasso dell’officina”.

Davvero complesso, il toponimo ha in realtà la sola funzione di identificare a distanza un ripido agâr in mezzo al bosco, nel versante opposto all’abitato e in luogo di non facile né frequente accesso.
Masso calcareo di grandi dimensioni, il clap de Fàrio era situato (fu fatto saltare con l’esplosivo intorno al 1960) fra il Prât da Cumùn e la Fàrio. Chissà come capitato sin laggiù, forse durante l’epoca glaciale, il clap era il punto focale dei ragazzi al pascolo nei dintorni (ma non solo: la vicinanza all’abitato di CP ne faceva comunque un punto d’incontro e luogo di gioco): una sorta di dazebao ante litteram, caotico manifesto di pietra ricoperto di scritte, iniziali e nomi senza età scolpiti nella pietra, ad immortalare generazioni di giovincelli (e giovincelle) che vi salivano a prendere il sole mentre le vacche brucavano l’erba poco distante. Quadretto bucolico certo ingentilito dal tempo e dal ricordo, ma tuttavia non privo di realismo.
Di ritorno alla toponomastica, la sola funzione del clap era quella di indicare, a chi transitava lungo la vicina via della chiesa o su par Pàlos, la direttrice lungo la quale trovare l’agâr sull’opposto lato della valle. Una sorta di enorme puntatore, insomma.
Cancellato il clap da una carica d’esplosivo, ci rimane la sua testimonianza nell’Agâr dal Clap de Fàrio, oggi un poco più difficile da identificare, senza il masso stesso. Lo si individua solo contando uno a uno (quando visibili, dopo forti piogge) gli agârs che solcano la foresta e che, a partire dal Fulìn, da dx a sx sono: A. dal Cjavàl, A.dal Gran Salt, A. dal Clap de Fàrio, A.di Plan, A. Scûr.

8. Agâr dal Furlàn [lu -]  Q2550-1500, ✧SO.  Roccia nuda [id.]. V. Agâr. Di significato trasparente (“Agâr del Friulano”).

Il nostro toponimo identifica il grande e caratteristico canalone SO del Cogliàns, spesso con neve, ben visibile da Collina e notissimo a chi percorre il sentiero Spinotti, che attraversa orizzontalmente il grande solco nella sua parte superiore.
In primavera, l’Agâr dal Furlàn si trasforma in una sorta di naturale bocca da… neve, sparando a valle la famosa (a Collina, beninteso) lavino dal Furlàn, poderosa valanga che tradizionalmente segna l’inizio della primavera14.
Non è certa l’identità del furlàn, anche se è probabile che si tratti dello stesso Riccardo Spinotti, a cui è intitolato il noto sentiero alpinistico15.

9. Agâr dal Gran Salt [lu -]  Q1330, ✧NO  Roccia e muschi in bosco resinoso [id.]. V. Agâr; salt è “salto” o “balzo” (Sc267) dal lat. saltus (REW7554).

Agâr del grande salto”, così detto per il balzo roccioso della sua parte inferiore, dove le acque meteoriche formano una cascatella, modesta per altezza e portata ma ben visibile da CP.
È il secondo da dx dei numerosi agârs nel versante a bacìo della valle. È anche uno dei pochi toponimi dettati dalla sola osservazione a distanza, in quanto corrispondenti a luoghi del tutto impraticabili e privi di qualsiasi interesse economico, e pertanto utilizzati a solo scopo di orientamento.

10. Agâr di Macìlos [in -]  Q1230, ✧S.  Prato in pendio moderato [prato inselvatichito]. V. Agâr; macìlos è derivazione del lat. maciuletum = maceratoio per la canapa (REW5214 s.v. maciulentare).

Il prato così detto è costituito dalla parte intermedia dell’omonimo Agâr di Macìlos (v. il lemma seg.), e costituisce il limite orientale della campagna di CG, dove questa lascia il posto al bosco di Clap de Scjàlo. La forma è tipica degli agârs, ovvero un solco che segna una netta discontinuità rispetto alle aree contigue, ma di forma assai più ampia e dal declivio relativamente dolce.
La parte destra (or.) dell'agâr è costituita da un ampio e concavo solco prativo (Devóur Tamošo), mentre il margine sinistro è formato da un boschetto di abeti che dal fondo dell’avvallamento si erge ripido per poche decine di metri, fino al terrazzo di Pièrtios di Vereòns. Poche le rocce affioranti, e circoscritte al fondo del solco ove, solo in caso di piogge molto intense, scorre ancora un poco d’acqua.
Proprietà comune, e ormai fruibile all’agricoltura, l’
Agâr di Macìlos
fu privatizzato e mutato in prato nella seconda metà del 180016. Il toponimo tradisce la funzione del luogo, che fino al 1920 circa ospitava le operazioni di macerazione e gramolatura della canapa coltivata a CG. Macerazione tuttavia non “classica”, ovvero per immersione in acqua, ma per semplice esposizione agli agenti atmosferici: sole e pioggia (quest’ultima notoriamente abbondante da queste parti…) si sostituivano alla immersione in vasca, tecnica ampiamente adottata in climi meno piovosi.
È assai verosimile che a Collina i luoghi destinati a questa operazione non fossero molti, ma sappiamo con certezza che erano almeno due: questo di Agâr di Macìlos per la canapa coltivata a CG, e un altro nei dintorni della Puartùto per la canapa coltivata a CP17.

11. ⇑ Agâr di Macìlos [lu -]   Q1465-1190, ✧S.  Solco d’acqua [id.]. V. il lemma prec.

È il lungo solco formato dalla confluenza dell’Agâr Balt e del Riù de Cjafòlto, che scende fino a confluire nel Riù di Morarìot all’altezza del Mulìn di Nino.
Nel corso dei secoli la morfologia dell’
agâr
, dal corso ripidissimo nella parte iniziale e terminale, ha necessariamente subito considerevoli cambiamenti. La sua parte mediana, decisamente ampia e di pendenza modesta (v. il lemma prec. e Devóur Tamòšo), lascia supporre in origine una portata d’acqua considerevole, almeno in occasione delle piene stagionali. Oggi l’alveo è pressoché asciutto, tranne in caso di forti piogge, e nel tratto mediano il terreno non è ghiaioso, ma è invece ricoperto di una consistente cotica erbosa già destinata allo sfalcio. Dunque (forse a causa di un terremoto o di una frana nella parte superiore, o entrambe le cose), le acque meteoriche non scorrono più a valle nel solco originale, ma sono disperse o inghiottite a monte della parte terminale.

11bis. Agâr dal Plevàn [lu -]   Q1250-1080, ✧S.  Ripido solco di scorrimento d' acqua, arbusti, bosco misto [id., in terreno di frana]. V. Agâr e i lemmi precedenti; plevàn = parroco, curato (Sc233), dal lat. plebs = pieve (REW6591, 2) + suffisso -anus.

Agâr quasi solo di nome (l'acqua vi scorre solo in caso di forti piogge) che attraversa la strada Forni-Collina, è parte integrante della Ruvîš di CP.
L'Agâr dal Plevàn è il luogo preciso ove il 29 agosto 1894 cadde e trovò la morte il curato di Sopraponti, pre’ Pietro Longo, evento già richiamato nella parte introduttiva a proposito delle vie di comunicazione. La costruzione della strada e il rimboschimento della frana hanno profondamente alterato lo stato dei luoghi, al punto che oggi un osservatore stenta davvero a comprendere come qui una persona potesse letteralmente lâ a bródol - andare a ruzzoloni - e perdere la vita. Eppure, come abbiamo visto, il plevàn fu solo l'ultimo di un elenco decisamente nutrito.
Fino alla fine dell'800 e all'avvio della bonifica la frana della Ruvîš non solo fu veramente tale, ma era per di più attraversata, in luogo della attuale strada, da un sentiero che proprio qui era largo in qualche loco piede uno et in qualche altro piede mezzo18. E un piede (intero) significava qualcosa meno di 35 cm...

12. Agâr di Róndoi [lu -]   Q1780-1340, ✧SE/S.   Ripidissimo canalone di roccia nuda [id.]. Il ròndol è il brontolio, in particolare dei tuoni, dal verbo rondolâ = rombare sordo e diffuso.
Agâr di Róndoi
1916. La parte superiore dell’Agâr di Róndoi, fra il m. Canale (a sx) e il m. Capolago (a dx).

Il rondolâ19 del nostro agâr è dei tuoni, delle acque che vi precipitano con grande violenza, delle valanghe primaverili. E delle streghe.
Streghe e, beninteso, personaggi consimili d’ogni genere e fattura, giacché quassù era il regno del bestiario extranaturale, tutto insieme proteso a far danno agli incauti o temerari che di giorno osassero avventurarsi ventissù, e di notte ardissero superare l’invalicabile limite della straceàdo, la linea segnata dall’acqua piovana cadente dal tetto di casa. Di giorno confinati nell’Agâr di Róndoi, streghe e mostri scendevano di notte a impadronirsi del territorio e a ghermire chiunque non fosse al riparo del tetto di casa.
Oggi ospite solo di tuoni e valanghe (notoriamente streghe e miti sono state soppressi e sostituiti, con evidente scadimento estetico e qualitativo, dalla TV) l’Agâr di Róndoi è la parte inferiore dell’ampia gola fra i monti Canale e Capolago, la cui parte terminale, ormai in fondovalle, si restringe a pochi metri formando l’angusta forra di Ornella.
Il bacino di alimentazione dell’Agâr di Róndoi è di dimensioni gigantesche, e oltre alle acque meteoriche raccoglie in gran copia detriti, tronchi d’albero e ogni cosa che la furia degli elementi – acqua, vento, e soprattutto valanghe – trascina a valle. Molti anni fa ebbi la ventura di risalirne il tratto inferiore20, e l’ambiente è davvero impressionante, di grande severità ma allo stesso tempo maestoso, con pareti concave alte decine di metri che aggettano sul fondo del canalone a mo’ di soffitto, salti di roccia inframmezzati da ripiani pressoché orizzontali.
E, naturalmente, nel profondo solco giace tutto ciò che rimane in attesa di essere trasportato a valle dalla prossima piena o dalla prossima valanga: tronchi incastrati, ceppaie, ghiaie. Nell’insieme, una sensazione di grande e incontenibile potenza. Altro che le povere streghe…

13. Agâr dal Sant [lu -]   Q1600-1370, ✧SO.  Ripido alveo di scorrimento di acque [id.]. V. Agâr; sant = santo (Sc269), dal lat. sanctus (REW7569).

L’Agâr dal Sant è il primo dei due agârs (il secondo è l’A. di Tòc) che scendono ripidi in sx del Riù di Cuéštos e che si incontrano salendo a Cjampēi, poco oltre il Plan di Cjampēi.
Non è noto a quale santo, probabilmente raffigurato in un’ancona posta nei dintorni, faccia riferimento il toponimo. L’origine potrebbe essere accostata a quella di lemma Plan dal Sant (v.), e cioè al diritto di proprietà della locale chiesa di san Michele Arcangelo.
Tuttavia, la natura franosa del terreno porta ragionevolmente ad escludere tale ipotesi per suggerire, in luogo di una proprietà fisica, una sorta di patrocinio spirituale da parte di un sant un tempo qui raffigurato a protezione (forse dalla stessa frana?) dei viandanti che transitassero nelle vicinanze.

14. Agâr Scûr [lu -]   Q1220, ✧NO.   Ripido solco di scorrimento d’acqua [id.]. V. Agâr; scûr è l’aggettivo “scuro” o “buio”, dal lat. obscurus (REW6020).

È l’agâr che scende in sx del Riù di Morarìot poco a valle della confluenza del Riù di Plumbs, all’estremità orientale di Plan di ‘Sôro, ovvero il più a sx (NE) degli agârs per chi osserva da CG (v. Agâr dal Clap de Fàrio).
L’aggettivo scûr che lo caratterizza è quanto mai calzante, in quanto il solco d’acqua è pressoché invisibile da Collina, nascosto nel folto dell’abetaia a S della valle. Persino d’inverno e in primavera la neve residua sul fondo dell’incavo è celata alla vista, quasi ricoperta dagli abeti accalcati intorno al piccolo rio, di modestissima portata e non perenne.
L’Agâr Scûr è attraversato dall’interessante sentiero che, dipartendosi dal Fulìn lungo la vecchia strada che costeggia il rio, risale il corso d’acqua fino al Mulìn di Nino e quindi alla Siēo.

15. Agâr di Tòc [lu -]   Q1650-1370, ✧SO.   Ripido solco d’acqua [id.]. V. Agâr; Tòc è un cognome di Collina, endemismo di antica origine ancora oggi portato da non poche famiglie (la grafia moderna in anagrafe è però Toch): la sua presenza in loco è documentata sin dal 1500, ma probabilmente è di ancora più antica data21.

L’Agâr di Toc è il secondo dei due agârs che si attraversano al limite superiore del Plan di Cjampēi (il primo è l’A. dal Sant) salendo agli alpeggi di Cjampēi.
Acquisita l’origine antroponimica, mi sembra tuttavia di potere escludere una connessione ad un concetto di proprietà, dal momento che la valenza economica dell’elemento geografico (non è un fondo o una fonte o un bosco o altro) è nulla. È necessario quindi ripiegare su elementi meno strutturali e più casuali, come un particolare evento o personaggio, o altro di comunque difficile identificazione.

16. Agaràt [dal -]   Q1160, ✧S.   Agâr di medie dimensioni, molto ripido [id.]. V. Agâr: il suffisso -at ha significato peggiorativo/spregiativo, con un risultato simile a “canalaccio”.

E canalaccio era davvero, il nostro Agaràt, prima degli interventi di messa in sicurezza in seguito alla tromba d’aria e ai conseguenti disastri del novembre 2002, opere che hanno ridotto (almeno per ora) il solco erosivo ad un modesto valloncello erboso e senza pretese.
Il dispregiativo è senza dubbio da attribuire tanto all’aspetto – vagamente repellente e apertamente minaccioso – che il profondo solco metteva in mostra a monte dell’antico percorso che l’attraversava22, quanto ai considerevoli danni che le piene dell’agâr apportavano ai prati circonvicini (Virùncs), disseminandoli di pietre e ramaglie.
L’Agaràt è tuttora facilmente individuabile lungo la comunale Forni Avoltri-Collina, fra Colarìot e Virùncs, grazie alle evidenti opere di contenimento in pietra e tronchi effettuate a monte della strada, e soprattutto grazie ad un voluminoso pozzetto che raccoglie e scarica nel “canalaccio” le acque meteoriche convogliate dalla cunetta della strada stessa.

17. Antîl [in -]   Q1275, ✧S.   Coltivi e prato da sfalcio in medio pendio [prato inselvatichito]. Antîl è precisamente l’anta della credenza o della porta (Sc7), dall’omonimo lat. anta (REW492). In alternativa, si può pensare ad un’origine del toponimo nel lat. ante o anti = prima (REW494) o antelatus = anteposto, preferito.

L’ipotesi più verosimile circa l’origine del toponimo si rifà all’aspetto funzionale di apertura/chiusura richiamato dal termine, ben evidenziato da un derivato dello stesso antîl, ovvero antilàrio = apertura o passaggio nel recinto della malga, chiuso con stanghe (Sc7).
In questa chiave antîl potrebbe dunque individuare un’apertura o passaggio in una recinzione per il bestiame, oppure posta intorno ai coltivi più prossimi all’abitato, a protezione tanto dagli animali domestici al pascolo fuori del recinto quanto dalle incursioni degli animali selvatici23.
Sito in posizione assai privilegiata per accesso ed esposizione, Antîl farebbe logicamente supporre, sin dalle origini dell’insediamento, un uso intensivo del fondo da parte degli abitanti della vicina CG, ciò che darebbe anche conto della chiusura del fondo a protezione del raccolto. Alla fine del XVII secolo Antîl (o una parte di esso) è infatti a coltivi, giacché gli archivi riportano come “In primo Collonelli consegnerano a Biasio minor figliolo … la mettà del campo d'Antil cioè la parte di sopra … giusto li loro confini24.
Tuttavia, due secoli più tardi Antîl (o parte di esso) risulta terreno di proprietà comune e – abbastanza incredibilmente – incolto, al pari di altri fondi che negli anni 1860-1871 saranno divisi fra i membri del Consorzio dei capifamiglia, oppure ceduti e privatizzati. Nelle cronache del tempo si ritrova infatti quanto segue: “1871. Venne fatta da Leonardo Caneva la divisione dei beni incolti Foràns, Ruvîs, Chialghiadôr (il nostro Cjalgjadùor), Aperto (Avièrt), Sarmualis (Sarmuàlos), Antîl e Agâr di Macìlos25.
Si noti come tutti gli altri luoghi sopra elencati si trovino in posizioni assai più sfavorevoli di Antîl, e quindi più ragionevolmente di quest’ultimo incolti al tempo della divisione. Per Antîl si tratta quasi certamente di un equivoco, o solo di una parte dei terreni definiti dal toponimo, oppure ancora di una semplificazione da parte dell’estensore (Antîl per Devóur Antîl?), il quale redige le sue memorie a distanza di quasi cinquant’anni dagli eventi descritti. In ogni caso, l’attributo di “incolto” riferito a quest’area appare decisamente fuori luogo e poco credibile.
Situato a O dell’abitato di CG, dove oggi si trova la cisterna dell’acquedotto, Antîl segna il limite occidentale della campagna di CG: l’area a coltivi è interrotta dal costolone erboso che scende da Masério a formare la Capo di Marc e dietro il quale, in terreno assai meno favorevole per l’attività agricola, si trova Devóur Antîl (v. il lemma succ.).

18. ⇑ Devóur Antîl   Q1280, ✧SO.   Prato ripido, forse anche pascolo [id. inselvatichito, cespugli]. V. il lemma prec. e la prep. devóur-dietro.

Separato da Antîl dalla netta costola erbosa che scende a formare la Càpo di Marc, a chi osservi da CG il luogo si trova nascosto dietro la costola stessa, così suggerendo la denominazione Devôur Antîl.
Tuttavia, a separare e distinguere i due terreni non è solo una semplice piega del terreno: esposizione, inclinazione, e dimensione fanno di Devóur Antîl un fondo assai meno pregiato del suo “genitore”: segnato da numerose frane e smottamenti, il terreno scende ripido al sottostante Riù di Cuéštos.
Oggi Devóur Antîl è interamente attraversato dalla strada forestale che, tagliando diagonalmente il pendio, punta direttamente al fondo della valle per salire, con moderata pendenza, aRiù di Cuéštos.

19. Avièrt [al-]   Q1410, ✧E.  Ripida radura prativa in bosco resinoso [prato inselvatchito]. Dal lat. aperire = aprire, quindi apertum = spazio aperto (REW515), qui con identico significato di spazio o luogo aperto (al avièrt = in luogo aperto)26.

L’aspetto del luogo fa decisamente propendere per l’etimologia proposta, risultando non adeguate altre origini avanzate altrove e in contesti certamente diversi, quale apertum con il significato di “luogo pianeggiante” o, ancora, “terre comuni”.
Infatti il nostro toponimo riflette appieno la principale caratteristica del luogo, una radura in decisa pendenza, alla quale si giunge dopo un lungo cammino quasi al buio attraverso una ripida e fitta foresta di abeti, letteralmente sbucando al avièrt e alla luce. Radura e luce minacciati dall’incalzante abbraccio della foresta, che di anno in anno riduce le dimensioni della radura.
L’Aviért era luogo di transito: nella radura il sentiero che sale da CP si biforca, prendendo direzioni opposte: un sentiero si diparte a sin. proseguendo con pendenza moderata per Cjalgiadùor (qui altro bivio per la Furcùço), Nàvos e l’Infièr, mentre l’altro attraverso la Basso conduce anch’esso alla Furcùço.
Anche questo terreno fu proprietà comune fino al 1871 quando, insieme ad altri, fu diviso fra i membri del Consorzio di Collina27.

20. Bàito [de -]   Q1360, ✧O.   Radura in modesto pendio, con edificio [id. parcheggio e stazione di teleferica]. Dal gotico bawitha, probabilmente attraverso l’it. baita.
Circa 1955. La Bàito
Circa 1955. La Bàito (foto G. Del Fabbro).

Alla testata della valle, ai margini del Plan di Valèbos e presso il ponte sul Riù di Morarìot, sorgeva fino al 1966 una capanna dal nome ufficiale di Baita Plan di Val di Bós, che la sinteticità valligiana aveva provveduto a ribattezzare la Bàito di Gùstil28, o più semplicemente la Bàito.
Presso la piccola costruzione – in assi di legno ricoperte di corteccia e con il tetto di scandole, di dimensioni davvero minime e per il quale lo stesso concetto di dentro era decisamente relativo – era effettuato dai proprietari un modesto servizio di ristoro. Bevande e tuttalpiù qualche panino per gli escursionisti prima della salita ai rifugi, o al ritorno da questi.
Oppure, nel dì di festa, bevande (panini, giammai!) per i valligiani che, acconciamente vestiti, andavano a farsi un taj o, per i più piccini, un taj di aranciata29.
Con il tempo, da semplice denominazione della costruzione (la Bàito) il termine assurse a significato toponomastico (de Bàito) e indicare l’intera area circostante il minuscolo edificio, dal ponte sul rio al bosco e ancora oltre, fino a comprendere una discreta parte del sottostante Plan di Valèbos.
Nel 1965 la Bàito fu rimossa per far luogo al rif. Tolazzi30 e ricollocata nel bosco al limite sx della strada che sale al rifugio, pochi metri prima di giungere al ponte sul rio Morareto. Ormai in pessime condizioni e da tempo depredata dell’insegna dipinta che campeggiava sopra l’ingresso, nel 2013 la Bàito è stata definitivamente demolita per far luogo a un piccolo chalet.

21. Balbìn [in -]   Q1230, ✧S.  Coltivi in medio pendio a O di CG [abitato, AP 215 e 262]. L'etimologia più immediata parrebbe con il lat. balbus = balbuziente (REW898) con suffisso diminutivo –in(us). Quindi “piccolo – oppure poco – balbuziente” e pertanto come antropotoponimo, forse con riferimento al proprietario del fondo. In alternativa si può ipotizzare una radice nel lat. ballare (REW909), con medesimo significato in it., ma che a Collina diviene anche baliotâ = calpestare l'erba dei prati (Sc16).

Pur più immediata della seconda, la prima ipotesi etimologica mi sembra debole. Nella parlata di Collina il balbuziente è cjècol (friul. ciècul, NP148), il che fa l’ipotesi “balbuziente” improbabile, se pure non del tutto impraticabile.
Alto sulla più antica caròno del Riù di Cuéštos (v. Caròno), in Balbìn gode di splendida esposizione a SE e altrettanto splendida vista sui tutti i monti circostanti. Si può ben immaginare con quale gusto e sapore vi crescessero orzo e segale, e i meravigliosi cjapûts31 di Collina…
I nuovi assetti urbanistici hanno a dir poco stravolto l'identità del luogo, come pure dei terreni immediatamente circonvicini come Sopóç, tutti intensamente coltivati ben oltre la metà del secolo scorso. L'intera area è oggi disseminata di case d'abitazione di ogni tipo e dimensione (AP76, AP96), e ospita anche una casa per vacanze (AP101).

22. Baracòn [dal -]   Q1230, ✧SO.   Centro abitato [id.]. Accrescitivo di baràco = baracca, dall’it. omonimo, e volto al masch.: dunque, “baraccone”.
CG fra '800 e '900. In basso a dx, in parte fuori campo, il baracòn
CG fra '800 e '900. In basso a dx, in parte fuori campo, il baracòn.

E baraccone era, interamente costruito in assi di legno e di discrete dimensioni, quello situato a CG fra le due strade che attraversano il villaggio, a NO e un poco più in basso della canonica (AP303).
Della rustica costruzione è documentata l’esistenza a fine 800, ma già allora si trovava in cattive condizioni, come testimonia l’immagine qui accanto: fu poi demolita all’inizio degli anni ’30 del secolo scorso per far luogo a una “Rimessa Automobili”, come un po’ pretenziosamente recitava la scritta sovrastante l’ingresso32.
La ex rimessa è oggi destinata a deposito. La denominazione dal Baracòn è invece rimasta, ed è tuttora in uso a indicare il luogo ove, giungendo da CP, la strada bassa di CG piega decisamente verso dx, in corrispondenza della parte superiore di Agâr.

23. Basso [te -]   Q1560, ✧E.  Bosco resinoso [id.]. Basso è il femm. dell’aggettivo friulano bas = basso (Sc19), dal lat. bassus (REW978), qui inteso nel senso di “in posizione inferiore”.

Corrisponde all’unico tratto in pendenza tutto sommato contenuta dell’altrimenti ripida strado des ùolğos che da Cjamavùor sale alla Furcùço, dopo che la stessa strado ha oltrepassato l’Avièrt.
Il termine basse è d’uso comune nella toponomastica friulana33, a indicare strade incassate nel terreno oppure con andamento parallelo ma a livello inferiore rispetto ad altra strada che muove nella medesima direzione (NP41).
E è proprio a quest’ultima caratteristica che la denominazione Basso va fatta risalire. Infatti, la strado corre qui a livello del terreno e non infossata, ma soprattutto si trova un centinaio di metri al di sotto di un altro tracciato (sul quale fu costruita la Strado di Soldâts) che muove nella stessa direzione.
La strado des ùolğos e la Strado di Soldâts si ricongiungono poi più in alto, alla Furcùço.

24. Belvedère [in -]   Q1840, ✧SE.  TU Belvedere (CTR)34, in precedenza anche Casera Belvedere. Prateria alpina in medio pendio, costruzioni militari, casera [poche tracce di costruzioni, boschina e ontani]. Toponimo "originale" in italiano, caso unico in tutto il territorio investigato35.

Toponimo ubiquitario, assai numeroso anche in tutto il Friuli (Povoletto, Buja, Aquileia ecc.), deve anche qui la denominazione alla posizione del sito, con vista indubbiamente panoramica che spazia dalle Dolomiti Pesarine al fondovalle del Degano, al Crostis e ai monti di Collina.
Ho sempre nutrito fortissimi dubbi che quassù potesse mai essere stata collocata una casera (da caseus, accidenti!). Il luogo è esposto ai venti da ogni quadrante, ripidissimo da ogni lato e soprattutto privo d’acqua anche nei dintorni: è cosa abbastanza nota che i crinali impervi a oltre 1800 m sono i luoghi meno adatti per cercarvi sorgenti, polle, falde, pozzi o anche semplici pozzanghere. Anzi, sono giusto il contrario di agâr e agadòrio, póç e palù, ròjo e fontano e chissachealtro. O no?
Serve altro? Pronti. Niente piante nitrofile (romice in primis: il mio regno per un lavàç in Belvedère!) che pure popolano i dintorni dei ricoveri di bestiame ancora per decenni e decenni dopo la cessazione dell’attività. E poi altro ancora che risparmio al lettore.
Tutto ciò considerato, ero persino giunto a pensare che a Marchettano, il quale nell'ambito della sua vasta indagine del 1911 sugli alpeggi in Carnia e nel Canal del Ferro scrive "Belvedere.Piccola alpe, sulla quale monticano 20-25 bovini e 25-30 ovini o caprini. Proprietà privata"36, avessero spacciato per malga uno stabbio o un ricovero temporaneo. Invece in Belvedere ci furono non solo le vacche e una malga ma, anche una casera con tanto di formaggio, e di qualità tale da essere pure commercializzato.
Ecco ciò che in merito scrive Pietro Samassa alias Pìori di Toc, notissima guida alpina di Collina negli anni fra '800 e '900: "1900. Memoria con Pascolin Nicolò di Sigileto. Dacordo di soministrarmi il Formaggio fato Lui nella Sua Malga Bel Vedere genere di Salamora col prezzo al chilogrammo levato a Sigileto di L. 1.30"37. Sembra che Samassa acquistasse l'intera produzione di Belvedere per poi rivenderla ad altri commercianti.
Nel 1913 la tavola IGM indica questo luogo come “C. Belvedere”, ma all’avvio del conflitto mondiale proprio qui è installata la stazione a monte di una teleferica di supporto alle truppe in quota38.
Nel dopoguerra l'attività malghiva non sarà mai più riavviata, e da allora in avanti tutte le carte topografiche indicheranno Casera Belvedere con l'aggiunta di "ruderi" che saranno peraltro quelli delle installazioni militari e non più della casera.

25. Bergjarìos [tes -]  Q1810, ✧SE.  Pascolo in alpe con ricoveri per il bestiame [prateria alpina] fra Belvedère e Cjampēi. Nella parlata di Collina erano d’uso frequente il verbo bergjâ = ricoverare gli animali e le mandre, e il suo sostantivo bèrgjo = l'insieme della casera e delle logge nelle malghe (Sc23): Bergjarìos, dunque, come luogo ove sono disposti ripari per il bestiame. L’origine del termine è fatta risalire al gotico hariberto (da cui anche l'it. “albergo”) con significato di riparo, ricovero (REW4045, Sc23).

Il sito si trova dirimpetto a Cjampēi, sui pendii dell’opposto versante (dx) della piccola valle del nascente riù diCuéštos, e il toponimo fa riferimento allo stato e all’uso del luogo forse fino alla fine dell’800.
Infatti, giusta l’ipotesi avanzata riguardo ad un antico alpeggio in Cjampēi (v.), i due ricoveri avrebbero insieme fatto parte di una più ampia struttura per l’alpeggio del bestiame, occupante l’intera Valantùgnos del tempo.
Le costruzioni delle Bergjarìos, in posizione assai disagevole e con pascolo ridotto, ebbero probabilmente funzione di supporto all’alpeggio di pecore e capre, un tipo di allevamento forse in uso fino al 1800 ma ormai abbandonato già alla fine del secolo, quando una parte delle Bergjarìos è convertito a semplice prato di mont, ovvero a sfalcio, e il resto abbandonato a sé stesso. Già nel 1900 le Bergjarìos sono ridotte a prati da sfalcio nella disponibilità (proprietà o locazione) di Nicolò Pascolin di Sigilletto, il malgaro di Belvedère che in quell'anno, oltre al già citato formaggio, vende a Pietro Samassa pure il fieno delle Bergjarìos in quantità "da 8 a 10 mile libre venete [...] col prezzo dacordo 40"39. Nel 1930 di Caporiacco fa menzione delle Bergjarìos come “vecchia malga40.
Nel linguaggio comune, il verbo bergjâ assumeva anche il significato di “stare” o “abitare”, in senso però spregiativo: achì Catìn e no bèrgjo a lunc (“qui Caterina non resta a lungo”).

26. Bertoléš [sul -]   Q1300, ✧O.  Bosco resinoso e radure in medio pendio [id.]. Toponimo di origine oscura. Forse antropotoponimo da un nome di origine germanica con radice in -bert, oppure dall’it. “Bortolo”.

Per quanto plausibile, la prima ipotesi non convince pienamente. D’altra parte, se è vero che “Berto” e suoi derivati compaiono in anagrafe a Collina solo nel XIX secolo, è anche vero che prima del XVI secolo – inizio dell’anagrafe – non sappiamo davvero nulla circa la presenza in loco di questo nome.
Area boschiva sopra il Runc di Cuàl, fra Bevòrcjos e il ciglio dell’abetina che scende a precipizio nel Riù di Plumbs, il Bertoleš ospitava nelle sue radure l’ormènt nelle sue continue peregrinazioni in cerca di pascolo.
Meno devastato del sottostante Runc di Cuàl dallo sconsiderato disboscamento del 1975, il luogo è ancora oggi ambiente gradevole per una passeggiata senza meta nel bosco, avendo cura di evitare gli angoli della foresta dove gli abeti sono talmente fitti da non consentire neppure il passaggio di una persona.

27. Bevorcjàn [tal -]   Q1440, ✧N.   Bosco resinoso in medio pendio [idem] lungo il percorso che da Collina porta a Plumbs. Dal latino bifurcus = biforcato (REW1093) da cui il toponimo generico bifurcanu = luogo ove la via si biforca, oppure “spazio di terreno incolto fra due strade convergenti” (NP51)41.

Tal Bevorcjàn si trova in effetti una biforcazione della mulattiera (oggi strada forestale) Collina-Plumbs, dalla quale si stacca un ramo in direzione della Gòto e di Givigliana. È tuttavia da sottolineare come il termine Bevorcjàn abbia significato esclusivamente toponomastico (v. anche Bevòrcjos): nella lingua parlata l’aggettivo “biforcato” è invariabilmente reso con biforcjât.
Il toponimo lascia supporre una antica frequentazione del luogo e delle vie che vi transitano, probabilmente già allora finalizzate tanto al taglio e al trasporto del legname quanto all'attività malghiva delle casere soprastanti (Valùtos e Plumbs).

28. ⇑ Plan dal Bevorcjàn [tal -]   Q1420, ✧N.   Bosco resinoso con modesta inclinazione [idem]. V. rispettivamente Plan e il lemma prec., per cui si ha letteralmente “Pianoro del Bevorcjàn”.

La località è di alcune decine di metri sottostante quella identificata dal toponimo principale Bevorcjàn, là dove il terreno diviene più agevole: il pendio digrada più dolcemente, e l’abetaia si fa meno fitta.
Non una spianata, o anche solo un pianoro in senso stretto, ma pur sempre un plan declinato alla collinotta. Non è ripido, e tanto basta.

29. Bevòrcjos [in -]   Q1310, ✧NO.  Prato e bosco resinoso [id.] lungo la via di Plumbs, poco oltre il Runc di Cuàl. Etimologia e significato sono del tutto analoghi a Bevorcjàn, qui volto al genere femm. e al plurale.

Strade e sentieri e relative diramazioni sono qui numerose42 in quanto un tempo la zona era di transito verso destinazioni le più diverse: prati di valle e di mont, campi, bosco, malghe e persino Monte Croce Carnico e l'Austria.
Dal pianoro del Runc di Cuàl la strada forestale che dalla Siēo sale a Plumbs lascia alla sua sx (senso di marcia) prima le due strade forestali che portano ai Runcs. Quindi la strada si inoltra nel bosco sempre più fitto e raggiunge il bivio della vecchia strado des ùolğos (sempre sulla sx) che da San Lenàrt sale ripida ai prati di Cjìolos e Temós. Qui siamo nell'area di Bevòrcios p.d.: poco più avanti, in terreno pressoché pianeggiante (c'è anche il... sotto- microtoponimo Plan di Bevòrcjos) dalla stessa strado des ùolğos si dirama un altro sentiero, oggi difficile tanto da individuare che da percorrere, che sale al Cuél di Ğulìgn e alla Navo Maçócol.
Oltrepassato Bevòrcjos la strada piega verso dx, lascia sulla sx l'ultimo e recentissimo bivio della nuova strada forestale che porta alla Cunfìn, e quindi prosegue per Plumbs attraversando il guado del minuscolo Riù di Cjìolos e il ponte sul Riù diPlumbs43.
Di qui la strada seguita con pendenza variabile, prima ripida con stretti tornanti fino al Bevorcjàn, poi in falsopiano a mezza costa, sempre tenendosi sul lato sx (or.) del Riù di Plumbs. Poco dopo avere oltrepassato nuovamente il rio al limite inferiore dei pascoli di Plumbs, ormai a poche centinaia di metri dalla malga la strada si ricongiunge infine con la strado des ùolğos lasciata in San Lenàrt.

30. Bièlo Caròno [te -]   Q1450, ✧SO.   Prato in medio pendio [id. inselvatichito]. Di significato trasparente, ossia Bella Corona, dal lat. bella (REW1027, Sc23) e corona, v. Caròno.

La Bièlo Caròno altro non è che la prosecuzione della Caròno di Colarìot verso l’alto, a distanza di centinaia di metri, oltre il bosco e i prati di Sôro Colarìot, là dove un sentiero in quota aggira il costone.
Manco a dirlo, la Bièlo Caròno deve il proprio nome alla bella posizione panoramica, aperta e dominante sulla vallata del Degano, di fronte ai ripidi versanti settentrionali del gruppo del Pleros e della Creta della Fuina.

31. Bióucjos [tes -]   Q1650, ✧NE.   Prato umido in modesta pendenza [pascolo e boschina mista]. L’etimologia è la stessa di Bevorcjàn e Bevòrcjos, con riferimento alle biforcazioni dei sentieri che vi transitano.

Il sentiero che da Collina sale a Plumbs si divide qui nelle due direttrici di Plumbs e della Fòrcjo des Bióucjos (v. il toponimo che segue), dando così ragione dell’etimologia del toponimo. Il pianoro delle Bióucjos si trova circa 100 m sotto la forcella omonima, a O della casera Plumbs.
Originariamente destinati allo sfalcio, i prati furono in seguito abbandonati e, parzialmente impaludati, resi disponibili al pascolo per il bestiame di Plumbs.
Come quasi tutti i nostri toponimi, anche questo data da secoli, trovandosi già menzionato in un atto notarile del tardo Seicento: “In primo Collonelli consegnerano a Biasio minor figliolo li beni infrascritti per sua giusta posizione… la parte di sopra con la mittà del prato di Biouchas44.

32. ⇑ Fòrcjo des Bióucjos [la -]   Q1700, ✧NE-SO.   TU Sella Biòichia. Prato in pendio ripido [boscaglia]. V. Furcjìto e il lemma prec.

In corrispondenza della forcella, il sentiero che nelle sottostanti Bióucjos si diparte a dx dalla pista forestale che sale alla casera Plumbs si divide a sua volta in due rami, l’uno sale a sx verso il m. Crostis, l’altro scende a dx in direzione di Givigliana45.
L’insellatura è posta sulla dorsale O del m. Cròstis, che dalla vetta scende alla confluenza del rio Fulìn nel Degano, e il passaggio consente la comunicazione in quota tra la valle del rio Plumbs-rio Fulìn e la valle del Degano stesso.
Il valico, a quota relativamente bassa, era certamente usato già in tempi remoti quale via di comunicazione fra le valli contigue per uomini e animali: diretti a Monte Croce Carnico i primi, all'acqua del Riù di Plumbs i secondi, pascolanti sui soleggiati ma asciutti pendii meridionali del m. Crostis, in territorio di Givigliana.
Nella Kriegskarte, la Fòrcjo des Bióucjos è denominata “Forca Piccola”, in contrapposizione alla “Forca Grande” ovvero la Fòrcjo di Plumbs46. Entrambe le definizioni, “Piccola” e “Grande”, non appartengono in alcun modo alla toponomastica collinotta: tali definizioni erano e sono tuttora in uso a Givigliana, e forse pure a Rigolato e Comeglians, trovandosi entrambi i valichi lungo il percorso dei cramârs dell’Alto Gorto diretti a Monte Croce e in Tadésc47.

33. Bùrgui [ti -]   Q2090, ✧S.  TU Burgui (IGM 1913). Prateria apina, boscaglia e rocce in forte pendio [idem]. Toponimo di origine oscura.

Il toponimo identifica tanto la sottile cresta che unisce il versante SE di Crèto Blàncjo alla Fòrcjo di Ombladìot quanto lo scoscendimento sottostante che dalla cresta discende ripido alle Bergjarìos.
La cresta, costituita da roccia nuda inframmezzata da rade erbe alpine, è interamente percorsa dal sentiero di guerra che metteva in comunicazione le postazioni di Crèto Blàncjo e Clanìori. Durante la prima guerra mondiale il luogo fu sede di vasti baraccamenti delle truppe che operavano dalla vetta di Crèto Blàncjo: qualche segno della presenza dei soldati è ancora visibile qua e là, ormai minacciato dalla friabilità della roccia e dall’invadenza delle erbe48.
Il ripido pendio dei Bùrgui è caratterizzato da una copiosa presenza di ontani, che beneficiano dell’insolazione particolarmente abbondante. Nella parte inferiore, a pascolo magro e a pendio progressivamente meno scosceso, brucavano capre e pecore dei modesti ricoveri delle Bergjarìos.
A fronte di tutto ciò non sembra verosimile ancorché suggestiva la pur autorevole etimologia avanzata proprio per questo luogo da G. Frau (che riprende una precedente ipotesi, riferentesi tuttavia ad altri luoghi), ovvero una radice in Bulgaro nel senso di “antico insediamento longobardo”, in quanto i Bulgari furono alleati dei Longobardi49.
Altrettanto suggestiva appare anche l’ipotesi foneticamente più immediata, ovvero l’origine nel tardo latino burgus, con il significato di “cinta muraria di una cittadella fortificata”. Ipotesi, questa, ancora improbabile ma non del tutto inverosimile, dal momento che da CP la vista dei Bùrgui richiama effettivamente il profilo di un enorme bastione o di uno spalto.

34. Bùros [in -]   Q1155, ✧SE.  Prato in pendio moderato [id., inselvatichito] sottostante l’abitato di CP, a E di Val e sotto Sót ju Órts. Forse dal lat. buris = manico di legno dell’aratro (REW1409), di cui tuttavia manca il corrispondente friulano.

Il toponimo si rifarebbe al documentato utilizzo dell’aratro per i lavori campestri, impiego piuttosto diffuso nella tavella di CP e CG fino agli inizi del ‘900: Bùros, Cjamavùor, Stalatòn e tutti i campi circostanti furono per secoli arati a forza di buoi.
L’aratura a mezzo dei buoi (e successivamente, ma in misura assai più contenuta, con l’utilizzo di cavalli) ebbe termine soprattutto a causa della esasperata frammentazione della proprietà di quasi tutti i terreni di Collina. Le piccole, e talvolta minute dimensioni degli appezzamenti resero l’aratura progressivamente più difficile, se non del tutto impraticabile: all’aratro (codrêo)50 si sostituì dunque la forca a tre rebbi (fòrcjo), la forza del bue fu surrogata da quella dell’uomo (o, più spesso, della donna). Si andava dunque a sforcjâ.
Sottostante l’abitato di CP, Bùros gode di una visuale amplissima che abbraccia l’intera conca di Collina e tutte le montagne intorno, dal gruppo del Pleros e della Creta della Fuina a SO, a Crèto Blàncjo e alla Crèto di Cjanâl a N, al Coglians.
Il toponimo ha acquisito notorietà grazie alla conosciutissima poesia di Alberto Agostinis Un Culinòt pal mont, laddove questa recita: “Ce grop tal stomi, ce ca mi strenç lu cóur, pensant al gno Culino ch’i ài lašât, mi soi voltât par Bùros indevóur, e incjmó un viaç, vaìnt, ‘i l’ài cjalât…51.

35. ⇑ Insòm Bùros   Q1170, ✧E.   Coltivo in medio pendio [prato selvatico e abitazione, strada comunale] a E di Sot ju Órts, attraversato dalla strada che scende al Fulìn. V. la prep. insom ( “in cima a”); per Bùros v. il lemma prec.

In sostanza costituisce il culmine del pendio di Bùros, dove la pendenza cambia e si fa più erta.
Il luogo è oggi in parte occupato da una casa d’abitazione (de Vilo, AP57) con relative pertinenze, e dalla strada comunemente detta di Créts.

36. Bušcùt [tal -]   Q1180, ✧SO.   Pascolo e bosco resinoso in medio pendio [erbe alte e boschina mista]. È il diminutivo di bošc = bosco (Sc28), dal provenzale busk (REW1419b).

Bušcut=boschetto, quindi, così detto per le piccole dimensioni e per l’isolamento dai grandi boschi che circondano Collina. Grazie alla sua prossimità all'abitato (il Bušcùt sta sulla via della chiesa, fra Riù e la Puartùto, a pochi minuti da CP), fino alla metà del secolo scorso il luogo funse da pascolo “domestico” per le vacche di CP non inviate all’alpeggio.
Il terreno è solcato da numerosi ruscelli e rigagnoli, scorrenti su un substrato argilloso: al limite occidentale del Bušcùt, fra questo e gli ultimi fienili di CP scorreva la Rujuto, oggi ormai interrata.
Il “boschetto” è ancora tale, sebbene in via di rapida espansione ai danni della fascia erbosa che ne caratterizza la parte inferiore.

37. Canòbio [da]   Q1280, ✧NO.  Prato con stavoli [id., uno stavolo è stato trasformato in punto di ristoro]. Dal soprannome del proprietario dell’omonima baita, popolare posto di ristoro lungo la strada Collina-rif. Tolazzi.

È parte integrante dei Runcs, dei quali occupa la parte orientale, a contatto con la strada che sale al rif. Tolazzi.
Grazie alla baita, il luogo è conosciutissimo da chiunque abbia posto piede a Collina almeno una volta, e soprattutto a questi ultimi è da attribuire la recente nascita del toponimo: da trent’anni infatti andare da Canòbio non significa più necessariamente andare a mangiare o a bere qualcosa ma anche, e più semplicemente, recarsi “là dove sta la baita” 52.

38. Càpo di Marc [te -]   Q1225, ✧S.   Prato ripido [id. inselvatichito, boscaglia]. Càpo forse come forma collinotta per il friul. cape = smerlo, dentello (NP99), dal lat. caput = capo (REW1668), anche con il significato di estremità o sporgenza e qui con il significato di risalto o sporgenza del terreno. Marc, nome di una casa/casata di Collina, è la forma friulana del nome di persona “Marco”.

Il Marc del toponimo è molto verosimilmente Marco Toch di Pietro (1673-1729), capostipite della omonima casata e probabile costruttore della altrettanto omonima casa a CG (AP77), oggi praticamente ricostruita ex novo. Tuttavia, non è noto se il toponimo faccia riferimento a Marc come persona o alla sua casata, la cui discendenza si estingue agli inizi del secolo scorso (ma l’edificio mantiene ancora oggi la denominazione originaria). Càpo di Marc identifica il grosso costolone (da qui l’apparente etimologia) che sulla sx del Riù di Cuéštos scende al ponte sul rio stesso.
Verosimilmente, come per altri luoghi e relativi toponimi, la relazione fra la Capo e Marc è la proprietà del terreno da parte della famiglia di quest’ultimo o, meno probabilmente, di un particolare evento riguardante lo stesso Marc.

39. Caròno [in-]   Q1220, ✧S.   Coltivi in medio pendio [prato e abitazioni]. Caròno (friul. coròne NP188, manca in Sc) è il lat. corona (REW2245), che in Carnia assume anche il significato di “dosso arrotondato sporgente dal pendio di una montagna” (NP188).

Precisamente, con il termine generico di caròno la parlata di Collina identifica i limiti orografici d’impluvio dei maggiori corsi d’acqua. Cigli spesso assai sporgenti in virtù del solco, talvolta molto profondo, che l’erosione del rio ha scavato nel corso dei millenni lungo i ripidi pendii della valle. Il termine è impiegato per lo più in corrispondenza di strada o sentiero che, costretto ad aggirare il costone, per l’appunto lo “incorona”.
Il nostro toponimo individua i campi a S della scuola e delle attuali prime abitazioni di CG (AP304 e 202), là dove la stradella che da CP portava a CG concludeva la salita di Pàlos e, aggirando il costone, accedeva alla campagna di CG.
Gli edifici costruiti qui e nelle immediate vicinanze, e soprattutto la costruzione della nuova strada comunale, hanno profondamente alterato la morfologia del luogo, fino a poco più di un secolo addietro del tutto privo di costruzioni e attraversato solo da un “trozzo largo piedi 3”53.
Con il tempo, il toponimo è venuto a definire i prati e i campi sopra la strada comunale che da qui corre rettilinea per circa 200 m verso il nucleo più antico di CG, al punto che una delle numerose case sorte lungo la strada stessa a partire dai primi anni del 1900 è detta, per l’appunto, in Caròno (AP74).

40. ⇑ Sôro Caròno   Q1230, ✧S.  TU Corona di sopra (CAT1801). Coltivo in medio pendio [prato inselvatichito, scuola comunale]. V. Caròno e la prep. sôro-sopra, per “sopra la corona”.
1909. La scuola
1909. La scuola.

Il toponimo identificava i campi sopra Caròno, là dove il pendio addolcisce decisamente la propria inclinazione, in corrispondenza della curva che l’attuale strada comunale compie al culmine della salita che porta a CG.
La denominazione è certamente antica, come dimostrano, oltre alla toponomastica di epoca napoleonica, i documenti notarili seicenteschi che fanno esplicita menzione di questo luogo, ovvero “… La terza parte del campo di corona di sopra con suoi cavezzi et remisse…”54.
Oggi il toponimo è del tutto desueto, in quanto gli è preferita la dizione de Scuélo (“alla scuola”), con riferimento alla scuola comunale qui costruita nel 190555.

41. Cércen [in -]   Q1325, S. ✧TU   Bosco Cercen. Bosco di conifere [id.]. Dal friul. cercenâ (Sc50) a sua volta dal lat. circinare = tagliare in circolo la corteccia degli alberi (REW1941) allo scopo di farli seccare in piedi.

È il grande e fitto bosco che sale a N di Fontànos e sull’opposto versante (sx orogr.) del Riù de Cjanalèto.
La pratica di disboscamento della circinatio, alternativa alla runcatio, era diffusissima in tutto l’arco alpino56 con lo scopo di ricavare aree coltivabili o a prato. Soprattutto nelle Alpi centro-orientali ha lasciato un grande numero di toponimi e microtoponimi: in Trentino, Veneto e Friuli se ne contano varie decine dalle Alpi al mare (o quasi).
Curiosamente, qui il termine non sta a indicare un terreno libero ma un bosco di vaste proporzioni, mentre la radura in esso ricavata è detta, con apparente contraddizione, Runc di Cércen (v. il lemma che segue). Il termine è migrato, con alcune varianti, ai terreni adiacenti, come dai lemmi qui di seguito.
Analogamente ai vari Runc, Cércen si presta a un tentativo di datazione del toponimo, con qualche certezza riconducibile ad epoca anteriore al XV secolo. A quegli anni risale la principale produzione legislativa della Serenissima riguardo alla silvicoltura, una legislazione prevalentemente mirata alla salvaguardia dei roveri, ma che non lesinava attenzioni a faggi e conifere.
In particolare, la legge ducale del 1475 pose termine alla deforestazione a fini di pascolo e di coltivo.
Naturalmente non sappiamo se e in quale misura la legge fu rispettata quassù, nella più alpestre, e scoscese situazione forsi d'ogn'altra della Provincia… Certo, a differenza di ville contermini Collina non ebbe boschi banditi (a Sigilletto esiste ancora oggi il toponimo Bošc Bandît), sui quali il controllo fu certamente più rigoroso: tuttavia non è da escludere, nel volgere di pochi anni o lustri, un sostanziale rallentamento o addirittura l’arresto della deforestazione massiva.
Tutto ciò a sottolineare come, molto verosimilmente, i toponimi legati alla deforestazione quali Cércen, Runc e loro derivati siano approssimatamene databili al periodo indicato, ovvero al tardo Medioevo57.

42. ⇑ Runc di Cércen [tal -]   Q1290, ✧SE.   Prato in modesto pendio, con fienile e stalla [prato inselvatichito; il fienile è stato convertito in chalet]. V. Runc e Cércen.

Vasta radura erbosa, sita nella parte inferiore del bosco di Cércen e lentamente digradante verso il Riù di Morarìot, al suo limite inferiore dotato di un grande fienile con stalla, costruito nel 1885 in sostituzione di un precedente stavolo e ristrutturato e convertito in chalet negli anni '90. Del prato e dello stavolo troviamo menzione già nella seconda metà del ‘600, quando il solito, sfortunato debitore insolvente è costretto a cedere casa e terreni, fra cui questo58.
Il curioso e apparentemente contraddittorio accostamento di due tecniche di disboscamento profondamente diverse (runcare e circinare) potrebbe spiegarsi con una runcatio successiva all’interno del bosco già denominato Cércen. Una contraddizione apparente, dunque, che lascia intatte le nette distinzioni – metodologiche e funzionali – fra le due tecniche di disboscamento già descritte altrove. La runcatio, ovvero il taglio immediato delle piante d’alto fusto, una volta eliminate le ceppaie fornisce terreno quasi immediatamente fruibile a scopi agricoli, oltre a legname da costruzione e una parte di legna da brucio. La circinatio è mossa strategica e di più lungo termine (2-5 anni), volta ad acquisire spazio coltivabile o pascolo e, nello stesso tempo, alla predisposizione in loco di una riserva di legna da brucio.
Della tecnica di incendio delle fasce alte di bosco, anch’essa volta alla liberazione di aree per fieno o pascolo e ampiamente praticata in altre aree montane delle Alpi, a Collina non v’è invece memoria alcuna, né toponomastica né di altra natura. Probabilmente non fu mai praticata.
Di ritorno ai nostri runcs e cércens, sotto il profilo toponomastico i primi sono certamente più numerosi e uniformemente distribuiti sul territorio: d’altro canto i pochi cércens spingono un rappresentante sin nel cuore del sistema agricolo di Collina, nella campagna di CG (v. Cercenât).

43. ⇑ Ruvîš di Cércen [de -]   Q1240, ✧S.   Terreno di frana [id.]. V. rispettivamente Ruvîš e Cércen.

È la frana, ampia ma poco profonda, che scende da Fontànos e da Cércen alla confluenza del Riù de Cjanalèto nel Riù di Morarìot.
La frana è in via di costante ampliamento, sottoposta com’è alla congiunta azione erosiva delle piene dei due corsi d’acqua: in particolare del Riù di Morarìot, che giunge qui in uscita da una strettoia, e quindi con particolare impeto.

44. ⇑ Cércen Adàlt [a -]   Q1530, ✧S.   Bosco di conifere [id.]. È il culmine del bosco di Cércen, alle pendici del m. Canale. V. Cércen e la prep. adàlt-in alto.

L’adàlt di Cércen è davvero tale, spingendo il bosco direttamente contro le rocce alle falde del m. Canale, senza la consueta, cospicua fascia intermedia di prateria alpina.
I pochi fazzoletti d’erba si aggrappano alle terrazze e alle cenge della parte inferiore della montagna, in competizione con i radi larici che tentano di resistere alla violenza delle valanghe.

45. Cercenât [in -]   Q1215, ✧SE.   Coltivi e prato in modesta pendenza [prato inselvatichito]. V. Cércen e il verbo circinare, di cui cercenât è precisamente il participio passato – circinatus – volto in friulano, e quindi “luogo disboscato mediante circinazione”. È uno dei rari toponimi menzionati come tali da Scarbolo (Sc50)59.
1958. Campi in \Cercenât
1958. Campi in Cercenât. In secondo piano le case di CG (foto G. Scarbolo).

Fino a tempi non lontani, il margine orientale di Cercenât era più conosciuto con la definizione di scovaçâr (discarica o immondezzaio): la necessaria funzione, espletata in virtù della posizione a sbalzo su un sottostante burrone, era svolta al servizio degli abitanti di CG che vi scaricavano, appunto, la scovaço. Prassi oggigiorno riprovevole, ma del tutto comprensibile in tempi senza raccolta dei rifiuti, con poco metallo e nessuna plastica da scartare. Tempi in cui la produzione di scovaço era comunque una frazione – una piccolissima frazione – dell’attuale.
Muovendo ad argomenti meno prosaici, forse più di ogni altro Cercenât si presta a rappresentare lo stato del territorio di Collina all’epoca dell’insediamento dei primi coloni. Il luogo è infatti fra i migliori che l’avaro territorio possa concedere: esposto a SE, a un centinaio di metri da quello che si può supporre il nucleo originario del villaggio, con inclinazione modesta e libero da alberi d’alto fusto.
Forse proprio per il particolare pregio e valore un campo in Cercenât fu impegnato per debiti: “A di 24 di sembrio 1595, zuan michil di culina è, debitor alla giesia di sancto michiael di contadi per L.8 obliga un beiarzo in cercenato in sotto la via publica et altri confini60.
Eppure, non ieri ma l’altro ieri, in un tempo lontano (ma non lontanissimo: diciamo mille anni fa?) in questo stesso luogo fu folta foresta, al punto di rendere necessaria da parte dei coloni la circinatio, allo scopo di liberare il terreno dagli alberi e di ottenere buona terra da semina, soleggiata e prossima all’abitato. Nulla di strano, se poco più di duemila anni fa la stessa pianura padana era un’enorme foresta interrotta solo da fiumi e specchi d’acqua: oggi, non v’è luogo dal quale non si scorga una torre o un campanile.
Un ininterrotto susseguirsi di runcs e cèrcens, ormai, da Torino a Trieste…

46. Circinùts [ti -]   Q1350, ✧S.   Bosco di conifere [id.] sulla sin. (orogr.) di Cércen, fra questo e la base del m. Canale. Il termine Circinùts è il diminutivo di Cércen, volto al plurale.

È la pala boscosa a E della foresta di Cércen: separata da quest’ultima da un piccolo agâr, ne differisce per dimensione, morfologia ed esposizione. La fascia boscosa costeggia le falde della Crèto di Cjanâl per scendere e infine esaurirsi al limite occidentale del Gjarsìot.
Il diminutivo Circinùts è forse da mettere in relazione con le dimensioni del bosco, assai ridotte rispetto a quelle del gigantesco e contiguo che porta il nome originale di Cércen.

47. Cjadìn [tal -]   Q2075, ✧O.  Pascolo e radi larici [idem]. Cjadìn è il “catino da tavola o per lavarsi in cucina, circo o conca rocciosa tra le giogaie del Cogliàns e il Pic Chiadin” (Sc38)61, dal lat. catinus (REW1769).

Il Cjadìn è una parte un poco discosta del pascolo di Morarìot62, incassata fra le vertiginose pareti che scendono a E della Siélo e l’incombente salto roccioso che scende dal Cjadinón, con una costa erbosa che ne preclude la vista da Morarìot. Unico lato aperto verso valle, a O, il pendio che scende a Cjampēi di Clàpos e che fa da quinta ad un bellissimo scorcio su Collina e sull’intera valle.
Da qui si diparte il sentiero che aggira la balza rocciosa che separa il Cjadìn dal soprastante Cjadinón per poi proseguire diretto a raggiungere, allo sbocco del Vallon del Ploto della TU, l’attuale via normale al Cogliàns che qui giunge dal rif. Marinelli.
A beneficio degli escursionisti-alpinisti con qualche interesse storico è da notare come, prima della costruzione del rifugio alla Fòrcjo di Morarìot, la via comune per il Cogliàns fosse proprio questa per il Cjadìn e il Cjadinón, più logica e più breve di qualsiasi altra per chi intenda salire il monte da S.

48. Cjadinón [tal -]   Q1710, ✧SO.  TU Pic Chiadin. Prateria e macereti [idem]. Accrescitivo di Cjadìn (v. il lemma prec.), e quindi “catinone”.

Posto sopra il Cjadìn e sotto il Pic Chiadin della TU, è il naturale prolungamento al basso del grande vallone che scende dal Cogliàns verso S63, mentre a E ed O il grande catino è chiuso dai ripidi pendii a sfasciumi erbosi del Pic Chiadin e dalla verticale parete rocciosa degli ultimi contrafforti SSO (coston di Stella) del m. Cogliàns. Unico sbocco, verso S, è il salto roccioso che scende ai pascoli del sottostante Cjadìn.
Il Cjadinón è crocevia in quota di sentieri alpinistici: il fondo della conca è interamente percorso dal sentiero che dal Cjadìn raggiunge direttamente la via normale di salita da S al m. Cogliàns. In senso orizzontale il Ciadinón è invece attraversato, nella sua parte superiore, dal sentiero Spinotti.

49. Cjafòlto [te -]   Q1710, ✧S.   Prato [id. inselvatichito]. volendosi complicare la vita, sembrerebbe una forma, forse arcaica, del participio passato del verbo cjafùolgi = rimboccare le coperte del letto (Sc39)64, dal lat. caput = capo e volvere = (av)volgere (REW1668 e 9443). Oppure dal lat. cavus o cava = cavità (RE1796), ma anche fosso che segna il confine, attraverso qualche forma diminutiva (caveola) cui tuttavia osta la posizione dell’accento tonico di Cjafòlto.

Secondo le etimologie avanzate (da escludere, per la posizione remota e la ripidità del terreno, un’origine in cjamp = campo, v. Cjamavùor), si tratterebbe comunque di un luogo incavato o rinserrato, ciò che sul terreno trova riscontro nella parte inferiore del prato così denominato, chiusa nel fondo del solco di scorrimento del Riù deCjafòlto (v. il lemma seg.). Non è anzi da escludere che proprio quest’ultimo, l’idronimo Riù de Cjafòlto, sia l’originale da cui è derivata la denominazione del prato circostante.
Va da sé che anche la Cjafòlto, posta fra Cjailìot, in Ğùof e Creşadìço, è uno dei numerosi prati di mont (e non certo fra quelli di maggior pregio o resa) abbandonati da mezzo secolo, e oggi raggiunti tuttalpiù da qualche raro cacciatore in cerca di caprioli.

50. ⇑ Riù de Cjafòlto [lu -]   Q1650-1465, ✧SE.   Corso d’acqua [id.]. V. Riù e il lemma prec.
L’alveo del corso d’acqua prende avvio al limite superiore del gran dosso di Creşadìço per poi scendere a formare, dopo un corso non breve e una volta ricevute le acque dell’Agâr Balt, l’Agâr di Macìlos. Pur non essendo particolarmente ricco d’acqua, il Riù de Cjafòlto è uno dei rii/agârs più lunghi del versante dx della valle.
 
51. Cjailìot [in -]   Q1720, ✧S.   Prato con fienile e stalla [prato inselvatichito, ruderi]. Si tratta indubbiamente di un fitotoponimo, ma l'etimologia è oscura. Nella parlata di Collina il suffisso collettivo -ìot equivale al lat. -etum (in friulano -êt, it. -eto, -eta), ed è esito tipico dei fitotoponimi (Colarìot, Morarìot, Pecìot, Malìot ecc.).

Cjailìot è posto al centro di una serie di altri prati variamente denominati che lo circondano interamente: da O, in senso orario, Cjafòlto, Pra(t) di Àmblis, Pradùts e Creşadìço, Frints, tutti raggiungibili da sentieri che muovono da questo luogo, o che questo luogo attraversano. Era un bel prato da sfalcio, dotato di strutture atte ad ospitare, oltre al fieno, anche il bestiame il cui stallatico era utilizzato per la concimazione dei prati meno fortunati e meno produttivi posti nei dintorni.
Una volta di più siamo in presenza di un toponimo plurisecolare, che gli archivi ci restituiscono con la forma italianizzata “Chialetto”: “…accetando una annua livellaria responsione di affitto, overo livello di L. 13.1 conforme la parte (…) cioè in raggione di sette per cento d'esser pagate ogni anno, et imperpetuo per il detto venditore, overo per li heredi suoi, nel gior di sopra alli 8 ottober incominciando nell'anno venturo 1673, et similiter et questo in et sopra un suo prato in luogho chiamato chialetto confinando nel levar del sole appresso il bene commune à mezo giorno appresso…65.
Al di là della pressoché certa origine botanica, l'etimologia è quanto mai incerta, e tutte le ipotesi si scontrano con ostacoli di varia natura (linguistica, morfologica, di habitat). Sempre dando per scontato il suffisso fitotoponimico -ìot, una radice accettabile potrebbe essere nel friulano giai al quale corrispondono le infiorescenze di vari generi della famiglia delle leguminose (NP376 anche s.v. gialut o gialuz). Oppure, sulla falsariga di altri toponimi, ipotizzare una agglutinazione di cjamp = campo (v. Cjamavùor e Cjanóuf) con qualche specie vegetale abbondante in loco. Trattandosi di prato di mont distante dall'abitato, naturalmente non sarebbe tanto da intendersi nel significato letterale di "area coltivata" quanto in senso figurato. Ma siamo ai limiti dell'accanimento etimologico.

52. Cjalcinêro [de -] (1)   Q1110, ✧SE.   Terreno nudo [boscaglia e abeti]. La cjalcinêro è il forno da calce (Sc40) dal lat. calcaria (REW1492).

Il toponimo individua l’area in prossimità di un’antica fornace per la produzione di calce, poco a NE del ponte del Fulìn, lungo la strada da lungo tempo in disuso che costeggia il corso del rio fino alla confluenza del Riù di Cuéštos.
Le cjalcinêros di Collina (e relativi toponimi) erano due (v. il lemma seg.), entrambe prossime ai corsi d’acqua dove prelevare la materia prima.
La fabbricazione della calce viva (ossido di calcio, CaO), sostanza di base indispensabile all’edilizia e all’igiene dei fabbricati, era procedimento lungo e complesso, a partire dalla progettazione ed esecuzione della camera di combustione. Era quindi necessario preparare da un lato una grande quantità di legna per la combustione (circa 900°C), e dall’altro un opportuno quantitativo di pietra calcarea (carbonato di calcio), prelevata per la fornace di CP dal letto del rio Fulìn.
L’operazione di carica della fornace (quantitativo di legna, disposizione delle pietre da calcinare nella volta a botte) era forse il passo più delicato dell’intera procedura, in quanto seguiva uno schema rigidissimo volto ad ottimizzare la combustione e la distribuzione del calore.
La fase di cottura durava circa 48 ore, e richiedeva la presenza continua, giorno e notte, di qualcuno donne comprese che sorvegliasse e alimentasse costantemente il fuoco. Il tutto sicuramente con non poco rischio, vista la elevatissima temperatura e la totale assenza dei più elementari principi di sicurezza.
Le cjalcinêros seguirono il destino di tutte le attività produttive di Collina – segherie, fucine e mulini – non più competitive e abbandonate intorno alla metà del XX secolo. Oggi, definitivamente crollata nel 1988 la volta di quella del Fulìn, di entrambe le fornaci non rimangono che poche tracce.

53. Cjalcinêro [de -] (2)   Q1260, ✧NO. Terreno nudo [boscaglia e abeti]. V. il lemma prec.

Era questa la cjalcinêro di servizio a CG, situata al margine dx della strada che porta al rif. Tolazzi, poco a valle della Ròjo dal Çuét.
Destino d’uso e modalità operative erano evidentemente le stesse della consorella di CP, con la sola differente origine della materia prima: là il rio Fulìn e qui invece, a pochi passi, il rio Morareto.

54. Cjalgjadùor [a -]   Q1510, ✧S. Prato in medio pendio [id., inselvatichito]. Cjalcjâ definisce l’atto di pestare o pigiare con i piedi (Sc39), dal lat. calcare (REW1491). Il nostro toponimo corrisponde al calcatorium latino (REW1493) lett. “pigiatoio”, o luogo ove è pigiata l’uva66.
1956. La mèdo
1956. La mèdo.

Differenza non trascurabile (purtroppo assai pratica, e non etimologica), a Cjalgjadùor si pigiava non l’uva ma il fieno della mèdo, il caratteristico covone che in numerosissimi esemplari costellava i prati di mont in attesa del trasporto del fieno a valle con la slitta, lungo le ripidissime stradòs des ùolğos.
Circa le ragioni che possono avere elevato il luogo al ruolo ufficiale di calcatorium, la più evidente è relativa alla strategicità del sito, punto di snodo fra i sentieri che scendono dai prati circostanti e la strado des ùolğos che scende a CP, nonché all'agio delle operazioni di innalzamento delle mèdos in quest’area, in pendio moderato e del tutto libera da piante d’alto fusto. Di fatto, qui i covoni erano molto numerosi.
Anche Cjalgjadùor era terreno di proprietà comune, e tale rimase fino al 1871, quando insieme ad altri fu oggetto di una vasta opera di ripartizione dei fondi comuni fra i membri del Consorzio privato di Collina67.

55. Cjamavùor [in -]  Q1215, ✧SE.  Coltivi in pendio moderato [prato selvatico, erbe alte]. Sotto mentite e modeste spoglie, Cjamavùor altro non è che il molto più altisonante cjamp majùor, “campo maggiore” (Sc42), in lat. campus major (REW1563 e 5247, rispettivamente)68.
1916. Volaia, baraccamenti a ridosso della prima linea
1958. Scorcio di CP da insòm Pàlos. Al centro, sopra le case, il declivio di Cjamavùor

Il toponimo identifica un’ampia area soprastante le case alte di CP, contigua all'abitato e in eccellente esposizione. Il luogo gode anche di un vasto e splendido panorama.
Un tempo sparso di campi di patate, rape e barbabietole, Cjamavùor poteva a buon titolo fregiarsi del titolo di campus major fra i coltivi di CP.
Qualche acrobazia lessicale tardo seicentesca (“meior” per maior, come in “Ittem di piu uno campetto in Ciamp meior per ducatti 1069) non cambia ma piuttosto rafforza il senso di “maggiore” e la qualità del terreno.

56. Cjampēi [in -]  Q1750, ✧SO.  TU Casera Chiampei. Area con pascolo e strutture malghive [prateria alpina, ruderi]. Cjampēi è nome generico con cui si indica il pascolo concimato presso la malga (Sc43), dal lat. campus (v. il lemma prec.) con l’aggiunta del suffisso –ilius, infine campilius70.
2015. Ruderi di casera Cjampēi
2015. Ruderi di casera Cjampēi sullo sfondo di Crèto Blancjo a sx e dei Bùrgui al centro verso dx (foto dell'autore).

Fra il 1860 e il 1877 il Consorzio Privato di Collina procede alla privatizzazione (nihil sub sole novum) dei terreni di proprietà consortile. In questo contesto, nel 1867 alcuni prati di mont che si affacciano sull’alto corso del Riù di Cuéštos sono ceduti in blocco ad un privato, l’avv. Grassi di Tolmezzo71. Nell’affare c’è anche la parte superiore dei prati di Cjampēi, allora inutilizzata, che poco dopo darà il nome all’alpeggio concepito e attuato dal nuovo proprietario.
Dunque, Cjampēi e tutta la sua etimologia sono già lì dove li conosciamo ben prima che nasca la malga, e prima che le vacche provvedano generosamente a concimare il … Cjampēi di Cjampēi. Se ne deduce quindi che in quel luogo c’era – o, più probabilmente, c’era già stato – un altro Cjampēi, un altro alpeggio e forse un’altra malga proprio qui, dove l’avvocato tolmezzino ne costruisce una nuova. Diversamente, perché attribuire al luogo un nome di così preciso e inequivocabile significato?
Beninteso, di tutto ciò non c’è oggi testimonianza né memoria, a Collina e dintorni (e questa è precisamente una delle ragioni per cui si scrive di queste cose e d’altre simili). Perché dunque non accostare la "vecchia" Cjampēi alle quasi dirimpettaie Bergjarìos (anch’esse, a ben vedere, con trascorsi non del tutto chiari) a costruire un unico e più vasto sistema di alpeggi comprendente l’?intera alta valle del Riù di Cuéštos da Belvedère a Cjampēi, sistema altrimenti detto Valantùgnos? E si trova forse in quest’ultima località, Valantùgnos, una chiave di lettura di quanto di antico (vecchio?) c’è o c’era in quest’area. Vedremo.
D'altra parte anche nella nuova impresa è acceratata, e sin dagli inizi, la non completa autonomia di Cjampēi sotto il profilo pascolivo, tant'è che nei primi anni del XX secolo Cjampēi figura come una specie di dépendance della Cjanalèto72. Se da un lato infatti la favorevole esposizione, interamente a SSO e del tutto priva di ostacoli, ne faceva il primo alpeggio ad essere monticato ad inizio stagione (ancor prima della canonica data dell’avvio ufficiale degli alpeggi, il 24 giugno, giorno di san Giovanni), dall'altro la forte inclinazione di tutto il territorio di pascolo e la conseguente pericolosità per il bestiame ne riduceva considerevolmente la fruibilità.
Di ritorno alla (nuova) malga di Cjampēi, questa ha dunque storia relativamente recente, e comunque assai breve: circa 80 anni, nel corso del quale ebbe ripetuti mutamenti di proprietà fino alla desuetudine per l’alpeggio dei bovini, intorno al 1960. Dopo un breve periodo di destinazione a pascolo di pecore, l’alpeggio fu per lungo tempo del tutto abbandonato: le costruzioni, lasciate a sé stesse e prive di manutenzione, sotto l’azione degli elementi in breve tempo crollarono, fino a ridursi agli attuali ruderi. Oggi vi sono ritornate al pascolo le pecore, ma senza alcun ricovero, mentre rovine e dintorni sono invasi da una florida e abbondante vegetazione che, in tutta evidenza, ancora sfrutta la intensiva concimazione del Cjampēis dei secoli passati.

57 ⇑ Plan di Cjampēi [tal -]  Q1550, ✧SO. Prato in modesto pendio [id. inselvatichito]. V. Plan e il lemma prec.

Poco prima di giungere in Cjampēi il sentiero che vi sale da CG attraversa il breve Plan di Cjampēi, posto sopra Ruédol e Sarmuàlos e separato dal soprastante pascolo solo dalla breve ed erta china di Piçóul. E la contiguità all’alpeggio (oltre ovviamente alla diversa inclinazione) è la sola ragione della analoga denominazione di questo piccolo pianoro che bestiame vide solo in transito.
Mai pascolo ma sempre prato da sfalcio (e infatti non fece parte della ripartizione/cessione del 1867, quando fu ceduta l’area dell’alpeggio), il Plan di Cjampēi tale rimase fino alla cessazione d’ogni attività, negli anni ’60 del secolo scorso.

58. Cjampēi di Clàpos [in -]  Q1590, ✧O. TU Chiampei di Clapos (IGM 1913). Pascolo in alpe [idem]. V. i lemmi che precedono e Clap, di cui clàpo è il femm. (e clàpos il plurale di quest’ultimo), con il significato di pietra sporgente dal terreno.

Cjampēi di Clàpos è un caratteristico e ameno pascolo di alta montagna, un ampio pianoro racchiuso fra gli strapiombanti contrafforti orientali della Sièlo e le ultime propaggini boscose del costone che scende dal Pic Chiadìn in direzione SO. Un bellissimo prato verdeggiante, qua e là punteggiato di grosse pietre bianche e di massi erratici (clàpos), a cui si deve l’attributo e che richiamano, quantomeno per significato, la chiappa che sorregge Dante nella breve risalita di una balza in Malebolge: Non era via da vestito di cappa, / chè noi a pena, ei lieve e io sospinto, / potavam sù montar di chiappa in chiappa73.
Pur distinto e separato dal pascolo principale di Morarìot, è comunque una pertinenza di quest'ultimo, al cui bestiame è da far risalire il termine generico di Cjampēi in quanto pur sempre “prato concimato della malga”.

59. Cjampēi Vècju [tal -]   Q1670, ✧NO. Pascolo in alpe in pendio dolce [id. attraversato da strada forestale]. Per Cjampēi v. i lemmi che precedono; vècju = vecchio (Sc344), dal tardo lat. veclus (REW9291, 2).

È il vecchio Cjampēi della malga di Morarìot74, qualche centinaio di metri a O dell’attuale casera, oltre (sx orografica) il Riù di Morarìot.
Con tutta probabilità un tempo la casera Morareto era posta esattamente qui, in posizione più defilata rispetto alle linee di caduta delle valanghe ma anche più periferica rispetto al grande pascolo dell’alpeggio. Non sono noti gli eventi o le ragioni che spinsero i proprietari, in epoca anch’essa ignota, a collocare gli edifici della malga di Morarìot dove oggi si trovano, in posizione certamente più centrale rispetto al pascolo ma anche più esposta, dove negli ultimi decenni del 1900 le costruzioni furono ripetutamente colpite da valanga e fortemente danneggiate.
Il Ciampei vècju è ancora molto frequentato dai bovini di Morarìot, che sembrano tuttora apprezzare la qualità del pascolo.

60. Cjanalèto [te -]   Q1815, ✧SE.   TU Casera Chianaletta. Pascolo in alpe e relativa casera, [pascolo inselvatichito e ruderi]. V. Crèto di Cjanâl. Letteralmente, cjanaléto è dim. (al femm.) di cjanâl, quindi “canaletta”.
1985. Ruderi di casera Cjanalèto
1985. Ruderi di casera Cjanalèto. Cjampēi si trova dietro il costone sullo sfondo (foto dell'autore).

Il significato è in relazione con la sovrastante Crèto di Cjanâl cui, secondo un processo consolidato nell'area alpina, Cjanalèto ha probabilmente conferito il nome. Gli archivi lasciano pochi dubbi in proposito: “… il Prato chiamato degli Amblis pertinenze di Culina, confina … a mezza notte con il monte del Canale75, ossia Cjanalèto intesa come montdal Cjanâl (“malga del Canale”).
La casera è collocata in posizione caratteristica, nel fondo di una valletta ai piedi dell’incombente Sasso Nero della TU (non del Cla(p)nìori, che sta invece sopra Cjampēi!) e delle falde occidentali della Crèto di Cjanâl o m. Canale. Le costruzioni sono poste al riparo di un grande sperone roccioso avente funzione di paravalanghe naturale. Tuttavia, ciò che protesse egregiamente dalla furia degli elementi nulla potè contro il logorio del tempo, contro la vetustà e l’abbandono: ormai da lungo tempo il tutto è solo un cumulo di ruderi.
Anche quando operativo, l’alpeggio soffrì tuttavia della posizione angusta, e di un pascolo piuttosto roccioso o comunque disagevole, tant’è che il bestiame si spingeva d’abitudine sulle praterie della non lontana Cjampēi con cui era in relazione forse da tempi antecedenti la costruzione della malga Cjampēi stessa76.
Dopo l’avvio o più probabilmente il riavvio dell'alpeggio di Cjampēi la Cjanalèto fu destinata al pascolo dei buoi o di pecore e capre, al pari delle Bergjarìos di cui seguì anche la sorte: entrambe furono probabilmente abbandonate nel corso della prima guerra mondiale, e mai più riattivate77.

61. ⇑ Riù di Cjanalèto [lu -]   Q2125-1260, ✧SE/SO.   Piccolo corso d’acqua perenne [id.]. V. Riù e il lemma prec.

Il Riù di Cjanaleto è anche detto Riù diSovròndo, per la caratteristica località che attraversa nel suo corso.
Il rio nasce allo sbocco del ripido canalone compreso fra il Sasso Nero e la Creta di Chianaletta della TU, circa 150 m a NO della casera di Cjanalèto. Ha percorso ripidissimo e portata modesta, ma in caso di forti piogge si tramuta anch’esso in una forza senza freni, giacché nella parte alta il suo bacino è formato da un vasto imbuto di roccia nuda che, assorbendo poco o nulla delle acque meteoriche, convoglia a valle tutta la gran massa d’acqua che raccoglie.
Poco prima di confluire nel riù di Morarìot a monte della Siēo, il rio forma la frana della Ruvîš di Cèrcen.

62. Cjanalètos [tes -]  Q1630, ✧E. Prato [id. inselvatichito, boscaglia]. V. Cjanalèto, di cui è il plurale.

A differenza dei lemmi precedenti, che si rifanno all’orografia del sistema m. Canale-m. Sasso Nero, l’origine del toponimo Cjanalètos è da ricondursi ai ripidi e profondi solchi longitudinali del terreno che da Ğùof Dadàlt scende precipitoso al sottostante Riù di Cuéštos.
Situati lungo lo scosceso fianco orientale di Crèto Blàncjo, i prati delle Cjanalètos sono posti in posizione assai malagevole e pericolosa: nonostante las çàfos (i piccoli ramponi calzati sui ripidi prati di mont) ai piedi, lo sfalcio era comunque effettuato in equilibrio certamente problematico, e in condizioni di autentico rischio per l’incolumità del falciatore.
Se non numerose, alcune scivolate furono comunque drammatiche: un contadino di Collina vi perse la vita, precipitando nel sottostante rio.

63. Cjanóuf [in -]  Q1185, ✧S.   Coltivo in pendio dolce [abitato AP55, orti]. Analogamente a Cjamavùor = cjamp majùor, Cjanóuf altro non è che agglutinazione di cjamp nóuf, “campo nuovo” (Sc42, Sc199); la trasparente origine è nel lat. campus (REW1563) e novus (REW5972).

Con sufficiente precisione il luogo dovrebbe essere collocata nelle immediate vicinanze dell’omonima casa a CP, là dove la strada stessa si inoltra fra le case e i fienili e poco al di sotto della strada stessa.
L'etimologia del toponimo, presumibilmente assai antico78, potrebbe in prima istanza far supporre l'esistenza di un suo opposto, ossia Cjàmp vècju (campo vecchio). Non è così, almeno a memoria e memorie d’uomo, né è necessario congetturare oltre circa la sua reale esistenza. Più verosimilmente – e semplicemente – Cjàmp nóuf venne a identificare un terreno messo a coltivo ex novo, per distinguerlo da altro già coltivato, anonimo o denominato che fosse.

64. ⇑ Sôro Cjanóuf   Q1195, ✧SE.   Coltivi, stalle, orti e fienili in pendio medio [prato, fienile, abitazioni AP104/133, attraversato da strada comunale Collina-Forni Avoltri]. V. il lemma prec. + la prep. sôro-sopra.

Il toponimo mi fu segnalato da mio padre, la cui famiglia aveva qui beni al sole, ma è andato perduto nell’uso comune. Evidentemente contiguo a Cjanóuf e in posizione più elevata rispetto a quest’ultimo, ne costituisce la naturale prosecuzione verso l’alto all'accentuarsi del pendio.
Oltre che alla posizione elevata e al pendio più ripido, necessari presupposti per il prefisso sôro che accompagna il toponimo principale, la separazione fra i due è sottolineata dal passaggio della strada che entra in CP79. A maggior ragione oggi che, da tempo scomparsi i campi e ormai ridotto ai minimi termini il prato, Sôro Cjanóuf è circoscritto a un lembo di terra compreso fra le due strade principali che transitano da CP.

65. Cjasarîl [in -]   Q1190, ✧SE.   Prato e campi in pendio dolce con stavoli e fienili [prato inselvatichito, edifici diroccati]. Forse dal lat. casalis = pertinenza della casa, casale o casolare (REW1729), analogamente al friul. cjasarìts (NP139, manca in Sc). Oppure, ancorché problematica per più ordini di motivi, un'origine in casearia = luogo ove si produce il formaggio (REW1735) attraverso “casera”, ipotesi autorevolmente avanzata da Desinan per Chiasarîl, toponimo di ubicazione ignota ma identico al nostro (De149)80.
1956. Fienile con stalla in Cjasarîl
1956. Fienile con stalla in Cjasarîl (foto G. Scarbolo).

Al termine Cjasarîl corrisponde l’area a E della chiesa oltre Palù, dal Soggiorno Alpino Aquileia (al limite inferiore di Cercenât) fino al fondovalle del riù di Morarìot. Splendida area nei pressi dell’abitato, in pendio dolce e uniforme rivolto a mezzogiorno, Cjasarîl fu certamente uno dei terreni più pregiati dell’intero territorio di Collina, e come tale fu anche concesso (e accettato) in pegno contro credito, come ben si evince dai documenti che seguono.
“1762 A di 7 Setember in Colina. Confesa lo soto scrito et si Chiama Reall Debitore Di haver Riceuto Da Lenardo q.m Zuane Barbollan ogi fatto Conto, Di Roba et Dinari et Di agionte Dalla Casa, Di lui et suo filgiollo Zuan giacomo, in tuto fiorini satanta nove Carantani 35 Dico L.79 X.35. et per Cautione Di Detta suma gli obligo li soto scriti beni, cioe il Campo di Chiasarile, il prato nel Runch Di Zerzen con la sua posizion Dala staipa, et il Baiarzo soto la Casa paterna, prometendo al sudeto Di mantenir quanto di sopra si a espreso in giudicio et fuori soto obligatione di altri miei beni mobilli et stabilli presenti et venturi…”81.
Quattro anni dopo, “1766 Ind.ne 14.ta, giorno di Mercordi 6 Agosto nella villa di Colina maggiore in casa di d.no Osualdo Barbolano deb. e presente. Vivendo reale, e legittimo debitore d.no Osualdo q. Giacomo Barbolano di questa villa alli sottonominati di lui Creditori, e non potendo in ora pagarli con denaro effettivo qui presente d.no Giacomo di lui figlio intervenendo per lo stesso di lui genitore dà, cede, e in pagamento rinonzia li soggionti Beni paterni essicutivam.te alla stima odierna rassignata in questi atti.
(…) Primo. per d.no Osualdo e fratt.i qm. Antonio di Sopra creditori di L. 1000:- juxta da chirografo 1761-27 settembre, notificato in Archivio oltreché sussiguente, di L. 57 dipendenti da altro credito, nec non di L. 397:18 come cesionario di d.no Leonardo qm. Zuanne Barbolano contenente in chirografo 1762 7 settembre notificato in Archivio su detto, e di L. 158:11 cesionario come sopra per altra natura di cred.o, tutto fa L. 1613:10, (cede) il campo detto di Nava, e altro detto Stalatton per L. 514:-. Item il Campo detto Sottoqual per L. 178:4. Più un pezzo prato detto Runc di Piazza per L. 134:14. Item la metà della staipa L. 31. Item altro prato detto Runc di Piazza per L. 121:10. Item il prato detto Nava verso levante per L. 290. Item il Campo detto Chiasarijl per L. 149:10. Item il prato nel Runc di Cercen colla metà della Staipa per L. 197:10 il che tutto rileva L. 1616:-8, avanzano L. 3:2”82.
Proprio in quanto di particolare pregio l’area di Cjasarîl fu tra le ultime ad essere abbandonate dall’attività agricola, negli ultimi decenni del secolo scorso. Ma il tempo lavora, e degli edifici ormai non rimangono che poche macerie.

66. Cjàso Boreàn [in -]   Q1590, ✧NO.   TU Boreàn. Bosco resinoso in pendio ripido [id.]. Dal lat. casa (REW1728, manca in Sc) che nella parlata di Collina diviene cjaso (in friulano centrale è cjase, NP140), e dal lat. boreas (REW1219) e suo derivato borearius = vento del nord83.

Più che un toponimo in senso stretto, il termine Cjaso Boreàn indica genericamente la parte culminante del lungo versante a bacìo della valle, a sua volta popolata di altri microtoponimi (ad es. Spelât).
Il luogo è effettivamente assai esposto al vento di tramontana, da cui il versante della conca di Collina volto a meridione e che ospita gli abitati e i coltivi è invece ben riparato dalla Crèto di Cjanâl alle sue spalle. La corrente fredda irrompe dal varco di Volaia e si getta contro il versante dirimpetto, talvolta con grande violenza e d’inverno con effetti letteralmente raggelanti. Il toponimo è di origine indubbiamente antica e forse colta, ma è anche assai pittorico ed efficace. Certamente uno fra i più bei toponimi di Collina.
Il culmine di questo versante meridionale, che ha origine nel m. Crostis e chiude a S la conca di Collina, scende verso O a formare la Gòto e costituisce il confine fra i comuni di Forni Avoltri e Rigolato, separando i territori delle due oggi rispettive frazioni di Collina e Givigliana come temporibus illis fu formalmente convenuto fra le due Ville: “…da mezzo giorno verso Giviana da nuovo fu scolpita in pietra altra Croce; indi continuando per la Gotta stessa sino al piano dettosi “Chiasarijl borean” fu in sasso rinovata una Croce…”84.

67. Cjàsos [des -]  Q1435, ✧SO.   Bosco di conifere, baraccamenti [bosco, roccia, pista forestale: egli edifici non v’è più traccia]. Cjàsos è pl. di cjàso (v. il lemma prec.).

Chi salga dal rif. Tolazzi a Morarìot e al rif. Marinelli incontrerà, sulla sx della strada, un incombente salto di roccia con qualche residuo di carpenteria metallica. Qui, circa a mezza via fra il rif. Tolazzi e la Cunfìn, nel 1960 furono esperiti alcuni tentativi per l’avviamento di una cava di marmo (le attrezzature risalgono a quegli anni).
L’iniziativa – come altre simili avviate a poche centinaia di metri da qui – ebbe poca fortuna, e fu ben presto abbandonata. I suoi resti aiutano solo a identificare il luogo: dov’è des Cjàsos (e dove erano las cjàsos).
Le nostre cjàsos nascono baracche, costruite all’inizio del primo conflitto mondiale nelle immediate retrovie della prima linea. Il luogo di costruzione, nella valle del Riù di Morarìot poco a monte del Plan di Valebós, fu prescelto dal Regio Esercito in quanto in posizione relativamente riparata dagli eventi atmosferici, assolutamente al sicuro dal tiro nemico e, nello stesso tempo, non distante dalla prima linea.
Le costruzioni furono immediatamente battezzate cjàsos dai Collinotti in quanto, diversamente dalle altre baracche costruite prevalentemente in legno, queste erano parzialmente costruite in muratura85.
Terminata la guerra ed esaurita la funzione delle cjàsos, queste furono abbandonate a sé stesse e a chiunque avesse necessità di pietre da costruzione. Di esse non v’è più traccia alcuna.

68. Cjaštùt [dal -?]   Q?, ✧S?   TU (CAT1801) Cjastùt. Campo con costruzione [prob. prato inselvatichito]. Parrebbe diminutivo di cjast = granaio o locale della casa a uso di riporvi il grano e altri prodotti campestri (NP140, manca in Sc), dal medio lat. castula = piccola scatola, ripostiglio (REW4682, 2).

Nulla ci è noto circa la posizione di questo luogo, la cui esistenza e destino d’uso si desumono dal catasto di epoca napoleonica. La stessa esposizione a S è a sua volta desunta dal destino d’uso in quanto tutti i coltivi di Collina si trovavano, senza eccezione, su questo versante.
Né è di concreto aiuto la pur verosimile etimologia, che fa solo supporre l’esistenza di un campo (forse di orzo o segale) con annessa una piccola costruzione, probabilmente dedicata alla battitura, alla pilatura e al deposito delle granaglie. Il tutto, per evidenti ragioni, nelle immediate vicinanze di un’abitazione.
Siamo nel pieno campo (sic) delle supposizioni.

69. Cjavaçûlos [in -]   Q1700, ✧SO.   Prato in pendio ripido [id. inselvatichito]. Da scjaveçâ = spezzare in più parti (un ramo, una pertica ecc.) ma anche, come nel nostro caso, attraversare qualche cosa, un prato o altro, a mo' di scorciatoia (Sc274, NP969 s.v. s'ciavazzâ) dal lat. excapitiare (da cui anche l'it. capezzagna con significato analogo), a sua volta con radice nell’aggettivo capitium = inerente al capo (REW1637)86. Il risultato del processo evolutivo del toponimo (che, fra l’altro, contempla l’aggiunta del suffisso -ûlos, diminutivo femm. plurale) è qualcosa di simile a “brevi scorciatoie” o “piccole aree attraversate da scorciatoie”87.

Tipico prato di mont, di dimensioni modeste, Cjavaçûlos è situato immediatamente al di sotto del pascolo della malga di Cjampēi.
L’etimologia si rifà all’attraversamento in orizzontale dei prati fra sfalcio e pascolo, un po’ l’uno e un po’ l’altro a seconda delle circostanze e delle convenienze, per portarsi da Cjampēi al “crocevia” di in Ğùof e raggiungere la strado des ùolğos che appunto in Ğùof prende avvio per scendere a CG.

70. Cjavuàlos [in -]   Q1530, ✧SE. Prato e coltivi in pendio ripido, e piccola cava di pietra [prato selvatico e bosco, cava in totale disuso]. Radice nel lat. cava (REW1796, 1), e quindi al diminutivo pl. per un risultato come cjavuàlos o gjavuàlos88, “piccole cave”. Non necessariamente la c di Cjavuàlos va intesa come maggiore prossimità all’etimo remoto cava: più probabilmente si tratta di un’ulteriore evoluzione in c del g medio nel parlato comune.

Coerentemente con l’etimologia, in Cjavuàlos erano estratte pietre e lastre nere di scisto per l’impiego in edilizia: con questa pietra fu costruita, a partire dal 1902, anche la casa de Pàuro a CG (AP73).
Il toponimo identifica l’area compresa fra i due agârs (A. Balt e A. de Cjafòlto) che scendono a formare l’Agâr di Macìlos: la particolare posizione ha fatto sì che in tempi recenti al toponimo fosse attribuita un’etimologia in caballus, cioè “a cavallo” dei due solchi. Un’etimologia tanto suggestiva quanto poco verosimile.

71. Cjìolos [in -]   Q1490, ✧O. Prati con stavoli in lieve pendio [prato selvatico e bosco, ruderi di stavoli]. Toponimo di origine incerta. Forse dal lat. cavula = piccola buca o cavità (REW1795, friul. cevole e ceule, NP118), con riferimento agli avvallamenti che caratterizzano il terreno89.

Tipico prato di mont fra Cuél di Ğulìgn e i Çòcs, come i terreni contigui (Temós) è caratterizzato da consistenti fenomeni di impaludamento (la Palù di Cjìolos): da queste acque superficiali prende avvio l’omonimo Riù di Cjìolos (v. il lemma seguente).
Pochi altri luoghi sanno dare la sensazione dello scorrere del tempo come questo. Transitando lungo il sentiero che da San Lenàrt sale a Plumbs si vedono qui gli abeti pionieri che ben distribuiti in diversi stadi di crescita invadono numerosi ciò che fu un pregevole prato di mont dotato di un paio di stavoli. Di una di queste costruzioni è ancora ben visibile il tetto sopra le erbe alte, appoggiato a terra come posato dolcemente dalla struttura della stàipo che non reggeva più e che ha lentamente ceduto, così da consentire al tetto di rimanere intatto, a proteggere il nulla che è rimasto al di sotto.

72. ⇑ Riù di Cjìolos [lu -]   Q1570-1325, ✧O. Piccolo corso d’acqua in pendio ripido [id.]. V. rispettivamente Riù e il lemma prec.
Il corso d’acqua, non di grandi dimensioni ma a regime perenne, assume il nome dalla località ove prende avvio (le paludi di Cjìolos) per poi confluire, dopo un breve percorso interamente in area boscosa e dopo aver attraversato la strada forestale che sale a Plumbs, in dx del Riù di Plumbs.
 
73. ⇑ Riù di Cjìolos [a -]   Q1350, ✧O. Attraversamento di corso d’acqua [id.]. V. i lemmi prec.90

È l’area dove la strada forestale che sale al Bevorcjàn e a Plumbs attraversa a guado il Riù di Cjìolos.
In condizioni normali il guado, graziosamente lastricato in pietra, è largo non più di un paio di metri, e profondo una decina di centimetri. Il materiale di trasporto (per lo più pietre di modeste dimensioni) che solitamente ingombra il guado è d’aiuto ai pedoni nell’attraversamento del piccolo rio.

74. Clanìori [in -]   Q2150 (tacca 2304), ✧SO. TU Tacca del Sasso Nero (TAB), m. Sasso Nero91. Prateria alpina, ghiaie, roccia nuda [idem]. Deriva da cla(p) nìori, per sincope clanìori. V. Clap, mentre nìori = nero (Sc197) è dal lat. niger (REW5917), quindi lett. “Sasso Nero”.
Clap Nìori e i pascoli di Cjamp¯ ei Clap Nìori e i pascoli di Cjamp¯ ei
Nella foto di sinistra, ripresa da Cjampēi, a dx contro le nubi è ben visibile il Clap Nìori che dall'alto incombe sui pascoli della malga. Sulla sx dell'immagine la Fòrcjo di Ombladìot, mentre sullo sfondo si intravede il profilo del m. Sasso Nero. Nella foto di dx, ripresa fra Cjampēi e Clanìori, in primissimo piano è ben visibile il sentiero che sale in Clanìori. Di seguito, in piani successivi e in sequenza verso dx: una insolita visione del Clap Nìori dall'alto; a centro immagine i pascoli di Cjampēi; quindi in Ğùof (la gobba pronunciata con bosco rado a tue terzi di altezza dell'immagine); infine CP a dx sullo sfondo. La piccola macchia bianca a sx di Ğùof è un gregge di pecore al pascolo nell'estate 2014 (foto dell'autore).


La microtoponomastica locale definisce clap nìori l’enorme masso nerastro (Q2070 IGM) che incombe a NE sullo sbocco della Gòlo di Tòni di Tàmer e sui pascoli più occidentali di Cjampēi. Clanìori (rigorosamente con la preposizione in) identifica storicamente l’area circostante il clap nìori, escludendo però il m. Sasso Nero propriamente detto, che la toponomastica locale ricomprende nella Crèto di Cjanâl.
Quando, già in periodo bellico, le truppe italiane si attestarono sulla cresta di confine, la traduzione italiana di clap nìori – per l’appunto Sasso Nero – fu definitivamente92 attribuita al monte soprastante, mentre tanto clap nìori che Clanìori dei Collinotti rimasero (e tuttora rimangono) ufficialmente anonimi93. Successivamente al conflitto e ancora oggi la dizione in Clanìori identifica l’intaglio fra il Sasso Nero e il m. Volaia (la c.d. Tacca del Sasso Nero) e l’area circostante, sempre però escludendo il m. Sasso Nero propriamente detto.
Nel corso del 1° conflitto mondiale, dall'avvio delle ostilità alla ritirata conseguente alla rotta di Caporetto, la Tacca del Sasso Nero (Austriascharte in tedesco) e la cresta fino alla cima meridionale del m. Volaia furono presidiate dalle truppe italiane, sia per prevenirne l’occupazione da parte austriaca (la Tacca è in posizione dominante sull’abitato e sulla valle di Collina, come pure sull’alta valle del Degano), sia in funzione di disturbo delle posizioni nemiche situate al passo Volaia e nella sottostante, omonima conca.
Con l’eccezione della cima N del m. Volaia, che rimase stabilmente occupata da un presidio austriaco e dove si ebbero brevi combattimenti, la zona non fu mai zona di scontri diretti. Ciò principalmente a causa del terreno, già scosceso sul versante italiano e decisamente impraticabile sul versante austriaco: l'intera catena dei Monti di Volaia (Biegengebirge in tedesco, termine intraducibile che suona più o meno come Montagne ad arco), dal passo di Giramondo al passo Volaia, precipita dovunque con appicchi davvero impressionanti.
Analogamente all’area di Volaia, nell'immediato dopoguerra e poi per lungo tempo ancora Clanìori fu frequente meta dei recuperanti di Collina alla ricerca di qualsiasi cosa meritasse il trasporto e il riutilizzo, o l’auspicata rivendita. Soprattutto il materiale ferroso era assai ricercato: putrelle, fittoni, filo spinato. Riciclo d'altri tempi: quante “armature” per cemento furono fatte a Collina e altrove con il filo spinato!
D'altra parte, le motivazioni dei recuperanti erano davvero stringenti: non a caso, per decenni e decenni il 1918 fu ricordato a Collina come l'an de fan (l'anno della fame) e anche la modesta entrata derivante dalla rivendita poteva assicurare qualche pasto in più94.
Nelle immediate vicinanze di Clanìori, servito da ottimi sentieri e oggi meta non infrequente di escursionisti e alpinisti diretti al m. Volaia, sono ancora ben visibili i segni della presenza militare (caverne e segni di baraccamenti). Proprio ai piedi dello spigolo superiore (N) del clap nìori transita il sentiero CAI 176 che, prendendo l’avvio in fondovalle dai pressi della Siēo o di Canòbio, sale alla Tacca del Sasso Nero risalendo l’ampio dosso che separa le casere di Cjampēi e Cjanalèto.

75. Clap [in -]   Q?, ✧?. Rocce(?) [id.(?)]. Clap è il sasso (Sc129), dall’onomatopeico klapp = risuonare o percuotere sonoramente (REW4706a, 1).

Un altro dei toponimi antichi indicatimi da mio padre e oggi orfani di un luogo ove posarsi.
Parrebbe naturale collocare il luogo al di sopra di Soclàp (v.), ovvero nelle immediate vicinanze di Belvedère. Tuttavia, il sospetto che il luogo si trovi altrove è assai consistente, e in questi casi (vedi anche parte introduttiva, al capitolo “Origini della toponomastica”) è certamente preferibile astenersi, ad evitare forzature e probabili svarioni.

76. Clap de Scjàlo [in -]   Q1240, ✧SE. V. Clap; scjàlo = scala (Sc273), dall’identico lat. scala (REW7637). Quindi lett. “sasso della scala”.

Tanto l’etimologia del toponimo è chiara, quanto la sua origine è oscura. Non si intravedono qui sassi particolari, e neppure alcunché associabile all’idea di “scala”, a meno che il termine non si rifaccia alle pietre qui prelevate per la costruzione di gradini o intere scale nelle abitazioni di Collina95.
È comunque probabile che nel tempo la morfologia del terreno abbia subito sostanziali mutamenti: da ultimo nell’inverno 1950-51, quando il luogo fu teatro di una disastrosa slavina originatasi in Cjailìot96. La valanga non solo rase al suolo l’intero bosco di Clap de Scjàlo prima di coprire strada e fondovalle, ma lo spostamento d’aria fu tale da abbattere gli abeti sul lato opposto della valle, sotto il Runc di Cuàl, a un centinaio di metri di distanza.
Il toponimo identifica un ampio pendio attraversato dalla strada che da Collina sale alla testata della valle (rifugio Tolazzi), area delimitata dall’Agâr di Macìlos a O, e dalla Ruvîš di Stâli a E, verso la Siēo.
Fino al 1960 circa, Clap de Scjàlo fu anche il luogo di raduno mattinale delle vacche dell'ormènt, il pascolo collettivo delle vacche di Collina non inviate in malga e rimaste a valle.
Da qui l’ormènt si avviava al pascolo quotidiano guidato dal paštùor, gestore e responsabile del pascolo, a sua volta accompagnato dalle véidos, gli aiuto-pastore forniti a turno dalle famiglie proprietarie delle vacche97. Nei suoi spostamenti quotidiani, l'ormènt percorreva anche distanze ragguardevoli, portandosi in luoghi decisamente fuori mano come il Pecól dabàs o il Plan di 'Sôro. Il rientro avveniva intorno alle 5 del pomeriggio, in tempo per consentire la mungitura serale e il rigoverno della stalla.
Con gli occhi e la mente di oggi, il ritorno dell'ormènt era un vero spettacolo nella sua quotidianità. Dopo il “rompete le righe” le vacche si avviavano ciascuna alla propria stalla (il cjùot), non senza una sosta quasi obbligatoria ad uno dei molti abbeveratoi (gli àips) per un’ultima, abbondante bevuta.
Naturalmente (più naturale di così!) le vacche lasciavano dietro di sé ampie tracce del loro passaggio anche all’interno dell’abitato, dove molti dei cjùots erano situati. Tuttavia, e per chiudere questa parentesi escatologica, oggi che mi vedo costretto a far di slalom fra le fittissime fatte canine che popolano i marciapiedi cittadini il ricordo (o è forse nostalgia?) di quelle buvàços che esclamativamente punteggiavano il cammin di nostra vita si fa ancora più pungente…

77. Claps [ti -]   Q1640, ✧O. Prato [id. inselvatichito, boscaglia] sulle pendici del Pic di Gòlo. V. Clap, di cui Claps è plurale.

Il toponimo, membro della nutrita famiglia contenente il termine clap, identifica uno o due prati da sfalcio lungo il versante del Pic di Gòlo rivolto a Collina, fra Malìot e Temós.
Anche qui lo sfalcio era complicato da corpi più o meno estranei disseminati nell’intera area prativa, per la gioia dei falciatori e dei loro strumenti di lavoro. In questo caso si tratta di pietre, ma curiosando qua e là nella nostra toponomastica troviamo buche, gobbe, ceppaie e quant’altro.
Si può ben capire come, a sera, il villaggio intero risuonasse della battitura delle falci, ad aggiustare accomodare affilare dove le povere coti avevano fallito. E l’indomani, daccapo…

78. Clevomàlo [in -]   Q1520, ✧O. Toponimo composto da clèvo = salita (Sc129), da clivus-a = inclinato (REW1993), e malo = cattiva (femm. di mal, NP551, il termine manca in Sc), dal lat. malus (REW5273). Dunque, una salita erta e dura la nostra Clevomàlo, anch’essa compresa fra i non numerosi toponimi rilevati da Scarbolo (Sc129).

Clevomàlo, tale di nome e di fatto, è la prima parte della salita (per sentiero, non lungo i comodi tornanti della strada!) che conduce al passo Volaia. Quella, per intenderci, che dal rif. Tolazzi porta a Puint dal Muš prima attraverso un boschetto di larici (clivus et malus per davvero!) e poi, concedendo un poco di respiro, in meno severa diagonale attraverso una selva di arbusti e di alàts, i pini mughi che nei pomeriggi estivi tramutano il percorso in un autentica fornace, profumata di resina e di ginepro.
Clevomàlo è dunque la variante locale del “via Mala” che si ritrova in altre parti delle Alpi e Prealpi. La più nota e anzi famosissima via Mala, utilizzata fin dal Medioevo per il passaggio di merci e persone attraverso le Alpi, è certamente quella lungo il percorso che collega Thusis, nei Grigioni, con Chiavenna in valle Spluga.
Identica l’etimologia, diversissimi i percorsi: il “nostro” è ripido e faticoso, ma del tutto privo di pericoli, al contrario dell’omonimo grigionese che si snoda tra forre e precipizi, ricco tanto di storia quanto di vittime.

79. Çòcs [ti -]   Q1550, ✧O. Prato [id. inselvatichito, boscaglia] sulle pendici del Pic di Gòlo. Çòcs è plurale del friulano çòc = ciocco, ceppo (Sc56) dal lat. soccus (REW8052) di analogo significato.

Se non fosse per il diverso… materiale d’ingombro, Çòcs e Claps formerebbero un unicum, schiacciato fra le grandi aree prative di Temós e Malìot.
Là pietre, qui ceppaie, la musica non cambia, legata com’è all’abilità e alla sensibilità di chi manovra la falce davanti (o sopra) l’ostacolo. Ostacolo che lo strumento è sempre chiamato a sfiorare, ad accarezzare per massimizzare la già modesta resa del prato, senza tuttavia mai toccare, pena il filo della falce e… lavoro supplementare. Talvolta era necessario battere la falce sul posto, senza attendere il rientro a valle, per ricostruire il filo devastato da una passata sbagliata o da un ostacolo imprevisto. Inconvenienti del mestiere, e di certo non i peggiori…

80. Còdos [su-]   Q1260, ✧SE. TU Còdas (CAT1801). Prato e coltivi [bosco misto]. Còdos è pl. di còdo = coda (Sc131), dal tardo lat. cauda (REW1774, 2).

Analogamente al friulano codarûl98, còdo è termine generico a indicare una lunga e sottile striscia di terreno, solitamente destinata a prato o a coltivi e che la fantasia popolare spesso associa alla coda di uno specifico animale99. Nel nostro caso, il termine è legato alla morfologia del terreno, una successione di “gradini” a diversa inclinazione (e utilizzo) lungo un pendio altrimenti uniforme fra Sôro la Ruvîš a O e Prâts a E. Le ragioni dell’interposizione del prato fra due “code” coltivate sono da ricercarsi nella maggiore inclinazione del terreno: oltre a renderne più problematica la lavorazione, la forte pendenza renderebbe il nudo humus dei campi soggetto al dilavamento da parte delle acque meteoriche.
Detto delle nostre Còdos, non è tuttavia da escludere che altrove con lo stesso termine generico di còdos si definissero le strisce contigue di terreni di proprietari diversi, risultato dell’esasperata frammentazione di un fondo particolarmente pregiato del quale ogni erede, in ogni tempo, reclamava la sua parte (v. anche Stalatòn).
Il nostro toponimo tal quale – Còdas – si ritrova nel catasto del 1801 insieme al suo contemporaneo destino d’uso (“prato in tavella”)100, ma nell’uso comune il toponimo è spesso associato alla preposizione agglutinata su- (“su”, oppure “lassù”) per dare infine Sucòdos, analogamente a quanto frequentemente accade nella parlata di Collina: si ha così sudàlt = su + (a)dalt (“su di sopra”) a indicare i piani superiori dell’abitazione; surét = su + rét (“sopra diritto”) nel senso di perpendicolarmente soprastante, ecc.
Sembra dunque ragionevole ipotizzare Sucòdos non già come toponimo a sé stante, ma piuttosto come indicazione della posizione delle Còdos stesse, alte sopra l’abitato di CP.
Identico toponimo ma al singolare, Còda, si ritrova in comune di Gonârs (UD)101.

81. Cogliàns [in -]   Q2780, ✧✧. TU Cogliàns. Roccia nuda. Dall'etnico Comeleanus = Comelicano, forse attraverso il toponimo Comegliàns102.
1920. In vetta al Cogliàns
1920. In vetta al Cogliàns.

Si noti la preposizione in che precede l’oronimo: oggi quasi del tutto desueta, era invariabilmente in uso fino a pochi decenni addietro. L’espressione precisa era infatti “andare in Cogliàns”, e non “sul Cogliàns103.
Il toponimo Coglians pone qualche non trascurabile problema fonetico-linguistico, dal dal momento che nella parlata di Collina il trigramma gli e il corrispondente suono palatale laterale liquido non esiste se non circoscritto a termini derivati dall’italiano104. Ne consegue che il toponimo Cogliàns quale oggi è graficamente e foneticamente conosciuto e riprodotto è recente, al pari della sua comparsa in toponomastica. Ma forse è opportuno qualche cenno storico.
Del tutto inutilizzabili e quindi inutili ai fini della sopravvivenza, e al contrario fonte di pericolo reale (frane, valanghe e alluvioni) o presunto (streghe, orchi e spiriti malefici), fino alla seconda metà dell'800 nella civiltà occidentale le montagne rappresentano una sorta di tabù violato solo da quei mezzi matti di cacciatori e superato solo dal turismo dei foresti105.
Ma anche senza scomodare il soprannaturale al disinteresse verso la montagna alta era sufficiente l'inutilità della stessa: gli stessi Romani, grandi colonizzatori dell'antichità, non si curavano per nulla delle vette e tiravano diritto per la loro strada (sic), percorrendo le linee di debolezza delle catene montuose (valli e passi), lasciando le valli laterali agli (eventuali) autoctoni106.
Ma anche quando gli studiosi cominciano a interessarsi alle cime dei monti, il Coglians rimane lontano dai riflettori. Fino alla metà dell'800 massima elevazione delle Alpi Giulie (un tempo anche le Carniche erano accorpate sotto questa denominazione) è ritenuto il Peralba, pur oltre 90 m più basso del Cogliàns107. Quindi il primato passa alla Creta della Cjanevate (2769 m), a un tiro di schioppo dal Cogliàns, e infine nel 1888 Marinelli assegna definitivamente il primato al "nostro".
La prima indicazione cartografica del monte è invece del 1804, quando è redatta quella Kriegskarte ormai nota al lettore. Monte Coglians? Non proprio. La carta rappresenta inequivocabilmente il monte ma non riporta il nome “Cogliàns”, il quale farà la sua prima comparsa sulle carte topografiche nel 1812-13, in occasione della stesura del catasto napoleonico. In luogo del nome Cogliàns (ma il monte è proprio lui, senza possibilità di errore), la Kriegskarte utilizza un nome stravagante, astruso, persino un po' bislacco: Quel Cane.
Ora, il Cogliàns in tedesco è Höhe Warte, che a sua volta in italiano dà “Vedetta Alta”, mentre "cane" in tedesco è Hund. Il tedesco dunque non c'entra, e allora vediamo il culinòt. Consideriamo che i vecchi collinotti usavano spesso pronunciare Cogliàns con la g e la l della sillaba centrale invertite, ovvero Colgjàns108. E, almeno foneticamente, il passo da Colgjàns a chél cjàn è meno lungo di quanto non sembri (il suono di cj e gj è molto, molto simile). Naturalmente, il significato di chél cjàn è esattamente “quel cane”! Che altro?
Per quanto concerne invece l'etimologia del nostro (ma davvero!) monte, non posso fare altro che richiamare la proposta già avanzata altrove109 e già richiamata in nota, ovvero Cogliàns come Comegliàns, ovviamente con sincope del "me". E siccome Comeglians viene da Comelicanus110, anche il Cogliàns avrà a che fare con il Comelico o con i Comeleàns o con la stessa Comeglians, in relazione al traffico da e per il Comelico che già in tempi antichi percorreva il Canale di Gorto. Nomi ovviamente "inventati" non già per il monte in sé e neppure per il villaggio in quanto tale111, ma solo in quanto elementi funzionali o utili o anche solo caratteristici rispetto alla viabilità del tempo. E così, come Comeglians può essere stato così denominato per le caratteristiche del luogo perché si trova un trivio della strada del Comelico, oppure perché a monte del paese il percorso si fa più stretto e ripido, ecc. il Cogliàns poteva costituire una specie di indicazione di lungo percorso a chi risaliva il Degano, come a dire "per il Comelico (o per Comeglians?) da quella parte!".

82. Colarìot [in -]   Q1130, ✧S. Campi e prati in pendio dolce con stavoli [prato selvatico, stavoli in parte diroccati]. Fitotoponimo dal lat. corylus = nocciola (REW2271), attraverso coryletum = noccioleto e il tardo lat. coloretum, di analogo significato112. Come d’uso nella parlata di Collina, il suff. collettivo lat. -etum volge in -ìot.
1959 circa. Il Crišt di Vìgjo sulla Caròno di Colarìot
1959 circa. Il Crišt di Vìgjo sulla Caròno di Colarìot.

In progressivo ritiro davanti all’avanzata del bosco, la vasta zona prativa è costituita da una ampia terrazza digradante. Costellato di tre o quattro stavoli, il terreno si sviluppa prevalentemente al di sotto dell'attuale percorso della strada Collina-Forni Avoltri, dalla quale è ben visibile.
Come molte altre, l’area o parte di essa fu data in pegno contro prestito o per affitti non pagati alla chiesa di s. Michele, come risulta dalla citazione che segue. “A di 24 sembrio 1595. piero maciocul è debitor alla giesia di sancto michiael di contadi lire 17 cioè per L.16,10 obliga un campo in coloret con zuan macocul et altri confini et resta anchora per li fiti lire L.8 obliga un campo…”113. Un secondo documento, redatto un secolo più tardi, è relativo alla stima dei beni del fu Zuanne di Carono, fra cui “Ittem di piu uno campette in Collariotto (…) ett giusto ducati 10…”114.
Al tempo della massima estensione dei campi e dei prati da sfalcio, il coloretum-noccioleto fu relegato alle parti marginali del pendio, più ripide ma pur sempre in pieno sole e in grado di fornire nocciole fra le migliori di Collina, in grado di competere con quelle della Navo. Non altrettanto si può dire dell’erba da fieno, assai abbondante ma troppo alta e a foglia rada, e quindi troppo legnosa e di minor resa in fieno (per di più meno gradito alle vacche buongustaie) rispetto ad altri prati.
Oggi il noccioleto si sta lentamente riappropriando di Colarìot, risalendo il declivio in direzione degli stavoli ormai fatiscenti, mentre dall'alto, ad appropriarsi di ciò che furono campi e prati, calano abbondanti frassini e aceri.
Per secoli e secoli, fino a poco prima del 1900 (v. Ruvîš), il tracciato Collina-Forni attraversò questi prati, circa 30 metri più in basso dell'attuale strada. Ad un'attenta osservazione dall'alto, l'antico tracciato è ancora intuibile attraverso i prati, specialmente in primavera, quando le ondulazioni del terreno risultano maggiormente evidenziate dalla neve residua115.
La forma italianizzata di colarìot-colorêt, Colloredo, è denominazione diffusissima in Friuli tanto come toponimo (v. nota alla p. prec.), che come nome proprio: in particolare la nobile famiglia dei di Colloredo in tutte le sue varianti, che numerose testimonianze di sé ha lasciato in ville e castelli tra Friuli e Veneto.

83.⇑ Bošc di Colarìot [lu -]   Q1250, ✧S. TU Bosco sopra Colaret. Bosco resinoso in pendio ripido [id.]. V. Bušcùt e il lemma prec.

Il bosco sovrasta SôroColarìot e l'attuale strada Forni Avoltri-Collina. In posizione soleggiatissima e quindi suscettibile di riduzione a prato, il bosco fu risparmiato dal taglio probabilmente a protezione dei sottostanti stavoli di Colarìot dal pericolo della caduta di slavine.
Il 16 novembre 2002 il bosco fu investito da una tromba d’aria di devastante potenza e di durata affatto inconsueta: dopo il passaggio del turbine, circa 2000 piante d’alto fusto giacevano schiantate lungo il sottostante pendio e fin sotto la strada, che ne risultò a sua volta danneggiata. Nonostante i lavori di sistemazione, i monconi degli alberi resteranno a lungo testimoni della violenza devastatrice del vento.

84. ⇑ Carono di Colarìot [su la -]   Q1160, ✧S. Prato in medio pendio attraversato da sentiero [bosco ceduo, arbusti, attraversato da strada comunale]. V. rispettivamente Caròno e Colarìot.

La Caròno di Colarìot costituisce il limite sx (orografico) della valle d'impluvio del Riù d'Ormentos, che a sua volta rappresenta il confine naturale fra i territori delle frazioni di Collina e Sigilletto. La Caròno di destra, oltre il rio e dunque già in territorio di Sigilletto, è detta di Stûlos.
Dai sottostanti prati di Colarìot l’antico tracciato da Collina alla parrocchiale di san Giovanni Battista saliva quassù per poi discendere nuovamente, stretto e ripido, al fondo del rio e al ponticello che l’attraversava116 e quindi risalire, altrettanto ripido e stretto, alla già citata Caròno di Stûlos.
Oltre che da un incombente traliccio dell’alta tensione (sembra che facciano apposta a collocarli – e ben in vista! – nei posti più belli...), la Càrono di Colarìot è abitata da un simpatico ex-voto detto Crišt di Vìgjo di Mada117 (lett. “Cristo di Luigia di Mada”, al secolo Luigia Toch, 1905-1977: Mada è una casata di Collina, AP65).

85. ⇑ Sôro Colarìot   Q1380, ✧S. Prato in pendio ripido [prato selvatico in via di rimboschimento, boschina mista]. V. Colarìot + la prep. sôro-sopra.

Sito in posizione elevata lungo il costone di Colarìot, fra il Bòšc di Colarìot e la Navo des Gjàjos.
Come tutti i prati al limitare del bosco, ne subisce oggi la rapida avanzata. Progressivamente la foresta si riprende i terreni già suoi, disboscati 5 o 10 secoli addietro dai coloni spintisi quassù in cerca di prati da falciare.

86. Comedo' [a -]   Q1350, ✧E. Bosco resinoso [id.]. Da comedòn = gomito (Sc134), a sua volta dal lat. cubitus = gomito (REW2354).

La curiosa denominazione si riferisce alla curva a gomito (a comedòn) che in questo luogo, poco oltre Plan dal Véspol e prima di giungere all'Avièrt, forma la Strado di Soldâts che sale da CP.
Circa la caduta della n finale del comedòn, non mi sembra il caso di scomodare la signora apocope (non ne conosco la ragione, ma l’apocope mi richiama l’ultima delle Parche, la signora Atropo, quella che tagliava il filo…). La caduta della n finale, dunque, e la conseguente trasformazione di parole originalmente piane in parole tronche (comedon(e)→comedo'), non è fenomeno del tutto inconsueto nella parlata di Collina, al punto di farne un elemento peculiare rispetto alle parlate dei paesi contermini. Ad esempio, già a Sigilletto l’ombelico è pronunciato imbriçòn (con la n finale piuttosto marcata), mentre a Collina si pronuncia imbriço’ (troncato: la n finale è praticamente muta)118.

87. Còmpet [tal -]   Q1340, ✧NO. TU Casera Compet (IGM 1913). Pascolo con casera [bosco e pochi ruderi] (v. Mònt). Probabilmente dal lat. compistare = calpestare insieme (REW2108), nel senso di comune proprietà e uso del terreno per il pascolo del bestiame.

Il luogo si trova nel medio corso del Rušulàn, là dove il corso di questo si fa meno erto e malagevole, così da consentire la costruzione di un ricovero per il bestiame (v. nota sub Mònt).
Riferendosi ad un luogo ove si effettuava il pascolo comune del bestiame, il toponimo sembrerebbe precedere la costruzione della casera. Non casualmente, e al pari delle altre malghe sul territorio, la casera che è costruita qui è detta casêro dal Còmpet, “casera del Còmpet119, un modo chiaro per riaffermare, in questo tipo di toponimi, il primato del territorio e delle sue peculiarità sulle sue “semplici” pertinenze.
E così, secondo etimologia, pascolo comune nel duplice senso di diritto e d’uso è ancora il luogo nella seconda metà dell’800, quando vede la luce la Latteria Sociale di Collina e qui si costruisce un ricovero per il bestiame (v. Mònt).
Fino al secondo dopoguerra, della casera rimasero parzialmente in piedi i muri perimetrali, ed entro questi uno splendido prato perfettamente livellato (l'ex “pavimento” della casera stessa). Dotato di tali rare caratteristiche, il pianoro era comprensibilmente usato dai ragazzi del paese per qualche partita di calcio alla buona: utilizzo non certo frequente, anche in virtù della lontananza dall'abitato, ma tuttavia sufficiente a divenire proverbiale nel villaggio.
Infatti, l’esortazione con cui gli ubiquitari benpensanti (ci sono dap-per-tut-to!) erano usi apostrofare la canàjo – i ragazzi che, per prendere ostinatamente a pedate l'amatissima sfera, persistevano nell’utilizzo delle microscopiche piazzette delle due ville: dove, se no? – l’esortazione-apostrofe era dunque un tonante e perentorio “Su-mo, lait a gujâ tal Còmpet!”.
Oggi, nel fitto della foresta sopra la stàipo da Canòbio o cancellati da improvvide piste da sci, i miseri resti della casera sono pressoché i possibili da localizzare: è più facile inciampare in qualcuna delle sue pietre e stramaledirla piuttosto che individuarne l’antica e onorata funzione.

88. Creşadìço [in -]   Q1650, ✧SE. TU Cresadice. Prato in forte pendìo [prato inselvatichito, in via di rapido rimboschimento]. È probabilmente una sincope di creş(ol)adìço, deverbale di creşolâ = crepitare e suo sostantivo creşolàdo (Sc143), a sua volta dall’onomatopeico krek = tuono, crepitio (REW4768b). Il suffisso -ìç, -ìço ha la funzione del suffisso it. “-iccio”, “-iccia”, in questo caso riferito alla mont (da cui il femm.). Nei forti tuoni che durante i violenti temporali estivi sembrano provenire di lassù potrebbe dunque risiedere la causa dell’attributo. Alla luce delle note topografiche che seguono, in particolare per la posizione e per l'oggettivo stato e funzione dei luoghi al tempo della loro frequentazione, non sembra verosimile un’evoluzione da Croşadìço (con radice in crùoš = croce, a sua volta dal lat. crux, REW2348) nel senso di “insieme di croci, di sepolture”120, e parimenti improbabile l’ipotesi alternativa di “incrocio” (di sentieri)121.

Ricavato nella parte superiore dell’ampio costone boschivo ben visibile da CG, il prato di Creşadìço costituisce un significativo esempio e una (in)felice sintesi dell'economia montana fino alla metà del 1900. Grande distanza dal centro abitato, quota elevata, prati stretti e allungati sul pendio ripidissimo (senza las çàfos, i ramponcini da erba a quattro punte, l'equilibrio è assai precario sull’erba bagnata del mattino), Creşadìço è la parte più rilevante e rappresentativa di quello che in passato fu chiamato “monte del fieno” e “monte prativo”? (o, più probabilmente, mont dal fén)122, per i numerosi prati sparsi qua è là sull’ampio panettone che da Cjampēi e dalla Cjanalèto scende al fondovalle del riù di Morarìot.
Quassù e in decine di luoghi consimili la gente di Collina e della montagna tutta – è storia largamente condivisa in tutte le Alpi – saliva a far fieno. Più precisamente, saliva a falciare e scendeva a valle con il fieno, trasportato con la vielmo123 e con la slitta fino al paese, al fienile e alla figura centrale di questa parvenza di economia di sopravvivenza. A colei che, al tepore della stalla, attendeva: la vacca, autentico tesoro e patrimonio della famiglia, e con lei dell'intera comunità.
Nel terzo millennio – sparite vacche e fienili, appesi in soffitta (o in salotto) raštiēi e çàfos – sopra Creşadìço rimboschita e deserta vola alta l'aquila, in cerca di una lepre o di uno scoiattolo, prima di allontanarsi rapida, forse infastidita dai vostri umili cronisti alla ricerca del tempo perduto…?

89. Crèto Blàncjo [in-]   Q2255, ✧✧. TU Cima Ombladet, Cima Omblalet (IGM 1986). Prateria alpina e roccia nuda [id.]. Crèto (o al masch. crét) è la montagna rocciosa (Sc143)124; blàncjo (femm. di blanc) sta per “bianca” (Sc25), dalla voce germanica blank di identico significato (REW1152).

Il toponimo è tipicamente collinotto: a Sigilletto e Forni Avoltri la denominazione è Creto di Ombladìot, da cui la TU. Nonostante la cima sia formata prevalentemente da scisti scuri ricoperti di magra vegetazione e i fianchi siano rivestiti di boschi e pascoli, verso NE il monte mette a nudo un'alta e ripida parete di bianco calcare, visibile però solo da Collina. Di qui l'aggettivo blàncjo in contrapposizione al nìori del dirimpettaio clap nìori (v. Clanìori)125.
Nella Kriegskarte il rilievo si guadagna una doppia denominazione, ovvero “M. Clapus o sia Cretta Bianca”. Detto del secondo, il primo oronimo è del tutto sconosciuto in loco e, al pari di altri toponimi della Kriegskarte, sembra decisamente di origine “foresta”.
Durante il primo conflitto mondiale anche Creto Blancjo, al pari del Pic di Golo, fu sede d’una batteria d’artiglieria, con il compito di tenere sotto tiro le linee nemiche di passo Giramondo126. Immediatamente sotto la cima fu scavata una breve galleria con finestra verso NE, ancora ben conservata, dove era sistemato il posto d’osservazione e di direzione del tiro. I pezzi erano anch’essi collocati in posizione riparata dal tiro nemico, pochi metri sotto la vetta in direzione S, là dove ancora oggi sono visibili i resti delle piazzole in cemento.
Gli alloggi del presidio erano invece costituiti da baraccamenti nei Bùrgui, al riparo dal vento e dal pericolo di valanghe. Il trasporto dei materiali da Collina era effettuato prima a mezzo teleferica (v. Val e Belvedère) e quindi a dorso di mulo.

90. Crèto di Cjanâl [la -]   Q2540 (vetta m. Canale), ✧✧. TU Sasso Nero, Monte Canale, Monte Capolago. Roccia nuda (id.). Per crèto v. il lemma prec.; cjanâl = canale (NP129, manca in Sc) qui inteso come canalone fra i monti, dal lat. canalis (REW1568).

Fino a tempi recenti a Collina con questo termine si identificava l’intera catena dei c.d. “Monti di Volaia” visibile da Collina stessa (dal Sasso Nero al m. Capolago), così detta per le ampie e profonde gole che ne solcano il versante meridionale127. Questo toponimo originale nella parlata locale mi è stato suggerito solo in tempi relativamente recenti: prima di allora avevo sempre considerato “monte Canale” un toponimo di conio recente e di origine schiettamente italiana, generato dalla toponomastica ufficiale come tutte le altre cime che circondano Collina, con la sola eccezione del Cogliàns128.
D’altra parte, a sostegno della verosimiglianza dell’originalità del toponimo va pure sottolineato come la Crèto di Cjanâl sia, naturalmente nelle sue propaggini inferiori, una presenza innegabilmente significativa nell’economia locale: alla sua base si pascola il bestiame (Cjanalèto), si taglia legname (Circinùts) e si sfalcia (Pàlos di Marinè o di Sèrgjo). La crèto soprastante val bene un nome proprio ancorché, come di consueto nelle Alpi orientali, derivato dalla malga Cjanalèto che le sta alla base.
Una denominazione quasi funzionale, insomma. La montagna in sé, il culmine, la vetta, come locus non interessa e non ha nome, a conferma del principio che tutto ciò che non serve non necessita neppure di un nome.
Il topografo del Regio Imperial esercito fece propria la visione unitaria della piccola catena montuosa, e nella Kriegskarte raggruppò l’intero gruppo SassoNero-m. Canale-m. Capolago sotto un’unica denominazione. Ma le cose non sono mai troppo semplici, e il nome scelto per la Kriegskarte fu “Grotte di Colina”129.
Ora, se non sorprende l’associazione del rilievo montuoso a Collina, posta alle falde del monte, non altrettanto si può dire del termine “Grotte”, ripetutamente impiegato nei dintorni130 e il cui significato, certamente non letterale, rimane oscuro. Di primo acchito sembrerebbe da escludere l'ipotesi apparentemente più immediata, ovvero “grotta” per “creta”, dal momento che nello stesso foglio quest’ultimo termine è correttamente usato in più occasioni: “Cretta Bianca” (Crèto Blàncjo), “Cretta Tombladet” (sic, per il m. Volaia) ecc. Analoga considerazione vale per “croda”, termine che si ritrova abbondantemente usato in questo e altri fogli curati dallo stesso topografo. Tuttavia, visto che è molto improbabile che l'ufficiale topografo abbia materialmente disegnato le mappe, non è da escludere che a ciò abbiano contribuito più mani, con il che l'ipotesi più diretta dell'errata trascrizione di "creta" in "grotta" rimane ancora la più probabile.

91. Créts (di Ruìncjos) [di -]   Q1030, ✧NO. Rocce franose in pendio ripido [id.]. Crèts, v. nota a Crèto Blàncjo. Viceversa, l’origine di Ruìncjos non è chiara. Potrebbe essere accostata al frequentissimo Rònc-Runc (v.) volto però al femminile (rùncjo, analogamente al Runchia in comune di Comeglians). Oppure e più probabilmente un derivato del lat. ruina = frana (v. Ruvîš)131.

Nel linguaggio comune la località è nominata come di Créts, senza altro appellativo, quasi a indicare una montagna rocciosa, cosa che in qualche misura i Créts richiamano, soprattutto se visti di lontano: una vasta area rocciosa, quasi una ferita nella grande fascia boscosa che scende alla Furcjìto e al Degano.
Da vicino i Créts perdono di imponenza per rivelarsi quali realmente sono: un’ampia zona franosa, uno scoscendimento di forma approssimativamente triangolare che scende sino al rio Fulìn. Nulla di particolarmente significativo o imponente, dunque, tuttavia sufficiente a rendere necessarie consistenti opere di sostegno a valle per la sicurezza della strada che vi transitava.
Evidentemente, le ruìncjos-piccole frane del toponimo si sono estese, con il tempo, all’attuale dimensione. Oppure, e più semplicemente, era diverso il punto di vista dell’osservatore al tempo della nascita del toponimo. Prima della costruzione della strada, cui si farà cenno qui avanti, il percorso correva qualche centinaio di metri più in alto, lungo il sentiero del Ğùof e in zona più sicura, con una diversa percezione della morfologia del terreno e della sua consistenza.
Zona più sicura, dunque, o forse solo meno pericolosa dell’altro versante. Sebbene in misura assai minore che alla Ruvîš, dove gli accidenti occorsi ai viandanti furono in quantità industriali (ne tratteremo poco più avanti), anche i Créts hanno tuttavia fatto la loro mala parte: “Si fa certa, e Publica Fede per l’Officio di questa Cancelleria, che nel giorno 8 Novembre dell’anno 1787 fu dal Vice Meriga della Villa di Collina di questa Giurisdizione Pietro qu. Giorgio Tomasin ebbe a denunziare in questo istesso Officio, e qualmente la sera innanzi fu ritrovada accidentalmente morta la questuante Madalena Moglie relitta del qu. Bortolo Longo di detta Villa per essere precipitata nel passaggio che fece tra la detta Villa di Colina, e la Villa di Rigolato ove esiste un trozzo precipitoso…”132.
I Créts e la relativa frana sono stati pur essi, per quasi un secolo, ai disonori della cronaca per i gravi problemi di sicurezza e di percorribilità posti dal loro attraversamento. La stessa storia della costruzione della strada – di volta in volta detta dal Fulìn o di Créts, oppure ancora de Galarìo (“della Galleria”), in virtù della galleria in prossimità della quale la strada si congiunge alla statale 355 – racconta un'epopea.
Voluta e finanziata dai Collinotti con lo scopo precipuo di agevolare il trasporto del legname al fondovalle del Degano e alla viabilità principale, la costruzione della strada richiese anni di duro lavoro e di numerosi infortuni, anche gravi, concludendosi infine nel 1914, alla vigilia del conflitto mondiale.
Ancora oggi, i Créts mettono in mostra le proprie pessime qualità di volta in volta scaricando a valle – di preferenza sulla sede stradale, ormai chiusa al traffico veicolare – massi, terriccio o piante d'alto fusto.
Nel periodo fra le due guerre, l’interno dei Créts fu letteralmente traforato da una serie di gallerie a scopo difensivo, analogamente a quanto accadde poco più in alto con lo scavo di trincee e la posa in opera di reticolati (v. Reticolâts). L’accesso alla gallerie era ancora visibile fino a pochi decenni addietro: l’ingresso avveniva tramite una porticina in ferro situata poco a monte della strada, in corrispondenza dell’ultima curva prima di raggiungere la Furcjìto.

92. ⇑ Sót Ruìncjos   Q1010, ✧NO. Bosco resinoso molto ripido [id.]. V. Ruìncjos nel lemma prec. e sót-sotto.
Oggi del tutto desueto, il lemma è stato desunto dal lavoro di G. Di Caporiacco133. Si tratta certamente della parte inferiore del toponimo che precede, ovvero la più prossima al sottostante rio Fulìn.
 
93. Cròdios [tes -]   Q1600, ✧SE. Prato ripido [id. inselvatichito, boscaglia]. Cròdio è la cotenna del maiale (Sc144), dal lat. cutica = cute, pelle (REW2429).

Il toponimo non si può certo definire equivoco circa la qualità del terreno, non propriamente pregevole, sito in alto sopra CP, oltre gli Stuàrts lungo il versante occidentale del costone che sale a Belvedère. Personalmente lo trovo assai bello (il toponimo, non il terreno), uno dei tanti gioiellini toponomastici che la fantasia popolare ha saputo creare in abbondanza e conservare per secoli134.
Svolazzi postumi a parte, resta il fatto che bene o male si sfalciava anche quassù, con le rese (quantitative e qualitative) che ben si possono immaginare: ma tutto fa fieno, e anche dalle Cròdios arrivava in fienile un paio di fas.

94. Cuél di Ğulign [sul -]   Q1610, ✧O. Prato in pendio moderato [id. inselvatichito]. Qui cuél è da intendersi come forma arcaica per “colle” (NP206, manca in Sc135; numerosi toponimi in regione, Fr56, fra cui il noto e non lontanissimo Cuelàt, fra Pal Piccolo e Pal Grande), dal lat. collis (REW2051); Ğulign come variante di (o derivazione da) ğulìgno = brina, da *gel-onea, a sua volta dal lat. gelum = gelo (Sc104, REW3718).

I prati di Cuél di Ğulìgn si sviluppano lungo il costone e la parte occidentale di questo, sotto i prati del Malìot, e il “colle” in questione è quella inferiore delle due pronunciate gibbosità che interrompono il profilo del lungo e altrimenti uniforme costone NO del Pic di Gòlo che qui piega decisamente a O.
Quanto a Ğulìgn, tanto la grafia che l’interpretazione sono di derivazione popolare, con ciò intendendo “il primo prato con la brina” in autunno.

95. Cuéštos [in -]   Q1300, ✧E. Prato in pendio ripido [prato inselvatichito in via di rimboschimento]. Cuéšto è la costola (Sc147) tanto in senso anatomico che figurato, dal lat. costa = costa, costola o fianco (REW2279).

È toponimo frequente in tutte zone collinari e montuose, e dovunque il territorio si presenti con un minimo di rilievo.
Le Cuéštos del toponimo sono in realtà ripidi costoloni dell'altezza di alcune decine di metri, stretti fra il bosco e la sponda destra del sottostante e omonimo riù di Cuéštos (v. il lemma successivo). Pur a breve distanza dall’abitato, era un prato “difficile”, in bilico sopra il torrente qui assai scosceso e con numerosi salti d’acqua.
In Cuéštos era posta la presa da cui nel 1873 fu portata l’acqua corrente nell’abbeveratoio in piazza a Collina, prima con tubi di legno, e successivamente con tubi di ferro (1898-1906)136. Qualche decennio più tardi la captazione dell’acqua fu spostata molto più in alto (in Sarmuàlos) con la costruzione del nuovo acquedotto.

96. ⇑ Riù di Cuéštos [lu -]   Q1980-1135, ✧S. TU Rio Cuestos o Rio Collinetta. Corso d’acqua a regime perenne molto ripido nella parte iniziale, poco ripido nella parte terminale [id.]. V. Riù e il lemma precedente.

Pur con qualche approssimazione, il corso d’acqua funge da confine fra CG e CP, per poi confluire in dx del rio Fulìn.
Il corso d’acqua, di lunghezza considerevole in rapporto ai luoghi, ha origine sotto Ombladìot: nella parte superiore del suo impluvio, vasto ma ripido, era posta tanto la malga di Cjampēi quanto un ampio ventaglio di prati di mont, mentre nel corso inferiore del rio, a valle del ponte della strada CP-CG, le sue acque alimentavano un considerevole numero di mulini e altre attività artigianali (v. Mulìnos).
In aggiunta alla doppia denominazione della TU – Cuestos (un tempo Cuestis) e Collinetta – troviamo nella Kriegskarte la solita misteriosa e indecifrabile denominazione, in questo caso “Rio Tunalte”137. Fosse “tuonante” o altro (ma suggerito da chi?) il termine sfugge ad ogni tentativo di inquadramento. Prendiamo atto.

97. ⇑ Riù di Cuéštos [a -]   Q1310, ✧S. Prato con stavolo [id. rimboschito]. V. lemma prec.

È l’area già prativa in corrispondenza dell’attraversamento del Riù di Cuéštos da parte di un bel sentiero (oggi strada forestale) che da Antîl conduceva ai prati di Cuéštos, sulla sponda opposta (dx) del rio stesso.
È degno di nota il fatto che pur trovandosi la località e i relativi prati incassati nel fondo di una valletta angusta e assai profonda, l’insolazione era comunque garantita dall’orientamento N-S della valle stessa, ciò che consente alcune ore di sole anche in pieno inverno.

98. Culìno

Oggetto di tutto questo lavoro, merita un trattamento particolare, speciale. Niente quota per questo lemma, né esposizione, morfologia o destino d’uso: quisquilie, inutili futilità! Proprio nulla, neppure la consueta proposta etimologica? Ora non esageriamo!
Donde viene questo nome così semplice e lineare da sembrare persin banale, eppure così misterioso quando associato a ciò che descrive e rappresenta, luogo e persone, uomini e territorio? Dove ricercare l’origine di un toponimo apparentemente simile a decine e forse centinaia d’altri? La tentazione di dare solo una rapida occhiata e passare subito oltre per poi soffermarsi intorno a cose più allettanti o “serie” è assai forte e anche comprensibile, e quasi tutti vi hanno indulto.
Ma neppure chi si sofferma un poco più a lungo giusto un poco... ci gratifica di soverchia attenzione, concludendo con un epigrafico “di significato evidente".
Collina… “in collina”? Evidentemente no. Collina “sulle alture”? Be’, se con ciò si intende “in quota”, è un innegabile dato di fatto, epperò l’evidenza è ben altra che “colle”, per di più con diminutivo.
Anzitutto, è da sottolineare come il punto di partenza di una ricerca etimologica debba essere Culìno e non già Culìne o, a maggior ragione, collis o peggio ancora Collina. Le origini del villaggio si collocano agli inizi del secondo millennio, quando al latino (ma si è mai parlato latino sotto il Cogliàns?) si è già sostituito un ormai consolidato friulano. Quindi il villaggio nasce Culìno, e da qui si deve partire.
Ma in friulano il “colle” è cuél o, forma forse più antica, cuàl e anche cuòl138. Coerentemente, tutti i (micro)toponimi con radice in collis conservano nella pronunzia friulana il dittongo “originale” ue/ua/uo139: Cuéi (Collio), Cuél (Colle), Cuél/Cuòl/Cuàl (id., vari), Cuelàt (id.), Cuelàlt (Collalto), Cuals/Cuâs (Qualso), Puscuèl/Poscuèl (Poscolle, vari), Secuàls (Sequals) e ancora molto altro. Altro cui, di nostro, aggiungiamo i collinotti Cuél di Ğulign e Socuàl. Per farla breve, se sotto il profilo linguistico il nesso collis-Culìno (e, aggiungiamo, anche con Cogliàns) non è certo impossibile, non si può non rilevare come in friulano non si abbia alcun toponimo con radice in collis che inizi con col- e neppure cul-, come Culìno.
In conclusione, all'ipotesi pur linguisticamente possibile collisCulìno ostano tuttavia tanto la morfologia del territorio che la statistica. Sarà forse il caso di esplorare altre strade.
Strade forse meno affascinanti e forse persino banali, ma anche più semplici e dirette. Proviamo. C’era una volta… Nicolaus, in friulano Culàu (e, con diminutivo, Niculìn), nel quale è ampiamente riconosciuta l'origine del cognome Collino, Collini e derivati140. Avete già capito, ma ripercorriamo la strada per intero.
Siamo a Niculìn. Volgetelo al femminile culinòt, che notoriamente vuole la o, fate cadere la prima sillaba Ni (processo comune che si chiama aferesi, a mezzo del quale hanno avuto origine anche i cognomi di cui sopra) ed ecco servita (Ni)culìno, ovvero Culìno. Più complicato a dirsi che a farsi, e non è neppure strettamente necessario trovare in anagrafe la signora Nicolina battezzata come tale. Infatti non c'è.
Ancora oggi Collina è zeppa di case-casate con denominazione al femminile. Abbiamo già sottolineato fino alla noia che quassù la -o finale caratterizza il genere femminile, soprattutto in chiave retrospettiva: Martino, Blâsjo, Pàuro, Bièlo, Zirco, Pirucèlo, Albino sono tutti, ancora oggi, nomi di case/casate, e in passato c'erano pure Muâro, Trintìno, Pètto, Plùssero, Lùzio, Çuéto, Tino e chissà che altro ancora. Eppure, a molte di queste denominazioni non sottosta alcuna persona di sesso femminile che porti un nome di battesimo in qualche modo riconducibile alla denominazione stessa. Non c'era alcuna Martina così come non c'erano Biagia e Trentina e Pirucella ecc.: c'erano invece, legati alle nominate signore da vincoli di parentela o di matrimonio, Martin e Blâsj, Trintìn e Pirùçèl, Tin e Pàur...
Appare ora più chiaro e finalmente verosimile il percorso Niculìn-Niculìno (femminile!)-Culìno, casata o persona che fosse ma comunque sufficientemente conosciuta al punto di trasferire e identificare il proprio nome con l'intero edificio e la discendenza, fino a ramificazioni impensabili141.

99. ⇑ Culìno Grando]   Q1250, ✧SE.   TU Collina. Abitato [id.]. V. il lemma prec. mentre grando è “grande” al femm. (Sc100), dal lat. grandis (REW3842). Quindi “Collina Grande”.

Culìno Grando è, ahinoi, l’odierna Collina tout court della toponomastica ufficiale. Un toponimo, il nostro, rimosso dalle carte geografiche142 ma fortunatamente ancora vivo e vegeto, e in buona salute nella parlata locale. L'origine di Grando – va da sé – è nella dimensione dell’abitato, probabilmente più piccolo del 95% dei centri abitati d'Italia, ma pur sempre più grande di Culino Pìçulo!
Circa l’abbandono della distinzione delle due Collina fra Grando e Pìçulo, i primi tentativi furono effettuati nel 1600. Burocrati forse privi di cognizione, o forse infastiditi dal grando, abbozzarono un tentativo di sostituzione dei due aggettivi quantitativi con gli avverbi “di Sopra” e “di Sotto”143. Mossa sfortunata, destinata all'eterno oblio dal quale solo occasionalmente è stata da noi riesumata.
Maggior successo ebbero purtroppo i pubblici ufficiali ottocenteschi – burocrati eredi dei primi quanto a cognizione, scienza e coscienza, ma purtroppo di ben maggiore efficacia – con il riuscito colpo di mano che portò alla nefasta “invenzione” di Collina e Collinetta in luogo dei toponimi storici144.

100. ⇑ Culìno Pìçulo   Q1200, ✧S.   TU Collinetta. Abitato [id.]. V. i lemmi prec., mentre pìçulo è l’aggettivo “piccola” (Sc223), dall’onomatopeico pikk - (REW6494). Quindi, “Collina Piccola”.
1916. Culìno Pìçulo
1916. Culìno Pìçulo.

Culìno Pìçulo corrisponde allo sfortunatissimo Collinetta della toponomastica ufficiale, a sua volta origine dello scellerato – e a maggior ragione ingiustificato – friulano Culinète, espressione orribile che andrebbe estirpata come la gramigna.
Ma niente illusioni: come un’erbaccia resistente, anche l’orrendo Culinète prospererà fino alla fine della stupidità umana145. Ovvero, nei secoli dei secoli.
Donde esce codesta infamia linguistica? Anzitutto, come denominazione taliana di Culìno Pìçulo Collinetta vede la luce nel catasto napoleonico, anno 1813: ancora 10 anni prima, la Kriegskarte riporta la denominazione Colina picola e grande. Tuttavia, come denominazione toponomastica in senso più lato, ovvero non associata a Culìno Pìçulo, Colineta nasce almeno 200 anni prima, a indicare quello che oggi è ancora il rio Collinetta, affluente di sinistra del rio Chiaula, così come la valle da esso formata. Escluso, per ragioni storico-cronologiche, che rio e valle abbiano preso il nome dal villaggio, è invece molto probabile sia accaduto il contrario in una sequenza non dissimile da questa che segue: 1) Collina picola e Collina grande è troppo complicato; 2) friulano, italiano, veneto o austriaco che sia, comunque "sa di vecchio"; 3) urge un segnale di cambiamento. Il burocrate di turno, arso dal sacro fuoco della semplificazione rivoluzionaria o della rivoluzione semplificatrice sulla mappa trova un Collinetta e un Collina dalle parti di Monte Croce, e in nome del progresso e della dea Ragione piglia entrambi, copia e trascrive. Fine dell'ancien régime: c'est la rationalisation, monsieur.
Sono tempi nuovi e anche la Carnia, se non proprio fra il Manzanarre e il Reno, è certamente fra le Alpi e le piramidi. Fu vera gloria? Il poeta si astenne, e rinviò ai posteri l'ardua sentenza146.
Con ulteriore passo indietro, sulle ragioni per cui quel torrente e quella valle fossero detti di Collinetta – così come prima di essa fu detta (e lo è ancora) val di Collina la valle che dalla testata di Creta Monumenz-Chiadin-Floriz scende al rio Chiaula e alla Bût – il discorso ci porterebbe troppo lontano. Brevemente, furono detti così perché molti, molti secoli fa i Culinòts erano affittuari della Monte di Colina, ovvero di malga e pascolo dell'intera valle. Ma questa è davvero un'altra storia. Una lunga storia147.

101. ⇑ Viculìno o della metatoponomastica.

Per la prima volta su questi fogli ho il grande piacere e l’onore di proporre agli attenti lettori e studiosi un toponimo astratto. Di più: in omaggio ai tempi correnti, lo definiremo il toponimo virtuale (non se n’abbia a male chi sa di fisica se lo definisco “delocalizzato”: è qui o là, a seconda di dove si trova l’osservatore).
Non che non esista un luogo fisico corrispondente a Viculìno. Al contrario, ne esistono due, alternativi però l'uno all'altro: vigente l'uno, l'altro non ha senso di esistere. Il mistero, che tale poi non è, è presto risolto.
Nella parlata locale, la forma Viculìno – letteralmente “là a Collina”, come Vidàrios, Virùncs ecc. – sta sempre a indicare “l'altra Collina”, in funzione di dove si svolge la conversazione. Detto a Culino Pìçulo, “'i vói Viculìno” significa “'i vói a Culìno (Grando)”, “vado a Collina Grande”. Viceversa, enunciato a Culìno GrandoViculìno assume significato diametralmente opposto, ossia sempre Culìno, ma stavolta Pìçulo.
Semplice (si fa per dire), intelligente (decisamente), divertente (mah). Sembra il soggetto di un libro di Umberto Eco…

102. Cumùnios [in -]   Q1330, ✧S. Prato in medio pendio con stavolo [id. inselvatichito, sedime di stavolo]. Cumùnios è femm. pl. di cumùn = comune, tanto aggettivo che sostantivo (Sc148), dal lat. communis (REW2091); il toponimo è citato come tale nel lessico di Scarbolo, “prato naturale di proprietà comune” (Sc135).

Toponimo piuttosto frequente in Friuli e soprattutto in Carnia148 in quanto già dal Medioevo termine generico – al singolare: cumùnio, cumùgne, comùgne, a seconda dei luoghi – a indicare “terre d’uso comune” da parte dei comunisti, per lo più boschi e alpeggi, il cui titolo sottostante poteva essere tanto di proprietà vera e propria quanto di affitto, concessione o altro149.
Alto sopra CG, al limite occidentale della fascia di prati della Navo, Cumùnios consta di due prati che, almeno in origine, ebbero regime e regole d’uso del tutto analoghe a Prât da Cumùn e agli altri terreni di proprietà comune. Sorprende tuttavia, al pari di Prât da Cumùn, la collocazione di questi lembi di terreno, siti in prossimità dei centri abitati. Il regime d’uso collettivo dei fondi – le cumùnios, appunto – riguardava per lo più terreni periferici, soprattutto per il legnatico o il pascolo, mentre i prati e i campi negli immediati dintorni dell’abitato erano di proprietà delle singole famiglie, o in affitto esclusivo delle stesse. Di qui una denominazione per Cumùnios e Prât da Cumùn che ne rendesse tanto evidente quanto immediata la “diversità” rispetto ai fondi circostanti.

103. Cunfìn [de -]   Q1470, ✧O. Bosco di conifere in medio pendio [id.]. Cunfìn sta per l’it. “confine”, dal quale il termine deriva seppure con genere diverso (è infatti termine di genere femm., la Cunfìn150).

Come spesso accade per altri termini generici della toponomastica (caròno, riù e altri) che acquisiscono specificità toponomastica per l’attraversamento di strada o sentiero, così cunfìn segue il medesimo percorso. Punto di confine fra la proprietà comunale e la proprietà del Consorzio Privato di Collina (le pertinenze della malga di Morarìot), de Cunfìn si trova lungo il percorso che conduce alla malga citata e al rif. Marinelli, precisamente laddove strada forestale e sentiero si dividono (si ricongiungeranno al Largàt per poi dividersi nuovamente in prossimità della malga di Morarìot).
La Cunfìn è caratterizzata da un ritratto in grandezza macro di san Bernardo da Mentone che campeggia su un enorme masso posto giusto in mezzo alla biforcazione fra strada e sentiero. Soprattutto da parte delle nuove generazioni – diciamo gli under 40... – e proprio in virtù della "ingombrante" presenza (ma anche di una innegabile immediatezza), in luogo di de Cunfìn è sempre più frequente l'uso della denominazione dal Sant. E poi si dice che la toponomastica non è cosa viva...

104. Devóur ju Mulìns   Q1185, ✧S.   Prato pianeggiante [id. inselvatichito]. Devóur = dietro; mulìns è pl. di mulìn = mulino (Sc190) dal lat. molinum (REW5644).

I mulini dietro i quali starebbe il nostro luogo sono due, rispettivamente il Mulìn di Nino (sx or.) e il Peštòn di Pio (dx or.), entrambi lungo il Riù di Morarìot. In realtà il luogo non è tanto “dietro i mulini” quanto piuttosto dietro il ripido costone che segna il limite occidentale di Cercenât e Cjasarîl, subito dopo l’ansa che il Riù di Morarìot forma prima di ricevere le acque del Riù di Plumbs.
Dietro il costone, poche decine a valle del Mulin di Nino sta appunto il nostro Devóur ju Mulìns, del tutto nascosto anche alla vista di chi percorre la strada che da CG porta alla Siēo.

105. Devóur Tamòšo   Q1250, ✧E.   Prato in medio pendio (id., inselvatichito). Devóur = dietro; tamòšo sta forse con il friul. ciamòsse o tamòsse = argine (NP127 s.v. ciamòz), a sua volta da una base preromana tem - tim (v. Temós). Quindi, “dietro l’argine”.

Come spesso accade nella nostra toponomastica, non abbiamo (più?) una Tamòšo, un argine fisico dietro (devóur) al quale collocare il nostro toponimo. Si tratta forse di un toponimo scomparso, comunque identificabile con il limite orientale dei prati di Pecìot, là dove il pendio uniforme si interrompe bruscamente per scendere all'Agâr di Macìlos. Più ripido del pendio che lo precede, il prato che scende all'agâr è appunto il nostro Devóur Tamòšo, con la genesi e il significato del devóur non dissimile da Devóur Antîl, Devóur Àrios ecc.151.
In sostanza, Devóur Tamòšo coincide con la parte destra dell’antico solco di erosione delle acque un tempo correnti nel contiguo agâr, oggi pressoché asciutto. I mutamenti occorsi in epoca ignota all'Agâr di Macìlos e al suo regime torrentizio hanno fatto sì che l’area di erosione si trasformasse in un pregevole prato, oggi non più falciato ma ancora assai apprezzato dalle vacche al pascolo.

106. Dorotèo [in -]   Q1300, ✧SE Prato e forse campo in medio pendio [bosco]. Antropotoponimo, per l’it. Dorotea.

Dorotèo è solo un praticello, forse anticamente concimato, sopra CG e più precisamente sopra i campi di Prât (sic, v.).
Nome non frequente nell’anagrafe di Collina, Dorotea vi compare solo due volte. La “nostra” è probabilmente Dorothea ux. Georgius De Tamossis (?-1679), appartenente ad un ramo estinto dei Tamussin. Cognome quest’ultimo ancora oggi presente a Collina con alcuni nuclei familiari.
Le ragioni della titolarità del terreno/toponimo possono essere diverse, e non necessariamente alternative l’una all’altra: dote, vedovanza, agiatezza? Tutte insieme?
È probabile che almeno la vedovanza e una certa disponibilità economica siano coesistite. Dorotea muore probabilmente ultrasessantenne, avendo avuto solo due figli (eccezionale per quei tempi); inoltre, essa compare per quattro volte nei registri parrocchiali quale madrina di battesimo, ruolo che i genitori dei battezzandi tendevano comprensibilmente ad attribuire a persone relativamente benestanti152.
Conseguentemente, è pensabile che fra le proprietà di famiglia vi fosse anche il terreno in questione, magari portato in dote dalla stessa Dorotèo; oppure che il terreno, pur di proprietà comune, fosse dato in uso alla stessa donna o alla sua famiglia.

107. Duridùor [tal? -]   Q?, ✧S?. TU Duridor (CAT1801). Prato [?]. Toponimo di origine incerta, in assenza di riferimenti al luogo così definito. Forse dal verbo madurî = maturare (Sc168), dal lat. maturire con identico significato (REW5430)153.

Riportiamo per completezza un altro dei toponimi elencati nel catasto di epoca napoleonica e oggi del tutto desueti e dimenticati, oltre che di impossibile collocazione. Un edificio fantasma, insomma, che di sé non ci ha lasciato null’altro che questa ipotetica, debolissima traccia etimologica.
Il toponimo ufficiale “Duridor” parrebbe suggerire un originale collinotto Duridùor154, a sua volta forse aferesi di maduridùor, “maturatore” o “luogo ove si matura” (qualche cosa). Quanto al “qualche cosa”, il clima di Collina offre una discreta varietà di prodotti agricoli che non sempre giungevano a maturazione sullo stelo: potrebbe dunque trattarsi di canapa, oppure di cereali (la c.d. “maturazione di morte”, per l’eliminazione di parte dell’acqua dalla granella). In ogni caso, la maturazione avveniva al coperto, in luogo riparato dalle precipitazioni ma comunque ventilato.
In chiusura di questo lungo lavoro mi viene suggerita una terza possibile etimologia nel verbo urî = attingere (Sc340, dal lat. horire di identico significato, REW4082, 2), in particolare per il modo di dire lâ a(d) urî la cui d, meramente eufonica ma comunque invariabilmente presente (la pronunzia è adurî), darebbe comunque conto della d iniziale di Duridùor. Quest’ultimo come “luogo ove si attinge l’acqua”, dunque, prima che l’acqua stessa sia condotta in paese tramite i primi rudimentali acquedotti in legno, nella seconda metà dell’800.

108. Enfrâgos   Q1285, ✧SO.   Conifere, erbe e ghiaie in terreno accidentato [piante e arbusti]. Dal locale enfro = fra, in mezzo (Sc69) dal lat. infra (REW4410), e âgos = acque (Sc2) dal lat. aqua (REW570).

Sotto il profilo squisitamente etimologico, il nostro toponimo fa il paio con la cittadina piemontese di Entracque (CN, DT259), posta fra il torrente Gesso e ai suoi affluenti rivo Bousset e rivo Pramalbert, ed Entrêves in comune di Courmayeur (AO), fra la Dora di Vény e la Dora di Ferret. Più modestamente, a questi corsi d’acqua si sostituisce qui, nelle vicinanze della Fontano Nêro, il riù di Morarìot che si divide a circondare un lembo di terra di poche decine di metri quadri.
Una isoletta già microscopica, insomma, e sempre più precaria nel bel mezzo del sempre più impetuoso riù di Morarìot. Durante le piene, infatti, le acque del rio sono letteralmente sparate a valle dalle opere di irreggimentazione degli ultimi decenni che, cento metri a monte di Enfrâgos, hanno azzerato la naturale area di espansione.

109. Fàrio [de -]   Q1145, ✧S. Pascolo in valle in lieve pendio, con officina di fabbro [boscaglia, ruderi]. La fàrio è l’officina del fabbro (Sc73) dal lat. fabrica (REW3121, 2).

Attiva fino al secondo conflitto mondiale, la Fàrio era situata nella parte mediana di Mulìnos, poco al di sotto del Mulìn di Codâr.
L'obsolescenza dell'edificio e il progressivo abbandono del pascolo circostante hanno lasciato via libera ad una fittissima vegetazione spontanea, tanto che oggi gli stessi ruderi sono pressoché invisibili anche a distanza ravvicinata.
Oltre ad un cospicuo e crescente numero di aceri e frassini, la Fàrio oggi ospita nei suoi dintorni e all’interno incredibili quantità di ortiche e menta selvatica.

110. Fìtos [in -]   Q1290, ✧SE. Campi in medio pendio, poi prato [prato inselvatichito]. Da fìt = affitto (NP321, manca in Sc) volto al femm. plurale, dal lat. fictus = nolo, canone (REW3280), con il significato di “terre in affitto”.

Il toponimo, oggi del tutto obsoleto, corrisponde una piccola area compresa fra i campi di Stalatòn e di Masério.
Fìtos è un altro elemento della lunga lista dei fondi verosimilmente di proprietà della chiesa di s. Michele e concessi in affitto agli abitanti di Collina contro pagamento di un canone annuale (v. Valantùgnos).
Né la rendita fondiaria era l’unica fonte di reddito della piccola chiesa di Collina. A mezzo del cameraro, custode e gestore dell’intero suo patrimonio, la chiesa concedeva prestiti contro pegno a chi avesse necessità di disporre di denaro, la cui diffusione e soprattutto disponibilità non era a quel tempo particolarmente ampia.
I regesti tardo cinquecenteschi fanno intendere una gestione piuttosto rigida del regime di concessione dei terreni e dei prestiti in denaro, a fronte dei quali l’affittuario a sua volta impegnava campi e prati, come Antonio di Tamer: “A di 24 di settebrio. Antonio di Tamer è debitore alla giesia di santo michiael di culina adi impresto et p. li ficti di contadi lire cioè L.31 et per questi danari obliga uno campo(...)”. In altra parte dello stesso documento si ritrova traccia di chi giunge a impegnare ogni suo bene: “(...) michiael di tamer della cuetta è creditor alla dicta giesia di contadi L.22 obliga tutti li suoi beni mobili et stabili155.
Dietro questi commerci, iniziative, speranze, forse anche avventure, esattamente come per i cramârs che portavano in giro per l’Europa merce ottenuta a credito. Alcuni fecero fortuna, altri persero tutto e andarono pieni di vergogna ad arruolarsi, con ferme ultradecennali, negli eserciti che scorrazzavano per l’Europa.

111. Flurîts [ti -]   Q2178 (M. Floriz), ✧SO. TU monte Floriz. Pascolo alpino [id.]. Part. pass. plurale masch. di flurî = fiorire (Sc80), dal tardo latino florire (REW3380). Ne risulta il bellissimo e calzante nome di “Fioriti”.

In origine il toponimo identificava i prati oltre la Fòrcjo di Plumbs, verso l’attuale monte Floriz della TU e in territorio del comune di Paluzza.
Figlia della spettacolare fioritura dei rododendri sull’ampio declivio, la denominazione fu forse opera dei cramârs che in primavera, sulla via del ritorno dall’emigrazione stagionale, ogni anno varcavano la Fòrcjo di Plumbs attraversando i prati fioriti.
Con il tempo, il termine si estese a definire l’intera cresta scistosa compresa fra le due forcelle di Plumbs e Morarìot, così rientrando anche geograficamente entro i confini di questo lavoro.
Il toponimo ufficiale “monte Floriz” identifica la cima più elevata, localmente detta la Pico, della breve cresta: la cimetta più settentrionale, che incombe sulla Fòrcjo di Morarìot e sull'adiacente rifugio Marinelli è invece detta lu Pic (v.).
La sottile cresta costituisce la prosecuzione verso sud del grosso costolone del m. Chiadin (v. Cjadìn e Cjadinón), che si stacca dal massiccio del Cogliàns per poi congiungersi, proprio attraverso i Flurîts, al massiccio del m. Crostis.
L'intera cresta, geologicamente e morfologicamente omogenea, è costituita da micascisti scuri del Carbonifero che ospitano numerose varietà di flora alpina, anche rara. Il colore scuro della roccia e il verde della vegetazione contrastano violentemente con il bianchissimo calcare della retrostante e verticale parete sud della Creta Chianevate, creando uno splendido effetto scenico.
Non visibile da Collina, la Creta Chianevate (in tedesco Kellerspitz o Kellespitze) si trova in comune di Paluzza e pertanto non rientra nell’ambito di questo lavoro. Segnalo tuttavia come i due toponimi ufficiali, italiano e tedesco, abbiano la medesima origine: l’uno nel friulano cjanevate o cjavenate = cantinaccia, l’altro da keller = cantina e spitz = cima, per i profondi valloni che si aprono ai piedi delle precipiti pareti del monte.
Abbastanza curiosamente, fino al 1960-70 nella parlata di Collina non era in uso il toponimo friulano ma piuttosto quello tedesco. Soprattutto per l’influenza dell’italiano, oggi la situazione è certamente mutata: non si dice più lu Keleršpitz (con una l sola!), ma piuttosto la Cjanevàto.

112. Fontagnèlos [in -]   Q1300, ✧S. Coltivi e quindi prato in pendio ripido [prato selvatico]. V. lemma seguente, di cui è diminutivo pl. (lett. “fontanelle” o, più propriamente, “piccole sorgenti”).

Ampia zona oggi prativa poco a N dell’abitato di CG, fra Sorovìo e il bosco della Navo, con splendida vista tanto sui monti di Collina che sui monti che a occidente chiudono l’orizzonte. L’ottima esposizione e la prossimità al centro abitato fecero di Fontagnèlos terreno pregiatissimo anche sotto il profilo agricolo: “…Più un Campo Arativo di seme … locho chiamato in Fontagniele pertinenze di d.a Villa appo li suoi veri confini salvis …”156. Anche tanto ben di dio subì la trasformazione da coltivo a prato da sfalcio, prima del definitivo abbandono.
Il toponimo, di etimologia trasparente, è da riferirsi ad una piccola sorgente – fontagnèlo, ma forse un tempo ve n’erano più d’una – attiva da secoli ma con portata irregolare: dopo lunghi periodi di siccità tende a disseccarsi, ma è particolarmente abbondante dopo i periodi di pioggia e in primavera. La sorgente è ancora usata dal bestiame in transito verso l’alpeggio, tanto che, per raccogliere l’acqua e facilitare l’abbeverata, il pastore vi ha collocato una splendida (semi)vasca da bagno!

113. Fontano Nêro [de -]   Q1295, ✧SE. Sorgente in bosco resinoso quasi pianeggiante [id.]. Fontano = fontana o sorgente (Sc80), dal lat. fontana (REW3246); nêro è femm. di nìori = nero (v. Clanìori), per cui si ha lett. “fontana nera”.
Il toponimo definisce l’area circostante una piccola sorgente all’altezza di Enfrâgos, a pochi metri dalla riva dx del Riù di Morarìot, così detta per il luogo particolarmente ombreggiato e perciò in forte contrasto con le candide ghiaie del vicino rio.
 
114. Fontànos [in -]   Q1270, ✧S. Bosco resinoso in medio pendio [id.]. Plurale di fontano (v. il lemma prec.).

Di origine trasparente, il toponimo trova riscontro nelle numerose sorgenti che ne segnano il territorio, un bosco di proprietà comunale che da Creşadìço scende alla Ruvîš di Cércen e al Riù di Morarìot.
Piena cognizione dell’ingente numero di sorgenti di Fontànos si ha percorrendo il bel sentiero che dalla Siēo conduce alla Fontano nêro, laddove le numerose acque correnti possono talvolta creare qualche piccolo problema di attraversamento. Negli inverni freddi il ghiaccio forma qui vaste placche rigonfie dello spessore di qualche decina di centimetri: l’itinerario è sempre splendido e più che meritevole di essere percorso, ma… attenzione!

115. Foràns [tes -]   Q1080, ✧S. Prato [id. inselvatichito]. Dal lat. foramen = foro, apertura (REW3427), da cui il friulano foràm o foràn anche inteso come cavità, dolina o solco (NP333, manca in Sc).

Una volta di più, il toponimo è rivelatore della morfologia del terreno, a solchi longitudinali diseguali, come i graffi di una mano gigantesca.
Prati di valle fra i più lontani e disagevoli di CP157, posti poco sopra la confluenza del riù d’Ormèntos nel rio Fulìn, le Foràns scontano un dislivello di circa 100 m dal villaggio e dal fienile (se a CP: se a CG, altri 40...): dislivello naturalmente in salita, da percorrere con gerla e fascio di fieno sulla schiena e su un sentiero tutt’altro che agevole.

116. Foranùtos [tes -]   Q1080, ✧SE. Prato in medio pendio [boscaglia, latifoglie]. Dimin. del lemma prec. con analogo significato.

Circa la relazione fra etimologia e morfologia del territorio, vale quanto già espresso al lemma prec. Differiscono ovviamente dimensioni e posizione: le Foranùtos sono più prossime all’abitato di CP, trovandosi in corrispondenza dell’Agaràt, poche decine di metri al disotto di Virùncs.
Non sembra inverosimile attribuire all’Agaràt, o comunque a generose ruscellazioni della medesima provenienza, la formazione delle Foranùtos, successivamente trasformate in prato da sfalcio.

117. Fòrcjo di Vitòrio [la -]   Q2155, ✧NE/SO. Prateria alpina, rocce in forte pendio [id.]. Vitòrio è il nome proprio “Vittoria” in collinotto.

Vitòrio, al secolo Vittoria Tolazzi (1884-1960) ma per i numerosi nipoti e pronipoti gna Vitòrio (zia Vittoria), gestì il rif. Marinelli alla Fòrcjo di Morarìot insieme al fratello Edoardo, maestro e guida alpina, negli anni 1923-1940 quando il rifugio stesso era ancora denominato Ricovero.
Più che duro il lavoro al Ricovero, ma per la devotissima gna Vitorio il cruccio più autentico della vita in rifugio era il non poter assistere alle funzioni religiose. E se non bastasse, la gna era privata persino della vista della chiesa, giacché Collina non è visibile dal rifugio o anche dalla vicina Fòrcjo di Morarìot, né tantomeno è visibile la chiesa, situata più in basso rispetto all’abitato.
Ragion per cui tutte le sere, all'ora dell'Angelus, gna Vitòrio prendeva le nipoti schierate e le trascinava – in senso ovviamente figurato ma molto, molto prossimo al senso letterale… – verso la selletta che mette in comunicazione la vallata di Morarìot con il Cjadinón, passaggio oggi attraversato dal sentiero Spinotti. Là, in vista (e, vento aiutando, udito) della chiesa lontana in fondovalle, zia e nipoti recitavano insieme il rosario per poi fare ritorno al rifugio158.
Naturale che la selletta fosse ribattezzata dalle riottose ragazze la Sièlo di gna Vitorio. Caduto lo gna è rimasto la Sièlo di Vitòrio, come ancora oggi può farsi raccontare ogni escursionista che, a distanza di quasi cent’anni, faccia sosta al Ricovero Marinelli.

118. Frantûl [tal -]   Q1360, ✧S. Tratto molto ripido di sentiero [id.]. Dal lat. frangere = rompere (REW3482).

La denominazione identifica solo un breve tratto, lungo il costone fra Ruvîš e Masério, della strado des ùolğos che da in Ğùof scende in Stalaton e a CG.
Il toponimo si riferisce probabilmente alla terra profondamente solcata dai pattini delle slitte che portavano a valle il fieno dai numerosi prati di mont nell’area occidentale del “monte del fieno” (v. Creşadìço).

119. Frints [in -]   Q1425, ✧SE. Prato in medio pendio [id. inselvatichito]. Frint è la fronda di latifoglia tagliata (Sc84)159, dal lat. frons, fronde (REW3532).

Ricavata al centro del grande bosco della Navo e dotata nella sua parte inferiore di un grande fienile con stalla, la grande radura di Frints costituiva la più vasta area prativa di tutta Collina. Da qui il fieno era trasportato a valle attraverso un sentierino fino al Frantûl, e di qui lungo la strado des ùolğos che scendeva in Stalatòn e a CG.
Il toponimo si rifà probabilmente all’abbondanza di fronde in loco, forse nella zona perimetrale della radura, oppure con riferimento al grande numero di piante tagliate all’epoca del disboscamento.

120. Fulìn [tal -]   Q1110, ✧SO. Area boscosa di attraversamento di corso d’acqua con attività artigianali [id., ruderi]. Per l'etimologia, v. il lemma seg.

L’area identificata dal toponimo è quella che circonda il ponte sul rio omonimo (v. il lemma succ.) lungo la strado di Créts.
Importante chiave del sistema di comunicazione locale, il ponte del Fulìn subì non poche traversie nell'arco delle sue molte vite: nella sua attuale struttura il ponte ha “solo” 130 anni ma, trattandosi del punto critico dell’unica via di comunicazione di Collina con il fondovalle, i suoi predecessori – tutti in legno – nell’arco di sette secoli dovettero essere particolarmente numerosi.
L’ultima costruzione (1876) fu accompagnata da discussioni e polemiche circa modalità costruttive e materiali da adottare (muro semplice o pietra), e soprattutto intorno alla spesa da sostenere. Il ponte fu infine costruito in pietra martellata, con una spesa di Lire 14300. “Se il ponte veniva costruito dal I° progetto, la piena del 28 8bre 1882 l'avrebbe portato via tutto160. La piena fece comunque considerevoli danni: “…rovinò la spalla sinistra, e alla destra l'acqua passava sopra il ponte161.
L'ambiente è verdissimo e ombroso, ma incassato fra ripidi pendii e per lunghi mesi completamente senza sole: il detto popolare san Valantìn lu sarìoli tal Fulìn – “a san Valentino il sole nel Fulìn”, uno dei numerosi esempi delle effemeridi applicate alla microtoponomastica – è esplicito, più di ogni descrizione.
Pur non nelle immediate vicinanze dell’abitato, entrambe le sponde del corso d’acqua furono nel Fulìn sede di varie attività proprio grazie al corso d’acqua. Oltre alla ipotizzata follatura, grazie all'ampia disponibilità di materia prima (candida pietra calcarea) nel greto del rio poco prima del ponte la sponda dx fu sede di un forno da calce (la Cjalcinêro dal Fulìn). Oltrepassato il ponte, intorno alla metà del secolo scorso sulla riva sx fu invece costruita una segheria, azionata dall'energia di un salto d'acqua artificiale in prossimità del ponte stesso. Attività già in ritardo sui tempi e ben presto destinata all'obsolescenza: infine, a non molti anni dalla sua costruzione un incendio distrusse l'edificio, di cui oggi rimangono pochi ruderi.

121. ⇑ Riù dal Fulìn [lu -]   Q1135-770, ✧SO. TU Rio Fulìn. Corso d’acqua perenne [id.]. V. Riù, mentre Fulìn sta forse con il tardo lat. folinum = mulino da follone162, a sua volta da fulo -one = follone (REW3562).

Non è chiaro a chi spetti la progenitura di Fulìn, se al toponimo o all'idronimo. La attribuisco al rio in quanto elemento imprescindibile nell'ipotizzata processo di lavorazione che grazie ad esso era effettuato. In effetti la consistente portata del rio (v. più avanti), il corso poco ripido dove il rio stesso formava grandi pozze d'acqua calma e assai profonda, nonché la breve distanza dal Plan de Argìlo avrebbero effettivamente agevolato l’operazione di follatura dei tessuti, forse nella stessa località Fulìn. Il quadro sembra effettivamente verosimile e coerente, dall'etimologia alla lavorazione alla logistica, ma va pur precisato che a Collina di questa attività non v'è memoria.
Il corso d’acqua assume la denominazione di Fulìn dopo la confluenza del riù di Cuéštos nel riù di Morarìot. Con la nuova denominazione e un cospicuo incremento di portata il rio percorre la parte inferiore della valle per poi confluire a sua volta nel Degano a Puint Cuvièrt, dopo un percorso di circa 3 km. Il sistema Riù di Morarìot-Fulìn è dunque il corso d’acqua principale dell’intera vallata che ospita le frazioni di Sigilletto e Collina163, e che a buon titolo può chiamarsi valle del Fulìn.
Non fu di questa opinione il topografo redattore della Kriegskarte, che anzi capovolse completamente l’approccio toponomastico privilegiando i centri abitati e legando a questi i nomi dei luoghi: niente Fulìn, dunque, ma “Rio di Colina”164, quasi a sottolineare la stretta relazione fra il rio e l’abitato che caratterizza la parte superiore del corso.
Le acque del rio sono oggi interamente captate proprio in località Fulìn, in prossimità del ponte, e avviate tramite condotta forzata alla centrale elettrica di Puint Cuvièrt.

122. Fùos [in -]   Q1230, ✧E. Campi e prati in medio pendio [prato inselvatichito]. È il corrispondente al friul. fôs (NP337) o fòus (NP338) con il significato di “cavità”, “gola” (di monti), “valle angusta”, dal lat. faux = fauce (REW3225).

L’etimologia ha un riscontro ben visibile dal ponte di CP sul Riù di Cuéštos, dove in corrispondenza di Fùos il rio esce da una gola stretta e incassata formando una cascatella artificiale che forniva il movimento a un’officina nei paraggi.
Il luogo si trova al margine destro di chi osserva dal basso l’ampio piano inclinato di Cjamavùor, là dove il pendio si interrompe bruscamente per scendere ripido al sottostante rio. Qui il coltivo faceva luogo al prato, come puntualmente evidenziato dall’atto di fine Seicento che registra: “Ittem di piu uno altro pratt in detto logo chiamatt in Fuoss p: d.ti 15”165.
In Fùos era punto di sbocco in alto della vio Montareço, che dal vecchio ponte di Riù saliva ripida al dolce e uniforme declivio di Cjamavùor.

123. ⇑ Rònc di Fùos [lu -]   Q1230, ✧E. Ripida radura in bosco resinoso [id.]. V. Rònc e il lemma prec.

Il Ronc di Fùos costituisce la continuazione di Fùos verso NE e dentro l’impluvio del Riù di Cuéštos, fino alla Grataròlo.
La considerevole pendenza, e soprattutto la meno favorevole esposizione del terreno rispetto a Fùos riducono considerevolmente la fruibilità di questo rònc, ridotta a prato marginale e a bosco.

124. Furcjìto (da Tórs) [de -]   Q990, ✧N-S. Bosco resinoso in medio pendio [id., attraversato da strada carrozzabile]. Dim. di fòrcio = forca o forcella alpina (friul. fòrcje NP334, manca in Sc), dal lat. furca (REW3593)166.

Nell’uso comune generalmente si omette la specificazione da Tórs, minuscola frazione di Rigolato lungo la strado di Créts, in quanto Furcjìto è di per sé univoco e senza possibilità di malinteso.
La Furcjìto è una piccola insellatura posta sulla parte inferiore della lunga dorsale che dalla vetta del m. Crostis scende alla Fòrcjo de Bióucjos e di qui, attraverso Cjaso Boreàn, Spelât, Gòto e Ğùof, all'immissione del rio Fulìn nel Degano. Il passaggio della Furcjìto assunse un certo rilievo dopo l’apertura della strado di Crèts, che qui scavalca la sopracitata dorsale abbandonando la valle del Fulìn per calarsi rapida nella valle del Degano sfiorando l'abitato di Tors.
Trovandosi lungo la linea di confine naturale fra i territori di Collina e Givigliana, anche la Furcjìto fu oggetto di attenzione in sede di demarcazione definitiva dei confini fra i due “Ond. Comuni di Giviana, e Colina…dichiarando, che previo il sopra luoco praticato nel giorno primo corrente… è stata in confine ritrovata, e fissata da nuovo una Croce scolpita in pietra in essa “Forchetta”“ (v. Gòto e relativa nota).
La “Forchetta” del testo settecentesco è per l’appunto la nostra Furcjìto, segnata con la citata pietra con croce scolpita, che a sua volta costituisce il segno confinario ripetuto in gran numero lungo l'intero percorso.

125. Furcùço [de -]   Q1625, ✧E-O. Prato ripido [id., inselvatichito]. V. il lemma prec., di cui Furcùço è una variante, sempre diminutivo di fòrcjo.

Il toponimo corrisponde ad una forcelletta sul lunghissimo costone che da Crèto Blàncjo scende a Belvedère e, molto più in basso, alla Caròno di Colarìot e infine al rio Fulìn.
Luogo tanto insignificante nell’apparenza quanto rilevante nell’economia agro-silvicola, la Furcùço giocava un ruolo assai importante per il transito di contadini, pastori, e boscaioli. E anche, almeno per un certo periodo, di soldati diretti alle postazioni di Crèto Blàncjo, giacché la Furcùço era il punto di ricongiungimento della strado des ùolğos che saliva dalla Basso, e della Strado di Soldâts che saliva da Cjalgjadùor.

126. Gjarsìot [tal -]   Q1320, ✧O. Ghiaie, bosco e cespugli in terreno poco inclinato, con numerosi massi sparsi [id.]. Da gjardon = scardaccione (Sc91) dal lat. carduus = cardo (REW1687)167 + il consueto suffisso collettivo –ìot caratteristico dei fitotoponimi, a indicarne l’abbondanza.
Gjardón
Gjardón
(foto commons.wikimedia.org).

Rispetto a una pur verosimile etimologia in *kar (per terreno arido e sassoso, similmente a Cjars-Carso) si è privilegiata quella “vegetale” soprattutto per la presenza del collettivo -ìot caratteristico e a Collina esclusivo dei fitotoponimi (Colarìot, Pecìot ecc.).
Nel suo repertori della parlata di Collina Scarbolo circoscrive il significato di gjardón (con origine che fa risalire al lat. cardone REW1685, che sempre cardo è) al solo scardaccione, interpretazione che appare tuttavia riduttiva e poco verosimile. Anzitutto è poco verosimile che il villico d'antan – italico o furlano, montanaro o bassaiolo che fosse – avesse tempo e modo di sottilizzare fra cardi, cirsi e scardaccioni, tutti accomunati sub voce spinosissima cardo-gjardon. Poi vennero il benemerito Linneo e altri ancora, e furono (stat nomen post rosam...) cardus, cirsium e dipsacum, appunto le piante spinosi di cui sopra. Piante tutte presenti e abbondanti a Collina a eccezione proprio del dipsacum- scardaccione, specie mediterranea non presente nell'areale alpino tant'è che non risulta rilevata in Carnia da Luigi e Michele Gortani nel loro sistematico lavoro sulla flora friulana e carnica168. Nella zona di Collina fu invece dai Gortani accertata la presenza di tutte le specie di Carduus (cardo) a eccezione della var. crispus, mentre del genere Cirsium (cirso) furono avvistati tanto l'arvense che lo spinosissimum169.
Insomma, gjardóns in abbondanza.
Ancora oggi e proprio nel Gjarsìot è particolarmente diffusa la presenza di Cirsium spinosissimum, e se si considera che come pochi altri luoghi il Gjarsìot è rimasto proprio per il difficile habitat, pietroso e arido pressoché allo stato pristino, il panorama odierno non deve essere dissimile da quello da cui scaturì il nome.
Trovandosi allo sbocco in fondovalle dei canaloni che scendono dal Canale al Capolago, al Volaia e all’intero versante O del Cogliàns, l'insieme del Giarsìot costituisce l'autentica “discarica geofisica” dei monti che lo sovrastano. Nei millenni, valanghe, piene e frane hanno scaricato e continuano a scaricare qualunque “cosa” soggetta alla legge di gravità si trovi lassù in alto: acqua e neve, ma anche detriti, alberi sradicati, massi di dimensioni più che considerevoli e quant’altro si possa immaginare170.
Luogo inospitale, dunque? Non del tutto, e non dappertutto. In alcune sue parti l’ambiente è certamente selvaggio, ma pur sempre dotato di un fascino un po' particolare, un che di quasi primordiale a due passi da casa.

127. Glèrio [in -]   Q1170. ✧S. Prato e coltivi in pendio dolce, con abitazione (AP93, 97) e fienili [prato inselvatichito attraversato da strada comunale, edifici in stato di abbandono o diruti]. Glèrio = ghiaieto, banchi di sabbia nel torrente (Sc96), dal lat. glarea (REW3779).
 1960. I prati di Glèrio con il Cogliàns
1960. I prati di Glèrio con il Cogliàns.

Il toponimo si deve al substrato ghiaioso/roccioso dei prati, dove qua e là affiorano numerose pietre, anche di considerevoli dimensioni.
A dispetto del sottofondo e pur frazionata fra numerosi proprietari, l’ampia zona prativa di Glèrio era fra le più pregevoli di Collina, poiché all’eccellente esposizione e al dolce pendio – decisamente inusuale per gli standard collinotti – aggiungeva il facile e comodo accesso (è posto lungo il sentiero, oggi strada, che da CP porta alla chiesa) e la prossimità agli abitati di CP e CG.
Dopo la fine di ogni attività agricola anche in Glèrio di pregevole è rimasto solo il superbo panorama, certamente fra i più ampi del fondovalle: senza alcun ostacolo l’occhio corre dalle cime scistose e coperte di parti del Pic di Gòlo e del Cjadìn ai calcari del Cogliàns e della Crèto di Cjanâl fino al Sasso Nero, e quindi alla cima di Crèto Blàncjo per poi chiudere il giro d’orizzone con i monti del Comelico e infine la catena del Plèros.

128. Gòlo di Martìn [la -]   Q1900, ✧S. Ripidissime rocce friabili e sfasciumi [id.]. V. Gòlo; Martìn è “Martino”. Antropotoponimo, dunque, per “Gola di Martino”.

Delle numerose gole che solcano il ripido pendio fra i Bùrgui e Ombladìot, e che danno origine al riù di Cuéštos, quella di Martìn è la seconda da sx (E), immediatamente dopo la Gòlo di Tòni di Tàmer.
Martino è nome decisamente poco frequente nell’anagrafe di Collina. A meno che il toponimo non sia anteriore al 1600 (piuttosto improbabile, v. qui di seguito), l’identificazione di Martin è circoscritta al solo Martino di Leonardo di Sopra, di cui è noto solo l’anno di matrimonio (1703). Altri due Martino presenti in anagrafe (sempre di Sopra, nipoti del nostro) morirono entrambi infanti. E l’angusto vicolo alla ricerca dei Martìn di Collina si chiude qui.
D’altra parte, fra tutte le ipotesi circa la ragione dell’accostamento di Martìn alla gòlo mi sembra di poter escludere proprio la più immediata e intuitiva – la proprietà – giacché il possesso di un dirupo angusto e scosceso mi sembra del tutto improbabile.
Si tratta dunque di un toponimo probabilmente “inventato” da cacciatori, ciò che fa più verosimile l’ipotesi dell’evento straordinario, reale o inventato che sia (caduta, aneddoto, burla e quant’altro), ai danni di un Martin cacciatore (sic) non di Collina, del quale si sono perdute le tracce.

129. Gòlo di Tòni di Tàmer [la -]   Q1900, ✧SE. Pendio molto ripido a erbe e sfasciumi [id.]. V. Gòlo, mentre Tòni sta per Antonio; Tamer o di Tamer è un'antica famiglia di Collina. Antropotoponimo analogo al precedente, per “Gola di Antonio di Tamer”.

La gola di Toni di Tàmer, che dalla Fòrcjo di Ombladìot scende direttamente ai pascoli di Cjampēi, è quella più a E fra quelle ove trova origine il riù di Cuéštos.
È toponimo speculare al precedente tanto sul terreno quanto, con tutta probabilità, nella genesi. Tuttavia, a differenza del misterioso (e probabilmente foresto) Martìn dell’altra gòlo, il titolare di questa, Tòni di Tàmer, non può che essere originario di Collina.
La famiglia Tamer, antico cognome endemico collinotto portato dalla famiglia storicamente più in vista e più ricca del paese, si è estinta da pochi anni nella sua terra d’origine, mentre grazie agli emigrati sopravvive fuori Collina. Dalle origini dell’anagrafe a oggi vi sono registrati ben 8 Antonio di Tamer, dal 1612 al 1818 (quest’ultimo probabilmente morto infante). Naturalmente, nulla si sa dei secoli antecedenti l’avvio dell’anagrafe (fine del 1500), quando certamente i di Tamer erano già presenti a Collina171.
Non siamo quindi in grado di definire a quale Antonio si riferisca il toponimo né, al di là dell'agiatezza della famiglia, la ragione di tanto onore172. Una volta di più, valgono le analogie con il lemma prec. (anche questo di Tòni di Tàmer è un toponimo inventato da cacciatori, e non da contadini) e con le ipotesi per quello avanzate quanto a possibili origini.

130. Gòto [te -]   Q1475, ✧O. Bosco resinoso in medio pendio [id. attraversato da strada forestale]. Gòto è la goccia (Sc99) dal lat. gutta (REW3928).
Pietra di confine fra Collina e Givigliana lungo la Gòto
Pietra di confine fra Collina e Givigliana lungo la Gòto. Scolpita su un lato è parzialmente visibile l'anno di posa, 1765 (foto dell'autore).

L’origine del toponimo è nel caratteristico modo di dire locale gotopendent (goccia pendente) a indicare la displuviale dove la “goccia” è costretta a pendere da una parte o dall’altra, espressione particolarmente in uso all’atto della fissazione di confini di proprietà.
Un’altra interpretazione, propostami a Collina e di cui dò conto seppure non ritenendola prioritaria rispetto alla prima, fa risalite Gòto-goccia a una piccola sorgente, oggi disseccata, che si trovava qui.
Della prima ipotesi, oltre all’espressione tuttora in uso nella parlata di Collina, abbiamo ampia e dettagliata testimonianza in un documento con il quale nel 1765 Collina e Givigliana pongono termine ad un contenzioso plurisecolare circa i loro confini.
Spartiacque fra i bacini del Fulìn e del Degano, la dorsale che dalla vetta del m. Crostis scende alla confluenza dei due corsi d’acqua e lungo la quale si trova la nostra Gòto costituisce per un lungo tratto il confine naturale fra i territori di Collina e Givigliana nonché, in tempi più recenti, fra i rispettivi comuni di Forni Avoltri e Rigolato. Di qui la disputa che in questi paraggi visse momenti di tensione autentica e tangibile (altro che!).
Il contenzioso – o, per meglio dire, l’autentica lite – fra Collina e Givigliana circa i confini fra i rispettivi territori durò, come si è detto, secoli: dal primo arbitrato noto, risalente al 25 agosto 1482, si dovettero attendere quasi 300 anni prima di giungere ad un accordo definitivo, il 9 giugno 1765. Da quanto si può supporre, anni e secoli non facili, e neppure tranquilli.
Collina deve trasportare a valle il legname dei propri boschi, e la via più breve passa oltre lo spartiacque. Givigliana abbisogna di acqua per il bestiame al pascolo, e le sorgenti più prossime si trovano anch'esse oltre lo spartiacque. Purtroppo, in entrambi i casi, quell’”oltre” significa dall’altra parte, quella sbagliata!
Per lustri, decenni e secoli volarono carte notarili e parcelle avvocatali, come pure – si può facilmente immaginare – botte e ritorsioni, di qua come di là. A spingere i plurisecolari contendenti verso un accordo definitivo non furono tuttavia ceffoni e legnate, che pure non mancarono, ma soprattutto le parcelle avvocatali.
Comecché da tanti anni è corso un lungo litiggio con gravi spese fra al'Ond. Comuni di Colina da un canto, e di Giviana dall'altro appare (…) che per continuare detta causa (…) sarebbero nel caso di maggiormente incontrarsi in spese tali, che alle parti stesse sarebbero d'un grande impegno, e nocumento”.
Così recita la Transazione dei Confini tra Givigliana e Collina, redatta da Niccolò Vidale Pubblico Nodaro di Veneta Autorità federale e sottoscritta nel 1765 dai rappresentanti delle Vicinie delle due Ville173.
I confini sono descritti minuziosamente, e altrettanto accuratamente marcati sul terreno con croci scolpite nella pietra lungo la sottile “Gotta” che dalla Fòrcjo des Bjóucjos attraverso Cjaso Boreàn scende al Degano a Puint Cuvièrt: “…indi prosseguendo per la Gotta sino al piè del “Piano di Piertia” fu scolpita in pietra una nuova Croce; finalmente discendendo per la detta Gotta sino al piano del “Zovo” fu ijssata, e scolpita in pietra una Croce; e indi pure per la Gotta sino al Ponte coperto, che servirà p. estremo confine174.
Oggi la “nostra” Gòto è solo un luogo, un semplice punto sulla Gotta settecentesca lungo la quale sono ancora qua e là oggi visibili le “croci scolpite in pietra” colà deposte nel 1765. Luogo riconoscibilissimo a chi percorre la strada forestale che si dirama al Bevorcjàn in direzione di Givigliana, in quanto la strada aggira qui il costone cambiando, in poche decine di metri, completamente esposizione, da NO a SO, per poi scendere velocemente verso il Ğùof e Givigliana.

131. Grataròlo [te -]   Q1280, ✧E. Bosco in terreno roccioso e friabile [id.]. Il toponimo è da mettere in relazione con gratâ = grattare (Sc100) dal tedesco kratten (REW4764), con riferimento allo stato del suolo.

Il suolo come una grattugia, su questo pendio boscoso che scende al Riù di Cuéštos, fra il Rònc di Fùos e di prati di Cuéštos. E certo saranno state le sue rocce friabili e acuminate ad ispirare l’accostamento allo sfortunato boscaiolo che forse ne sperimentò di persona il potere abrasivo.
Dalla Gratarolo proveniva l’acqua per gli abbeveratoi di CP, prima della costruzione dell’acquedotto di Sarmuàlos che oggi serve entrambi i borghi.

132. Gràtolos [tes -]   Q1660, ✧N. Bosco resinoso in pendio ripido [id.]. La gràtolo è la rastrelliera per i piatti (Sc101) dal lat. cratis = grata (REW2304).

Denominazione caratteristica e assai calzante, a descrivere un piccolo e ripido pendio boscoso interrotto da brevi pianori sopra le Valùtos. L’immediato richiamo alla gràtolo della cucina carnica, per lo più in legno e appesa al muro, viene precisamente dagli stretti gradini orizzontali che, visti dal basso, richiamano da vicino i bastoni trasversali sui quali sono appoggiati i piatti.
Un altro esempio, questo, della grande capacità di osservazione – e soprattutto della inesauribile fantasia – dei boscaioli e dei pastori, chiamati ad un rapporto quotidiano con il territorio e i suoi segreti e capaci di trasformare le più semplici caratteristiche del bosco o del prato in immagini vivissime. E, ciò che è ancor più sorprendente, immagini ampiamente condivise e fatte proprie dalla popolazione tutta, tanto da entrare nell’uso comune.

133. Ğùof [in -]   Q1770, ✧S. Prati in medio pendio [id. inselvatichiti]. Ğùof è il giogo (Sc104) o, in senso figurato, l’incollatura sul crinale dei monti, dal lat. jugus (REW4610). Qui è probabilmente inteso nel senso letterale.

Non è solo il curioso gioco delle preposizioni – sul, a, o in – a separare toponimi altrimenti identici, né la pur considerevole distanza a separare i luoghi. Al contrario, è la solo formale comunanza etimologica ad allontanare i toponimi (in particolare questo, in Ğùof), proiettandoli in dimensioni fra loro lontanissime.
Unico fra tutti i ğùofs di Collina, in Ğùof è figlio non della morfologia del territorio (non c’è nulla nei dintorni che assomigli a un valico, o a un semplice costone), ma bensì dei gioghi veri, quelli posti al collo dei buoi che venivano fatti salire fin quassù, fra i prati di Frints e i pascoli di Cjampēi, a condividere le fatiche dei contadini e, almeno in parte, ad alleviarle.
Si può ben capire quanto pericoloso fosse l’impiego dei buoi – più adusi all’aratro in valle e quindi su pendenze meno impegnative – in condizioni come queste. Anche questo esercizio ebbe termine intorno agli anni ’30 del secolo scorso quando, complice la esasperata frammentazione della proprietà fondiaria, in tutta Collina l’impiego degli animali in agricoltura fu sostituito da gambe e braccia umane.

134. Ğùof [sul -]   Q1170, ✧O. Bosco rado quasi pianeggiante [Bosco resinoso, poi disboscato]. V. il lemma che precede, ma qui ğùof è con il significato figurato di incollatura lungo un crinale montuoso.

Toponimo generico assai comune a Collina, è diffusissimo in tutte le aree montane, dal passo dei Giovi – porta d’accesso a Genova e al mare per chi proviene dalla pianura nord occidentale – ai nostrani Iôf Fuàrt e Iôf di Montasio175.
Al pari della sottostante Furcjìto e di molti altri luoghi, dalle Bjóucjos a Puint Cuvièrt, il Ğùof è situato lungo la “Gotta” dei documenti settecenteschi, la lunga dorsale che dalla vetta del m. Crostis scende all'immissione del riù dal Fulìn nel Degano (v. anche Gòto e Cjàso Boreàn). Naturalmente anche in questo luogo fu posto un cippo nel corso dell’ormai nota definizione dei confini fra Givigliana e Collina: “…più continuando da piè del piano del “Zovo” da mezzodì fu di nuovo scolpita altra Croce… “176.
È questo dunque l'antico “Zovo”177 attraversato per secoli dalla principale via di comunicazione dal fondovalle del Degano a Collina e viceversa. Come già accennato nel capitolo dedicato alle vie d'accesso a Collina, il percorso correva e corre interamente sul versante meridionale (sx) della valle del Fulìn, versante opposto a quello dove si trovano tutti gli abitati, da Frassenetto a CG: da CP la via scende al Fulìn, e attraverso il Ğùof, Givigliana, Stalis, Vuezzis e Mieli raggiunge Comeglians, e quindi il fondovalle del medio Gorto e la stessa Pieve.
Via certo disagevole, certo non ampia e men che meno soleggiata, esposta com'è interamente a nord perlomeno dal Fulìn al Ğùof. Ma anche via breve, a quota poco elevata e soprattutto relativamente sicura: comunque molto più sicura del sentiero attraverso i numerosi corsi d'acqua e le frane del versante opposto.
Infatti fino ai primi decenni del XX secolo, ossia alla costruzione della strada carreggiabile di Créts, questo percorso rimase il solo attraverso il quale fosse possibile o avesse senso il trasporto di merci fra Collina e il fondovalle (trasporto rigorosamente a dorso di donna, come scrisse Eugenio Caneva nella perorazione per la costruzione della stessa strada di Créts). Il sentiero sull’opposto versante della valle, fra Collina e Forni Avoltri, oltre che assai pericoloso (v. Ruvîš) era pure sostanzialmente inutile a fini "commerciali", terminando in una sorta di cul di sacco178. Per quanto concerne invece il trasporto del legname, storicamente la principale risorsa di Collina, la via del Ğùof semplicemente non aveva alternativa.
In luogo di questa via plurisecolare, fino a ieri splendida passeggiata nel bosco da Collina a Givigliana, corre oggi un strada carrozzabile tanto ampia quanto inutile, non ancora asfaltata ma, secondo progetti e "necessità", prima o poi tale...
Senza commento.

135. Ğùof dabàs [a -]   Q1710, ✧S. Insellatura prativa [erbe alte, ontani]. V. il lemma prec. + la prep. dabàs-di sotto.

Il toponimo indica una modesta insellatura che si trova lungo la Strado di Soldâts che da CP sale in Belvedère, poco oltre la Furcùço.
Insignificante sotto il profilo morfologico, Ğùof dabàs era tuttavia crocevia di una certa importanza. Oltre al transito della citata Strado di Soldâts, di qui si dipartiva a sx di chi saliva (O) un sentiero per Navos e l’Infièr, mentre a dx si staccava un altro sentiero in direzione delle Cjanalètos. Tutti i sentieri risultano ormai impercorribili a a causa dei fittissimi ontani che si accalcano sui tracciati, ricoprendone l’intero percorso: la stessa Strado di Soldâts che nel bosco e fino alla Furcùço costituisce una comoda passeggiata vede la pur ampia carreggiata interamente invasa dagli àmblis.
Si tratta di un fenomeno ben noto a chi percorre i vecchi sentieri in disuso: l'interruzione della pendenza del declivio (il “gradino” del sentiero) costituisce una posizione privilegiata dove gli ontani si installano rapidamente, e con grande facilità.
Al tempo in cui i sentieri erano regolarmente percorsi per la fienagione o altre esigenze connesse all’uso del territorio, la loro manutenzione era necessariamente assidua, pena l'intransitabilità del percorso. Tale funzione di pulizia e riaggiustamento viario era strettamente regolamentata mediante turni fra la popolazione, e chi non era in grado di prestare la propria opera o di farsi sostituire era chiamato a versare alla cassa comune il corrispettivo della giornata di lavoro.
Guof dabàs era luogo di mèdos, le biche dove era accatastato il fieno raccolto nei dintorni in attesa del trasporto invernale a valle, lungo la strado des ùolğos che scende a CP. Nessuno può dire con esattezza quante mèdos sorgessero quassù: si dice non meno di dieci o dodici, a significare quale fosse il contributo dei prati di mont all’economia rurale di Collina.

136. Ğùof dadàlt [a -]   Q1750, ✧S. Insellatura prativa [erbe alte, ontani]. V. i lemmi che precedono, mentre dadàlt = di sopra.
È il “fratello maggiore” di Ğùof dabàs, del quale si trova poche decine di metri più avanti e pochi metri più in alto, lungo la Strado di Soldâts.Dabàs e dadàlt identificano appunto posizione e quota lungo il medesimo percorso.
 
137. Infièr [tal -]   Q1525, ✧SO. Prato in ripido pendio [prato inselvatichito, boschina mista e ontani]. Infièr è l’inferno (Sc113) dal lat. infernus (REW4397).

A stretto rigore il toponimo dovrebbe declinarsi al plurale, Infièrs, in quanto si tratta di una serie di prati di varie dimensioni separati da scoscendimenti, agârs e ogni sorta di ostacolo. Uno per tutti, dagli Infièrs soprastanti l’Infièr Adàlt (quindi gli “Inferni sopra l’Inferno alto”!) il fieno era gettato di sotto per un canalino verticale e raccolto più in basso.
Il toponimo, davvero splendido e terribile nella sua immediatezza, si deve tanto all'esposizione del luogo, in pieno sole per tutto il meriggio, quanto alla protezione dalle correnti d'aria. Nel periodo della fienagione, il risultato è una sensazione di caldo opprimente, esaltata da una presenza di insetti veramente straordinaria: il sole martella senza requie e il terreno irraggia anch'esso il calore che non riesce ad assorbire. In una sola parola, un autentico inferno179.
Il luogo era raggiunto da un sentiero che prendeva avvio in Cjalgjadùor e, aggirando a O il costone e muovendo verso N, portava in Navos e agli Stuàrts per giungere infine all’Infièr abàs (costituito da due grandi prati) e infine, oltrepassato il piccolo Agâr dal Infièr, all'Infièr adàlt.

138. Larğàt [dal -]   Q1650, ✧SO. Pascolo alpino [id.]. Larğàt è spregiativo di larç = larice (Larix decidua), dal lat. larix, larice (Sc155, REW399).

Il larice in questione (o ciò che di esso rimaneva) si trovava esattamente là dove il sentiero per il rif. Marinelli, che si stacca dalla strada forestale alla Cunfìn, si ricongiunge alla strada stessa, poche centinaia di metri a valle della casera di Morarìot. Un autentico punto di riferimento, ben visibile da chi percorresse la strada fino a pochi decenni addietro.
Il passato è di rigore in quanto il larğàt (così detto perché già schiantato da un fulmine, e ridotto ad un moncone contorto) è letteralmente scomparso negli ultimi anni del secolo scorso. Rimane a sua memoria il Larğàt toponimo, finché anch’esso non consumerà i suoi giorni, cancellato dal territorio e dalla memoria.

139. Laštròns [ju -]   Q1850, ✧S. Roccia nuda quasi verticale [id.]. Laštròns è l’accrescitivo plurale masch. di làštro (v. il lemma succ.), qui con il significato di “lastroni di roccia”.
Con i Laštròns abbiamo un altro esempio di denominazione esclusivamente a distanza, senza alcun contatto fisico con il luogo. Il toponimo identifica infatti una lastronata di roccia, fortemente inclinata, che costituisce il contrafforte SE del Cogliàns (v. Siélo) precipitando sui pascoli di Cjampēi di Clàpos e del Cjadìn180.

L'origine del toponimo è probabilmente contestuale alla nascita del detto, ancora assai popolare fra i Collinotti meno giovani, quant ch'i lûš ju Laštròns 'e ven la plójo (quando luccicano i lastroni viene la pioggia).
Senza entrare nel merito di tutta la meteorologia casereccia, che ci porterebbe assai lontano (quant cu lu Cogliàns 'al à lu cjapiel…, quant' c'al paro in ju…, quant c'al paro in su…, quant c'al ven di Cumèli…), i Laštrons meritano davvero due righe, in quanto la relazione fra toponimo e meteorologia è, direi, inscindibile (senza la seconda, il primo non avrebbe forse ragione di esistere). Galeotto fu l'orientamento: i Laštrons sono orientati a SE, così che visti da Collina sembrano riflettere – quando bagnati – la prima luce del sole. Da questo fenomeno i locali Bernacca d’antan traevano auspici circa l’evoluzione della situazione meteorologica.
Sulla affidabilità della previsione non prendo posizione…

140. Mainùto [de -]   Q1190, ✧SE. Piccolo prato in ripido declivio [id., attraversato da strada comunale]. Màino (mainùto ne è il diminutivo) è l’ancona (Sc169) dal lat. imago, -inis = immagine (REW4270)181.

Piccola porzione di terreno in corrispondenza della biforcazione della strada in entrata a CP per chi proviene da Forni Avoltri, appena oltre Vidàrios, ove sorgeva un’edicola dedicata a un santo oggi ignoto.
Durante i lavori di costruzione o ampliamento della strada, forse nel 1920 o forse in epoca ancora antecedente, il piccolo edificio fu rimosso e se ne persero le tracce: fino alla metà del secolo scorso nella parlata corrente rimase radicata l’espressione de Mainuto a indicare – in verità con molta approssimazione – l’area ove si sarebbe trovato il tempietto.
La posizione esatta è stata ricavata dalla Kriegskarte di von Zach, che inoltre consente di datare la presenza certa dell’edicola in questo luogo alla fine del XVIII secolo.

141. ⇑ Mainùto [sôro la -]   Q1200, ✧SE. Coltivo in media pendenza [prato inselvatichito]. V. il lemma prec. + la prep. sôro-sopra.
Sovrasta di poco la Mainùto, al di sopra della nuova strada comunale che conduce a CG (costruita nel 1969) e più in alto, fino al costone erboso che costituisce il limite occidentale della campagna di CP.
 
142. Malìot [tal -]   Q1650, ✧O. Area prativa in medio pendio, con stavolo [prati inselvatichiti e boscaglia, dello stavolo non v’è più traccia]. Detta anche al plurale, ju Malìots, a ricomprendere il contiguo Devóur lu Malìot, v. il lemma seg.), è probabile fitotoponimo da meléš = sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia, Sc179), con il consueto e tipico collettivo in -ìot182.

Già in prima stesura di questo lavoro ero uscito dall’incertezza circa la possibile origine di questo toponimo (avevo anche ipotizzato una comunque compatibile radice preromana *mal-/*mel-, con il significato di “monte” o “altura”) grazie al soccorso – tanto imprescindibile quanto mai sufficientemente apprezzato – della memoria e dell’intuizione di chi i luoghi ha visto “ancora in tempo” (nella fattispecie, mio fratello Giorgio). Una volta di più si ha la misura di come e quanto l’assenza di fonti e di una conoscenza diretta del territorio in situazione pristina – o almeno quasi tale… – possa occultare soluzioni tanto semplici quanto esaustive.
A ulteriore e definitiva conferma, nel corso di un altro recente lavoro mi sono imbattuto in una definizione quattrocentesca della contigua vallata di Morarìot (cui ju Malìots appartengono almeno per metà, e il toponimo seguente per intero) come Val de Melesijs183, il che davvero elimina ogni residuo dubbio.
L’ampia fascia prativa che porta il nome di Malìot comprende l’intera parte superiore del versante più occidentale del Pic di Gòlo, displuviale fra la valle di Morarìot a N e la valle di Plumbs a S, sovrastando così la fascia dei prati di Cuél di Ğulìgn, Cjìolos e Temós, fino al boscoso Palòn di Plumbs a SE. Prati di mont, dunque, e forse più di ogni altro degni di questo nome: ju Malìots sono forse i prati in assoluto più lontani dagli abitati di CP e CG, e certamente fra quelli a quota più elevata di tutta la valle.
Lo sfalcio di questi prati si può bene immaginare con quanta determinazione e quanto sacrificio, e soprattutto mosso da quale stato di necessità proseguì fin verso il 1960. Da allora solo qualche raro cacciatore passa di quassù, e ju Malìots stanno lentamente ritornando al loro stato primigenio al quale solo lo stato di necessità e la volontà dell’uomo l’avevano temporaneamente strappato.

143. ⇑ Devóur lu Malìot   Q1650, ✧N. Bosco resinoso [id.]. V. il lemma prec. + la prep. devóur-dietro.

Un altro dei numerosi toponimi dove il devóur significa assai più del semplice “dietro”, in quanto la preposizione sottolinea anche la sostanziale diversità di aree fisicamente contigue. Questa volta, a separare fisicamente il Malìot dal suo corrispettivo devóur peraltro entrambi accorpati nel collettivo Malìots c’è il breve costone NO184 del Pic di Gòlo, crinale che separa i prati a meridione (oltre al Malìot, Cjìolos, Temós e numerosi altri) dai pascoli e boschi del fianco N che scende ai pascoli di Morarìot.
Devóur lu Malìot è precisamente questo, l’intero versante N del Pic di Gòlo fino al fondovalle del Riù di Morarìot. Un’area boscosa fra le più vaste di Collina e di proprietà del locale consorzio185, area che al suo interno comprende anche le tre piccole radure corrispondenti al Plandes Palùs, P.des Laštros e P.des Misérios.

144. Manàrio di Nuži [la -]   Q1670, ✧E. Prato in pendio ripido [id. inselvatichito]. Manàrio è la scure (Sc172), dal lat. man(u)arius-a = manuale, azionato a mano (REW5332, 3); Nuži è un’antica casa/casata di Collina (AP82). Pertanto, la “scure di Nuži” è un particolare antropotoponimo.

La curiosa denominazione si deve alla bizzarra forma di un prato di mont di proprietà di casa Nuži.
Il terreno sale stretto e allungato affiancando l’alto corso del riù di Cuéštos, per poi allargarsi a sin. (destra orogr.) nelle Cjanalètos in forma tozza e squadrata.
Visto da lontano in epoca di fienagione, il contrasto del prato falciato con i prati confinanti intonsi (o viceversa) richiamava la forma di una grossa scure, con la lama in testa al manico lungo e stretto: lamanàrio di Nuži.

145. Maşério [in -]   Q1320, ✧SE. Campi, poi prato con fienile i medio pendio [id. inselvatichito, boscaglia e ruderi]. Maşério è la maceria (Sc178) dal lat. maceria = muro intorno all’orto (REW5204), per estensione “mucchio di pietre”, in particolare di edificio diruto186.

Alto sopra Stalatòn e Fìtos e sito al limitare del bosco, Maşério deve il proprio nome alla presenza di pietre da costruzione, ruderi di un edificio sconosciuto di cui due generazioni fa erano già allora ignoti tanto l’autore che il destino d’uso. Probabilmente erano residuo di un fienile con stalla, anteriore di secoli a quello poi costruito in loco e a sua volta demolito intorno al 1980 perché pericolante.
Evidentemente di buona fattura e di qualche pregio, le pietre di Maşério furono prelevate e impiegate anche nella costruzione di una casa d’abitazione a CG nei primi anni del 1900. Si racconta come per il trasporto delle pietre in paese fosse impiegato in questa occasione una sorta di ascensore ante litteram (almeno per Collina): in pratica, un saliscendi con la ùolğo, la slitta carica di pietre che, scendendo a valle, con il suo peso riportava a monte l’altra slitta, scarica.
Sempre in tema di trasporti a fune, intorno al 1970 Maşério divenne stazione di arrivo del primo skilift costruito a Collina, con partenza in Sopóç. Come altri suoi successori, l’impianto ebbe vita breve, condannato dalla quota modesta e dalla splendida esposizione a solatio.

146. Mïói [ti -]   Q1780, ✧SE. Prato e pascolo in medio pendio [prateria alpina]. Forse da un lat. metula (REW5554) e *metulus = piccolo mucchio di fieno187.

Anche i Mïói fanno parte del discreto numero di prati e praticelli posti nella parte superiore dx del bacino d’impluvio del Riù di Cuéštos, sotto i Bùrgui e dirimpetto a Cjampēi: prati in genere molto piccoli, e di resa necessariamente modesta (il che è pure coerente con l’etimologia proposta).
Mïói come plurale di Mïól188, dunque, come sembra sottolineare un documento tardo seicentesco che riporta testualmente “La mittà del prato di Miol verso sol à monte conforme li termini posti dall'arbitri…189.

147. ⇑ Plan di Mïói [tal -]   Q1740, ✧SE. Prato e pascolo in pendio moderato [prateria alpina]. V. Plan e il lemma prec.
Un altro dei numerosissimi plans di Collina, a rinnovare il fondatissimo luogo comune che tutto è relativo190. Per la gioia dell’onomasta, il Plan di Mïói sta esattamente sotto… i Mïói e le Bergjarìos.
 
148. Mònt [te -]   Q1340, ✧NO. Casera e pascolo pianeggiante [pochi ruderi e bosco resinoso]191. Mont, con evidente origine dal lat. mons = monte (REW5664), ha in generale il duplice significato (Sc186) di monte o montagna da un lato, e di prato o pascolo alpino con casera e ricoveri per gli animali dall’altro. A quest’ultimo significato si rifà il nostro toponimo. V. Còmpet.

Detta anche mont dal Còmpet, la malga vide la luce nel 1881, quando fu costruito il primo ricovero per il bestiame, in coincidenza con l’inizio dell’attività della neocostituita Latteria di Collina192.
Davvero curioso questo termine (prima ancora che toponimo) mont, dal duplice significato letterale e dalla duplice anima, ad un tempo minacciosa e sorridente, per il quale propongo una chiave di lettura quasi esistenziale per l’abitante della montagna, riprendendo alcuni concetti già espressi nella parte introduttiva.
Con questa sorta di sineddoche – la mont prato, pascolo e malga per la mont montagna – il contadino sembra portare a compimento, almeno sotto il profilo semantico, il suo esorcismo nei confronti della mont-matrigna, origine di frane e valanghe e causa di miseria e di morte, riducendola e inglobandola nella mont-madre, apportatrice di fieno e latte e vita. Una specie di sintesi, insomma, del rapporto fra montanaro e montagna, con il primo costretto ad una difficile convivenza tra il potente freno della santa paura (talvolta autentico terrore) e l’ancor più imperativo acceleratore della fame o, quanto meno, della impellente necessità di disporre di nuove risorse193.
Nel 1881 il Còmpet è proprietà comune delle famiglie di Collina quando queste decidono di procedere alla costruzione di una casera di appoggio alla neonata Latteria Sociale, la struttura fondata – prima in Carnia – nel 1879 e già operativa l'anno successivo. Nei progetti, scopo della neonata casera Còmpet è quello di fornire alloggio alle vacche rimaste a valle nel periodo della monticazione, così da consentire la mungitura e l’immediato conferimento del latte alla Latteria Sociale stessa.
La casera ha tuttavia vita difficile, e soprattutto breve: pochi anni dopo la sua costruzione i conflitti interni alla Latteria fanno venir meno la sua ragion d’essere, e quando i contrasti sono superati (dopo un avvio travagliato la Latteria prospererà, e sopravviverà fino al secondo dopoguerra) per la casera è già troppo tardi. Altre e più funzionali strutture prendono il suo posto, e la Mont-ricovero si avvia a un rapido declino. Cancellato anche il sedime, a testimonianza di ciò che fu rimane solo il toponimo. Dopo tutto, siamo qui per questo…
Di ritorno alla nostra toponomastica, mont è evidentemente termine generico – al pari di riù, di agâr, plan e altri consimili – che di volta in volta è associato a toponimi specifici per rendere il nome compiuto dell’alpeggio e delle sue pertinenze. Abbiamo dunque la mont di Morarìot, quella di Plumbs, di Cjampēi, e altre ancora. Tuttavia, come accade anche per quasi tutti gli altri, il termine generico rimane per una volta solo, senza altri elementi identificativi, e mai come in questa occasione si può parlare di antonomasia.
Sì, perché nel breve arco della sua esistenza la mont dal Còmpet fu laMont, la casera della Latteria, una delle massime espressioni – se non davvero la più importante e manifesta – della comunità di Collina194.

149. Monumènts [ti -]   Q2150, ✧N. Roccia nuda e prateria alpina [id.]. Lett. “monumento”, dall’it. Qui con il preciso significato geologico di “campi solcati”; ju monumènts = regione del gruppo del Cogliàns ove sono numerosi i campi di Karren (Sc167).

Prima ancora che toponimo, monumènts è dunque termine generico che indica i campi solcati (Karren) di origine glaciale, assai diffusi nelle rocce calcaree delle Alpi Carniche. Nel solo gruppo del Cogliàns con la denominazione Monumenz nella TU si ritrovano una Forcella, una Creta, una Casera e un Rio: tutti in comune di Paluzza ad eccezione della Forcella, posta lungo il confine fra i comuni di Paluzza e Forni Avoltri. Tutti i toponimi insistono su un'area ristretta, e comunque orograficamente facente capo alla stessa Creta Monumenz, così detta per una estesa fascia di campi solcati che ne caratterizza il versante SE.
Pur sempre situati nel gruppo del Cogliàns, i nostri Monumènts si trovano tuttavia in un'altra area, compresa fra la Sièlo e il Cjadinón, in un minuscolo acrocoro sotto (S) il Coston di Stella della TU195.
I Monumènts sono attraversati dal noto sentiero Spinotti e, insieme alle cjalderàtos (marmitte di escavazione glaciale, anch'esse abbondanti nell'area) costringono il sentiero stesso a continui aggiramenti, ad evitare rischi per chi segue il frequentatissimo percorso. In effetti il sentiero lambisce cavità talvolta assai profonde, al punto che di alcune di esse non è neppure possibile intravedere il fondo, e nelle quali non è infrequente trovare neve residua in piena estate.

150. Morarìot [in -]   Q1710, ✧O. TU Casera Morareto (IGM), Val de Melesijs (XV sec.)196. Prateria alpina, pascolo in pendio medio-dolce, con casera [id.]. Dal collettivo mòro = mirtillo (Sc187, NP633 s.v. murùcule) attraverso morâr + suff. collettivo -ìot, dal lat. morum = mora (REW5696).

A dispetto della comune etimologia friulana, il toponimo non sta dunque con Moraro e Moraràt (Fr52), nei quali si riconosce il friulano morâr per “gelso” (NP614), ma bensì con la modesta e gustosissima mòro-mirtillo (Vaccinium myrtillus) che in grande quantità popolava la conca di Morarìot, e soprattutto il suo Cjampēi Vècju (v.).
Malga e pascolo furono per secoli bene comune e indiviso, probabile enfiteusi prima della Chiesa aquileiese e poi della Serenissima. Non ci è noto a quando risalga la privatizzazione, avvenuta fra il XVI e il XVII sec.: nel '700 è documentata la negoziazione di quote della malga, ma non è chiaro se si tratti di quote di proprietà, o di usufrutto, o altro ancora. “D.no Bortolo q.m Nadal Longo oriundo nel Cadore ora domiciliante in questa Villa da me benissimo conosciuto qui presente facendo per se, ed eredi jure liberis da, cede, e per sempre vende al Sig.r Leonardo q.m Antonio di Tamer, anco di questa villa da me benissimo conosciuto qui presente facendo per se ed eredi, stipulante e comprante e accettante le rate della montagna denominata Moraretto compreso il Bosco posta, e situata in queste pertinenze, la quale rende il pro annuale di £-5:-6 in effettivi contadi e N 8 formaggio…”197. Malga e pascolo furono infine acquistati, nel 1926, dal Consorzio Privato di Collina, attuale proprietario.
Tradizionalmente l'alpeggio principe della valle198, Morarìot fu l'ultima malga ad essere abbandonata dalla monticazione “classica”, condotta con metodi plurisecolari e antecedente l'avvento della meccanizzazione dei mezzi di trasporto (insomma quando le vacche andavano a piedi...) e della lavorazione di latticini.
Mai colpita da valanga a memoria d'uomo e delle cronache, negli anni immediatamente successivi all'abbandono la malga subì, quasi a mo’ di contrappasso, per ben due volte la caduta di slavine, con grave danno agli edifici. In verità, dopo la caduta della prima valanga, casera e ricoveri del bestiame furono ricostruiti una prima volta, per poi essere ben presto e seriamente danneggiati dalla seconda slavina. Ad evitare ulteriori guai, durante la seconda ricostruzione i pendii a N, “responsabili” dei disastri, furono dotati di robusti paravalanghe. Il panorama, specialmente salendo al rif. Marinelli, ne ha indubbiamente risentito, e non certo positivamente. Tuttavia… Tuttavia, dovendo scegliere, è ben meglio un paravalanghe a protezione di una malga (purché la si usi...) che di un impianto sciistico di dubbia utilità e in rapida obsolescenza.
Poi le valanghe cominciarono a scendere anche dai pendii a SE, ma si finisce per parlare di mutamenti climatici e non se ne esce più...
Non senza qualche discontinuità oggi l'alpeggio è di nuovo popolato, e la casera svolge attività agrituristica con servizio di locanda.

151. ⇑ Fòrcjo di Morarìot [la -]   Q2110, ✧E-O. TU Forcella Morareto (IGM, CTR), Forcella Morareet (TAB)199. Forcella a prati e ghiaie [id.]. Per fòrcjo v. Furcjìto, e il lemma prec.
Circa 1928. Il Ricovero Marinelli
Circa 1928. Il Ricovero Marinelli. La figura più a dx, appoggiata allo stipite della porta, è Vittoria Tolazzi-gna Vitòrio.
1961. Al rif. Marinelli (ancora Ricovero)
1961. Al rif. Marinelli (ancora Ricovero) un gruppo di ritorno dalla "prima" (loro) al Cogliàns, con al centro i gestori Vilma e Severino Barbolan. N.B. 1) la damigiana e i bottiglioni (vuoti), sono mera decorazione; 2) le sole a sorridere sono le ragazze...

Oggi di gran lunga il più frequentato valico alpino fra le valli del Fulìn-Degano (canale di Gorto) e del Bût (canale di san Pietro), anche la Fòrcjo di Morarìot è posta lungo il crinale che raccorda il massiccio del Cogliàns al m. Crostis, con molte analogie quindi con la non lontana Fòrcjo di Plumbs ma di questa più elevata di quasi 150 metri.
Forcella Morareto era anche detta Forcjo de Plòto200 in quanto immediatamente sovrastante l'omonimo e caratteristico pianoro (la Plotta della TU) sul versante di Timau e Monte Croce.
Il luogo è frequentatissimo201 per lo più ignorandone la denominazione in tutta la regione e nel vicino Lesachtal per la presenza, nelle sue immediate vicinanze, del rifugio intitolato a Giovanni e Olinto Marinelli. Per la precisione, giungendo da Collina il rifugio si trova 30 metri oltre la forcella, e quindi amministrativamente in territorio del comune di Paluzza. Tuttavia storia, brevità degli accessi, frequentazione fanno necessariamente gravitare il Ricovero (fino a 30 anni fa il rifugio Marinelli era definito semplicemente così, quasi per antonomasia) nell'orbita di Collina.
Il rifugio, di proprietà della Società Alpina Friulana (oggi sezione del CAI), ha una storia ormai ultracentenaria, risalendo la sua prima costruzione al 1901. Non è certo questo il luogo per decantarne pregi e virtù, già ampiamente celebrati in decine e decine di volumi, non ultimo il libriccino edito nel 2001 in occasione del centenario della prima costruzione. Né questo libro è il luogo migliore per mettere in piazza ricordi e sentimenti. Ma…
La mia personale relazione con questo luogo, edificio compreso, inizia… prima ancora di nascere. Inizia già con i racconti in cui mia madre rievocava le giornate trascorse lassù (più precisamente, su e giù dal Ricovero a Collina, gerla in spalla...) con le sorelle e le cugine, tutte nipoti della zia, tutte giovani e tutte occupate in aiuto a gna Vitòrio, la zia Vittoria Tolazzi che a quell'epoca (anni '20-40 del secolo scorso, v. Sièlo di Vitòrio) gestiva il rifugio insieme al fratello Edoardo.
Narrava dunque mia madre, con malcelata nostalgia, dei viaggi al e dal Ricovero due volte al giorno con la gerla colma del necessario alla gestione del rifugio. E poi raccontava delle persone o, meglio, dei personaggi dell’alpinismo friulano d’antan: fra gli altri, a distanza di oltre mezzo secolo in mia madre era vivissimo il ricordo di Riccardo Spinotti, appassionato e abituale frequentatore dei monti di Collina e del rifugio.
Dai racconti altrui passai presto all'esperienza diretta: a 12-13 anni in tre o quattro (quando non in 10, come in occasione della nostra prima salita al Cogliàns) già andavamo in giro per i monti; a 14 o 15 già “navigavo” in solitaria per tutta l'estate (i miei coetanei avevano cose più serie in cui impiegare il loro tempo, come il fieno o la legna), e il rifugio Marinelli era un autentico punto di riferimento.
Di tutto e di più, anche se oggi la memoria corre più spesso alla via del ritorno, la via delle discese a valle soddisfatto della giornata trascorsa: spalle al rifugio e via, giù per Morarìot. Prima di corsa (per forza, con quella pendenza!) e poi sempre più lentamente, fin quasi a fermarti attraverso i pascoli, con la calura di valle e tutti i profumi del mondo che ti investono e ti avvolgono e ti prendono.
Qualche volta mi arrestavo del tutto, sdraiato in mezzo alla prateria del pascolo quasi a possederla o a farmene possedere, in un'atmosfera così sensuale da stordire vista udito olfatto tatto gusto. Tutto!
Immobile, corpo lì e testa chissà dove. Come ora.
La testa, via…

152. ⇑ Riù di Morarìot [lu -]   Q1990-1135, ✧SO. TU Rio Morareto. Corso d’acqua [id.]. V. Riù e i lemmi prec.

L’idronimo identifica il rio che raccoglie le acque delle numerose sorgenti del largo bacino compreso fra le pendici meridionali del Pic Chiadin e l’ampio varco formato dai Flurîts a E e dal Pic di Gòlo a S202. Il rio attraversa l’intero pascolo di Morarìot in direzione E-O, per poi scendere al Plan di Valebós e piegare a SO a formare la parte superiore della valle di Collina.
Lungo il suo corso, il Riù di Morarìot raccoglie le acque di numerosi affluenti: i più importanti sono il R. Landri e il R. de Cjanalèto a dx, e il R. di Plumbs a sx. Alla confluenza con il R. di Cuéštos (dx) il rio assume il nome di Fulìn.

153. Mulìn di Codâr [dal -]   Q1150, ✧S. Prato in pendio moderato [ruderi di mulino e bosco]. Il friulano codâr è il contenitore per la cote (Sc131), dal lat. cotarius (REW2281); Per mulìn = mulino, v. Mulìnos.
Vecchie macine di mulino a CG, provenienti dal Mulìn di Codâr
Vecchie macine di mulino a CG, provenienti dal Mulìn di Codâr (foto dell'autore).

Il mulino era anche detto Mulin di Matïùto203.
Nonostante le apparenze, nel nostro caso Codâr è un antropotoponimo: si tratta infatti di GioBatta Niccolò Sotto Corona (1812-1897) detto Codâr, titolare e iniziatore dell’omonima casata (AP234) e probabile acquisitore del mulino, peraltro preesistente a Codâr stesso.
Situato all’interno della più ampia area di Mulìnos, poco a monte della Fàrio, il luogo è oggi popolato da una fitta selva di abeti che hanno quasi completamente cancellato ogni traccia del mulino. Caduto in disuso nell’immediato secondo dopoguerra, l’edificio fu totalmente abbandonato alle attenzioni di madre natura, che infatti lo ha stretto in un abbraccio così forte da stritolarlo.

154. Mulìn di Nino [dal -]   Q1185, ✧O. Prato in lieve pendio [bosco resinoso, boschina mista, prato inselvatichito]. V. Mulìnos; Nino è il nome di una casa/casata di Collina corrispondente all’attuale Albergo Volaia (AP220).

Il mulino è anche detto Mulìn di Jacomèto.
La denominazione originale si deve a Anna Maria (Marianna) Di Tamer (1802-1871) attraverso la i diminutivi Marianino-Nino. Attraverso complessi passaggi in via femm. casa e (forse) mulino pervengono a Giacomo Di Tamer (1863-1941), che porta la seconda e più recente denominazione, per l’appunto Jacomèto, al mulino e al terreno circostante.
Il luogo è situato all’interno di una marcata curva verso sinistra del Riù di Morarìot, poco prima della confluenza del Riù di Plumbs. L'ambiente si è profondamente modificato nel corso dell’ultimo mezzo secolo, e ancor più negli ultimi 20 anni: un tempo ben visibili dalla carrozzabile in corrispondenza di Cercenât e Clap de Scjalo, mulino e prato sono oggi del tutto nascosti nel folto dell’abetaia.
Già fatiscente il mulino negli anni '50 e quindi crollato negli anni '60, i suoi resti sono stati prima fagocitati dal bosco che inesorabilmente continua la sua discesa verso il corso del sottostante rio Morareto, lustro dopo lustro inglobando ampie porzioni di prato, e infine cancellati da una nuova pista forestale.

155. Mulìnos [in -]   Q1155, ✧SE. Prato in moderata pendenza con mulini e altre attività ad energia idraulica [bosco resinoso e boschina con ruderi di edifici]. Mulìnos è il femm. di mulìns (v. Devóur ju Mulìns), con funzione di collettivo a indicare l’insieme dei mulini204.

Il termine individua genericamente una ampia superficie lungo il riù di Cuéštos, dal ponte della strada che da CP conduce alla chiesa (in Riù) fino alla confluenza nel Riù di Morarìot-Fulìn.
L’area è a sua volta ripartita in altri microtoponimi, in corrispondenza dei numerosi impianti artigianali dislocati lungo il rio.Per gli abitanti di CP Mulìnos era il luogo dei mulini per antonomasia: vi trovavano posto almeno due mulini a macina (mulin de Pèto, m. di Codâr o di Matïùto) e un mulino a pestelli (peštòn di Chini).
Mulini, ma non solo: Mulìnos ospitava anche una officina di fabbro (la Fàrio) e, ormai lungo il riù di Morarìot, la fornace che impiegava la materia prima del Plan de Argìlo.
Situati su entrambe le sponde del riù di Cueštos, i mulini e il battiferro prelevavano l'acqua per generare piccoli salti da sfruttare come forza motrice. Probabilmente di antica origine (se non gli edifici in sé, quanto meno le attività: per CP era il luogo più prossimo ove insediare questo genere di industrie), le attività di Mulìnos caddero in progressiva obsolescenza già prima del secondo conflitto mondiale, insieme a tutti i loro consimili dovunque fossero situati. Fecero eccezione le segherie, differendo analoga sorte di una ventina d'anni.
Dopo l’obsolescenza, naturalmente, l’abbandono e la totale scomparsa: l’ultimo edificio rimasto in piedi205, il Mulìn de Pèto, crollò sotto il peso della neve nell'inverno del 1997. I suoi ruderi sono ancora visibili lungo la strada della chiesa, in Riù, immediatamente prima del ponticello che attraversa il rio.

156. Navo [te -]   Q1330, ✧SE. Prato e coltivi in pendio ripido [bosco]. Da una forma forse prelatina nava = avvallamento racchiuso fra monti (REW5858), qui inteso come depressione, infossamento di terreno in pendio (v. in NP647, manca in Sc).

Navo è termine assai diffuso, a Collina come altrove, a indicare genericamente terreni che presentano concavità o comunque bordi rialzati. Elementi caratteristici che tuttavia non appartengono alla morfologia del terreno della nostra Navo per antonomasia, ma piuttosto alla prospettiva di chi osservi l’area dal basso (o, meglio, di fronte). L’osservatore vedrà dunque come il profilo del bosco soprastante (il Bošc de Navo) si presenta con una marcata convessità rivolta verso il basso intorno alla quale si dispongono i diversi terreni che costituiscono la nostra Navo206. Il profilo dei prati che circondano il bosco soprastante appare come una grande concavità rivolta verso l’alto (sembra davvero la chiglia di un immenso vascello) riempita del bosco stesso.
La posizione della Navo emerge con tutta chiarezza dagli archivi: “Item un pezzo pratto detto in te Nava sopra la Villa confina…”, dove la “Villa” è CG207. Fra la Navo e CG, là dove il pendio si fa più dolce, si adagiano i coltivi di Sorovìo, Dorotèo e Prât, già a contatto con le case più alte dell’abitato.
Nei primi decenni del secolo scorso nella Navo ebbe origine una slavina, fortunatamente non di grande impeto, che si arrestò a ridosso della sottostante casa di Šulìn (AP79), senza però toccare l’edificio. Uniche “vittime” della slavina furono le arnie di Šulìn, poste nel prato retrostante la casa e invaso dalla neve. Dispensatrici del miele della casa erano la mia bisnonna Giuditta e la figlia-prozia Vittoria Tolazzi (gna Vitòrio, v. Sièlo di Vitòrio), che generosamente gratificavano l’ampio stuolo di nipoti prima, e pronipoti poi (in tutto, qualche decina).

157. ⇑ Bòšc de Navo [tal -]   Q1370, ✧SE. TU Bosco la Nava. Bosco resinoso in ripido pendio [id.].V. Bušcùt e il lemma prec.

È il bosco sovrastante e confinante con i prati della Navo, di cui costituisce la prosecuzione verso monte (NO). Come in numerosi altri luoghi, anche qui la sostituzione del bosco con prati o coltivi è stata limitata, in parte per il terreno impervio e malagevole, ma soprattutto a protezione dalla possibile caduta di valanghe dai prati soprastanti. Sopra il Bòšc de Navo si apre infatti la vasta radura prativa di Frìnts, che si estende in ampiezza e profondità per decine e decine di metri.
Per secoli l'ottima esposizione e l'invidiabile ubicazione a poca distanza dal paese fecero del limite inferiore del Bošc de Navo un terreno eccellente per la raccolta delle nocciole, la cui qualità rivaleggiava con quelle di Colarìot.
Oggi, pressoché dimenticate le nocciole d’antan, il bosco si è trasformato in minaccia: quasi interamente inglobata quella che fu la Navo, le sue propaggini inferiori scendono già a minacciare quelli che furono i coltivi a poche decine di metri dalle case.

158. Navo des Gjàjos [te -]   Q1250, ✧S. Prato in medio pendio [boscaglia, latifoglie]. V. Navo; Gjàjo è la ghiandaia (Garrulus glandarius, in friul. gjàe NP376, manca in Sc), dal lat. gajus = ghiandaia (REW3640), se non direttamente da *glandaria, a sua volta da glans = ghianda (REW3778). Uno zootoponimo, insomma, probabilmente per l’abbondanza in loco di volatili con questo nome208.

Zootoponimo di significato trasparente, la cui origine si deve con tutta probabilità all’elevato numero di questi corvidi residente qui, forse per l’abbondanza di cibo (dai noccioli e, forse, faggi) e rifugio (soprattutto conifere).
Al pari degli altri immediatamente circostanti, il luogo è stato devastato dalla burrasca del novembre 2002, che ne ha completamente modificato l’aspetto, e conseguentemente habitat e popolazione faunistica.
La Navo des Gjàjos era raggiungibile da un discreto sentiero che prendeva le mosse dall’attuale strada Forni-Collina, fra la Ruvîš e Virùncs, per condurre alla nostra navo e, più oltre, alle Spuìndos. L’attacco del sentiero è ancora ben visibile, a livello della strada, ed è anche tutto ciò che rimane del percorso, anch’esso stravolto e cancellato dalle centinaia e centinaia di piante d’alto fusto catapultate sul sentiero.

159. Navo Maçócol [in -]   Q1520, ✧N. Prato in medio pendio [id. inselvatichito]. V. Navo; Maçócol è il nome di una antica casa/casata di Collina, da cui il cognome moderno Mazzocoli.

Come spesso accade, non siamo in grado di affermare con assoluta certezza la relazione fra il terreno e il nome di persona o casata che lo accompagna. Pur con questi limiti, tuttavia, più di altri la Navo Maçócol sembra suggerire una antica relazione di proprietà fra la casata e il terreno.
Quest’ultimo consiste in un insieme di prati lungo le pendici del Pic di Gòlo, immediatamente a E (sx guardando da valle) del Cuél di Ğulign. La Navo Maçócol era raggiunta attraverso il Cuél di Ğulìgn da un sentierino che si diramava da Bevòrcjos.

160. Nàvos [in -]   Q1510, ✧SO. Prato in forte pendio [id. inselvatichito]. V. Navo, qui al plurale.

In questo terreno, un altro dei prati di mont lungo il sentiero che da Cjalgjadùor muove in direzione degli Stuàrts e dell’Infièr, siamo in presenza di una particolare morfologia del suolo, caratterizzato da una serie di avvallamenti longitudinali che si susseguono lungo il pendio.
Tutti questi prati avevano quale punto focale appunto Cjalgjadùor, dove il fieno delle numerose mèdos era caricato sulle slitte per il trasporto a valle.

161. ⇑ Devóur Nàvos   Q1520, ✧O. Prato in pendio ripido [id. inselvatichito, bosco misto]. V. il lemma prec. con la prep. devóur-dietro.

Come sempre, è un costone della montagna a segnare la linea di demarcazione fra il devóur e il toponimo principale.
Nella fattispecie, il confine è costituito dal grosso costolone arrotondato che segna il limite d’impluvio orientale del Riù d’Ormèntos: originatosi lungo i fianchi dirupati di Crèto Blàncjo, il costone scende alla Bièlo Caròno e alla Caròno di Colarìot per poi proseguire sino alle Foràns, in fondovalle.

162. Ombladìot [in -]   Q2060, ✧NO/SE. Sfasciumi e prateria alpina [id.]. La radice Ombladìot è la medesima di àmbli = ontano (v. Prât di Àmblis), a formare un termine che suona come “ontaneto”.

Più che agli ontani presenti in loco (non ve n'è neppure uno), il toponimo si deve alla grande quantità di arbusti che si trovano più in basso, su entrambi i versanti.
La Fòrcjo di Ombladìot (comunemente detta in Ombladìot) mette in comunicazione la valle del Fulìn con quella del rio Avanza, anch’esso affluente di sx del Degano. Il valico costituisce il punto terminale verso E della cresta, prima erbosa (Bùrgui) e poi più sottile e rocciosa, che collega il gruppo isolato di Crèto Blancjo con Clanìori e i Monti di Volaia.
Il versante NO della forcella, in territorio di Forni Avoltri, scende per praterie con un pendio irregolare a gradoni inframmezzati da brevi pianori occupati dalle omonime casere (C. Ombladet di sopra e di sotto). Il versante SE scende invece ai pascoli di Cjampēi lungo un ripidissimo canalino (Gòlo di Tòni di Tamer) dove prende avvio un ramo del Riù di Cuéštos. Verso NE la forcella si allarga in un breve pianoro che gradatamente si innalza lungo le praterie del versante meridionale del Sasso Nero.
Quale via di comunicazione, la Fòrcjo di Ombladìot (Forcella Ombladêt della TU) è oggi di rilievo meramente geografico: in aggiunta al faticosissimo accesso da Collina, il valico porta giusto in the middle of nowhere, in mezzo a nessun posto, come dicono con felice espressione i figli di Albione209. La sua importanza fu soprattutto militare durante il primo conflitto mondiale, mettendo in comunicazione il fronte della val Fleòns e passo Giramondo con Collina e il fronte di Volaia.

163. Ornella [da -]   Q1450, ✧S. Roccia nuda (idem). Dall’omonimo nome proprio it.

È la parte terminale, ormai quasi nel piano del Gjarsìot, dell'Agâr di Róndoi, la forra stretta fra pareti a precipizio scavata dalle acque e dalle valanghe che precipitano dalla grande gola che separa il m. Canale dal m. Capolago. Non di rado, anche in piena stagione estiva, è possibile trovare qui la neve residua delle grandi valanghe invernali e soprattutto primaverili.
Privo di valenza nell'economia agricola o boschiva, il toponimo è di origine popolare ma recente, riferendosi alla sciagura che nel 1943 costò la vita alla diciottenne Ornella Cioni.
Di ritorno da un'escursione al passo Volaia, dove aveva lasciato la comitiva per scendere sola a valle, la giovane si allontanò dal sentiero spingendosi verso i ripidi contrafforti dei m. Canale e Capolago: vagò per i pendii erbosi e le rocce, fino a precipitare nel baratro.
Sulla tragedia si innestarono leggende e speculazioni – anche le più ardite e discutibili, oltre il limite del pettegolezzo e certamente del buon gusto – alle quali non mette neppure conto far cenno. Resta il fatto che la ragazza era del tutto inesperta dei luoghi, che sulle pendici dei monti gravava una fitta nebbia, e che a quel tempo la segnaletica dei sentieri era assai approssimativa e almeno un bivio del sentiero stesso si prestava a facili errori di percorso, specie in discesa.
Solo dopo alcuni giorni di ricerche infruttuose (le ricerche erano logicamente rivolte altrove, e certo non così lontano dalla retta via) il corpo fu casualmente ritrovato da due pastori al pascolo con l'ormènt.
In memoria della sfortunata giovane, i cui resti furono sepolti nel luogo d’origine, fu collocata una piccola edicola nei pressi del luogo del ritrovamento, da allora detto da Ornella. Una piccola croce in marmo fu posta anche nel cimitero di Collina, dove ancora oggi si trova.

164. Palàto [te -]   Q1480, ✧SE. Prato molto ripido [id. inselvatichito]. Spregiativo di palo: v. Pàlos.

Il toponimo è davvero esplicito su questo ripido pendio, incombente sul versante dx dell’Agâr Balt al di sotto della traccia di sentiero che da Frints porta in Cjailìot.
Inclinazione, malagevolezza e scarsa qualità del terreno giustificano pienamente il significato, esplicitamente spregiativo, del termine.

165. Pàlos [in -]   Q1190, ✧SO/SE. Prati e bosco misto in forte pendio [bosco]. Nella parlata di Collina, palo = pala (Sc208, pàlos ne è il pl.), dall’omonimo lat. pala (REW6154), termine che già in epoca tardo romana assume anche il significato di “prato in ripida discesa” (REW6154a). Quest’ultima (presente anche nell’it. “pala”) è precisamente l’accezione del termine nei numerosi toponimi – tanto semplici che composti – che lo contengono210.

Le pale di questo toponimo sono quelle che scendono da Caròno, raggiunte e attraversate nella loro parte superiore (insòm Pàlos, in cima a Pàlos), all'inizio dell'abitato di CG.
Insieme all’ineliminabile attraversamento del Riù di Cuéštos, su par Pàlos è l’ostacolo principale da superare per qualsiasi percorso che unisca CP e CG evitando il lungo giro dalla chiesa. E infatti tutti i percorsi di qui transitarono, e transitano tuttora.
Attraversato il rio inRiù, il percorso prendeva quindi a sx per l’area oggi occupata da alcuni fienili, tagliando quindi la clèvo diPàlos211 – in diagonale prima, e con alcuni tornanti la parte più ripida poi – per ricongiungersi infine all’attuale tracciato in corrispondenza della Caròno, poco prima dell’edifico ex stâli di Flèch e oggi casa d’abitazione (AP96).
Nel 1889 fu costruita la nuova strada, con importanti modifiche rispetto al tracciato precedente212. In particolare, la costruzione di un nuovo ponte in pietra, qualche decina di metri a monte di quello lungo la via della chiesa, eliminò la necessità di discendere dal borgo al rio per poi risalire interamente l’erta china delle Pàlos, con ciò praticamente dimezzando il dislivello dell’intero percorso.
Infine, nel 1969-70 fu costruita la nuova strada alta sopra CP e fu edificato l’attuale ponte, pochi metri a monte del precedente (ponte che fu successivamente demolito perché pericolante, ma le spalle sono ancora in piedi e ben visibili dal ponte nuovo). Anche il punto di confluenza delle due strade insom Pàlos è ben identificabile, in quanto sotto l’attuale piano stradale è tuttora visibile la massicciata della strada del 1889, esattamente là dove si trovava il punto d’arrivo (oggi pressoché inavvertibile, a sx di chi sale) della strado des ùolğos che dal Frantûl scendeva in Antîl e di qui a CP.
L’ultima modifica del tracciato ha anche addolcito la salita di su par Pàlos: oggi la china non è più ripida com’era ante 1970, quando fra i modesti divertimenti dei ragazzi di CP v'erano anche le scommesse su corriere e trerò – i grandi camion che andavano a caricare il legname – e sulle probabilità che i pesanti mezzi riuscissero a superare, ansanti ma indenni, l’erta china. Agli autocarri riusciva quasi sempre: non altrettanto a bus e torpedoni turistici, mezzi di pianura poco avvezzi a quel genere di imprese alpine.
E pensare che la china sarebbe dovuta essere ben più ripida di quanto già non fosse! Il ponte del 1889 fu infatti progettato e costruito un metro e mezzo più basso del necessario, e fu fatto rialzare solo in corso d'opera.
Dalla postazione dei critici osservatori di 50 anni fa, sul nuovo percorso oggi si vedono i bikers diretti al Marinelli che salgono come schegge! Altro che trerò

166. Pàlos [tes -]   Q1250, ✧SO. Bosco resinoso in pendio ripido [id. in parte disboscato per dar luogo al passaggio dei cavi dell’elettrodotto], frana.

Rispetto al toponimo precedente è identico il nome, diversa la preposizione213, lontanissimi i luoghi. Queste Pàlos sono individuabili altrettanto facilmente delle loro quasi-omonime, seguendo il percorso dell’elettrodotto che taglia per l’appunto il ripido pendio delle Pàlos per raggiungere, sciaguratamente214, il Runc di Cuàl.
Oltre che dai cavi dell’alta tensione, le Pàlos erano percorse da un ripido (e faticoso) sentierino che dal Mulìn di Nino consentiva di raggiungere direttamente il Runc di Cuàl: il tracciato è stato cancellato dalla frana scesa nell’autunno 2013, che ha sostanzialmente modificato la morfologia del luogo.

167. Pàlos di Marinè [tes -]   Q1450, ✧SE. Prato pensile circondato da roccia nuda [id.]. V. Pàlos; con il nome Marinè si identifica Marina Bellezza (1885-1952).

Pàlos di Marinè sono detti alcuni praticelli pensili sui primi contrafforti della Crèto di Cjanâl, sopra i Circinùts, un tempo detti Pàlos di Tamât di Tûš215.
Questi piccoli prati, di resa modesta e in posizione davvero ripida e disagiata, erano di proprietà comune, a disposizione di chiunque avesse necessità di integrare la propria provvista di fieno. Evidentemente la frequentazione di Marinè su queste pàlos fu tale da far loro acquisire, dopo quello di Tamât, il nome della donna.
Mariné fu dunque solo l’ultima in ordine di tempo a salire quassù, in queste Pàlos come in Pessùol, fra le rocce del m. Canale: tuttavia, prima di lei – o insieme a lei – la schiera dovette essere lunga negli anni delle vacche magre (sic), per procurarsi quel fascio di fieno in più, buono per quando il fienile cominciava a diventare luşìnt216.

168. Pàlos di Sèrgjo [tes -]   Q1590, ✧S. Prato in pendio ripido [id.]. V. Pàlos, mentre Sèrgjo è la denominazione di una casa-casata di CG (AP238)217.

Fazzoletti di terra pensili al margine orientale della Crèto di Cjanâl, poco al disotto della imponente e ripidissima lastronata che caratterizza il versante S del monte, certamente fra i “prati” più elevati e probabilmente i più disagiati e oggettivamente pericolosi di tutta Collina. Un altro esempio, se mai ve ne fosse bisogno, delle autentiche acrobazie (anche fisiche), a cui si sottoponevano i Collinotti pur di portare a valle un fascio di fieno.
Come per altri toponimi in analoghe condizioni (Pàlos di Marinè), il riferimento al patronimico non è indice di proprietà ma piuttosto di uso del terreno, certamente di proprietà demaniale o comunque pubblica.

169. Palù [in -]   Q1190, ✧SE. Prato umido [id. inselvatichito]. Palù sta per palude (Sc209), dal lat. palus, palude (REW6183), intesa come area molto umida, con acqua immediatamente sottostante la cotica erbosa.

Nulla di nuovo sotto il sole, giacché siamo in presenza di un toponimo assolutamente ubiquitario, certamente diffuso in tutte le lingue e i paesi del mondo. In mezzo a cotanta universalità, il nostro modesto prato di Palù è situato immediatamente a E della chiesa, più precisamente fra il cosiddetto cimitero nuovo e Cjasarîl.
Il terreno ebbe storia travagliata (ma non fu certo il solo) fra pignoramenti, divisioni ereditarie e passaggi di proprietà, un percorso che ha lasciato ampie tracce documentali e toponomastiche.
Alla fine del XVI secolo Palù è di proprietà privata, sebbene in pegno alla chiesa di san Michele a fronte di un debito con essa contratto. Infatti “A di 24 di semmbrio 1595. Catarina con li suoi figli sono debitori alla giesia di sancto michiael di contadi per in L.8 obliga un prato in palu confina con lenardo de tamossis e altri confini218. Un secolo più tardi, il luogo ha mutato proprietà e nome, volto in “Vidrina (o Vedrina) di Palù”: “… la terza parte della Vidrina di Palù cioè di sopra verso sol levado…”219, e “... Item un pezzo pratto chiamatto la Vedrina di Palù confina da sol levado con Leonardo Tamusino …”220.
Posto che con certezza si tratta dello stesso luogo (posizione e confini non lasciano dubbi), l’unica spiegazione plausibile è l’esazione, da parte di san Michele, del pegno di Palù, e la conseguente imposizione di gravami sul terreno (v. Vidrìnos). Conseguentemente quest’ultimo assume il nome di Vidrìno di Palù che si ritrova nei documenti notarili seicenteschi.
Denominazione temporanea, giacché un altro secolo più tardi il toponimo è nuovamente, e definitivamente, Palù tout court.
Come sempre, non è dato sapere lo stato del luogo al tempo di questi accadimenti, anche se non è difficile supporre una situazione migliore di quella odierna, grazie ad opere di captazione e irreggimentazione delle acque superficiali peraltro abbondanti nei dintorni.
La condizione attuale è certamente eloquente, almeno quanto il toponimo, al punto di rendere ridondante ogni descrizione dello stato del terreno in abbandono. Basti dire che lo scorrimento delle acque su un substrato argilloso, impermeabile e alla profondità di pochi metri, in anni non lontani (1980) causò non pochi problemi all’atto dell’allargamento verso SE dell’area del sottostante cimitero. Inutilizzabile la nuova area, in attesa della bonifica tramite intercettazione delle acque a monte, fu necessario ricorrere al žimitéri vècju, il cimitero vecchio nel sagrato, dismesso un secolo prima.

170. Part [te -]   Q1225, ✧SE. Prato in pendio ripido [prato inselvatichito in via di rimboschimento, strada comunale, abitazione221]. Part = parte (Sc213), dal lat. pars, partis (REW6254), termine generico (part di -) a indicare una frazione (parte) di terreno di proprietà comune data in concessione o in uso ad una determinata famiglia222.

Attraversato dalla strada che sale insòm Pàlos, fra CP e CG, questo luogo era più precisamente detto la Part di Betàn (“parte di terreno di proprietà di –“), dove Betàn è a sua volta un’antica famiglia di Collina, cognome oggi scomparso come tale ma tuttora esistente come nome di casa-casata a CG (AP91)223.
La più recente modifica di percorso della strada comunale (1970) ha completamente stravolto il luogo, oggi in parte occupato dalla sede stradale e dagli altissimi muraglioni di sostegno a monte. È scomparsa anche la cirisario, uno dei due ciliegi di tutta Collina che di notte ospitava una civetta chiacchierona e di presunto malaugurio (in quest'ultima veste, davvero con scarso successo).

171. Pas di Bóuš [lu -]   Q?, ✧?. Pas è il passo (anche nell’accezione di valico, Sc213) dal lat. passus (REW6271); bóuš è plurale di bóuf = bue (friul. bo, NP60, manca in Sc), dal lat. bos (REW1225).

È uno dei toponimi di cui ci è rimasto solo il nome, ricordatomi da mio padre, senza poterne trovare collocazione sul territorio.
Per induzione, si può collocarlo in prossimità dei ricoveri o lungo il percorso che porta ai pascoli estivi dei buoi, forse un passaggio particolarmente problematico nella salita alla casera di Cjanaleto oppure lungo il sentiero che conduceva in Ğùof. Ma forse è più corretto arrendersi…

172. Pecìot [in -]   Q1280, ✧SE. Coltivi in medio pendio [prato inselvatichito]. Pecìot è il collettivo in -ìot di péç = abete rosso (Abies excelsa, Sc217), dal lat. piceum (REW6479-2)224. Lett. “pecceta” o “bosco di abeti rossi”.

Da secoli non v’è ombra di abeti in Pecìot, fino a pochi decenni addietro prezioso terreno a coltivi, ma dovettero pur essercene un tempo. E non pochi. Forse numerosi, forse speciali, gli abeti rimangono inequivocabilmente scolpiti nel piacevole fitotoponimo che identifica l’ampia fascia (oggi prateria) che si stende sotto le propaggini orientali del Bošc de Navo.
Il limite superiore dei coltivi era costituito da una fascia di prato e di noccioli che separava i campi dal bosco soprastante, mentre a valle il pendio terminava digradando più dolcemente tra i fienili e le case dell'abitato di CG.
Il prato, già inselvatichito (alcune ombrellifere raggiungono il metro e mezzo di altezza), è da qualche decina d'anni minacciato dalla continua e rapida avanzata del bosco, già avvicinatosi all'abitato di decine e decine di metri.

173. Pecói [ti -]   Q1380, ✧NO. Ripido bosco di conifere [id.]. Pl. di pecól (v. il lemma succ.).
È una lunga sequenza verticale di sporgenze, più o meno ripide, nel bosco sopra Plan des Cìdulos, verso il Plan de Argìlo. Nulla a che vedere con i Pecói veri dei lemmi che seguono, alti anche centinaia di metri.
 
174. Pecól (dabàs) [tal -]   Q1480, ✧O. TU Pecol di sotto. Prateria alpina, mughi e rocce [id.]. Nella parlata di Collina pecól sta per “gamba di sedia” o di mobile, oppure “salita fortemente inclinata” (Sc218), dal latino ped(i)cullus = stelo, picciolo (REW6351), a sua volta diminutivo di pedus = piede225; dabàs = di sotto.
1916. Gli imponenti baraccamenti militari di Pecól dadàlt
1916. Gli imponenti baraccamenti militari di Pecól dadàlt.

“Salita” o “pendio” è il significato toponomastico di pecól nel territorio di Collina, dove non fanno certo difetto i pendii di ogni forma e inclinazione. In particolare, il termine si riferisce ai dossi sporgenti solcati dai sentieri che li percorrono, prevalentemente in diagonale o con lunghe serpentine per ridurre inclinazione e gravosità del percorso.
La toponomastica ufficiale riprende la denominazione in uso durante il primo conflitto mondiale, quando il linguaggio militare tradusse Pecól d’abàs in “Pecol basso” e, analogamente Pecól d’adàlt (v. il lemma succ.) in “Pecol alto”. I Pecóldabàs e dadàlt costituiscono gli estremi risalti – inframmezzati dai brevi pianori di Puint dal Muš e dei Trio Rès – della ciclopica scala rocciosa che dal Plan di Valebós conduce a Volaia.
La posizione particolarmente esposta del Pecól dabàs – ai piedi dei Lastròns del Lago e del Cogliàns e compreso fra l’Agâr di Róndoi e Clevomàlo – ne fa un autentico balcone sulla intera vallata di Collina e oltre, fino alle Dolomiti Pesarine. Alle spalle, nascosta la vetta del Cogliàns dai suoi stessi ripidi contrafforti, incombe l'impressionante lastronata e la tricuspide della cima Lastròns del Lago, mentre a destra appaiono in tutta la loro grandiosa evidenza i canaloni del gruppo m. Canale-Capolago. Tutto ciò dà ragione di come nella toponomastica quotidiana dei Collinotti questo sia il Pecól per antonomasia, per lo più indicato tal quale e privo dell’attributo dabàs.
Secoli addietro il Pecól fu sede di una modesta casera, già diruta agli inizi del ‘900: fin quassù e oltre si spingevano anche al pascolo quotidiano (partendo da Collina!) le vacche dell'ormènt e i buoi, abbeverandosi dell'acqua che si raccoglieva in una pozza rocciosa in corrispondenza dell'attraversamento del fondo del canalone (oggi c'è anche una vaschetta in cemento, opera militare del 1960 circa, quando il sentiero fu allargato sino a farne l'ampia mulattiera attuale).
Durante la prima guerra mondiale nel “Pecol Basso” era situata la stazione di partenza della teleferica, adibita al trasporto dei materiali fino alla seconda linea del fronte di Volaia, al “Pecol alto” o Pecól dadalt (v. il lemma che segue).

175. Pecól dadàlt [lu -]   Q1885, ✧E. TU Pecol di Sopra. Risalto quasi pianeggiante a prateria alpina, ghiaie e rocce [id.]. V. rispettivamente il lemma prec. e la prep. dadàlt-di sopra.

Il gradone di Pécol dadàlt costituisce la prosecuzione verso il basso della conca di Volajo, sede prima di una casera (già diroccata nel 1899) e poi di ampi baraccamenti durante la prima guerra mondiale di cui si intravedono ancora i ruderi e di cui si intuisce l’estensione.
Al margine occidentale del Pecól, quasi incombente sui sottostanti Trio Rès, si trova ancora la casermetta della Guardia di Finanza, edificio relativamente moderno (circa 1960) ma anch’esso ormai in disuso. Nel corso degli eventi bellici in corrispondenza della casermetta era posta la stazione d'arrivo della teleferica militare, proveniente da Pecól dabàs (v. il lemma prec.).
Il luogo, chiuso fra le alte pareti del Lastròns del Lago (Seewarte) e del Capolago (Seekopf), ha caratteristiche gspiccatamente alpine. Tuttavia, anche quassù si conducevano i buoi al pascolo, in cerca della rada prateria in quota.

176. Pecolàt [tal -]   Q1195, ✧SE. Prato in pendio ripido [prato inselvatichito]. V. Pecól, di cui è forma spregiativa.

Questo sì che è un vero pecól: tanto vero che necessita dello spregiativo suffisso -at! L'attributo si deve proprio al pendio, particolarmente ripido se confrontato agli altri dossi che lo fiancheggiano a E, elemento che aggiungeva altra fatica alla fatica della fienagione.
Il Pecolàt appare in tutta la sua evidenza dai prati di Glèrio: volgendo lo sguardo verso N in direzione di Vidrìnos e Caròno, si notano chiaramente le prominenze del terreno la cui pendenza aumenta da destra a sinistra. Il più a sinistra (O), più ripido e pronunciato, l’ultimo prima del risalto che segna il limite d’impluvio del Riù di Cuéštos, è appunto il Pecolàt226.
Quando l'anfiteatro sottostante CG, appunto verso Glèrio, si trasformava in un unico campo di sci (piste rigorosamente non battute227, e risalite ovviamente con sci in spalla), la discesa dal Pecolàt lungo la linea di massima pendenza costituiva una prova di coraggio e di tecnica riservata a pochi, tanto più che il brusco raccordo del pendio con il pianoro finale metteva a dura prova l’equilibrio degli ardimentosi. La sfida non terminava che in fondo al Pecolàt, possibilmente con una scïoro a regola d’arte. Sempre in agguato, una caduta vanificava ogni ardimento, e facilmente mutava da servo encomio in codardo oltraggio il commento degli interessati spettatori-concorrenti.

177. Péçs [ti -]   Q1530, ✧SE. Roccia nuda e pochi abeti [id.]. Péçs è pl. di péç (v. Pecìot), e dunque ti Péçs = negli abeti.

Un toponimo ti Péçs (altrimenti detto la Caròno di Péçs) può sembrare curioso in un luogo dove i péçs si contano a milioni. Dove mai, e soprattutto perché, sarà collocato un toponimo apparentemente tanto comune, e perciò stesso straordinario?
E il saggio Collinotto d’antan piazza il toponimo, curioso finché si vuole, precisamente dove deve stare, a definire e individuare un luogo dove di abeti – ovviamente – ce ne sono. Ma pochi, e soprattutto non ce ne dovrebbero stare, o giù di lì.
È dunque, ti Péçs, un’area di modeste dimensioni sovrastante Ornella, una piccola fascia di abeti che, in mezzo alla roccia nuda e al prato magro, si spinge fin sul bordo del canalone dell'Agâr di Róndoi. Luogo di camosci e di stelle alpine, fors’anche buono per qualche larice solitario. Non certo – ragionevolmente – per un gruppo di abeti ostinatamente attaccati alla roccia e dimenticati dalle valanghe.
Ed ecco a voi i Péçs.

178. Pessùol [a -]   Q630, ✧S. Prato pensile fra rocce molto inclinate [id.]. Probabile agglutinazione di = piede (Sc217) dal lat. pes (REW6439), e sùol = solo (Sc319) dal lat. solus (REW8080). Dunque “piede solo”.

Il termine dovrebbe dunque essere un’iperbole per rappresentare la ripidità o la pericolosità del luogo, ove appunto “si sta in equilibrio su un piede solo”.
Non è certo se l’origine del toponimo, che identifica un prato abbarbicato alle rocce pericolosamente inclinate della Crèto di Cjanâl, ai piedi della Vèto, sia di origine venatoria o se, come pare, qualcuno venisse davvero a falciare sin qui (v. Palos di Marinè).
Quel che è certo è che da decenni nessuno mette piede quassù. Almeno per lo sfalcio, ché non è da escludere che qualche cacciatore si spinga talvolta su questi fazzoletti pensili sulla pista di un camoscio fuggitivo (al quale camoscio, beninteso, auguro di cuore di morire di vecchiaia, esattamente come auguro al cacciatore).

179. Peštòn di Pio [dal -]   Q1200, ✧SE Prato ripido in fondovalle [prato inselvatichito e ruderi di edificio]. Peštòn è il mulino a pestelli per la pilatura dell’orzo, deverbale di pištâ = battere i cereali per ridurli in farina (Sc220), a sua volta dal tardo lat. pistare (REW6536); Pio è soprannome di persona.

Titolare del mulino a pestelli, e oggi del relativo toponimo, è Pietro di Qual (1849-1925), detto Pio (nulla a che fare con la devozione: è una derivazione canzonatoria del nome di battesimo del titolare).
L'edificio era situato nel fondovalle di Clap de Scjàlo, quasi di fronte al Mulìn di Nino sulla sponda opposta del riù di Morarìot di cui entrambi i mulini sfruttavano l'acqua come forza motrice. Analogamente al dirimpettaio e a tutti i mulini di Collina, anche il Peštòn di Pio concluse le sue fatiche in concomitanza con l'avvento dei mulini industriali, anticipando di qualche decennio l'abbandono della coltivazione di granaglie a Collina.
Oggi il mulino è qualche cosa meno di un rudere: è solo un mucchietto di sassi già difficile da identificare come edificio, prima ancora di intuirne la funzione.

180. Pic [lu -]   Q2158, ✧✧. Erta roccia nuda, sfasciumi frammisti ad erbe alpine [id.]. Pic è termine generico a indicare qualcosa di appuntito, dal picco roccioso al pungiglione degli insetti (Sc225), dall’onomatop. *pikkare = pungere (REW6495)228. Qui sta proprio per “punta rocciosa”.

Modesta cimetta rocciosa, la più settentrionale del gruppo dei Flurîts, che incombe sulla Fòrcjo di Morarìot e sul vicinissimo rif. Marinelli. Il Pic è in sé certamente insignificante sotto il profilo orografico, e sale agli onori della toponomastica solo in virtù della adiacenza al rifugio che sovrasta con la sua ingombrante presenza.
Il toponimo si deve certamente ai primi gestori e ospiti del rifugio, che ebbero la ventura di osservare da vicino – certo non senza qualche apprensione – le frankliniane performances (oh yes!) del Pic: durante i frequenti temporali, sul cocuzzolo cade infatti un numero impressionante di fulmini, a beneficio degli spettatori in rifugio. Rifugio di nome e di fatto in queste circostanze, e comprensibilmente più caldo e accogliente che mai.

181. Pic di Gòlo [sul -]   Q1938, ✧O. TU monte Gola. Boscaglia e prateria alpina [id.]. Per pic v. il lemma prec.; gòlo è la gola anatomica, ma anche un canalone scosceso o la gola fra due monti (SC98), dal lat. gula (REW3910).

Da Collina verso E il Pic di Gòlo appare come una piramide isolata e verdeggiante, con tre pronunciate gibbosità lungo il suo crinale SO (quella più in basso è il Cuél di Ğulìgn), mentre fra le sue pendici meridionali e il m. Crostis si apre una profonda gola boscosa (la gòlo del toponimo).
La prospettiva è ingannevole, giacché la “gola” è in realtà la valle di Plumbs, sufficientemente ampia per ospitare una malga con relativi pascoli, mentre il Pic di Gòlo stesso altro non è che il semplice punto terminale a O del lungo crestone erboso e pressoché orizzontale che si stacca dal crinale che congiunge il Cogliàns al m. Crostis e scende a separa le valli di Plumbs e Morarìot.
A giugno l’ampio pendio erboso che dal crinale scende verso malga Plumbs muta in un rosso mare di rododendri fioriti, uno spettacolo autenticamente mozzafiato paragonabile solo a quello dei non lontani Flurîts.
Per quota e posizione il Pic di Gòlo costituisce un punto panoramico d'eccezione, tanto verso il Cogliàns e i suoi satelliti che verso Collina, la valle del Fulìn e le Dolomiti Pesarine. Durante il primo conflitto mondiale qui presero posizione alcuni pezzi dell’artiglieria italiana che tenevano sotto tiro soprattutto la zona di Volàjo, a supporto delle truppe che presidiavano il Passo229. La postazione risultava defilata rispetto agli osservatori dell’artiglieria austriaca e ai pezzi attestati sul Maderkopf e sullo Judengras, ma furono le valanghe a causare un gran numero di vittime: nella notte fra il 20 e il 21 novembre 1916 una valanga travolse e seppellì i baraccamenti della truppa, causando la morte di 31 soldati (v. Plumbs).

182. ⇑ Riù di Gòlo [lu -]   Q1775-1495, ✧O. Ripido corso d’acqua attraverso bosco resinoso e prati [id.]. V. rispettivamente Riù e il lemma prec.

È un modesto ruscello che nasce sotto il Pic di Golo e si getta nel Riù di Plumbs all’altezza di Sot Temós.
Il rio, in parte visibile da CP, si attraversa salendo per la vecchia strada di Plumbs nel fondo di un’ampia conca oltre Temós e dietro l’ampia costa boschiva che scende dal Pic di Gòlo.

183. Piço(s)štuàrtos [in -]   Q1170, ✧S. TU Pizza Stuarta (CAT1801). Coltivi [prato inselvatichito]. Composto da spìço e stuàrto, entrambi al plurale (nella pronunzia cade la s iniziale cade, e la s finale di spìços viene agglutinata per un risultato molto simile a Piçoštuartos). Spìço è letteralmente la cima acuta di monte (Sc302), dal tedesco Spitze (v. pits, REW6645); stuàrto è femm. di stuàrt = storto (v. Stuàrts).
Il termine individua un’area a coltivi a S dell’abitato di CP (al di sotto di Sót ju órts) dove la frammentazione della proprietà fondiaria ha portato ad appezzamenti di terreno paralleli a sviluppo orizzontale e di forma allungata (come già in Còdos, v.), con l’estremità rastremata (di qui l’analogia con il significato originale di spìço) e apparentemente “storta” a causa del cambio di pendio verso Insòm Bùros (E).
 
184. Piçóul [a -]   Q1620, ✧SO. Ripido prato di mont [id. inselvatichito]. Toponimo di origine oscura. Parrebbe l’equivalente del friulano pizzûl = cece (NP772, manca in Sc), senonché a Collina di ceci si sa davvero poco, o nulla del tutto (per di più, quand’anche se ne sapesse, il nesso semantico fra il nostro Picóul-prato di mont in quota e i ceci medesimi è merce del tutto rara, e indigesta assai).

Detto dei ceci e confermata l’oscurità circa le origini di Piçóul, non si può tuttavia fare a meno di sottolinearne la tanto curiosa quanto strettissima somiglianza (identità?) con quel Pizolus-Pizolo da Collina che verso la metà del Trecento, insieme a Candido da Forni Avoltri, Biagio da Frassenetto e Matteo da Sigilletto, si recò presso l’Abate di Moggio ad implorare la concessione di un proprio sacerdote che potesse celebrare gli uffici divini, amministrare i sacramenti e tenere la cura delle anime nei quattro villaggi230.
A quanto sembra il privilegio fu concesso, di fatto portando così alla nascita della parrocchia di Sopraponti: concessione successivamente confermata nel 1467, anno al quale risale il documento citato in nota e che riprende la supplica trecentesca.
Va da sé che tutto l’amplissimo excursus si fonda sul fatto, non certo ma tutt’altro che irragionevole, che Pizolus altro non sia che la latinizzazione di Piçóul, ciò che darebbe al nostro toponimo il senso di un nome o, più probabilmente, di un soprannome. L’anello mancante, il nesso semantico con pizzûl = cece? Abbiamo corso molto, siamo già andati molto lontano: teniamo come punto fermo il fatto che la denominazione è tutt’altro che moderna, risalendo almeno alla fine del ‘600, come risulta dalla breve citazione “… il prato del Pizoul con la mittà del prato…”231.
Di ritorno al territorio, è così detto – a Piçóul – il prato ripido e malagevole che separa il Plan di Cjampēi dai pascoli della malga Cjampēi stessa. Il luogo è inconfondibile per chi da Collina salga ai pascoli della malga Cjampēi lungo il sentiero segnalato 141 (da Collina alla Fòrcjo di Ombladìot e a Pierabech). A Piçóul il sentiero si infossa profondamente nel terreno, sino a sprofondare ad altezza d’uomo e a privare totalmente il viandante della visibilità laterale: solo cielo e i bordi del sentiero. Sono solo pochi metri, ma posso garantire che la sensazione è decisamente sgradevole.

185. Pìçulo Ròjo [de -]   Q1220, ✧SE. Piccolo corso d’acqua [id.]. Pìçulo v. Culino Pìçulo; ròjo è il ruscello o fosso (Sc260)232 dal lat. arrugius (REW678) di identico significato.
1955. La Pìçulo Ròjo in Clap de Scjalo
1955. La Pìçulo Ròjo in Clap de Scjalo (F. Gino Del Fabbro)

Il toponimo indica un ruscello privo di particolari caratteristiche, situato nel bel mezzo di Clap de Scjàlo. Il suo nome è tramandato ai posteri in quanto in occasione della macellazione del maiale si recavano qui, lontano dall’abitato, gli abitanti di CG a lavare e preparare le interiora per l’insaccaggio delle carni233. Condotta sensibile e commendevole che trovava speculare riscontro a CP, dove i preziosi precursori di indimenticabili e indimenticati salams e lujànios erano mondati nella Rujùto.
La Pìçulo Ròjo è ancora ben visibile lungo la strada fra CG e la Siēo grazie al bel pozzetto in pietra che ne raccoglie acque.

186. Pièrtios (di Vereòns) [in -]   Q1270, ✧SE. Campi in pendio moderato e prato su pendio ripidissimo, con fienile e stalla [prato inselvatichito, il fienile è stato convertito in chalet]. Pièrtio è la pertica, dall’omonimo lat. pertica (REW6432)234: vereòns sembra essere accrescitivo plurale di vieri = maggese, terreno lasciato incolto (NP1274, manca in Sc) dal lat. veter = vecchio (REW9403)235.

Il luogo è solitamente detto in Pièrtios senza altri attributi.
La pertica è l’antica unità di misura romana della lunghezza, in seguito unità di misura agraria di lunghezza e di superficie diffusissima in Italia settentrionale e nei paesi anglosassoni, seppure con valori assai diversi nei vari paesi e località236. Per estensione, il termine assunse, oltre a quello di unità di misura, anche il significato più generico di “pertinenza”.
Nel nostro caso, il significato di pièrtios sembra essere quello generico di “superficie” o “area”: non è nota alcuna specifica relazione semantica fra luogo e toponimo, a meno che non si ipotizzi l’esistenza qui di una sorta di campione (ad es. il terreno stesso, la distanza fra due elementi fissi come pietre o altro). Pure congetture.
Quanto ai vereòns, giusto l’etimologia proposta si può solo pensare che le “pertiche incolte” fossero numerose oppure – e più probabilmente – incolte da molto tempo.
L’edificio che vi si trova, posto su un breve pianoro a lato del ripido prato che scende in Clap de Scjalo, era dotato anche di fienile e stalla, quest’ultima impiegata per tenervi una parte del bestiame nella tarda estate e quindi provvedere al concime per il prato. Il piccolo mišilìn (il letamaio) è ancora ben visibile davanti all’edificio.
La dislocazione del bestiame in stalle poco lontano dall’abitato durante l’autunno (stalle provvisorie, ma pur sempre in muratura e di buona fattura) era prassi consueta, finalizzata alla disponibilità di concime e quindi all’ampliamento dell’area dei coltivi anche lontano dal centro abitato, oppure alla concimazione dei prati. L’intera valle è punteggiata di stâlis (v. Stâli) su entrambi i lati, e fino alla testata della valle stessa.
La posizione è quanto mai amena, poco discosta dalla strada ma da essa totalmente invisibile: visto dal Runc di Cuàl, quasi dirimpetto, ai bambini dell'asilo in gita en plein air il fienile di Pièrtios era contrabbandato per la casetta dei Sette Nani…

186bis. Piràmido [te -]   Q1900, ✧SO. Prateria alpina in pendio ripidissimo, rade conifere [id.]. Piràmido è voce locale per l’it. piramide (manca in Sc e NP), da cui peraltro deriva.
Il Cogliàns in veste autunnale
Il Cogliàns in veste autunnale. Dalla vetta verso dx, il Coston di Stella e la forma evidente della Sièlo con la Piràmido (foto dell'autore).

Il toponimo identifica precisamente il ripidissimo prato di approssimativa forma triangolare, ben visibile dal fondovalle da Collina ai Runcs, che si spinge fin sotto il “corno” della sella-Sièlo. La denominazione è certamente “invenzione” dei cacciatori locali, ma non per ciò è di origine recente, essendo largamente in uso già nella prima metà del ‘900.
Se l’etimologia è evidente, non è altrettanto chiaro se l’origine sia da ricercarsi nella forma triangolare del prato stesso, con un vertice slanciato verso l’alto, o nel soprastante “corno” della Sièlo, esso sì di forma quasi perfettamente piramidale per chi lo osservi da Collina.
Il luogo, “servito” da un sentierino da capre, oltre che dai cacciatori era anche raggiunto dai valligiani per la raccolta di legna da brucio che, in assenza dell’attuale strada che conduce alla Fòrcjo di Morarìot e al rif. Marinelli, era calata a mano fino alle Cjàsos, quasi 500 m più in basso, e di qui con la slitta a Collina. Resta (oggi) un mistero come gli stessi raccoglitori di legna avessero poi voglia di tornare lassù a caccia…

187. Pišàndolo (dal Landri) [de -]   Q1390, ✧O. Roccia viva con salto d'acqua [id.]. Dal lat. pisciare (REW6544, Sc228) nel senso di “cascata d’acqua”.

Nelle sue varianti il termine è frequentissimo e ubiquitario, a indicare cascate vere e proprie, salti d’acqua ecc. La nostra è un salto perfettamente verticale di una decina di metri.
In qualità di cascata vera e propria, la Pišàndolo è purtroppo del tutto occasionale, legata com'è agli eventi meteorologici: dopo un temporale pomeridiano, ad esempio, la cascatella è bellissima, tanto ricca d'acqua da essere… inavvicinabile, e così pure in primavera, in tempo di disgelo.
D'altra parte, il bacino di raccolta delle acque meteoriche è enorme, e con pochissima capacità di assorbimento: l'agâr a monte della cascata (Riù Landri) è normalmente secco, ma durante i temporali estivi può mettere in moto un mostro dalla potenza inarrestabile, che si scarica interamente nella gola della Pišàndolo.
La parte superiore della forra è formata da tortuosi e ripidissimi salti in stretta successione, una sorta di toboga quasi verticale (alcuni tratti sono percorribili solo con discesa a corda) che fa prendere velocità all'acqua prima della cascata vera e propria, dalla quale l'acqua esce come un getto ad alta pressione frammista a pietre, rami, talvolta a tronchi interi. In regime normale, invece, la cascata altro non è che un rivoletto che saltella e scorre lungo il muschio abbarbicato alla roccia, per terminare in un'ampia pozza d’acqua cristallina.

188. Pišàndolo (di Plumbs) [de -]   Q1260, ✧NO. Salto d'acqua [id.]. V. lemma prec.

Delle due note a Collina con questo nome questa è la più ricca di acqua in condizioni normali, ma con salto meno marcato e verticale dell’altra.
È formata da un salto d’acqua di pochi metri del Riù di Plumbs, poche decine di metri a monte della confluenza di questo nel Riù di Morarìot.

189. Plaço [in -]   Q1190, ✧S. Centro abitato [id.]. La Plaço altro non è che la piazza (Sc230)237 dal lat. platea (REW6583).

Un toponimo come “in Piazza”, per di più riferito ad uno spazio in un abitato, può sembrare una ovvietà indegna di menzione. In questo lavoro, come è già stato sottolineato all'inizio, non è compresa l'analisi della toponomastica ufficiale: non via Stretta, e neppure scalinata san Michele o piazza degli Alpini. Coerentemente con questo approccio, abbiamo incluso la piazza che non c'è o, meglio, non esiste nella TU.
Secondo questo criterio, non si tratta dunque della piazza di CG, intitolata agli Alpini, che coerentemente è detta plaço a CG. È invece la plaço di CP, da sempre così definita nel linguaggio locale e mai come tale ufficialmente battezzata. Nella realtà, le cose sono un poco più complesse, e vediamo se ci riesce di dipanare l'intricata matassa. Il “dove”, anzitutto.
Contrariamente a quanto la quasi totalità dei foresti (e buona parte dei Collinotti under 50) crede, la Plaço non è lo spazio di forma approssimativamente quadrangolare che funge, per intenderci, da parcheggio centrale (!) di CP.
Fino al 1950 circa, questo era luogo di fienili, uno spiazzo senza muro di sostegno a valle e quindi neppure pianeggiante. La Plaço originale si trova invece 15 metri indietro lungo la strada che proviene da Forni Avoltri, in uno slargo della strada appena percettibile e lontanissimo da una qualsivoglia idea di “piazza”.
Bisogna infatti ammettere che per come appare oggi il luogo è alquanto impersonale: tre case, una scalinata che scende e una che sale, due garages che si aprono nel muro a settentrione che, a sua volta, sostiene un orto. Ma non fu sempre così.
Fino al 1960 circa, in luogo degli attuali garages ci fu l'àip, l'abbeveratoio al quale non solo si abbeverava il bestiame, ma dove pure i cristiani andavano ad attingere l'acqua con cjaldéirs e buvìnç (i secchi di rame stagnato, portati a spalla a due a due con l'archetto), oppure a lavare i panni. Ciò, naturalmente, fino all'ingresso dell'acqua corrente nelle abitazioni, verso la metà degli anni '50, o piuttosto fino all’arrivo della lavatrice, 10 anni più tardi.
Inoltre, sulla piazza si affacciava l’osteria con locanda “Alla Corona”, l’unica di CP e soprattutto dotata dell’unico posto telefonico pubblico e unico telefono di CP, oggi casa privata d'abitazione (Caminòn, AP60).
Con linguaggio moderno, si può certamente affermare che il sito e le sue pertinenze (compresa una panchina) costituivano l'autentico luogo d'aggregazione di CP. Da cui, con un pizzico di comprensibile enfasi, la denominazione di Plaço, vero e autentico topos di CP!
Quanto al tempo in cui collocare l’origine dell’appellativo, non abbiamo certezze: certamente non recente, come parrebbe suggerire l'associazione di Plaço a Caròno (v. il lemma che segue) e quindi, in epoca certamente posteriore, al cognome Di Corona. Quest'ultimo è già presente a CP agli albori dell'anagrafe moderna, alla fine del XVI secolo: una presenza che già allora ha tutta l'aria di essere ben radicata. La Plaço coeva delle prime case di CP, dunque, o di poco successiva? Non sappiamo, e probabilmente non sapremo mai.
D'altra parte, piccola o grande, è comunque importante che anche i “Collinotti Piccoli” abbiano (avessero!) il proprio punto di riferimento al centro della villa. Oggi, deprivata la Plaço di àip e osteria, il centro cittadino si è spostato di ben 15 metri verso E, in corrispondenza del piccolo parcheggio che dà sulla Carònodi Plaço (v. il lemma succ.).

190. ⇑ Caròno di Plaço [su la -]   Q1190, ✧SE. Abitato con strada urbana [id.]. V. Caròno e il lemma prec.

La Plaço a cui deve la denominazione la caròno è quella del toponimo precedente, luogo dal quale la caròno stessa dista – giustamente – non più di 15 metri in direzione di CG.
Dissimulata dai numerosi edifici costruiti e ricostruiti in ogni epoca intorno alla strada che la attraversa238, oggi la caròno non è topograficamente d'immediata percezione: a prima vista, una curva qualsiasi, e assai lontana dal corso d’acqua a cui una caròno è generalmente associata. Il toponimo la individua e la identifica invece con precisione chirurgica, fino a costringere l’occasionale topografo al classico “eh, già!”.
La curva a gomito (la denominazione corrente è la voltado di Caminòn, dal nome attuale della casa/casata d'angolo l'angolo della casa un tempo detta di Caròno239) che oggi costringe gli autisti a procedere a passo d'uomo è precisamente l'erede della caròno topografica, lungo il limite d'impluvio del riù di Cuéštos. Il costone è meglio percepibile transitando lungo la strada più alta che evita l'abitato, ma la sua prosecuzione verso il basso passa inequivocabilmente di quaggiù.
Seppure oggi topograficamente misconosciuta, la nostra Caròno ha lasciato a Collina segni indelebili nell'onomastica: due abitazioni a CP (una delle quali proprio sulla caròno) e due cognomi, Di Corona e Sotto Corona, entrambi originatisi proprio dal nostro toponimo oltre 500 anni fa240.
Per completezza, diremo che prima della costruzione della variante alta della strada comunale, che transita ai margini del paese, la Caròno di Plaço fu per lungo tempo un'autentica corona di spine per gli autisti di autocarri e corriere: per superare la curva erano sistematicamente necessarie manovre su manovre le cui testimonianze rimanevano indelebilmente impresse tanto sui veicoli quanto sui muri laterali.
Salvo, beninteso, interventi di venali carrozzieri e muratori, ignari obliteratori della storia e delle sue testimonianze.

191. Plan [in -]   Q1140, ✧NO. Prato pressoché pianeggiante [id. inselvatichito]. Dal latino planus = piano, piatto (REW6581), con identico significato (Sc230) o, meglio, “pianoro”.

Plan è termine assai frequente e ubiquitario in toponimi composti, a indicare una porzione più o meno vasta di terreno piatto o pressoché pianeggiante. Beninteso, sul territorio montano e di Collina in particolare le cose vanno un po' diversamente, dal momento che la morfologia del terreno non concede praticamente nulla sotto questo profilo. Pertanto, nella parlata di Collina il termine topografico plan può essere inteso solo come antagonismo o negazione di ribo, il pendio ripido che caratterizza gran parte del territorio della villa.
Il nostro Plan per antonomasia si trova lungo il corso del rio Fulìn, poco a valle della confluenza del riù di Plumbs nel riù di Morarìot, su entrambe le sponde di quest’ultimo. Tanto ampio e boscoso il plan in sx del rio quanto ristretta e prativa la parte in riva dx, posizione davvero poco fortunata tanto per l’angustia del prato quanto per la modesta insolazione.
Nulla di pur lontanamente paragonabile alla Bassa friulana o al plat pays, insomma, ma una sorta di segnale o messaggio: tanto qui che negli altri numerosi plans di Collina almeno si riesce a falciare senza las çàfos, i ramponcini sempre presenti nella gerla di chi va a seâ. Più in plan di così…

192. ⇑ Agâr di Plan [lu -]   Q1350-1145, ✧NO. Solco di scorrimento d’acqua [id.]. V. rispettivamente Agâr e Plan.
Nulla più che un modesto ruscello, visibile solo a breve distanza, il cui corso si sviluppa interamente nel folto del bosco. L’agâr confluisce nel rio Fulìn in corrispondenza di Plan (di qui il nome), sulla sponda opposta (sx) del rio.
 
193. Plan de Argìlo [sul -]   Q1330, ✧NO. Radura erbosa in pendio moderato, bosco resinoso [boscaglia in bosco resinoso]. V. Plan; argìlo è la comune argilla (Sc9), dal greco árghilos, da cui il lat. árgilla e argìla (REW641) e lo stesso it. argilla.

Il toponimo si deve ai consistenti affioramenti argillosi che caratterizzano il suolo di quest’area, situata nel bosco oltre il rio Fulìn, sopra Plan di 'Sôro.
Il Plan de Argìlo è (o, meglio, era) una delle piccole radure che si aprivano nella grande foresta di conifere che ricopre l'intero versante a bacìo della valle. Radure oggi in gran parte cancellate, per numero e per estensione, dall'incontrastato sviluppo della boscaglia e dall'avanzare del bosco stesso.
L’argilla prelevata qui era trasportata alla fornace situata sulla sponda opposta (dx or.) del rio Fulìn, in Mulìnos – più precisamente, nei pressi del Mulìn di Cjanóuf – dove era impiegata nella produzione di tegole da copertura.

194. Plan di Bóuš [tal -]   Q1700, ✧S. Pascolo alpino in medio pendio [id., inselvatichito]. V. rispettivamente Plan e Pas di Bóuš: ne risulta quindi il “Piano dei Buoi”, ma non quello della TU che situa il Piano dei Buoi sopra Morarìot.

Breve pianoro ai piedi del costone dei Bùrgui. In alcune circostanze, fra cui questa, l’uso del termine plan può apparire sorprendente se confrontato alla morfologia del territorio, ma è pur vero che tutto è relativo (o quasi). Nella fattispecie, il termine va per l’appunto inteso in senso relativo, a fronte dei ripidi pascoli che lo circondano e dei costoni che lo sovrastano.
Il Plan di Bóuš era parte dell’alpeggio di Cjampēi, esclusivamente destinato al pascolo dei buoi. Ogni categoria vaccina godeva di pascolo e ricoveri propri, distinti da quelli delle altre consorelle: così per le vacche (le più vicine alla casera, per evidenti ragioni logistiche), ma anche per i buoi, le manze e i vitelli, più lontani e periferici ma sempre fra loro distinti.

195. Plan des Cìdulos [tal -]   Q1230, ✧NO. Radura erbosa in lieve pendio in bosco resinoso [in via di rimboschimento]. Cìdulo è la rotella in senso generale, ma il pl. cìdulos identifica precisamente l’oggetto dell’antico rito del lancio dei dischi di faggio arroventati (las cìdulos) assai diffuso nelle valli carniche, e in particolare nel Canale di Gorto. Tanto per cìdulo che per il precursore cìdul (puleggia) Scarbolo suggerisce l'origine nel veneto zìdela (Sc51). Pare comunque doversi individuare la radice primigenia di cìdulo nell’onomatopeico ci (REW2451a) per il cigolio della puleggia che ruota, da cui anche civulâ = cigolare.

Il lancio des cìdulos (cìdulis in friulano medio) era rito legato al ciclo delle stagioni, in particolare alla fine dell’inverno, e si svolgeva fra l’Epifania e l’equinozio di primavera, a seconda dei luoghi.
Il lancio si svolgeva alla sera, in modo che nel buio risaltasse ancor più la traiettoria dei dischi infuocati, e per lo più era effettuato da colli o luoghi elevati al di fuori dell’abitato, a scongiurare i rischi d‘incendio. La qualità del lancio – altezza, gittata, fulgore della cìdulo– vaticinava l’esito degli messaggi augurali che accompagnavano il volo del disco.
Il lancio era spesso accompagnato da auspici per il nuovo anno o per la nuova stagione, ma soprattutto era scortato da dichiarazioni amorose alla fidanzata o alla bella di turno. Accadeva talvolta che la pulzella, non sempre edotta degli imperscrutabili percorsi e bersagli dei dardi ormai già lanciati da Cupido, solo nella circostanza apprendesse dell'esistenza di pretendenti e spasimanti, non sempre e non necessariamente benvenuti.
In alternativa alla scorta di amorini svolazzanti (dopo tutto, la disponibilità di fanciulle da marito non era poi così ampia) la cìdulo volava accompagnata da motti e frizzi indirizzati a qualche malcapitato compaesano e/o compaesana (non raramente accostati) inopinatamente alle prese con beffardi sbertucciamenti e salaci battute. Una sorta di berlina, insomma: protetto dal relativo anonimato del bosco, il dileggio poteva (e sapeva) essere anche molto, molto urticante!
Ancorché assai diffusa, la consuetudine fu come altre abbandonata nei primi decenni del secolo scorso: oggi la tradizione viene qua e là riesumata in Carnia, prevalentemente a scopo di attrazione turistica241.
Il Plan des Cìdulos era, naturalmente, il luogo ove i Collinotti si recavano per l’appunto a trai las cìdulos242. La particolare posizione del luogo, nel fitto del bosco ripido e scuro a bacìo nella valle, precisamente di fronte all'abitato, ne faceva un palcoscenico e uno sfondo ideale per ciò che era un autentico spettacolo: i dischi di faggio arroventati volavano alti sopra il bosco sottostante, per poi cadere e – importante! – spegnersi in fondovalle, nei pressi del Riù di Morarìot.

196. Plan des Gòfolos [tal -]   Q1380, ✧S. Prato, quindi bosco in medio pendio [bosco di conifere]. V. Plan; gòfolos sta con il friul. gòf o gòful = goffo, nell’accezione di “rigonfio” (NP393, manca in Sc) volto al femm. e al plurale, con etimologia nell’onomatopeico guff (REW3907) di identico significato.

A Collina gòfolos (gòfolo al sing.) è in sé termine del tutto privo di significato (a parte, beninteso, il nostro plan). Oggi è così, ma qualche cosa dovette pur significare per l’anonimo immaginifico che per primo coniò il termine, come pure dovette sembrare accettabile ad altri tanto da farlo divenire parte caratteristica di un toponimo largamente condiviso.
Chi transitasse per questo luogo al tempo giusto (non tutti gli anni, e certo non in ogni periodo dell’anno) avrà forse la ventura di notare, disseminati nel verde dell’erba, numerosi esemplari di Lycoperdon, un fungo in it. comunemente noto come “vescia” (ne esistono numerose varietà, tutte appartenenti alla famiglia delle Lycoperdaceæ). Che fossero questi funghi, tondeggianti e apparentemente rigonfi, le gòfolos del nostro plan? Forse no, ma mi piace pensarlo…
Il piccolo Plan des Gòfolos è posto poco sotto l’Avièrt, nel grande costone boscoso che sovrasta CP in direzione NO. Lo si raggiunge a mezzo di un piccolo sentiero che si diparte dalla Strado di Soldâts poco oltre Comedo’: superato il nostro plan, il sentiero sale anch’esso all'Avièrt.
Come tutti i plans suoi simili, oggi anche il Plan des Gòfolos è riconoscibile con difficoltà nel folto della foresta, sempre più piccolo e con minor respiro, ridotto com’è a minuscola isola erbosa nel mare di abeti che la circonda.

197. Plan des Làštros [tal -]   Q1570, ✧N. Pascolo e bosco resinoso in medio pendio [id.]. V. Plan; làštro è la lastra di pietra, o il vetro della finestra (Sc156), dal veneto lastra, a sua volta dall’olandese last (REW4922, 1).

Il Plan des Laštros è una delle piccole radure all’interno del bosco di Devóur lu Malìot, sulle pendici settentrionali del Pic di Gòlo. Posto fra il Plan des Palùs e il Plan des Misérios, deve il suo nome ad alcuni affioramenti superficiali di roccia compatta (làštros) che ne caratterizzano la superficie.
Terreno povero tanto per l’esposizione quanto per la qualità del suolo, il Plan des Làštros fu esclusivamente adibito a pascolo e allo sfruttamento del legname dei boschi circostanti.

198. Plan des Misérios [lu -]   Q1600, ✧N. Pascolo e bosco resinoso in medio pendio [id.]. V. Plan; misérios è pl. di misério = miseria, dall’it. (Sc185).

È quasi un controsenso etimo-logico (soprattutto logico!) che una nozione autenticamente autoctona come la misério debba derivare dall’it. Quasi uno scandalo se, a ripensarci, non venisse in mente che si tratta di un concetto talmente universale che si può ben dividere con chicchessia e con qualsivoglia lingua di questo mondo. Plan des Misérios è una specie di sintesi di tutto questo, sottolineata dal plurale misérios, miserie, quasi a far capire che di miserie non ce n’è una sola, ma infinite e d’ogni natura243.
Il nostro è il più orientale dei tre piccoli plans pascolivi entro il bosco di Devóur lu Malìot (v.) e il più prossimo al “vero” pascolo di Morarìot. Autentico nomen omen, quello des Misérios è fra i peggiori plans di Collina, ripido e con prato assai magro. Ma si pascolava anche lassù…

199. Plan des Palùs [tal -]   Q1540, ✧NO. Pascolo e bosco resinoso in medio pendio [id.]. V. Plan e Palù.

È il primo dei tre plans (v. i lemmi prec.) lungo il sentierino che da Devóur lu Malìot muove in direzione dei pascoli di Morarìot, e come i suoi simili era luogo di pascolo non particolarmente fortunato, soprattutto per lo stato del terreno egregiamente raffigurato dal toponimo stesso.
Dalle acque del Plan des Palùs prende avvio il breve corso del Rušulàn.

200. Plan di Pièrtios [lu -]   Q1250, ✧O. Bosco resinoso in pendio poco pronunciato [id.]. V. rispettivamente Plan e Pièrtios di Vereòns.

Lungo il sentiero che dal Fulìn conduce a Givigliana (oggi “autostrada” forestale, monumento all’insipienza e all’arroganza umana), poco sopra il confine della Vižo si trova(va) il Plan di Pièrtios.
La relazione semantica di pièrtios con il territorio sembra qui emergere con sufficiente chiarezza, sia che pièrtios debba intendersi come misura di lunghezza o nella già citata accezione di “pertinenza”244. Trovandosi il luogo in prossimità dei confini fra due villaggi è probabile che il toponimo faccia riferimento a misure o assegnazioni effettuate al tempo della definizione della linea di demarcazione245.

201. Plan di san Ğuàn [lu -]   Q1990, ✧S. Pascolo in alpe in medio pendio, e conca ghiaiosa [id.]. Plan (v.) = piano; san Ğuàn è san Giovanni in friulano, quindi “Piano di san Giovanni”.

Se il plan si deve alla morfologia del luogo, un breve falsopiano circondato da ripidi pascoli e ancor più ripidi sfasciumi, non è invece chiaro se l’agiotoponimo (uno dei pochissimi di Collina) si debba a un'immagine votiva collocata qui in tempi remoti e di cui si è persa traccia, oppure ad altro. Il riferimento potrebbe essere al giorno di san Giovanni Battista (24 giugno) tradizionale data di monticazione degli alpeggi246.
Il plan si trova al fondo di un solco di una valletta, rinserrato fra i ripidi versanti che scendono dal Pic a E e dal m. Chiadin a N, ed è sfiorato al suo margine sx dal sentiero che sale alla Fòrcjo di Morarìot e al rif. Marinelli, poco prima di affrontare l'erta china finale. Pur distante dalla malga e a quota sensibilmente più elevata, il luogo è parte del pascolo di Morarìot247: autentico gradino sui ripidi pendii a N della casera, nella sua minuscola conca il Plan di san Ğuàn conserva, talvolta fino ad estate inoltrata a dispetto dell'esposizione a S, i resti delle valanghe invernali e primaverili. Non è (era) infrequente imbattersi nelle vacche dell'alpeggio amenamente pascolanti in prossimità dei vasti accumuli di neve, quando non ritte nel bel mezzo del piccolo deposito candido, forse in cerca di refrigerio nei primi caldi estivi.

202. Plan dal Sant [tal -]   Q1450, ✧S. Prato in medio pendio [id. inselvatichito]. V. Plan e i lemmi prec.

Il Plan dal Sant è una piccola area prativa all’estremo sudoccidentale di Frints, in prossimità di un fienile distrutto, probabilmente da valanga.
È possibile che l’origine del toponimo sia in relazione con la chiesa di san Michele a Collina e con le pertinenze e proprietà di quest’ultima. Il Plan dal Sant sarebbe dunque il “prato (della chiesa) di san Michele”, dato in conduzione a contadini del luogo contro il pagamento di un “fitto” convenuto.

203. Plan di ‘sôro [in -]   Q1170, ✧NO. Radura a pascolo in medio pendio [bosco resinoso]. V. rispettivamente Plan e la prep. sôro-sopra, per “Pianoro di sopra”248.

Grande radura nel versante S della valle in prossimità del riù di Morarìot, fra l’Agâr Scûr e l’A. di Plan.
Non distante dall’abitato e quasi di fronte alla chiesa sull’opposto versante (sx) della valle, Plan di ‘sôro era uno dei più noti e frequentati luoghi di pascolo, grazie alla ottima e abbondante pastura: intere generazioni di pastorelli vi hanno speso una buona parte della loro fanciullezza.
Come tutte le radure della valle anche questa è in via di rapida estinzione, assediata e sempre più costretta dall’avanzata del bosco. Nel folto indistinto e indistinguibile della vegetazione l’antico pascolo è oggi irriconoscibile: solo il pendio più dolce fa insorgere curiosità e sospetti, immediatamente fustrati dalla totale mancanza di punti di riferimento.
Il sôro e il sót che caratterizzano questo toponimo e il successivo fanno riferimento alla vasta area identificata con Plan (senza attributi, v.): sebbene chiaramente identificabili sul territorio rispetto a Plan, il P. di‘sôro e il P. di ‘sót ne sono la continuazione verso l’alto e il basso, rispettivamente.

204. Plan di ‘sót [in -]   Q1140, ✧S. Prato pressoché pianeggiante [id. inselvatichito]. V. Plan e la prep. sót-sotto, e dunque “Pianoro di sotto”.

È il contraltare di Plan di ‘sôro e la continuazione di Plan verso il basso, più a valle lungo il riù diMorarìot e sulla riva dx di questo, poco a monte della confluenza del Riù de Cuéštos.
Eccone menzione nel già citato atto di scorporo dei beni del debitore insolvente Vito Betan: “Primo il Pezzo pratto in Piani di Sot sotto la ribba posto nelle pertinenze di Culina, confina d'amattina con S. Leonardo Tamusino, a Mezzo dì col Riù, a ponente …”249.
Come tutte le aree circostanti, il terreno è di origine alluvionale, con le ghiaie quasi affioranti nella sottile cotica erbosa. Se a questo si aggiunge l’insolazione, davvero modesta, l’altrettanto modesta qualità (e valore) del terreno emerge in tutta la sua chiarezza250.

205. Plan di Trìcui [sul -]   Q1300, ✧NO. Radura e pascolo in bosco di conifere in medio pendio [id., poco riconoscibile per l’invasione del bosco]. V. Plan; trìcui è pl. di trìcul = altalena (Sc334) dall’onomatop. trik trak (REW8902a).

Il Plan di Trìcui si trova a E e a quota di poco superiore a quella di Plan des Cìdulos, fra due piccoli ruscelli.
Il curioso nome si deve ai giovani pastori che vi si recavano al pascolo, approfittando del tempo libero per dondolarsi appesi per le braccia ai rami delle piante251.
È da ritenere che per le sue caratteristiche il luogo fosse ritenuto particolarmente adatto a questo esercizio, verosimilmente assai – e non solo qui – praticato dai pastori, al punto da assurgere a termine convenzionale prima, e ad autentico toponimo poi.

206. Plan di Valebós [tal -]   Q1300, ✧O. TU Plan di Val di Bos. Bosco resinoso in pendio moderato [id., raggiunto da strada asfaltata e percorso da strade forestali]. V. Plan; Valebós è invece di origine non chiara, apparente agglutinazione di Val (v.) e bós, dove il significato di quest’ultimo è tuttavia incerto.

A prima vista l’origine sembra evidente in bós= bosso (Sc28) dal lat. buxus (Buxus sempervirens) con il che si avrebbe il “Piano della valle del bosso”. Non mancano tuttavia gli elementi di incertezza: quale la valle così caratterizzata, e dove e quanto il bosso, pianta non certo caratteristica di questi luoghi252?
Altri propone bós come variante di bóuš = buoi, ma è soluzione che pone problemi ancora maggiori della precedente253.
Da non escludere del tutto, infine, l’ipotesi di Valebós non come agglutinato ma come vallibus, ablativo pl. di vallis, ciò che darebbe “piano ove si scende dalle valli”. Ineccepibile in questo caso il nesso con il territorio, dal momento che il Plan di Valebós è precisamente il luogo dove le alte valli del Riù Landri e del Riù di Morarìot sfociano al piano254.
Siamo alla testata della valle di Collina: qui termina la carrozzabile e da qui si dipartono le mulattiere che salgono in quota, verso i rifugi e la montagna “vera”. Qui, al limite superiore del Plan di Valebós, sorge anche il primo dei Tre Rifugi dell'omonima corsa in montagna, gara di staffetta che ogni anno si tiene a Collina nella prima domenica dopo Ferragosto255.
L’attuale rifugio, edificato nel 1966 e intitolato a Edoardo Tolazzi, sostituì la ultradecennale Baita Plan di Val di Bôs (v. Bàito), ancora visibile nell’abetaia poco a lato (sx) della strada che sale al rif. Tolazzi.

207. Plan dal Véspol [a -]   Q1330, ✧SE. Prato in medio pendio [id. inselvatichito, bosco]. V. Plan; véspol è il faggio (Sc347), dal lat. vespix –ice = boscaglia fitta (REW9275b).

Certo non molti faggi quassù, nel folto dell’abetaia. Forse solo uno, o un véspol particolare, quanto basta per creare un nuovo toponimo: appunto Plan dal Véspol, nulla più che un piccolo prato tutt’altro che pianeggiante (i soliti plans di Collina!) lungo la Strado di Soldâts, poco prima di giungere al Avièrt.
Prato piccolo ma, beninteso, con faggio regolamentare! Dal luogo, ormai in via di rapido rimboschimento, l’ultimo véspol (discendente di quello del toponimo…) scomparve alla fine del secolo scorso, ridotto in legna da ardere.

208. Plumbs [in -]   Q1720, ✧SO. TU Casera Plumbs. Pascolo in alpe in pendio medio-dolce, con casera [id.]. Toponimo di origine incerta, forse dal lat. *plumbum = piombo (REW6615, friul. plòmp, Sc234) per il colore scuro delle rocce del m. Crostis che incombono sul versante S della valle. O forse attraverso plumbicare = immergere, tuffare (REW6613), ma con riferimento all’omonimo rio, scosceso e ricco di salti d’acqua (v. qui di seguito Riù di Plumbs).
1916. Attendamento militare nella valle di Plumbs
1916. Attendamento militare nella valle di Plumbs.

Giusta la seconda delle due ipotesi avanzate, la denominazione si sarebbe quindi estesa dal rio all’intera valle, in particolare all’ampia conca ove si trovano pascolo e edifici della malga.
Consorella della contigua Morarìot, Plumbs ne ha pure seguito i destini, nella fortuna come nel declino. Le vicissitudini proprietarie dei due alpeggi sono assai simili: storicamente proprietà divisa in quote fra le famiglie di Collina e quindi proprietà della ricca famiglia di Tamer256, la malga di Plumbs subì diversi passaggi di proprietà finché fu acquistata dal Consorzio di Collina negli ultimi decenni del 1900, quando l’attività di monticazione era già in via di rapido declino.
Con superficie analoga a Morarìot257 ma dotata di un pascolo considerato di migliore qualità, la malga rimase in attività fino alla metà del 1900. Dopo il 1950, al decrescere dei capi di bestiame in Carnia, anche l’alpeggio di Plumbs fu progressivamente abbandonato. Dopo un periodo di totale disuso e incuria, a seguito di una considerevole rifacimento delle strutture edilizie la malga ha ripreso un’attività a onor del vero discontinua, prevalentemente con bovini giovani di provenienza sudtirolese o cadorina.
Sebbene lontano dalla prima linea, durante il primo conflitto mondiale il settore di Plumbs ospitò un numeroso contingente di truppe a supporto tanto delle posizioni di Forcella Plumbs, lungo i Flurîts e sul Crostis, quanto delle batterie di artiglieria sul Pic di Gòlo con funzione di copertura del passo Volaia. Per facilitare il trasporto di armi e munizioni e quanto necessario fu costruita una mulattiera che dalla Siēo raggiungeva la Forcella Plumbs, sul cui tracciato fu poi costruita l’attuale strada forestale che raggiunge la malga.
Lontana dai combattimenti Plumbs ebbe le sue vittime, ma non per mano nemica: nella notte fra il 20 e il 21 novembre 1916, una valanga travolse i baraccamenti della truppa, seppellendo 31 soldati. Nei primi due inverni di guerra, e su ambo i lati, le valanghe furono il nemico principale dei soldati in alta quota, tanto da causare assai più vittime del fuoco nemico (v. Volajo).
Tuttavia, non sempre di questi infausti eventi fu unico responsabile il rio destino. Altrettanto se non più responsabili furono incompetenza e superficialità, doti evidentemente diffuse in ambo gli schieramenti belligeranti se un militare di carriera giunge a scrivere: “Baracche e rifugi erano sorti spesso in ossequio ad esigenze tattico-militari, trascurando certi elementari principi di prudenza che la legge della montagna ha insegnato da sempre. Si costruì ad esempio una grande baracca in un punto estremamente pericoloso, adducendo come motivazione un periodo di insolazione più lungo che altrove258.
Sembra la storia dei baraccamenti di Plumbs, dove ad imperizia e superficialità si aggiunse un pizzico di arroganza, deliberatamente trascurando i reiterati avvertimenti degli abitanti di Collina circa la pericolosità del luogo prescelto. Come spesso accade, il destino avverso colpì la truppa, che certamente non aveva responsabilità alcuna nella scelta dell'ubicazione di tende e baracche.
Nessuna delle vittime – né, evidentemente, dei loro comandanti – aveva dimestichezza con la montagna: per alcuni di essi era forse in assoluto il primo contatto con la neve. L'elenco dei caduti, ancora ben visibile sulla lapide commemorativa nel piccolo cimitero di Collina, è persino impietoso nel suo scandire grado, nome, luogo di provenienza. Tutte, o quasi tutte, città di pianure lontane, città di mare, del sud, delle isole: Firenze, Milano, Livorno, Massa, Pavia, Cagliari, Lecce, Salerno …

209. ⇑ Cjadìn di Plumbs [tal -]   Q1915, ✧O. Pascolo alpino, sfasciumi [id.]. V. Cjadìn e il lemma prec.

Con questo nome è definita la parte superiore del pascolo di Plumbs, una piccola conca di escavazione glaciale fra la malga e la omonima forcella soprastante, alle pendici NO del m. Cròstis.
È toponimo in via di desuetudine nella parlata corrente: il luogo tende infatti ad essere assimilato a semplice pertinenza del grande pascolo di Plumbs.

210. ⇑ Fòrcjo di Plumbs [la -]   Q1975, ✧E-O. TU Forcella Plumbs. Pascolo alpino [id.]. V. Furcjìto e Plumbs.

La Fòrcjo di Plumbs è il passaggio più diretto dall’alto Canale di Gorto (a monte di Comeglians) per il valico di Monte Croce Carnico, e quindi per Mauthen-Kötschach (rispettivamente Mudo e Chešàc in culinòt). Come tale fu per secoli attraversato dai cramârs che in autunno muovevano dai villaggi della valle verso il centro Europa, per esercitare colà la loro attività stagionale259.
Nel periodo bellico la forcella, sede di cospicui insediamenti di truppe, fu raggiunta da una mulattiera che vi saliva dalla malga Plumbs, una stradella ancora oggi ben visibile e in parte percorsa dall’odierno tracciato: oggi la fòrcjo è infatti un crocevia di sentieri escursionistici da e per Collina, il rif. Marinelli, Monte Croce Carnico e il m. Crostis (quest’ultimo lungo la sua cresta N).
Per completezza va aggiunto il transito del bestiame, soprattutto al tempo in cui le malghe del versante paluzzano del sistema Cogliàns-Crostis erano monticate dai Collinotti260. Oggi, insieme agli immancabili escursionisti (in verità qui non particolarmente numerosi), tutt'al più qualche capo vagabondo si spinge attraverso il valico in cerca di pascolo, e nulla più.
Nella Kriegskarte alla Fòrcjo di Plumbs è attribuita la denominazione di “Forca Grande”, in contrapposizione alla “Forca Piccola”, ovvero la nostra Fòrcjo des Bióucjos (v.) 261.

211. ⇑ Palòn di Plumbs [tal -]   Q1850, ✧S. Prateria alpina, pascolo con radi larici in forte pendio [id.]. Palòn è la palo (v. Pàlos) volta all’accrescitivo masch.

Così sono dette, per le grandi dimensioni, le pendici SO e S del Pic di Gòlo, pascolo della malga di Plumbs. Sebbene il nome di Palòn sia circoscritto alla sola parte più occidentale, il pendio si spinge a E fino alla Fòrcjo di Plumbs, ad abbracciare l’intera parte superiore della piccola valle.
In primavera, solitamente a giugno avanzato, il grande piano inclinato si trasforma in un immenso letto di rododendri fioriti, uno spettacolo indimenticabile per chi abbia la fortuna di assistervi. Ettari ed ettari di colore, dal rosso fuoco al ferrugineo al rosa pallido, per la gioia degli occhi e dello spirito.

212. ⇑ Plumbs [lu Riù di -]   Q1880-1173, ✧O. TU Rio Plumbs. Corso d’acqua [id.]. V. Riù e Plumbs.

Il corso d’acqua prende avvio lungo le scoscese pendici del m. Crostis, nell’alta valle di Plumbs che percorre interamente. Il rio è il maggiore affluente di sx del Riù di Morarìot nel quale confluisce, dopo un percorso ripido e incassato nel fitto dell’abetaia, pressappoco all’altezza di Devóur ju Mulìns.
Nella parte inferiore, ormai già ricco dell’acqua ricevuta dai suoi affluenti di dx (R. di Gòlo, R. di Cjìolos), il rio forma la spumeggiante Pišàndolo di Plumbs, caratteristico salto dove l’acqua, in virtù del luogo rinserrato fra ripide sponde, rimbomba e spumeggia come in nessun altro luogo nella vallata.

213. ⇑ Plumbs [a Riù di -]   Q1350, ✧NO. Attraversamento di corso d’acqua, bosco resinoso [id.]. V. rispettivamente Riù e Plumbs.
Il toponimo (a Riù di Plumbs) indica il luogo di attraversamento dell’omonimo rio lungo la pista forestale che conduce all’omonima malga, con funzione di semplice punto di riferimento.
 
214. Pòdemo [te -]   Q1760, ✧SO. Prato in forte pendio [id. inselvatichito]. La pòdemo è il recipiente in cui si mette il latte per fare il formaggio (Sc235), dal greco putina = contenitore rivestito di vimini o paglia (REW6878a).

Il toponimo, davvero curioso per un prato di mont, è di origine ignota: forse una cavità nel terreno con qualche vaga somiglianza con l’oggetto in questione.
Oppure – e più probabilmente – uno specifico evento, sconosciuto o quanto meno dimenticato, avente per oggetto la pòdemo e forse in relazione con la soprastante malga di Cjampēi (un ruzzolone dell’oggetto, partito dalla casera e arrestatosi quaggiù?).
La Pòdemo consta di un solo prato, e di modeste dimensioni, posto a sx (per chi guarda di fronte) di Prâ(t) di Àmblis, in direzione in Ğùof.

215. Pradùts [ti -]   Q1730, ✧SE. Prato in pendio ripido [id. inselvatichito]. Diminutivo di Prât (v. il lemma succ.) al plurale, e dunque “praticelli”.
C’è davvero poco da aggiungere in presenza a toponimi come questo, che davvero dicono tutto. Di questo si può solo cercare di immaginare la minuscola superficie dei prati, situati fra Cjailìot e Creşadìço.
 
216. Prât [in -]   Q1260, ✧SE. Coltivi in medio pendio [prato inselvatichito]. Dal latino pratum = prato (REW6732) con identico significato (Sc238), sempre però sottintendendo il destino a sfalcio (la prateria alpina non è mai prât).

Con i soli occhi di oggi rimarrebbe inspiegata la ragione che spinse a chiamare Prât un’area interamente a coltivi compresa fra la parte più elevata dell’abitato di CG e Pecìot.
L’accostamento fra i due toponimi contigui, Prât e Pecìot, entrambi dissonanti rispetto allo stato dei luoghi nell’ultimo secolo, può tuttavia fornire una chiave interpretativa e una datazione molto antica, forse risalente ai primi insediamenti abitativi di Collina.
Ci fu dunque un periodo, nell’evoluzione dell’insediamento e del rapporto dei coloni con il territorio, in cui Pecìot era un pecìot (pecceta), e Prât un prât, un semplice prato in attesa di divenire coltivo.

217. Prâ(t) di Àmblis [a -]   Q1780, ✧S. Prato ripido [id. inselvatichito]. V. Prât; Àmblis è plurale di àmbli = ontano verde, ontano nano (Sc5), dal lat. alnus = ontano (REW376), forse attraverso il diminutivo alnulus262. Lett. si ha dunque il fitotoponimo “Prato degli ontani”.
1951. Valanga lungo la strada Collina-rif. Tolazzi
1951. Valanga lungo la strada Collina-rif. Tolazzi.

Una menzione di questo prato si ritrova già in un documento della seconda metà del '600: “quindi è detto S. Osualdo Padre movendoli l'animo suo in ricompensa della suddetta valuta ha cautionato et assicurato detto Nicolò figliolo absente sicome fusse presente con assignarli liberamente il Prato chiamato degli Amblis pertinente di Culina, confina da sol levado con Jacomo Toch, a mezzo dì S. Lenardo di Sora, a monte S. Zuan di Tamer et a mezza notte con il monte del Canale263.
Altra menzione 35 anni dopo, forse con riferimento al medesimo prato del documento precedente: “S.r Tomaso di Tamer sud.o, per cautione, et sicurat.ne detti D.ti 80 de L. 24 riceuti per nome della moglie, et delli suoi H.di obliga, et sottomette un suo Pratto sul monte Prativo d'essa Villa di settori 5 circa locho detto il Prato d'Amblis appo li suoi confini264.
Situato nella parte superiore del grande dosso prativo di Creşadìço, fra questa e in Ğùof e immediatamente a ridosso dei soprastanti pascoli di Cjampēi, Prât di Àmblis era l’ultimo dei prati di mont ad essere falciato nel corso della stagione, ormai a settembre e con il rischio incombente delle prime nevicate.
La quota elevata è anche responsabile della abbondante e sgradita presenza degli stessi àmblis, gli ontani infestanti che, quando non debitamente tenuti a bada, rapidamente invadono ogni spazio a discapito del prato e dello sfalcio.
Il 13 febbraio 1951 di quassù prese avvio una valanga di dimensioni apocalittiche della quale ancora oggi è ben presente la memoria265.
Proseguendo la sua discesa lungo l’Agâr Balt e l’A. di Macìlos, la slavina scese al rio colmando interamente l’ampia conca del Mulin di Nino. Lo spessore del deposito nevoso sulla sede stradale era talmente consistente che la neve si disciolse del tutto solo nell’estate dell’anno successivo.

218. Prâ(t) da Cumùn [in -]   Q1150, ✧S. Prato in medio pendio [id. inselvatichito]. V. Prât e soprattutto Cumùnios per il significato storico del termine cumùnio, dal momento che la traduzione letterale “prato della comunità” risulta fortemente riduttiva266.

La comunità del toponimo è evidentemente il Comune di Collina, termine con cui fino a tutto il dominio veneto fu identificata la comunità sociale e amministrativa dei due villaggi di CG e CP. Come altri terreni anche questo bel prato di valle situato subito sotto la Puartùto era originariamente proprietà d’uso comune da parte dei comunisti267 delle due ville.
Fino ad anni non lontani il prato, ormai proprietà privata, era cintato da un muretto a secco (oggi diroccato), con un’unica apertura sbarrata da una clutòrio, una chiusura di stanghe sovrapposte orizzontalmente. Scopo della recinzione era unicamente di evitare che le vacche al pascolo negli adiacenti prati di Mulìnos (queste sì ancora destinate al pascolo libero degli ormai… ex-comunisti) si avventassero sull’erbetta del prato, rigorosamente riservata allo sfalcio268.
Una curiosità sconosciuta ai più (compresi molti collinotti d’oggidì). Disseccata con il terremoto del 1976 la sorgente di Tors (minuscola frazione del comune di Rigolato), gli abitanti del luogo rimasero senz’acqua. In Prât da Cumùn furono quindi realizzate le opere di presa dell’acqua di una sorgente che, canalizzata sotto la strada del Fulìn, raggiunge il piccolo aggregato di case di Tors, posto a valle lungo la stessa strada.

219. Prâ(t) de Cùot [a -]   Q1500, ✧SO. Prato in medio pendio [id. rinselvatichito e in via di rimboschimento]. Cùot è la cote per l’affilatura della falce (Sc149), dal lat. cos = cote (REW2275).

Come per il precedente, la pronuncia corrente è quasi agglutinata, Pradecùot.
È solo un piccolo prato incuneato fra Cjìolos e Temós, nei pressi della strado des ùolğos (non la strada forestale!) che scende a san Lenàrt. La relazione fra il prato e la cote all’origine del toponimo non è manifesta269: probabilmente deriva da una denominazione soggettiva e personale, con il tempo divenuta d’uso comune.
Cùot smarrita, spezzata? O piuttosto di uso eccessivo e smisurato in questo prato, a ripristinare il filo della falce troppo sovente compromesso da un terreno irregolare e ricco di asperità?

220. Prâ(t) de Lìoro [lu -]   Q1430, ✧O. Prato ripido [id. inselvatichito]. V. Prât; lìoro è la libbra (Sc162), dal lat. libra = bilancia (RWE5015), unità di peso già in uso presso i greci e i romani, e successivamente nel Patriarcato e nella Repubblica di Venezia (pari a 333 g) prima dell’introduzione del sistema metrico.

Lìoro è dunque la caratteristica resa nella parlata di Collina del friulano lìre (NP526)270, che va a contraddistingue un prato forse sito sotto Nàvos (la collocazione non è certa, trattandosi di toponimo antico e obsoleto).
Quanto all’origine del toponimo stesso, parrebbe ricondursi al prezzo pagato per l’affitto del fondo (mi sembra di poter escludere l’acquisto), per l’appunto una lìoro di farina.
Resta da capire se fosse il fondo a valere poco, o la farina (si spera almeno di frumento) a valere molto. Interrogativo forse un poco ozioso da parte di chi, a pancia regolarmente piena, discetta di cose altrui e di persone forse alla fame e al limite della sopravvivenza. Ma tant’è: curiosità giustamente insoddisfatta.
Fiduciosi che il negozio fosse mutuamente profittevole per i contraenti, a distanza di secoli i posteri ringraziano per il curioso e gradevole toponimo che oggi riportiamo agli onori della cronaca.

221. Prâts [ti -]   Q1240, ✧SE. Prato in ripido pendio [prato inselvatichito]. Plurale di Prât.

Dopo l’apparente contraddizione di Prât (v.) recuperiamo con i Prâts la piena coerenza fra denominazione e destino d’uso: correttamente ti Prâts corrisponde a una ampia fascia prativa fra i campi di Cjamavùor e di Sôro ju Prâts.
Le ragioni dell’interposizione del prato fra due zone coltivate sono da ricercarsi nella ripidità del terreno, che oltre a renderne più problematica la lavorazione lo rende più soggetto al dilavamento da parte delle acque meteoriche.

222. ⇑ Sôro ju Prâts   Q1275, ✧S. Campi in medio pendio con stalla e fienile, poi prato [fienile e bosco misto]. Plurale di prât con la prep. sôro-sopra, e dunque di significato trasparente (“sopra i prati”).

I prati sottostanti sono quelli delle Còdos, che si interponevano fra i coltivi di Cjamavùor e Sôro ju Prâts.
Attualmente il luogo è interamente invaso dal bosco che sta progressivamente e rapidamente calando a valle. La stalla-fienile, un tempo perfettamente visibile al limitare del bosco, è oggi interamente circondata da ogni tipo di pianta, anche d’alto fusto, e ormai pressoché invisibile da CP.

223. Puàrt [lu -]   Q1110, ✧NE. Ampio slargo erboso pressoché pianeggiante [strada carrabile a fondo naturale]. Dall’it. “porto”, con il medesimo significato.

Il significato è naturalmente traslato (davvero poco probabile trovare un autentico porto ad oltre 1000 m di quota…) a significare il luogo di parcheggio e interscambio del legname.
Lo stato attuale del luogo – unico sito curiosamente ampio e pianeggiante nel fondovalle, 50 metri oltre il ponte del Fulìn a margine della strado di Créts – lascia ancora immaginare le grandi cataste di tronchi, in attesa di essere agganciati ai buoi per la faticosa salita al Ğùof. Al Puàrt i tronchi pronti per il trasporto erano incatenati ai buoi e trascinati sul Ğùof, dove erano definitivamente avviati al fondovalle del Degano per la fluitazione. Precisamente ciò che oggi si chiama interporto, o luogo d’interscambio fra diverse modalità di trasporto. Insomma, un interpuàrt (that’s internascional culinòt)271.
Dalle fatiche e dai costi di questo trasporto prese le mosse, agli albori del XX secolo, l’idea di una strada che riducesse entrambi – costo e fatica – e consentisse un più agevole trasporto a valle del legname. E fu appunto la strado diCréts, terminata nel 1914, mentre la guerra già percorreva l’Europa e i Balcani.

224. Puartùto [de -]   Q1165, ✧SE. Prato in pendio moderato [strada interpoderale asfaltata]. Puartùto è dimin. di puàrto = porta, uscio (Sc241), dal lat. porta (REW6671).

Il luogo così detto si trova nel punto più basso della via della chiesa che muove da CP, là dove il tracciato effettua una curva secca a sin., in vista della chiesa stessa. La puartùto del toponimo impediva alle vacche al pascolo nel Bušcùt l’accesso ai prati di Glèrio .
La pratica di recintare i prati da sfalcio posti nelle vicinanze dei terreni destinati al pascolo era piuttosto diffusa, a tutela tanto del fieno futuro quanto della salute immediata delle vacche, per le quali una incontrollata “abbuffata” poteva risultare assai pericolosa, se non letale.
Nelle immediate vicinanze della Puartùto era situata, fin verso il 1930, la bàito de cjanàipo (lett. “capanna della canapa”), adibita alla gramolatura delle piante della fibra vegetale, davvero preziosa nell’economia locale. Con l'esclusione della tessitura, il ciclo di lavorazione della canapa e del lino (in verità quest'ultimo coltivato in quantità modesta) era interamente svolto in paese.
Nell'insieme, la procedura era decisamente laboriosa e complessa, articolata com'era in numerosi stadi, tutti assai delicati per non compromettere le qualità – lunghezza, colore, consistenza – della fibra. Dopo la mietitura, la canapa non di rado richiedeva una ulteriore maturazione sulla graticola272 prima di passare alla fase preliminare di separazione della fibra tessile dalla parte legnosa della pianta tramite macerazione (v. Macìlos).
Seguiva l'essiccazione degli steli, che dopo la macerazione già mostravano un avanzato stadio di separazione della fibra dalla parte legnosa: quest'ultima, dura ma ormai fragile, era quindi rimossa per frantumazione, prima con il frac (gramola ad un solo dente) e poi più finemente con la gramola (la gràmolo), fino ad ottenere la sola fibra. Ça va sans dire, il tutto era effettuato manualmente, gramolatura compresa: clac, clac, clac, clac
Infine la tessitura. In origine effettuata in loco, negli ultimi anni quest'ultima operazione era commissionata fuori paese, allo scopo di ottenere tessuti meno grossolani di quelli prodotti in casa. All’inizio del XX secolo la canapa era trasportata a Comeglians, dove era tessuta secondo le necessità del committente: lenzuola, capi di vestiario, tovaglie. Fino a tempi non remoti (1940 circa), la prestazione d'opera della tessitura era barattata con prodotti agricoli, soprattutto patate e cavoli.
Tuttavia, il ciclo della canapa non terminava con la tessitura: soprattutto lenzuola e tovaglie erano lasciate per giorni e giorni nei prati stese al sole, alla ricerca di quel candore che la natura concedeva a stento e che invece di lì a pochi anni sarebbe debordato, bianco più bianco del bianco, centinaia di volte al giorno dalla magica scatola.

225. Puìnt Cuvièrt [a -]   Q794, ✧NE. Bosco misto [id.] Puìnt è il ponte (Sc242), dal lat. pons = ponte (REW6649); cuvièrt è il participio passato di cuvièrgi = coprire (Sc151), dal lat. *coopergere per cooperire = coprire (REW2205), e dunque si ha il comunemente noto “Ponte coperto”273.

Nel suo corso inferiore, il Fulìn scorre sempre più incassato fra ripide sponde, fino a formare una stretta gola, un piccolo canyon poche decine di metri a monte del Puìnt Cuvièrt e della confluenza del rio nel Degano. La denominazione Puìnt Cuvièrt si riferisce a un lontano predecessore del ponte attuale, in legno e con copertura come ancora se ne vedono nelle Alpi, incendiato e ridotto in cenere durante le guerre napoleoniche e successivamente e più volte ricostruito (ma senza copertura: oggi ve ne sono addirittura due, di cui uno dismesso).
Siamo al limite meridionale e occidentale del territorio di Collina, in un’area interamente e fittamente boscosa, lontanissima dai centri abitati e priva di qualsivoglia valenza agricola o pastorale. Anche qui, tuttavia, Gjvianòts e Culinòts definirono confini e pertinenze: “Resta, come restò fermata la Linea divisoria (…) e s'intende continuata per la medesima Gotta fino al Ponte coperto; cosicchè la pendenza situata verso Colina, sia, e s'intenda Ben comunale, Boschivo, Pascolivo, e segativo, di raggione sotto il Territorio di Colina, e l'altra pendenza parimente verso Givigliana s'intenda Ben comunale, Boschivo, Pascolivo, e segativo di raggione del Comune di Giviana274.

226. Puìn(t) dal Muš [a -]   Q1650, ✧S. Ghiaie, ontani e mughi in pendio poco ripido [id.]. Per Puìnt, v. il lemma prec.; muš è invece l’asino (Sc192), forse dal veneto musso, e comunque con radice più o meno remota nel lat. muscella =asinello (RE5767).

Tradotto in it., il toponimo suona dunque come “Ponte del somaro”, ma tanto l’origine che l’epoca di nascita del toponimo sono sconosciute. Non solo non vi sono ponti nel circondario, ma la morfologia del luogo sembra escluderne la necessità e l’esistenza anche in altri tempi, quando il sentiero che sale al Volaia era assai meno frequentato di oggi, e quasi esclusivamente da cacciatori, migranti e pastori.
E più che a emigranti o cacciatori è proprio ai pastori di Collina, che fino alla seconda metà del XIX secolo monticavano le malghe di Volaia (v. Volàjo), è probabilmente da associare l’asino. Fra le opzioni possibili la più ragionevole è proprio che il muš fosse usato per il trasporto di merci da e per le malghe, e che pertanto il toponimo risalga ad allora.
Puìnt dal Muš si trova circa a mezza via fra il rif. Tolazzi a Plan di Valebós e il passo Volaia, in corrispondenza della base del gradino roccioso dei Trio Rès che separa i balzi di Pecól dadàlt e Pecóldabàs. Qui si incontrano, unificandosi, i due percorsi che dal rif. Tolazzi salgono a Volaia attraverso, rispettivamente, Clevomàlo e Pecól dabàs.

227. Puštét [tal -]   Q1190, ✧SO. TU (CAT1801) Pustetto. Prato in medio pendio [strada comunale]. Dal lat. post tectum = oltre il tetto, non nel significato letterale ma piuttosto nel senso di “oltre le case”, “al di fuori dell’abitato”.

Come altri segnalati in precedenza, anche questo antico toponimo è stato recuperato da N. Toch dal catasto di epoca napoleonica.
La denominazione corrisponde ad un piccolo prato fra Cjanóuf e Vidàrios, in corrispondenza o pochi metri al di sotto dell’attuale strada comunale, lungo quella che fino alla fine del XIX secolo fu la via di collegamento fra Collina, la parrocchiale di Frassenetto e Forni Avoltri275.
Fino ai primi decenni del ‘900, anno di costruzione della casa di Vidàrios, l’ultima casa a O di CP era giustappunto quella di Cjanóuf, e dunque il nostro Pustét si trovava per l’appunto ben oltre l’ultimo tetto di CP.

228. Quadrét [tal -?]   Q?, ✧?. TU Quadret (CAT1801). Prato [id. inselvatichito]. Diminutivo di quâdri = quadro o cosa di forma quadrata (Sc146), ovvero “quadretto”, con radice nel lat. quattuor = quattro (REW6945) attraverso quadratus = quadrato (REW6915) e il tardo lat. quadrus = di forma quadrata (REW6921).
Più correttamente, Cuadrét. Ci è noto solo il nome e una generica collocazione “in montagna” di questo simpatico toponimo. Al contrario, il significato è del tutto trasparente, a identificare un prato a forma quadrata e di piccole dimensioni, probabilmente frammezzo ad altri appezzamenti più grandi.
 
229. Reticolâts [ti -]   Q1180, ✧NO. Bosco resinoso e scavi di trincea in forte pendio [id.]. Dall’it. “reticolato” (nella accezione di filo spinato) volto al plurale.

Il toponimo si deve alla grande quantità di filo spinato, prezioso materiale di raccolta per i recuperanti alla ricerca di materiale ferroso riciclabile (v. Clanìori): in particolare, il filo spinato era impiegato come armatura del cemento.
Contrariamente a quanto farebbe supporre il toponimo, i Reticolâts non si trovano in zona di operazioni belliche della Grande Guerra, né i “reticolati” risalgono a quell’epoca.
Toponimo e relativi materiali risalgono invece al periodo fra le due guerre mondiali. Da tempo recuperato il filo spinato, i Reticolâts sono rimasti a indicare il luogo dove erano stesi i reticolati, ovvero l’area immediatamente circostante un piccolo agâr che dal costone boscoso della Gòto scende alla strada del Fulin (dove terminavano i reticolati p.d.) e al sottostante rio. Il tutto era stato approntato con funzioni di seconda linea di difesa nell’ipotesi di un nuovo conflitto con l’Austria-Germania e di una invasione da Volajo. Come è noto, le cose andarono assai diversamente.

230. Ribo di Péç [la -]   Q1160, ✧NE. Prato in forte pendio [bosco resinoso]. Ribo è dal lat. ripa = pendio ripido (REW7328, Sc255), con analogo significato. Per Péç v. Péçs, ma qui è inteso come denominazione di una casa-casata di CP (AP63).

Péç è soprannome di Antonio Gortana (1837-1921), giunto a Collina dalla vicina Givigliana a prender moglie. Casa e casata sono tuttora presenti a CP.
Detto di Péç, resta da descrivere la sua ribo. E davvero ribo è, la china: ai limiti inferiori dell’abitato di CP, a sx della strada che scende al Fulìn, la Ribo di Péç scende ripidissima al sottostante Riù di Cuéštos, concedendosi un breve respiro di pochi metri poco prima delle rocce del rio.
La ripidità della Ribo di Péç, oggi interdetta alla vista dai folti alberi che la popolano, era proverbiale a CP, tanto da divenire il luogo immaginario dove graziosamente spedire i petulanti seccatori.

231. Ribolèno [te -]   Q1130, ✧SO. Boscaglia ripida e prato [id. inselvatichito, bosco]. Agglutinazione di ribo = pendio ripido (v. il lemma prec.), e lèno: probabilmente aggettivo che sta con l’it. “lena”, nel senso di forza e vigoria276.

Una ribo ripida, insomma, una sorta di tautologia che tuttavia trova piena rispondenza sul terreno: un’erta ripida, addirittura scoscesa e franosa nella parte inferiore, che costituisce la prosecuzione al basso di Devóur Àrios fino a raggiungere il rio Fulìn.
La parte realmente fruibile della Ribolèno è quella al suo culmine, in corrispondenza del primo tornante della strada che scende al Fulìn, unico punto dove stato del terreno e inclinazione danno respiro ad un breve tratto prativo oggi in via di rimboschimento
Il resto del pendio, a scendere verso il rio, è inutilizzabile a fini agricoli e da sempre allo stato selvatico, popolato di rovi e arbusti.

232. Rìmer [tal -]   Q1120, ✧N. Bosco e ripido terreno di frana [id.]. Toponimo di etimologia oscura, forse di origine tedesca.

È l’area compresa fra il sentiero– oggi strada – del Ğùof e la strado di Créts, là dove il primo diveniva pressoché pianeggiante e la seconda, al termine del falsopiano che prende avvio nel Fulìn, inizia a discendere sensibilmente verso i Créts stessi e la Furcjìto.
Oltre alla funzione di punto di riferimento lungo la strada, il luogo ebbe qualche importanza sotto il profilo silvicolo, e nulla più. Oggi, chiusa la strada di Créts, del toponimo si va perdendo memoria.

233. Riù [in]   Q1175, ✧SE. Attraversamento di rivo, area di abitazioni, fienili e stalle [id., senza abitazioni]. Dal lat. rivus = corso d'acqua, rio (REW7341,2 e Sc259), qui con significato di torrente, o corso d'acqua di considerevole portata (relativamente ai luoghi), per lo più a regime perenne (al contrario di agâr, stagionale od occasionale).
Circa 1920? Il Mulin de Pèto, in Riù
Circa 1920? Il Mulin de Pèto, in Riù.

Fra i numerosi toponimi formati con il generico riù (a R. d’Ormentos, a R. di Cuéštos ecc.) questo è quello per antonomasia, Riù privo di attributi. Ciò grazie alla vicinanza del centro abitato di CP e grazie al viottolo che transitando di qui congiungeva CP e CG277, unica via di comunicazione fino al 1889, anno in cui fu costruita la nuova strada.
Lungo l’attuale via della Chiesa dall’abitato di CP il percorso antico scendeva in Riù, dove si trovavano due mulini, alcuni fienili e una (o forse più d’una) abitazione278, anch’essa successivamenta ridotta a fienile o stalla (“… in gabito gli hano consegnatti uno staulliero in logo chiamatto a: Riu appresso le sua confine ett questo per la stima di d.ti … con il Baiarzo sott il Staulliero…”279).
Qui il percorso superava il riù di Cueštos su un ponticello in legno, oltre il quale iniziava la risalita in diagonale lungo il ripido pendio di Pàlos (v.).
Frequentemente danneggiato – quando non trascinato via – dalle piene del rio, il ponte in legno fu sostituito nel 1867 con un ponte in pietra, a sua volta gravemente danneggiato da una piena nel 1882.
Nel 1902 il ponte fu restaurato e in sostanza portato alla sua forma attuale, che un ulteriore restauro conservativo effettuato intorno al 1990 ha consolidato con eccellenti risultati.

234. Riù Landri [lu -]   Q2430-1300, ✧O. Alveo di corso d’acqua [id.]. V. Riù; andri o landri (agglutinazione dell’articolo il-lu) è la forma friul. per “antro” (NP14 s.v. andri, manca in Sc), a sua volta dal lat. antrum280.

L’idronimo deve la propria denominazione ad alcune cavità naturali (con molta fatica potrebbero dirsi caverne), scavate dall’acqua lungo il corso superiore del rio, prima di raggiungere il fondovalle e il Gjarsìot.
Normalmente quasi secco (è più agâr che riù), il rio scende dal grande canalone fra il Cogliàns e la cima Lastrons del Lago, sotto il Pecól d’adalt, lambisce il Pecól dabàs281 e balza, con la cascata della Pišandolo, nel sottostante Gjarsìot per infine confluire, dopo aver raccolto le acque dell’Agâr di Róndoi, nel Riù di Morarìot.
Quasi asciutto in condizioni normali, durante e dopo i temporali il suo grande bacino collettore, interamente di roccia nuda, lo trasforma in pochi minuti in un canale di incredibile portata e violenza, rigonfiandolo oltre misura fino a scavare un alveo profondo anche 5 metri nelle ghiaie al margine destro del Gjarsìot. Nei pressi della confluenza nel Riù di Morarìot, il rio lascia nell’alveo i segni delle sue piene come antiche morene di ghiacciaio: la più esterna e alta è per la piena più grande, poi le piene minori, con altezze via via decrescenti.

235. ⇑ Cjàveno dal Làndri [de -]   Q1375, ✧O. Piccola caverna naturale su ripido pendio di roccia e cespugli [id.]. Cjàveno è la cantina (Sc48) dal lat. canaba (REW1566); per Làndri v. il lemma prec.

Il toponimo si deve alla prossimità della caverna al Riù Làndri (v. il lemma prec.), che ha dato origine a questo apparente nonsense ripetitivo della “cantina dell’antro” 282. Non mi sembra di poter associare il nostro Làndri e relativa cjàveno alla creatura mitica della tradizione popolare friulana, una sorta di salvàn dalle caratteristiche sanguigne e un po' truculente da accostare ai numerosi esseri ai limiti del soprannaturale che popolavano i boschi delle vallate carniche.
Più in generale a Collina non si ha memoria di alcuna tradizione o credenza popolare circa esseri “alternativi” quali agànos, guriùts,sbilfs o maçaròts. Questa caratteristica appare abbastanza singolare, soprattutto rispetto al resto della Carnia dove boschi e prati, fienili e casere pullulavano di esseri più o meno antropomorfi, variamente (ma per lo più mal-) disposti nei confronti del genere umano283.
Credenze e tradizioni nei confronti delle quali si assiste oggi a un'operazione di recupero, anche in chiave folcloristica se non proprio turistica o esplicitamente pubblicitaria, in diversi paesi della Carnia.
Situata sui primi contrafforti del Cogliàns, fra la Pišàndolo e il rif. Tolazzi, la Cjàveno dal Làndri è una delle pochissime – se non davvero l'unica – caverna naturale della zona, anche se in realtà si tratta di una modesta rientranza del pendio roccioso, in grado di ospitare non più di una mezza dozzina di persone in piedi. Forse per questo è solo cjaveno, e non cjamero?

236. Riù d'Ormèntos [lu -]   Q2055-995, ✧S. TU Rio Ormentis (IGM 1913), Rio Armentin (CTR), Rio Armentis (IGM 1986). Ripido corso d’acqua [id.]. Ormènt = armento, mandria (Sc204) dal lat. armentum (REW658).

Il corso d’acqua è riportato come “Rio Ormentes” nella Kriegskarte284.
Sotto il profilo etimologico, il toponimo è da accostare a numerosi altri nelle Alpi, fra i quali la non lontanissima Forca Armentària in territorio di Trasaghis285, e Armentarola, amena località poco a monte di St. Kassian-San Cassiano (BZ), ampia e pressoché pianeggiante e ricca di pascoli e praterie.
Al confronto di tanto ben di dio dei confratelli etimologici, il nostro Riù d’Ormentos fa davvero la figura del parente povero: prati ripidi e torrente scosceso al punto da domandarsi come e dove, lungo il tormentato percorso del rio, gli armenti di Collina andassero ad abbeverarsi, o a riunirsi. Difficilmente a pascolare, a meno che non si trattasse di pecore o capre, animali in grado di sfruttare, anche più in alto, i malagevoli pendii incombenti sul rio ma che comunque non costituivano ormènt286.
Affluente di dx del rio Fulìn, il rio nasce come collettore di diversi piccoli corsi d’acqua lungo le ripide pendici di Crèto Blàncjo. Come si è inteso dalla descrizione generale, quasi l’intero corso si sviluppa in ambiente scosceso e di difficile accesso: pochi e miseri prati nella parte superiore, come Infièr e Spuìndos, e nuovamente poca cosa nel basso corso, come il prato omonimo del rio (v. lemma successivo) e, alla confluenza nel rio Fulìn, le Foràns.
Per un lungo tratto il corso del Riù d’Ormèntos costituisce la demarcazione fra i territori delle due frazioni di Collina e Sigilletto.

237. ⇑ Riù d'Ormèntos [a -]   Q1140, ✧SO. Prato in pendio ripido [id. in via di rimboschimento]. V. il lemma prec.

Come in altri casi, anche qui toponimo nasce a indicare precisamente l'attraversamento del corso d'acqua da parte di sentiero, mulattiera o altro percorso.
Nella fattispecie, il percorso era costituito dall'antico sentiero per la parrocchiale di S. Giovanni Battista a Frassenetto. A differenza della strada attuale, che attraversa il rio con percorso pianeggiante grazie al ponte relativamente alto sul livello dell’acqua, il percorso originale incrociava il corso d'acqua assai più in basso, attraversando prima in diagonale il prato in discesa, e quindi il rio praticamente al livello dell’acqua287.
Il prato da sfalcio era compreso fra l'attuale strada comunale e il fondo del rio, con forma sostanzialmente triangolare e inclinazione sempre considerevole. Per essere prato di fondovalle e non di mont, uno dei prati meno facili fra tutti, e certamente fra i più distanti dal villaggio.

238. Ròjo dal Çuét [de -]   Q1240, ✧NO. Piccolo e breve corso d’acqua, e suoi dintorni [id.]. Per ròjo v. Pìçulo Ròjo, mentre çuét è l’aggettivo “zoppo” (Sc56) da cott (REW2454), a sua volta di origine sconosciuta. Dunque, “ruscello dello zoppo”.

Il termine identifica una piccola sorgente sopra la Siēo, poco oltre la Cjalcinêro di CG e di fronte alla confluenza del Riù de Cjanalèto nel Riù di Morarìot.
Si tratta in realtà di un antropotoponimo. Çuèt di Saltét (Saltét è il nome di una casata di Sigilletto) era il l’indelicato appellativo288 di Antonio Gerin da Sigilletto (1835-1906), proprietario del fienile soprastante la fonte e presumibilmente della fonte stessa.
Qui terminò la propria corsa la terza delle grandi valanghe del febbraio 1951. Distaccatasi in Creşadìço, la slavina scese in Agadòrio e quindi al sottostante rio Morareto. La massa di neve ingombrò completamente anche la sede stradale permanendo fino all’estate successiva, talché si rese necessario scavare una galleria per consentire il passaggio di uomini e animali.

239. Rònc [tal -]   Q1270, ✧S. Prato in pendio ripido [bosco misto]. Etimologia e significato letterale parrebbero gli stessi di Runc289, sebbene con una connotazione negativa connessa alla fruibilità del terreno: il termine rònc è infatti definito come “appezzamento di terreno poco redditizio sull'orlo dei boschi” (Sc261)290.

Fra i numerosi ròncs e runcs della nostra toponomastica viene primo questo non già per ragioni di importanza, ma per esclusivi meriti… alfabetici. L’assenza di attributi non fa, almeno in questa occasione, antonomasia: nondimeno il toponimo riassume la ricostruzione etimologica di tutte le altre denominazioni che lo contengono291.
Nella fattispecie si tratta di una modesta porzione di prato soprastante la Ruvîš, con resa altrettanto modesta. Come e prima di molti altri, anche il Rònc è oggi indistinguibile dalle aree circostanti, in un insieme per di più sconvolto dalla burrasca del novembre 2002.

240. ⇑ Agâr dal Rònc [lu -]   Q1250, ✧SE. Piccolo e ripido solco di scorrimento d’acqua [id.]. V. Agâr e il lemma prec.
È solo un modesto agâr che porta il nome della località ove prende avvio. Quasi sempre secco, l’agâr scende per circa duecento metri fino alla strada Collina-FA, che raggiunge poche decine di metri prima dell’Agaràt.
 
241. Roncàt [tal -]   Q1700, ✧SE. Prato ripido [id. inselvatichito]. Spregiativo-peggiorativo di Rònc.

Si è persa memoria di questo toponimo, che si recupera dal lavoro di Gino di Caporiacco292.
Di mio aggiungo solo quota (presunta) ed esposizione, oltre naturalmente a un ringraziamento postumo a chi, a distanza di ottant’anni, ci consente di aggiungere al nostro mosaico qualche tassello altrimenti perduto per sempre.

242. Roncjadìços [tes -]   Q1360, ✧SE. Piccolo prato ripido [bosco]. La radice è la stessa di Rònc, ossia il verbo roncâ o runcjâ, qui al participio passato femm. plurale (roncjàdos, qualcosa come “roncate”) a cui si aggiunge infine il suffisso -ìços per un risultato come “roncaticcie”, terre un po’ roncate e un po’ no, mezzo bosco e mezzo prato293.
Ricostruzione complessa per questa piccola porzione di terreno misto e di confine, sito fra Cumùnios e Sterpìot e volto a separare prati e coltivi dal soprastante Bòšc de Navo. Si noti, una volta di più, la vivezza e la precisione descrittiva-evocativa di molti toponimi, compreso questo, la cui sola menzione suscita l’immagine del luogo con le sue peculiarità.
 
243. Ròncs [ti -]   Q1300, ✧NO. TU Ronchi. Bosco resinoso e pascolo in medio pendio [id.]. V. Rònc, di cui ròncs è plurale.

È la fascia boscosa solcata dai ripetutamente citati agârs294, che si sviluppa dal ponte del Fulìn fin sopra il Plan des Cìdulos, parte integrante del grande costone che a sua volta si estende senza soluzione di continuità da Plumbs alla confluenza del Fulìn nel Degano, a Puìnt Cuvièrt.
Di nessuna utilità agricola, sia per posizione che per esposizione, l’area era di qualche utilità sotto il profilo silvicolo, mentre la fascia inferiore dei Ròncs era utilizzata saltuariamente per l’attività pastorale, nel pascolo itinerante dell’ormènt.

244. ⇑ Sôro ju Ròncs Q1400, ✧NO. Bosco resinoso in pendio ripido [id.]. V. il lemma prec. con la prep. sôro-sopra, dunque “sopra i Ròncs”.
Il luogo con questo nome è situato immediatamente sopra i Ròncs, là dove il fitto bosco muta di pendenza assumendo caratteristiche spiccatamente più ripide. Per terreni con morfologia ed esposizione così penalizzanti, e quindi non utilizzabili neppure a fini di pascolo, il legname costituiva l’unica risorsa.
 
245. Ruédol [tal -]   Q1520, ✧SO. L’etimologia originaria è da ricercarsi nel tardo lat. rotulus = rotolo, nell’accezione di “documento avvolto in forma di rotolo” (REW7397), oppure di “turnazione”, o entrambi.

In chiave etimologica, il ruédol propriamente detto costituiva il “ruolo” della comunità. Continuamente aggiornato, elencava non solo i membri della comunità, ma anche la distribuzione di oneri, benefici e incarichi fra i membri della visinanço o vicinia: dal camerarius al pastore dell’armento, dal porcarius al meriga, dalle stalle (sic) alle stelle, la visinanço stabiliva e il ruédol diligentemente registrava i chi, i come, i quando, i quanto della vita del villaggio295. Muovendo dal significato originario, il termine ruédol si allarga a identificare “l’aiutante pastore secondo turni convenuti fra le famiglie in Carnia” o, più genericamente, la “rotolazione” o “turnazione” applicata tanto all’uso dei terreni di proprietà comune296 che agli incarichi pubblici all’interno della comunità297.
Le possibili alternative semantiche del toponimo sono dunque molteplici, ciascuna con le proprie ragioni e fondamenti, e con le sue buone probabilità di essere direttamente all’origine del toponimo: prato ad uso turnario, oppure terreno di proprietà della chiesa di san Michele e sottoposto ad angaria, oppure…
Fra le numerose e verosimili alternative, la più probabile la fornisce la posizione del luogo identificato dal Ruédol-toponimo, posto sotto i pascoli di Cjampēi fra Sarmuàlos e Piçóul, e non lontano dalle Bergjarìos, in area quindi di antichi pascoli. Sembra dunque ragionevole associare direttamente il toponimo alla già citata figura del pastore turnario, custode del bestiame in alpe, con base nelle immediate vicinanze del Ruédol (nelle Bergjarìos?) e certamente in relazione con questo sito, luogo di pascolo delle pecore e capre affidategli in custodia.
Nella sua penultima fase evolutiva, dopo la fine del pascolo e prima del recupero dell’attuale (e primitiva) prateria alpina, il Ruédol fu prato di mont al pari di altri terreni circonvicini, e come questi e tutti i consimili fu abbandonato nel secondo dopoguerra.

246. Rujùto [de -]   Q1170, ✧SE. Pascolo in valle in medio pendio [area in rapido rimboschimento]. V. Pìçulo Ròjo, di cui rujùto è sinonimo (è il diminutivo di ròjo stessa) e pertanto reso dall’it. “ruscelletto”.

Forse non casualmente, le analogie fra Rujùto e Pìçulo Ròjo non si fermano al significato letterale, dal momento che anche la funzione d’uso dei due corsi d’acqua è la medesima (anche qui si lavavano le interiora dei maiali). Unica differenza, per evidenti ragioni logistiche, questa era al servizio di CP, e l’altra di CG.
Situata al limite occidentale del Bušcùt, in terreno argilloso, la sorgente della Rujuto è ormai disseccata e del ruscello non c’è più traccia.

247. Runc [ta(l) -]   Q1280, ✧NO. TU Runchs (CTR), Ronchi (IGM, TAB). Prati da sfalcio con fienili e stalle [id. inselvatichito, alcuni fienili sono stati riconvertiti in abitazioni]. L'origine nel lat. runcare = sarchiare (ma anche troncare, REW7444) e più direttamente in runco, runcone = (terreno) sarchiato o tagliato (REW7446) fa intendere che più genericamente il significato sia quello di tratti di terreni disboscati e ripuliti dalle ramaglie e dalle ceppaie, tanto ai margini quanto all'interno del bosco.
1959. I prati del Runc verso O, al tramonto
1959. I prati del Runc verso O, al tramonto.

Nella parlata corrente il toponimo è pronunziato pressoché agglutinato con la preposizione, taRunc.
Come già per rònc, il numero di toponimi composti che portano questo nome generico è considerevole, e i luoghi così denominati sono sparsi ai quattro angoli della valle. Tuttavia, e al contrario dei ròncs, fra i numerosi runcs vi sono molti terreni a sfalcio di ottima qualità (non ultimi quelli che fanno riferimento a questo stesso toponimo).
Il runc di questo toponimo, senza attributi, aggettivi o preposizioni che siano (quando si dice l’antonomasia…), individua una ampia fascia di prati alla testata della valle, poche decine di metri sopra il rio Morareto e la strada che lo affianca.
Abbandonata dovunque l’attività agricola (in verità l’erba del Runc è stata fra le ultime a sentire il filo della falce), l’ultimo quarto del 1900 ha visto proprio qui e nel contiguo Runc di ‘Sôro l’inserimento di infrastrutture turistiche di varia natura298.

248. ⇑ Runc di Plaço [tal -]   Q1270, ✧NO. Prato in dolce declivio con fienile [id. inselvatichito, il fienile è stato convertito in châlet]. V. rispettivamente Runc e Plaço.

Etimologia a parte, nulla da spartire con la Plaço di CP.
Il significato è trasparente, di runc ampio e agevole nello sfalcio, proprio… come essere in piazza299. Il luogo, fra la nota stàipo da Canòbio e il fienile a O di questo (oggi abitazione), risponde effettivamente a questi requisiti: in dolce declivio ai margini della strada, ampio e privo di ostacoli.
Il toponimo ha più di 200 anni, in quanto esplicitamente menzionato, con annesso fienile, nel già noto pagamento dei debiti di Osualdo Barbolano, pagamento che coinvolse numerosi terreni e toponimi compresi in questo lavoro300.

249. ⇑ Runc di 'Sôro [tal -]   Q1305, ✧O. Prato con stavolo in pendio noderato [id., terreno a gradoni, lo stavolo è stato demolito e ricostruito, con destino d’uso ad oggi ancora ignoto]. V. il lemma prec. e la prep. sôro-sopra, e dunque “Runc di sopra”.

Sono i prati superiori del Runc, a E di questo ma da esso ben distinti: sono infatti nettamente delimitati dalla strada che conduce al Plan di Valebós e al rif. Tolazzi, dalla pista forestale che proviene dal Runc di Cuàl e dall’abetaia.
Bei prati, anche se con insolazione relativamente modesta: intorno al 1990 il declivio fu artificialmente modificato in una serie di ampi gradoni successivi destinati a “infrastrutture turistiche” di gusto assai discutibile, al pari di quelle immediatamente sottostanti.

250. Runc di Cuàl [sul -]   Q1270, ✧O. Radura a pascolo in modesto pendio (prato selvatico e rovi). V. Runc; cuàl è forma arcaica di cuél = colle (v. Cuél di Ğulìgn). Ma “Di Qual” è cognome (stessa etimologia ma con diversa rappresentazione grafica, dove probabilmente qu per cu è un ipercorrettivo veneto-italiano) di una famiglia originaria di Valpicetto, stabilitasi a Collina una prima volta – brevemente – nel 1703 e nuovamente, questa volta proveniente da Stalis, nella seconda metà del 1800301.

Dunque, e anzitutto: è Runc di Cuàl “ronco del colle”, o Runc Di Qual “ronco dei Di Qual”?
Domanda apparentemente oziosa, dal momento che gli stessi Di Qual altro non sono che i De Colle con altri… mezzi.
Propendo tuttavia per Runc di Cuàl, per più ragioni. Anzitutto, per ragioni semantiche: l’etimologia del toponimo è perfettamente coerente con le caratteristiche del luogo, un’area disboscata su un’altura un tempo ben visibile da CG e oggi nascosta dagli abeti.
E direi Cuàl pure per ragioni storiche. Come abbiamo visto, gran parte dei toponimi sin qui analizzati sono di origine antica, per moltissimi pluricentenaria, e il nostro runc pare proprio uno di questi. Se fosse invece Di Qual, il toponimo sarebbe invece assai giovane, contando oggi meno di 150 anni.
I Di Qual del 1703 rappresentano una toccata e fuga, senza seguito alcuno: in pianta stabile, il cognome entra a Collina nel 1874302, e il toponimo dovrebbe nascere dopo quell’anno. Ma a memoria d’uomo e di cronaca, nulla mette in relazione la famiglia con il luogo, peraltro da sempre – a quanto è noto – pascolo pubblico303.
Situato poco sopra la Siēo, lungo la strada forestale che conduce a Plumbs, il Runc di Cuàl fu per decenni (secoli?) uno dei luoghi più ameni di Collina, con splendida vista sul borgo e sui monti circostanti. Nel 1975 uno sciagurato disboscamento, propedeutico a piste di sci mai costruite, diede luogo ad una selva di rovi tuttora imperante. Nel 1985, un troneggiante traliccio dell’alta tensione ha completato l’infelice opera di gratuito deturpamento.

251. ⇑ Runc di Cuàl di Rôşo [sul -]   Q1270, ✧NO. Radura a pascolo e coltivi pressoché pianeggiante (prato selvatico)304. Per l’etim. di Runc e Cuàl v. il toponimo prec. e relativi rinvii. Rôşo è il fiore in generale, o la rosa stessa (Sc263) dal lat. rosa (REW7375); oppure ancora, ed è il nostro caso, il nome proprio Rosa.

Il luogo così definito è un’appendice orientale del Runc di Cuàl, da questo distante circa 300 metri di terreno a boscaglia, arbusti e sterpi. È facilmente raggiungibile tramite una pista forestale che si diparte dallo stesso Runc di Cuàl per terminare proprio qui.
In tempi non lontani, la somiglianza del luogo con un pianoro ne fece, analogamente al Còmpet ma con maggior convinzione, un tentativo di campo di calcio, con porte in legno davvero alla buona e tribune… nel soprastante bosco. Piccolo particolare, purtroppo non trascurabile, il terreno è “quasi” in piano (come ogni plan di Collina che si rispetti…), e mentre una squadra gioca in discesa l’altra gioca in salita…
L’aggiunta di Rôşo al già descritto Runc di Cuàl risale alla seconda metà del 1800, quando una nubile, indigente e non più giovanissima Rôşo di Caròno (Rosa Di Corona, 1821-1883) iniziò a coltivare la parte più orientale del Runc di Cuàl, allora come oggi pascolo di proprietà consortile e terreno con scarsa vocazione agricola. Non è dato sapere come finì la storia, della quale ci rimane oggi solo un nome, appunto Runc di Cuàl di Rôşo.

252. Runcùts [ti -]   Q1400, ✧S. Prati in pendio ripido [id. inselvatichito, boscaglia]. V. Ròncs, di cui Runcùts è diminutivo.

Dulcis in fundo, al termine della lunga serie di ròncs e runcs troviamo questi Runcùts, piccoli prati sopra le Spuindòs, lungo la riva sx dell’alto corso del Riù d’Ormèntos.
Nulla di particolare da segnalare tranne, una volta di più, l’ostinata ricerca e relativo sfruttamento da parte dei Collinotti di ogni lembo di terra – piccolo ripido malmesso disagevole e talvolta pure pericoloso – che fosse in grado di produrre un fascio o anche solo una bracciata di fieno. E la chiamano arcadia…

253. Rušulàn [lu -]   Q1540-1370, ✧NO. Ripido solco di corso d'acqua[id]. Dal lat. rivus = rio (v. Riù), attraverso il diminutivo riuscellus305 (REW7338a), ma con chiaro intento spregiativo.

In origine Riušulàn, la pronuncia odierna tende ad eliminare la i di riù- per una pronuncia che si avvicina alquanto a Rušulàn.
Il ruscello, dal breve e ripido corso306 lungo le basse pendici di Devóur lu Malìot, in condizioni normali è davvero tale, quando non del tutto in secca. Tuttavia, non è da prendere sottogamba: in occasione di forti temporali o piogge insistenti, il Rušulàn lascia volentieri il proprio letto per spandersi all’intorno trascinando seco, come si conviene a qualsiasi corso d'acqua esondante, fango e pietre in quantità. Da qui e dal danno recato ai prati sottostanti il senso vagamente peggiorativo del termine. Anche in anni non lontani, in occasione di precipitazioni particolarmente violente o abbondanti il Rušulàn non ha mancato di confermare la propria fama, disseminando detriti per centinaia di metri lungo la strada sottostante.
Oggi il piccolo corso d’acqua è confinato in un autentico letto di contenzione, grazie (?) ad imponenti opere di arginamento. Forse troppo imponenti. Visto così, il Rušulan sembra un pericoloso brigante finalmente assicurato alla giustizia, e giustamente esposto al pubblico a mo’ di ammonimento: guardate che accade ai ruscelli indocili e riottosi.

254. Ruvîš [a -]   Q1400, ✧SO. Prato ripido [id. inselvatichito]. Ruvîš = terreno franoso o frana p.d. Circa l’origine del termine, Scarbolo fa riferimento ad una radice preromana rova, a sua volta poi relata al lat. ruina = frana (Sc265, REW7431)307.

Quando si dice il ruolo delle preposizioni! Etimologia e specifiche frane a parte, aRuvîš non ha nulla da spartire con deRuvîš del lemma succ. Ciò che ci accingiamo a trattare qui (aRuvîš) deve il proprio nome ad una frana nelle vicinanze, ma si tratta pur sempre di terreno a prato – buon terreno e buon prato – in posizione assai distante dal suo apparente omonimo che segue.
Il nostro toponimo individua un’area sopra e sotto la strado des ùolğos che sale a Cjampēi, fino a scendere al Riù di Cuéštos. Il luogo è facilmente identificabile per la presenza di una piccola ancona (la Madòno da Ruvîš) inchiodata ad un abete.

255. Ruvîš [de -]   Q1185, ✧S. Ampia e profonda frana in terreno scistoso fortemente inclinato [id., oggi attraversata dalla strada comunale Forni Avoltri-Collina]. V. il lemma prec.

Altrimenti definita nei documenti notarili ruina, rovisa, frana, roiba (sic), vi sono fondate ragioni per ritenere la Ruvîš il luogo di Collina più conosciuto, menzionato, e meticolosamente descritto nei documenti di 3 o 4 o forse 10 secoli: niente meno che un autentico pezzo di storia308. È laRuvîš per antonomasia, l’unica a portare (sopportare?) l’articolo determinativo.
Imbrigliata da robuste maglie di ferro e ormai rimboschita la ex voragine è oggi un pallido simulacro di ciò che fu. Per secoli autentica protagonista delle cronache e impietosa punitrice di chi osasse posarvi il piede, la ruvîš è ridotta a semplice testimone, ormai silenzioso e impotente, dell'andirivieni che veloce e impune l’attraversa. Un viavai tanto frenetico quanto indifferente, e del tutto ignaro che dall'alto delle ormai stabili rocce un millennio di storia ci guarda.

256. ⇑ Sôro la Ruvîš   Q1250, ✧S. Bosco di conifere in terreno ripido [id.]. V. i lemmi prec. e la prep. sôro-sopra.
È il terreno soprastante laRuvîš del lemma prec., prima di giungere al Ronc muovendo da Cjamavùor. Qui il terreno si fa più consistente e boscoso, in grado di consentire il tracciato di un sentiero che da Cjamavùor si spinge verso ponente, probabilmente in supporto all’attività silvicola.
 
257. ⇑ Ruvîs [tes -]   Q1120, ✧SE. Ripido terreno di frana poi bonificato a bosco e quindi a prato [bosco misto]. V. Ruvîš, di cui è plurale.

È la parte più occidentale, verso Virùncs, dell’ampia area franosa di cui si tratta nei due lemmi prec.
Le Ruvîs sono interamente al di sotto dell’attuale strada comunale e pertanto poco percepibili alla vista, a maggior ragione dopo la bonifica intrapresa verso la fine del 1800 per iniziativa del m.o Eugenio Caneva. La bonifica fu avviata quale primo atto dell’apertura di una “strada” (virgolette d’obbligo, in quanto si trattava pur sempre di una strada di fortuna) attraverso la grande frana che separava Collina dalla nuova sede comunale di Forni Avoltri.

258. Ruvîš dabàs [la -]   Q1380, ✧SE. Terreno di frana in medio pendio [id.]. V. i lemmi prec. + la prep. dabàs-di sotto.

Ricavo il toponimo, oggi dimenticato o comunque obsoleto, da Ca309.
Il toponimo corrisponde al solco ghiaioso (neppure una modesta frana) di un piccolo agâr con poca o punto acqua nell’area boscosa della Navo, fra Frints e i prati della Navo stessa.

259. Ruvîš di Méni [la -]   Q1400, ✧SO. Terreno di frana id.]. V. Ruvîš; Méni è la friulanizzazione del nome di persona “Domenico”.

Non sappiamo se Méni sia caduto nella frana che porta il suo nome (o che altro a lui correlato sia accaduto), né quando, né che fine abbia fatto Méni stesso. Di più, non sappiamo neppure quale sia il Méni giusto nella pur ristretta rosa di candidati (non più di cinque).
Quale che sia il protagonista dell’evento, l’accadimento deve necessariamente essere vecchio di almeno due secoli, in quanto l’ultimo dei candidati morì nel 1804 (ma, a quanto è dato sapere, nessuno dei cinque morì in seguito a una caduta).
Profonda qualche decina di metri, la ruvîš è ben visibile lungo la strada forestale che sale al rif. Marinelli, poche decine di metri prima delle Cjàsos: dal piano stradale la frana scende al Riù di Morarìot, che scorre una trentina di metri più in basso. Ciò che è peggio, il movimento della frana è piuttosto attivo – specie in caso di precipitazioni intense – ed espone lo stesso piano stradale a rischio di cedimento.

260. San Lenàrt [in -]   Q1335, ✧NO. Bosco resinoso e pascolo in medio pendio [id.]. Per san v. Agâr dal Sant; Lenàrt è friulanizzazione di Leonardo.

Il toponimo si deve ad una piccola ancona inchiodata ad un abete e dedicata a san Leonardo, patrono dei pastori nonché dei prigionieri e dei carcerati.
Il luogo si trova poco sopra Bevòrcjos, lungo la vecchia strado des ùolğos (oggi sentiero segnalato per Plumbs). Da san Lenàrt la strado raggiunge con ripida ascesa i prati di Cjìolos e Temós per poi proseguire, ormai ridotta a sentiero, verso Plumbs.

261. Sarmuàlos [in -]   Q1450, ✧SO. Prato [id. inselvatichito]. Sta forse con il friul. salmàzze o sarmàzze = bassure con paludelle e pozze ecc. (NP918) da una radice preceltica sar, ser = corso d’acqua.

Il toponimo proposto è in accordo con lo stato del luogo (o di una parte di esso) prima della captazione delle sorgenti che vi si trovano. Le acque sorgive di Sarmuàlos furono infatti captate agli inizi del secolo scorso per alimentare l’acquedotto che a sua volta rifornisce entrambi gli abitati di CG e CP.
Tipico prato di mont, Sarmuàlos è sito lungo l’alto corso del Riù di Cuéštos (le sorgenti sono però distinte dal corso del rio) sotto i prati del Ruédol.

262. Scjalòts [ti -?]   Q?, ✧S. TU Scjalats o Scjalots (CAT1801). Prato [prob. inselvatichito]. Pl. di scjalòt = gradino (manca in Sc e NP)310, dal lat. scala (REW7637).

Di questo toponimo rubricato nel 1801 davvero sappiamo poca cosa: l’etimologia, certamente frutto di un terreno a gradini (o gradoni) o a fasce orizzontali, nonché una generica collocazione (“prato in tavella”), anch’essa ricavata dal catasto del 1801.
Dell’ignoto luogo possiamo ragionevolmente ipotizzare solo una generica esposizione a S o a SE (tutta la “tavella” lo è), e nulla più.

262bis. Scovaçâr [dal -]   Q1225, ✧E. Pendio ripidissimo, briglie [id.]. Assai poco aulicamente, il termine sta per l'italiano “deposito d’immondizia o spazzatura” (Sc291, manca in NP), derivato di scopacearium, a sua volta da scopa- (REW7734).

In corrispondenza della strada che da Collina procede verso la testata della valle, al di sotto della strada stessa l’Agâr di Macìlos forma una scarpata nella quale, fin oltre la metà del XX secolo, gli abitanti di CM311 usavano liberarsi dei (pochi) rifiuti prodotti. Nulla di paragonabile ai quantitativi del giorno d’oggi: pressoché inesistenti gli imballaggi (e poi, persino le scatole di conserva di pomodoro erano riciclate come vasi…), gran parte dei rifiuti erano costituiti da quella che oggi è d’uso definire con il termine di “frazione umida”, la quale era riciclata ieri più e meglio di oggi, a mezzo di una efficientissima macchina detta purcìt. Anzi, lo scarto umido non bastava mai ed era necessario integrarlo, ma il ritorno dell’”investimento” era garantito!
Di ritorno allo Scovaçâr, la scarpata provvedeva a togliere dalla vista il pattume: a completare il lavoro (si fa per dire) provvedevano le piene dell’Agâr di Macìlos e del sottostante Riù di Morarìot. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore…

263. Secóuf   Q2552, ✧✧. TU Monte Capolago o Seekopf (tutti, tranne IGM 1913). Roccia nuda. Si tratta di una friulanizzazione del tedesco Seekopf, lett. “testa del lago” o “capo del lago”, da cui anche il Capolago della TU.

Fa il paio con Kellerspitz (v. alla voce Flurîts) questo oronimo che riprendo dal lavoro di L. di Caporiacco312 e del quale non v’è traccia né memoria a Collina. È probabile che, al pari del primo, anche questo oronimo tedesco sia stato introdotto a Collina da coloro – probabilmente cramârs – che muovevano attraverso la Volàjo o Monte Croce Carnico da e per le aree germanofone.
Anche questo monte non è ben individuabile dall’abitato e dal versante N della valle, in quanto in larga parte nascosto alla vista dall’antistante m. Canale, mentre è perfettamente visibile dal fondovalle del Runc e del Plan di Valebós come pure, ma a quote più elevate, dall’intero versante S della valle. La caratteristica forma piramidale del versante meriodionae del m. Capolago è anche ben visibile dal fondovalle del Degano, da Villa Santina e Ovaro.

264. Sidìn [tal -?]   Q?, ✧S. TU Sidìn (CAT1801). Prato [prob. inselvatichito]. Sidìn è il basamento degli edifici (NP1038, manca in Sc) in particolare degli edifici diroccati, dal lat. sedimen = basamento, terreno (REW7784).
Un altro toponimo desueto, desunto dal solito catasto di epoca napoleonica, del quale si è persa traccia e memoria. Solo l’etimologia è del tutto trasparente, con preciso riferimento a rovine di edifici preesistenti in loco o nell’immediato intorno.
 
265. Sièlo [su la -]   Q2190, ✧O. Roccia nuda e prateria alpina [id.]. Dall'it. sella = sedile che si fissa sul dorso della cavalcatura.

La Sièlo è situata in posizione assai evidente, interrompendo a metà la lunga cresta del Cogliàns che dalla vetta scende ripida a SO a separare nettamente gli scoscesi canaloni rocciosi della parete O dalle forme più arrotondate del versante S e dal paesaggio un po' lunare dei Monumènts.
Sebbene il termine “sella” sia largamente adottato nella toponomastica alpina – anche con il diminutivo “selletta” – per indicare un passaggio, per lo più ampio e spesso erboso, che mette in comunicazione valli e bacini idrografici, tale accezione appare del tutto inadatta qui, luogo pressoché totalmente privo di tutti i requisiti di una “sella” normale313.
Eppure, basta guardare la Sièlo per comprendere, immediatamente, tutto: un arcione perfetto per Polifemo, per Briareo, o persino per Gulliver (posto che Collina sia Lilliput e non Brobdingnag…). Un sedile per giganti, morbido di erbe e fiori alpini e dall’elegante profilo: una sella perfetta, insomma.
L’attraversamento della Sièlo è oggi parte integrante e punto più elevato del bel percorso alpinistico del sentiero Spinotti.

1957. Interno della Siēo
1957. Interno della Siēo.
266. Siēo [de -]   Q1225, ✧SO. TU Bar Edelweiss. Area circostante una segheria ad acqua sul Riù di Morarìot [id., dopo aver funto per diversi periodi da bar-ristorante, l’edificio è oggi una privata abitazione AP263]. Siēo sta per sega o segheria (Sc284) dal lat. seca (REW7762a).
 1957. La Siēo
1957. La Siēo.

Fino al secondo dopoguerra, la denominazione completa recitava Siēo di Riçòt, ovvero “segheria di Ricciolo”, o Ricciuto, o Ricciolino314.
La segheria rimase in attività fino al 1960 circa, quando fu convertita (conservando tuttavia la struttura dell'edificio) in osteria con la denominazione di Bar Edelweiss. Appellativo ufficiale, beninteso, e mai entrato nell’uso comune dacché da chiunque era conosciuto come de Siēo o tuttalpiù, per i foresti italianofoni, alla Segheria (denominazione quest'ultima che per un breve periodo assunse anche al rango dell'ufficialità). Completamente ricostruito in tempi più recenti (1996), l'edificio è oggi un moderno bar-ristorante. Fine della biografia della Siēo.
E no! Onomasti ed etimologi, toponomasti e filologi, saltate pure queste poche (anzi, molte) righe che seguono e che proprio nulla hanno a che fare con la toponomastica, e muovete al lemma che segue. Io mi fermo de Siēo a bere un tai, ancorché solo virtuale (purtroppo).
Molto più di un luogo o di un semplice edificio, la Siēo è una autentica tranche de vie di molti di noi, figli del baby boom postbellico che vi abbiamo speso i nostri anni migliori, o almeno buona parte delle sere di quegli anni che ci piace ricordare come “migliori”.
Taverna e dancing in parte sotto le stelle e aperto ai temporali agostani, polento e craut e lujanio e frico come ormai non se ne trovano più da un pezzo, juke box tutta l’estate e musica live a ferragosto, militari di leva (troppi) e “foreste” villeggianti (troppo poche), interminabili partite a carte al tavolino e brevi, troppo brevi cheek to cheek in pista hanno animato (dal latino anima: capito?) i nostri roaring sixties. And more, much more than this…, come qualche anno più tardi avrebbe cantato Frank Sinatra, avendo egli appreso his way, a modo suo, da noi viveurs della Siēo
Ho a Collina amici di gioventù – di quei tempi, insomma – che a distanza di oltre mezzo secolo ricordano a memoria le nostre parodie delle canzoni del juke box, arlecchinate che riscrivevo in perfetta rima e metrica (figlie illegittime della metrica latina che ci ammannivano a scuola) cucendole addosso ai personaggi che movimentavano la pista da ballo e i dintorni – allora come oggi assolutamente privi d’illuminazione… – della Siēo315. Il tutto sotto lo sguardo fra il complice e il compiaciuto dei soggetti dei dipinti di soggetto inequivocabilmente alcolico che decoravano le pareti del locale316.
Ma la Siēo è anche un pezzo di vita di Collina, che appena in quegli anni si risvegliava dal torpore dei secoli. Sotto il profilo sociantropologico (ma sì!), la Siēo ha più che decorosamente riempito la troppo breve transizione dal torpore e dal tepore del guscio villico-alpino (sic!) alla narcosi da etere (semper sic!) fino all’attuale e irreversibile coma televisivo, da TV di stato e non.

267. Siēo di Cjanóuf [de -]   Q1130, ✧S. Prato e ghiaie [id.]. V. rispettivamente il lemma che precede e Cjanóuf.

Come di consueto per le attività artigianali, con il tempo il nome della segheria è venuto a identificare tutta l’area circostante, posta lungo la sponda destra del riù di Morarìot prima della confluenza del riù di Cuéštos.
E il nome è tutto ciò che resta di molte attività simili a questa: come altri mulini e fucine, anche la segheria ad acqua della famiglia di Cjanóuf è da tempo scomparsa, al punto di non lasciare altra traccia di sé che il proprio nome.

268. Soclàp [in -]   Q1740, ✧NE. Prato [id. inselvatichito]. Agglutinazione di sót-sotto e clap (v. Clap), e pertanto si ha “sotto il sasso”. Etimologia a parte, Soclàp non ha tuttavia nulla da spartire con Clap.

Il termine si riferisce alle soprastanti rocce di Belvedère, che incombono su questo terreno.
Anche Soclàp è costituito da prati di mont, al pari di Cjanalètos e Bergjarìos fra i quali si trova e dei quali ha condiviso il declino e l’obsolescenza, e infine l’oblio: davvero, oggi da queste parti non passa più nessuno.

269. Socuàl   Q1210, ✧SE. TU Sot Cual (CAT1801). Coltivi e quindi prato in medio pendio [id. inselvatichito]. Come per il precedente, Socuàl è agglutinazione di sót-sotto e cuàl-colle (v. Runc di Cuàl) e pertanto “sotto il colle”.

E qui anche i pochi dubbi espressi alla voce Runc di Cuàl scompaiono: la famiglia Di Qual non c’entra, ed è dunque Cuàl e non Qual.
Il toponimo era già in uso nella seconda metà del XVII secolo, prima della venuta del primo Di Qual a Collina agli inizi del secolo successivo: pertanto, è da escludere ogni relazione con la famiglia317.
L’area, un tempo a campi e successivamente a prato, si trova infatti immediatamente sotto l’abitato di CG, in corrispondenza di un cambio di pendenza del terreno che qui addolcisce l’inclinazione e si fa meno ripido. A ciò potrebbe rifarsi il toponimo, intendendo “sotto il colle” come “sotto il pendio”.
Il terreno è facilmente identificabile, trovandosi immediatamente a dx (or.) di quella che fu la Scalinata S. Michele, fino al 1975 circa principale via d’accesso alla chiesa. La scalinata constava di 101 ampi gradini ad acciottolato, opera non del tutto priva di pregio ma soprattutto significativa testimonianza di devozione popolare,e oggi ridotta a scivolo di cemento. Delle migliaia di ciottoli che la costituivano, teoricamente messi da parte anni addietro per una ipotetica e mai concretizzata ricostruzione, non si conosce (ma s’immagina facilmente) il destino.

270. Sopecól   Q1130, ✧SE. Campo, quindi prato in pendio ripido [inselvatichito]. Agglutinazione di sót-sotto e Pecól (v.).

Il toponimo identifica un’area al limite inferiore della campagna di CP, sotto Bùros, un tempo coltivata e successivamente utilizzata come prato da sfalcio, prima del definitivo abbandono. Già nel 1596 il cameraro registra la consueta “obbligazione” del terreno per debiti: “Lenardo macocol è debitor alla dicta giesia di sancti michiael di contadi L.6,10 obliga uno campo in sot pecol confina con …”318.
Logica vorrebbe che Sót Pecól si trovasse sotto Pecól. Naturalmente, così non è, e qualora ciò non fosse sufficiente a sottolineare le bizzarrie della nostra toponomastica, aggiungo che i due luoghi sono fra loro lontanissimi (beninteso su scala locale: più o meno, quattro chilometri).
I realtà il nostro toponimo è così detto in quanto posto sotto il pendio che sale in Bùros, ciò che può essere inteso come un generico pecól (anche se l’odierna microtoponomastica non registra nulla con questo nome).
Svelato il trucco semantico ci rimane, nuovamente, la apparente bizzarria di un “sotto” che non ha un “sopra”.

271. Sopóç [in -]   Q1235, ✧SE. Coltivi in lieve pendio [abitato, orti]. Agglutinazione di sót-sotto e póç = pozzo (Sc234), dal lat puteu(m) (REW6877), tuttavia non inteso in senso classico di scavo in profondità per estrarre l’acqua, ma forse di deposito o luogo di raccolta dell’acqua stessa319.

Come spesso accade, abbiamo un sót póç senza un póç! Con buona probabilità, il toponimo deriva da una vasca di raccolta dell’acqua forse posta, in epoca indeterminata, poco sopra il nostro Sopóç, oggi area residenziale lungo la strada che si diparte dalla strada principale, davanti alla Latteria.
Non mancano ragioni a supporto di questa ipotesi. Fino al 1873 CG non ebbe acqua corrente in paese: solo in quell’anno fu infatti costruito un acquedotto con “tubi in legno” che da Cuéštos conduceva l’acqua in piazza, condotta poi sostituita da tubi in ferro nel 1898-1905320.
Dove andassero i Culinòts di CG (le cui abitazioni, ricordiamo, erano concentrate intorno all’attuale piazza degli Alpini) a prelevare l’acqua prima della costruzione dell’acquedotto non è noto con certezza. Certamente non qui in Sopóç, dal momento che avevano almeno una sorgente a disposizione a distanza più conveniente, in corrispondenza di quello che sarebbe poi diventato l'àip di 'sot (“l’abbeveratoio di sotto”, oggi sotto la strada che dalla piazza di CG scende in direzione della Siēo) 321.
Quanto al perché un póç si sarebbe potuto/dovuto trovare proprio lì dove noi oggi lo vorremmo non possiamo sapere. Vasca per l’abbeverata del bestiame? Riserva d’acqua per gli incendi? O forse… nulla, e noi stiamo semplicemente fantasticando? Davvero non sappiamo altro che, una volta di più, abbiamo un “sotto” senza un “sopra”. Ma a queste stranezze abbiamo fatto l’abitudine…
Situato non lontano dal nucleo originario di CG, per centinaia d’anni e fino alla metà del secolo scorso Sopóç fu terreno di coltivi, come testimonia la citazione che segue, risalente alla seconda metà del 1600: “…et item un altro suo campo in luogho chiamato sotto pozi di presenali di semenza in circha vinti nella pertinenza di Colina granda…”322.
Poco dopo il 1960 nell’area furono costruite due abitazioni, rapidamente seguite da numerose altre nell’immediato circondario, fino in Balbin. Le aree rimaste libere dagli edifici furono prevalentemente convertite in orti, o lasciate definitivamente incolte.

272. ⇑ Basso di Sopóç [te -]   Q1230, ✧SE. Coltivi in pendio lieve [abitato]. V. Basso e il lemma prec.323.

Analogamente a Basso, il toponimo sta probabilmente a indicare un sentiero più basso e parallelo rispetto ad altro che muoveva nella medesima direzione: in basso il sentiero (oggi strada carrozzabile) che portava in Sopóç, in alto il sentiero (oggi strada forestale) che menava in Cuéštos.
A partire dagli anni '60 del secolo scorso anche qui si è assisitito alla progressiva urbanizzazione dell’area a scopo residenziale, e la Basso di Sopóç è in oggi in pieno centro abitato.

273. Sorovìo   Q1280, ✧SE. Prato in medio pendio [id. inselvatichito]. Agglutinazione di sôro-sopra e vìo = via, strada o sentiero (è il friulano vìe, NP1273, manca in Sc), dal lat. via (REW9295).

Tutto lineare e trasparente in questo toponimo indicante un prato immediatamente soprastante la strado des ùolğos (è questa la vìo a cui si rifà il toponimo) in prossimità di una caratteristica ancona dedicata a sant’Antonio, strada che da CG sale in Masério, tal Frantûl e in Ğùof.
Nelle sue varianti linguistiche Sorovìo è toponimo ubiquitario, ma anche cognome che si ritrova frequentemente nell’arco alpino, dove talvolta assume anche la veste di cognome (Soravia e Sottovia, e in aree germanofone Oberweger e Unterweger).

274. Sót la Glîşio   Q1180, ✧S. Prato ripido, quindi più dolce verso il fondovalle [prato inselvatichito]. Sót = sotto, mentre glîşio altro non è che la chiesa (Sc97), dal lat. ec(c)lesia (REW2823).

Il toponimo indica letteralmente i prati “sotto la chiesa”324, e più precisamente i terreni fra la chiesa stessa e il fondovalle del rio Morareto, dove si trova il Plan di 'Sót.
La posizione non è particolarmente pregevole, tanto per il dislivello (in salita!) che lo separa dall'abitato, quanto per la non eccelsa qualità del terreno, la cui sottile cotica erbosa ricopre a malapena le ghiaie fluviali e le pietre immediatamente sottostanti.

275. Sót ju Órts   Q1180, ✧S. Campi coltivati, poi prati in pendio dolce [prato inselvatichito]. Órts è pl. di órt = orto (Sc204), dal lat. hortus (REW4194), + sót-sotto. Dunque, lett. “sotto gli orti”.
E immediatamente sotto gli orti di CP si trovavano questi campi, fra i migliori della villa per esposizione, inclinazione del pendio e prossimità all’abitato. Ben si può comprendere, dunque, come siano stati fra gli ultimi ad essere declassati a prato, e ad essere infine abbandonati al loro destino di pascolo per il bestiame “foresto” in transito prima di essere trasferito all’alpeggio estivo.
 
276. Sovròndo [in -]   Q1600, ✧E. Prato di mont in pendio ripido [boscaglia]. È il risultato dell’agglutinazione di sòvro (forma arcaica della prep. sôro = sopra) e di òndo = onda (Sc202) dal lat. unda (REW9059).

Una volta di più, il bellissimo e inconsueto toponimo (“sopra l'onda”) si deve alla particolare morfologia del territorio, un piccolo prato quasi in bilico su (sopra) i balzi scoscesi dello spumeggiante riù de Cjanalèto (l’onda).
Siamo nell’ambito del quasi onnipresente “monte del fieno” di Creşadìço : “… ha sotto posto un suo Pratto di settori 5 C.a pertinenze di detta Villa locho detto in Sovrundo nel monte del fieno…”325. Tuttavia, a dispetto del nome poetico, si tratta di luogo malagevole, costretto fra il rio e gli scoscendimenti del versante dx del ripido corso d’acqua. Ma è la solita, vecchia storia: un fascio di fieno si portava a casa anche da Sovròndo.

277. Spàdolo [in -]   Q1210, ✧SE. Coltivi in medio pendio [prato inselvatichito]. Nella parlata di Collina, spàdolo è precisamente la “scapola” (Sc299), dal lat. spatula (REW8130, 2), laddove il friul. spadule fornisce un più generico “spalla” (NP1079).

Sul territorio, Spàdolo corrisponde allo spallone prativo che da Vidrìnos, lungo la strada principale di CG, scende al piano di Valgèlo. Alto poche decine di metri, il rilievo è tuttavia ben visibile dalla strada che da CP conduce alla chiesa: è infatti il più a E (a dx, guardando dal basso) della serie di pronunciati rilievi che caratterizzano l’area sottostante l’abitato326.
Adottando il termine “spallone” per la morfologia del terreno di Spàdolo, ho già detto tutto riguardo all’etimologia del toponimo. Si noti come, asciutto e soleggiato, il terreno fosse sede di coltivi, al contrario della sottostante Valgèlo, molto pù umida e pertanto destinata a prato.

278. Spelât [tal -]   Q1590, ✧NO. Radura in ripido bosco resinoso [id.]. Spelât è l’agg. “pelato” (Sc301), dal tardo lat. ex-pilare (REW6502).

In altra occasione ho definito lo Spelât il “monte Calvo” di Collina, ambientandovi raduni di Maçarots,Agànos, Sbilfs, Strìos e quant’altro dell’extranaturale che popolava le valli carniche d’antan. Il luogo è una curiosa radura che spicca nettamente al culmine della fittissima foresta di abeti che ricopre interamente il versante della valle a bacìo, creando un caratteristico contrasto cromatico verde chiaro/verde scuro che d’inverno si trasforma quasi in un bianco/nero).
Circa le origini di questo “buco” nella foresta non v’è chiarezza assoluta. L’ipotesi più verosimile è quella dell’effetto delle violente burrasche di tramontana che, entrando dal passo di Volaia, vanno a colpire il versante opposto (v. Cjaso Boreàn) concentrando i propri effetti proprio sul crinale dello Spelât.
È comunque un fatto che da decenni nel luogo non vi sono interventi umani (tranne la rimozione di qualche pianta schiantata ai margini della radura) e tuttavia non si vede nulla che superi il metro d’altezza. D’altra parte, la denominazione di Spelât non sembra proprio nata ieri…

279. Spuìndos [tes -]   Q1280, ✧O. Prato ripido [id. inselvatichito, boscaglia]. Pl. di spuindo = sponda (Sc306) dall’omonimo lat. (REW8170).

Le sponde del toponimo sono quelle del Riù d’Ormèntos, verso il cui corso le Spuìndos vanno a spingersi, ben più in alto della sottostante strada e della Caròno di Colarìot.
Prati ripidi e di sfalcio non particolarmente agevole, le Spuindos avevano il vantaggio di un trasporto relativamente favorevole, trovandosi al termine del comodo sentiero che, preso avvio dalla non distante strada comunale Collina-Forni Avoltri fra l’Agaràt e Colarìot, supera la Navo des Gjàjos per raggiungere infine le Spuìndos stesse.

280. Stàipo [de -]   Q1260, ✧SE. Prato con stavolo [id. inselvatichito, dell’edificio non v’è più traccia]. La stàipo è il casolare isolato per il fieno (Sc307) interamente in legno, a differenza dello stâli, costruito parte in pietra e parte in legno) dal basso tedesco stappel = deposito, magazzino (REW8229, 2).

La stàipo-edificio è certamente all’origine della Stàipo-toponimo, probabilmente attraverso una comune forma di sineddoche originatasi all’interno della famiglia proprietaria del fondo.
La stàipo è il caratteristico ricovero ove il fieno era temporaneamente immagazzinato prima del trasporto al fienile-stalla principale, situato entro l’abitato o comunque assai prossimo ad esso; il trasferimento era effettuato prevalentemente d’inverno, quando le scorte di fieno in valle si andavano progressivamente assottigliando e quando il trasporto con la slitta diveniva più agevole.
Diffusissime su tutto il territorio, le stàipos punteggiavano numerose tanto i prati di mont che quelli in fondovalle, con tipologie edilizie che andavano dalla semplice struttura in assi di legno inchiodate alla più complessa e robusta struttura a blockbau, con le travi ad incastro.
Il toponimo identifica un piccolo prato al margine superiore dell’abitato di CG, speculare a Sorovìo trovandosi sotto la strado des ùolğos in prossimità della già menzionata e popolarissima ancona di sant’Antonio.

281. Stalatòn [in -]   Q1280, ✧SE. Coltivi e prati con fienili e stalle in pendio dolce [prato selvatico e un unico fienile]. V. Stâli al lemma seguente, di cui Stalatòn è ad un tempo spregiativo (-at, stalàt) e accrescitivo (-òn, stalatòn, v. Stalón).
1958. Mietitura in Stalatòn
1958. Mietitura in Stalatòn.

Stalatòn è il terreno a sx (dx orografica) dell’ampio sentiero che sale a un grande fienile nel bel mezzo del declivio, ben visibile da CP come da CG e attualmente in via di ristrutturazione.
Un tempo popolato di numerosi fienili-stâlis, il luogo deve la denominazione ad uno di questi, evidentemente grande e in cattivo stato (o di forma sgraziata), probabilmente già scomparso da tempo. Di tutte le costruzioni che punteggiavano il declivio non rimane oggi che un solo stâli, di grandi dimensioni e di una certa grazia nella sua tipica architettura dell’alto Gorto (v. il lemma seguente).
Insieme a Cjamavùor a CP, Stalatòn e i terreni circostanti a CG godono di posizione (vicino all’abitato) ed esposizione (SE) assai favorevole, con buona insolazione tutto l’anno. Inoltre, la modesta inclinazione del pendio ne agevola la lavorabilità, facendo del luogo una delle aree più appetibili e appetite della Collina rurale.
Ben si comprende dunque il già citato, esasperato grado di frammentazione della proprietà fondiaria, che trova in Stalatòn e nei terreni circostanti (Antîl, Fontagnèlo, Navo, Balbìn, Sopóç) la sua massima espressione in tutta Collina, al punto di essere dotato delle già citate “Còdos”: “Pretendendo Ms. Nicolò fig.lo di Ms. Osualdo Barbolano voler recuperare et riavere … il pezzo campo chiamato chiamp de coda sora stallaton stato alienato dalli Curatori…”327.
Come pure: “Confesso io Sotto Scrito di aver fatto Conto con Mio Sig. Cogino Leonardo Warbolan Per via del Canpo di Nava con la Coda di Stallaton…”328.

282. Stâli [in -]   Q1300, ✧SO. Coltivi e prato con fienile in medio pendio [id., prato inselvatichito]. Stâli è il fienile posto al primo piano della stalla (Sc307)329 dal lat. stabulum = stalla (REW8209).

Analogamente alla Stàipo, l’edificio è certamente all’origine dello toponimo, probabilmente attraverso una identificazione dell’uno con l’altro da parte della famiglia proprietaria di entrambi. L’edificio, anch’esso diffusissimo all’interno o ai margini delle aree prative e coltivate, aveva la duplice funzione di temporaneo magazzino per il fieno e di ricovero – anch’esso temporaneo – del bestiame, il cui stallatico era impiegato nella concimazione del fondo.
In Stâli è in realtà un runc, ricavato alla base della foresta di conifere che dal riù di Morarìot sale in Creşadìço. Il percorso del sentiero che lo lambisce, tracciato che prende avvio dalla strada comunale poche decine di metri a O della Siēo, costituisce una bellissima passeggiata nel bosco che consente di raggiungere la Fontano nêro, di fronte al fequentatissimo punto di ristoro Staipo da Canòbio, evitando la strada asfaltata e il relativo traffico.

283. ⇑ Sôro Stâli   Q1340, ✧SE. Foresta e prato in ripido pendio [bosco resinoso]. V. il lemma prec. + la prep. sôro-sopra.

Secondo logica il luogo si trova sopra Stâli, fino a sovrastare la Ruvîš del lemma prec.
Il prato d’un tempo è stato pressoché interamente sostituito da conifere d’alto fusto: solo qua e là magri spiazzi con erbe alte, già popolati di giovani larici lasciano intuire (molto più che vedere) l’antica mano dell’uomo.

284. ⇑ Ruvîš di Stâli [de -]   Q1260, ✧S. Rio e terreno di frana [id.]. V. rispettivamente Ruvîš e il lemma che precede.

La ruvîš del toponimo è la frana lungo il piccolo rio – evidentissimo per le imponenti opere di irreggimentazione e contenimento effettuate intorno al 1930 – che scende poco più di un centinaio di metri a O della Siēo330. È detta di Stâli in quanto rio e frana hanno origine poco sopra quest’ultima località.
L’aspetto del luogo è stato radicalmente modificato dai lavori eseguiti oltre 70 anni fa, le cui dimensioni (nel genere, i lavori più imponenti di tutta Collina, e ad oggi non si è mossa una pietra) lasciano tuttavia intuire l’originale estensione della frana.

285. Stalón [dal]   Q1180, ✧S. Prato con fienili [id.]. Accrescitivo di Stâli (v.).

Il toponimo ha certamente origine da un fienile di grandi dimensioni posto lungo la strada che da CP conduce alla chiesa, poco oltre il ponticello sul Riù di Cuéštos.
L’area è ancora oggi a fienili (ovviamente non più in uso come tali), anche se è assai improbabile che il toponimo si riferisca a uno degli edifici attuali, tutti costruiti ex novo dopo il secondo conflitto mondiale.
Analogo toponimo si riscontra in prossimità di Tors, già citata frazione del comune di Rigolato, lungo la strado di Créts là dove questa scende dalla Furcjìto alla statale in fondovalle.

286. Stèlo [la -]   Q2200, ✧O. Prateria alpina e rocce fortemente inclinate [id.]. Stélo è detto lo spiovente anteriore e posteriore del tetto (Sc309), dal lat. stella (REW8242).

Il lat. stella è all’origine di numerosi termini connessi al significato di “fronte”, al quale è da associare anche il nostro stèlo.
Il curioso toponimo, forse di origine venatoria ma più probabilmente derivante dall’osservazione a distanza, definisce la parte inferiore del Coston di Stella della TU, immediatamente sovrastante la Sièlo a E di questa. La denominazione si rifà alla forma del costone, che per profilo e inclinazione (certo non per dimensione…) richiama lo spiovente dei tetti del Canale di Gorto331.

287. Sterpìot [in -]   Q1310, ✧SE. Prato in pendio ripido [boscaglia]. Da stérp = nocciòlo o folto arbusto (Sc309), dal lat. stirps, stirpe = tronco, ramo (REW8268) con suffisso collettivo –ìot caratteristico dei fitotoponimi (v. i vari Colarìot, Morarìot ecc.). Il termine stérp è prevalentemente (ma non esclusivamente) usato a indicare il nocciolo (Corylus avellana).

Altro toponimo non infrequente332, inequivocabile circa lo stato del terreno, un fondo non particolarmente pregiato né degno di essere incluso fra i migliori di Collina.
Erano principalmente i noccioli (stérps) a creare problemi in questo prato, posto immediatamente al di sotto del bosco della Navo, fra Roncjadìço e Pecìot. Oggi Sterpìot è nuovamente coerente con il nome che porta, al punto da rendere persino difficile ritrovare l’antico prato nel folto degli stérps e sul terreno coperto di foglie secche.

288. Strado di Soldâts [la -]   Q1190-2255, ✧E/S. Mulattiera [id., in parte rimboschita]. Lett. “Strada dei soldati”, dall’it.

Così fu detta, e ancora oggi porta questo nome, la mulattiera di servizio alla postazione di artiglieria collocata in vetta a Crèto Blancjo.
Costruita all’avvio delle azioni belliche nel 1915 seguendo in parte un preesistente tracciato ad uso agro-silvicolo, la mulattiera prendeva avvio a CP e risaliva interamente la dorsale boscosa a NO fino alla Furcùço333. Da qui, ormai al di sopra dell’abetaia, la mulattiera proseguiva in terreno libero risalendo, con percorso assai ardito, prima il fil di cresta che separa il bacino del Riù di Cuéštos dal Riù d’Ormèntos, e poi il ripido fianco orientale di Crèto Blancjo fino alla vetta.
Del percorso è ancora perfettamente fruibile (e godibile, vista la pendenza moderata in confronto alla ripidissima strado des ùolğos che qui e là l’interseca) la parte nel bosco e poco sopra questo, fino alla Furcùço e a Ğùof dabàs.
Più oltre il percorso, pur perfettamente visibile e in buono stato di conservazione, è letteralmente invaso dagli àmblis, gli ontani infestanti che ne occupano interamente la sede, formando un’autentica barriera e impedendone di fatto qualsiasi percorribilità334.
Un vero peccato. Il percorso meriterebbe una manutenzione (manutenzione tanto semplice quanto… radicale: in sostanza, il taglio degli ontani sul sentiero), consentendone la riapertura e la percorribilità escursionistica. In tal modo la Strado di Soldâts costituirebbe, insieme alla salita di Crèto Blancjo e al sentiero che transita dalla casera Mont di Bóuš, uno splendido itinerario ad anello percorribile in ambo le direzioni.

289. Stuàrts [ti -]   Q1530, ✧O. TU (CAT1801) Prato in pendio ripido [id. inselvatichito e in via di rimboschimento. Plurale di stuàrt = storto (Sc315) dal lat. extorquere = torcere (REW3094).

A Gonârs (UD) si ritrova un analogo toponimo Stoarz, la cui origine è ricondotta all’andamento irregolare dei terreni compresi fra due filari non rettilinei di gelsi335. Non avendosi quassù filari di alcun genere, probabilmente il toponimo si rifà allo sviluppo diagonale e non rettilineo dei prati rispetto alla linea di massima pendenza.
Posti fra Nàvos e l’Infiér, anche gli Stuàrts erano attraversati dal sentiero che da Cjalgjadùor muoveva verso O tagliando in quota l’ampio costone sovrastante la strada fra CP e Riù d’Ormèntos.

290. Tavièlo [in -]   Q1195, ✧S. Prato umido in lieve pendio [prato inselvatichito e impaludato]. La tavièlo è genericamente la campagna coltivata intorno all’abitato (Sc325) dal lat. tabella = tavoletta o assicella (REW8509).

Nel significato generale di “campagna coltivata” in lingua locale, la tavièlo di Collina è fra Cjamavùor e Sôro ju Prâts a CP, e fra Antîl e Pecìot a CG. Viceversa, il luogo identificato dal toponimo Tavièlo è circoscritto ad un singolo praticello posto lungo la via che da CG conduceva alla chiesa e al cimitero (oggi Scalinata san Michele), fra le ultime case in basso e la chiesa, area oggi in parte occupata dal parcheggio della chiesa stessa.
Sita poco sopra la Valgèlo, la Tavièlo ne condivide i cospicui fenomeni di ruscellazione, al punto che il piccolo prato, un tempo anche dotato di una piccola stàipo, oggi ospita una nutrita colonia di piante idrofile quali lavàçs e ònglo336.
Anche qui il povero e pluricitato Vito Betan aveva beni al sole, puntualmente “scorporati” fra i creditori: “Più la casa con camera, forno, stauliero, et stalla con pezzo di corte del settanno appo muratto arivato palmentato, et tramezzato, et espedito dal fondo sino al Colmo coperto di paglia confina da Mattina con habentie, et pertinentie posta in detta Villa confina da sol levado con la strada consovrina di Tavella a mezzo dì li Heredi qm Zuan di Baiarz…”337.

291. Temós [in -]   Q1620, ✧O. Prato con stavoli [prato selvatico impaludato]. Forse da una base preromana *tem- *tim- = acqua che si allarga, anche con il significato di “acqua abbondante” e simili (v. anche Fr116, s.v. Timau/Timavo).

Temós è uno dei numerosi prati di mont lungo i fianchi sudoccidentali del Pic di Gòlo, compreso fra Cjìolos e il Palón di Plumbs e chiuso in alto dal Malìot. L’ampia area prativa, ben servita dalla strado des ùolğos che vi sale da San Lenàrt, era anche dotata di un bel fienile per il deposito temporaneo del foraggio.
L’etimologia del toponimo fa riferimento all’acqua, e l’acqua c’è davvero, in Temós come peraltro negli altri prati dintorno. A causa dell’abbandono dei prati l’acqua non più regolata è giunta ad impaludare la parte inferiore del prato, rendendone problematico l’attraversamento lungo la sottostante strado des ùolğos, oggi parte del sentiero escursionistico che da Collina sale a Plumbs per poi proseguire, attraverso la Fòrcjo di Plumbs e i Flurîts, alla Fòrcjo di Morarìot e al rif. Marinelli.

292. ⇑ Sót Temós   Q1470, ✧O. Bosco resinoso [id.]. V. sót e il lemma prec.

Di proprietà consortile (Consorzio boschi privati di Collina) il bosco di Sót Temos sale da Riù di Plumbs lungo il rio omonimo fino a Temós.
Come tutti i boschi di questo versante, anche Sót Temós è assai ripido (i pochi pendii accettabili furono disboscati per farne prato) e serrato intorno al Riù di Plumbs che lo solca con corso rettilineo. In occasione del già citato 16 novembre 2002, di quassù partì lo smottamento di fango e acqua che, scendendo lungo il rio, travolse il ponticello di Riù di Plumbs trasportandolo 50 metri più a valle.

293. Sót Tùto   Q1230, ✧S. Coltivi [abitazioni]. Dal sopranome di persona Tùto, di origine incerta + la prep. sót.

Il luogo era così detto in quanto immediatamente sottostante la casa in Tùto (oggi comunemente nota come casa di Côgher, AP85), così detta probabilmente in virtù del soprannome della proprietaria o abitante338. Quanto alle origini del soprannome stesso, Tùto, le tracce si perdono nel nulla.
Sappiamo con certezza che tale denominazione identificò la casa in questione solo per un breve periodo, intorno alla fine dell’800: in epoca precedente e successiva l’edificio assunse denominazioni diverse. Tuttavia, un’analisi accurata dell’anagrafe relativa alle diverse famiglie succedutesi nell’abitazione non ha evidenziato la presenza di alcun nome con possibili diminutivi in Tùto (tranne, beninteso, il generico frutùto, “bambinella”).
Come tale il toponimo è scomparso dall’uso comune al tempo della costruzione, in questo stesso luogo, della casa detta de Bièlo (AP90). Per qualche anno la casa fu detta per l’appunto sot Tùto, definizione ben presto messa in ombra – forse a furor di popolo – dalla bellezza della proprietaria, la Bièlo (“la Bella”, al secolo Giovanna Toch di Giuseppe, 1867-1941). D’allora la Bièlo assunse – giustamente, narrano le cronache – la titolarità nominale della casa che tuttora porta il suo nome.

294. Trio Rès [di -]   Q1750, ✧SE. Roccia nuda e mughi [id.]. Lett. “Tre Re”: trio è il numero tre (Sc335) dal lat. tres (REW8883), mentre res è plurale di re (Sc253), dall’omonimo italiano.

La curiosa denominazione si deve a tre grossi blocchi di roccia che troneggiano (sic) al di sopra di un salto roccioso sovrastante Puint dal Muš, lungo il sentiero che conduce a Volàjo. I tre roccioni sono assai evidenti per dimensioni e posizione, richiamando le figure dei tre re Magi, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre.
Non è nota l’epoca di origine del toponimo, forse opera di cacciatori, emigranti o pastori con funzione di punto di riferimento, così come non vi è uniformità di vedute sull’attribuzione dei nomi a ciascuno dei tre massi, ma tant’è.
A noi resta il simpatico e inequivocabile nomignolo a identificare un luogo transitato ogni anno da migliaia di persone tanto frettolose e ansanti verso la meta di Volaia quanto ignare e indifferenti alle regali prerogative dei nostri Trio Rès.

295. Val [in -]339   Q1160, ✧S. TU Val di Collina? (CAT1801)340. Coltivi in medio pendio, poi prato [prato inselvatichito]. Dal lat. vallis = valle (REW9134) per la forma concava a forma di valle, oppure con il significato di “in valle”, e quindi per estensione “in basso, sotto (il villaggio)” (NP1255, manca in Sc)341.

Era, questa, l’area dei coltivi sottostante l’abitato di CP, destinata prevalentemente a orzo e segale prima di essere declassata a prato e, infine, all’obsolescenza e al pascolo temporaneo dei bovini in transito verso le malghe.
Durante la prima guerra mondiale, nella parte inferiore di Val fu costruita la stazione di partenza della teleferica di Belvedère, come pure si attestò qui per breve tempo una batteria di artiglieria. Una mia zia, classe 1902 e testimone oculare dell'evento, mi raccontava di tiri di artiglieria effettuati da quaggiù verso la cresta dei monti a N, nell'intento di oltrepassare il crinale che va dal Sasso Nero al m. Canale e così colpire i baraccamenti austriaci nella retrostante conca di Volaia.
Tutti i tiri si infransero inesorabilmente contro i fianchi rocciosi dei monti, e non un solo proiettile riuscì a superare il crinale, 1300 metri più in alto. Evidentemente non esperta di artiglieria (la zia), commentava l’accaduto con un ipercritico “cui sa ce ch’i credevo di cumbinâ di ventijù!” (chissà che credevano di combinare di laggiù!).

296. ⇑ Sót Val Q1140,   ✧SO. Prato in forte pendio [prato inselvatichito, latifoglie]. V. il lemma prec. + la prep. sót-sotto.

Così definito per la posizione sotto Val, in quanto prosecuzione di quest’ultimo verso il basso, dopo un cambio di pendenza del terreno che si fa decisamente più ripido volgendo verso il Fulìn.
La ridotta esposizione al sole e il ripido pendio ne hanno determinato tanto il cambio di destinazione d’uso rispetto al terreno soprastante (Val a coltivi, Sót Val a prato da sfalcio) quanto il precoce abbandono di ogni attività agricola.

297. Val di 'Sót [in -]   Q1160, ✧S. TU Val di Sotto (CAT1801). Coltivi [prato inselvatichito]. Per l’etimologia, v. il toponimo precedente: lett. “Val di Sotto”, come tradotto nella toponomastica d’epoca napoleonica.

Un altro dei numerosi giochi semantici della nostra toponomastica, Val di 'Sót ha nulla a che fare con i pur numerosi toponimi legati a Val (Val p.d., Sót Val, Valegoto). Lontano da questi, Val di ‘Sót individua la discesa dai prati di Glèrio allo stretto pianoro di Plan, lungo la sponda destra del Riù di Morarìot.
Ciò detto, la Val del toponimo risulta essere la stessa valle di Collina, e il sót gioca un ruolo diverso da quello letterale di attributo della valle per assumere il significato di avverbio a sé stante. Dunque non è, questa, una inesistente “Valle di sotto”, ma bensì il “Sotto della valle” a CG, esattamente come il toponimo precedente a CP.

298. Valantùgnos [in -]   Q1670, ✧SO. Prato e pascolo, poi abbandonato [prateria alpina]. Agglutinazione di Val-di-Antùgnos. V. Val; antùgno al sing. è probabilmente la annuitas = annualità, rendita o rata annuale (REW486b), qui con il significato di fitto o canone.

Il toponimo definiva i prati intorno alla malga di Cjampēi, prima della costruzione di quest’ultima e la conversione del terreno a pascolo.
La grafia seicentesca, più vicina dell’attuale alla radice etimologica, si rifà ancora alla forma non ancora agglutinata, Val d’Antugnas: “Intendendo Ms. Nicolò fig.lo di Ms. Osualdo Barbolano della Villa de Culina granda vuoler recuperare per virtù d'Agratione il Prato chiamato Val d'Antugnas…342. 200 anni più tardi, E. Caneva redigerà invece un assai più sbrigativo quasi-italiano Valantugni. Nulla di particolarmente significativo, beninteso, dacché abbiamo ripetute testimonianze di grafie divergenti anche all’interno del medesimo documento.
Come già insinuato alla voce, non è da escludere che in origine si identificasse con Valantùgnos l’intera valle di Cjampēi stesso, o almeno la sua parte più elevata. Induzione, questa, che fonda su presupposti non del tutto dimostrati (l’etimologia di Valantùgnos e, ancor più, l’interpretazione già data a quella di Cjampēi) ma proprio perciò affascinante e tutt’altro che inverosimile.
In breve. La valle con una piccola malga (probabilmente monticata con pecore) è proprietà della chiesa di s. Michele, che per il diritto di pascolo percepisce una rendita o fitto (annuitas). Forse c’è anche qualche prato, nella Vallis annuitas (o annuitatis?). Con il tempo, la malga e il suo Cjampēi rubano scena e nome (forse scompare anche la rendita), e nasce Cjampēi, mentre Val des Anuitâts si rannicchia in un prato o due. Sparita la malga (capita, come capiterà ancora) e siamo pronti a ricominciare il giro, a nomi invertiti.

299. Valegòto [in -]   Q1130, ✧S. Prati sotto Val [prato inselvatichito, cespugli]. Agglutinamento di Val de Gòto, v. rispettivamente i lemmi Val e Gòto.
Valegòto è la prosecuzione al basso di Val, da questa divisa da un considerevole cambio di pendio e delimitata a destra (or.) da un netto ciglio (gòto) che la separa dai dirupi che scendono direttamente al rio Fulìn. Beninteso, non una gòto importante come quella del toponimo-antonomasia, ma pur sempre sufficiente allo sconosciuto Collinotto per includerla nella sua nuova definizione del terreno “…alajù, in Val de gòto343.
 
300. Valgèlo [te -]   Q1200, ✧SE. Prato umido quasi pianeggiante con stavolo [id. inselvatichito e impaludato, dello stavolo è scomparsa ogni traccia]. Da vallicella, dim. di vallis (v. Val) oppure, più probabilmente, da vallis gela(ta), nel senso di “valle ghiacciata”.

Ittem di piu uno pezo di pratt chiamatte la Valzella con la staipo questa per ducati (...) 32344.
Prato con stavolo in piena tavella di Collina, posto a poche decine di metri a NO della chiesa e dunque assai prossimo a CG, la Valgèlo parrebbe dunque essere terreno di gran pregio. Tuttavia, così non fu e non è.
Al contrario dei terreni soprastanti (Agâr e Spàdolo), piuttosto inclinati e con substrato impermeabile abbastanza profondo, la Valgèlo è assai meno inclinata e costituita da terreni con substrati argillosi che vengono quasi a nudo. L’area di contatto fra i diversi terreni è quindi caratterizzata da numerosi e abbondanti fenomeni di risorgiva, da cui la presenza di abbondanti e diffusi fenomeni di ruscellazione.
La prima etimologia proposta si rifà dunque ai piccoli solchi (vallicelle) derivanti dalla ruscellazione superficiale, un tempo accuratamente regolata allo scopo di minimizzare il sempre presente rischio di impaludamento.
La seconda interpretazione si rifà invece al congelamento dei ruscelli nel periodo invernale, e agli effetti che ne sortiscono. I primi geli impediscono il regolare deflusso delle acque correnti, che perciò tendono a esondare e a gelare a loro volta, formando ampie superfici di ghiaccio vivo.
Quest’ultimo fenomeno è particolarmente evidente oggi, dopo l’abbandono di ogni attività agricola. Venuto meno lo sfalcio, abbandonato lo stavolo e la manutenzione del prato ormai abbandonato al pascolo brado, la natura ha anche qui ripreso il suo corso: le erbe raggiungono il metro d’altezza, e i ruscelli si spandono liberi per i prati e per la strada interpoderale che da CP conduce alla chiesa. Complice la totale assenza di manutenzione delle canalette di scolo, ogni inverno la strada si trasforma in una pista di pattinaggio in discesa (o in salita…), con decine di metri di ghiaccio vivo sulla sede stradale. Viene da pensare che l’ignoto inventore del toponimo Valgèlo-vallis gelata (se questa fosse l’autentica origine del toponimo) avesse capacità di preveggenza…

301. Valgèlos [tes -]   Q1060, ✧S. Prato (id. inselvatichito). Plurale del lemma prec., del quale condivide le alternative etimologiche.

Le Valgèlos, che pure si trovano altrove rispetto a Valgèlo, di questa riprendono non solo i possibili percorsi etimologici, ma anche parte dei tratti morfologici peculiari che supportano le due diverse interpretazioni.
Le Valgélos sono lungo il rio Fulìn, comprese fra Ruvîš dabàs e Foranùtos, in posizione del tutto priva di insolazione fino a primavera, e pertanto con temperature assai basse e conseguenti gelate del rio che vi scorre.
D’altra parte, la conformazione del terreno a solchi longitudinali ammette anche la prima etimologia… Avanti, ad libitum

302. Vals [tes -]   Q1120, ✧N. Bosco e rocce affioranti [id.]. Pl. di Val (v.).

Il nome Vals suona persino un po’ eccessivo per la modesta sequenza di piccole infossature, niente più che piccoli agârs digradanti dal sentiero del Ğùof alla strada dei Créts. Lungo una di queste Vals, opportunamente esboscata, correvano i Reticolâts.
Poste fra i Créts e il Rìmer, le Vals non hanno altro compito che quello di convogliare direttamente al rio Fulìn gli eccessi delle precipitazioni meteoriche che il bosco non è in grado di assorbire.

303. ⇑ Plan des Vals [tal -]   Q1050, ✧N. Prato [id. inselvatichito]. V. Plan e il lemma prec.
Stretto fra le Vals, che scendono dalla soprastante strada dei Créts, e il rio Fulìn, il Plan des Vals non è che un piccolo prato da sfalcio, a grande distanza dall’abitato di CP (e notevolmente più in basso di questo). A parziale compensazione di tante difficoltà (e per la felicità delle falci), il prato è totalmente privo di pietre: da queste parti, quasi una rarità.
 
304. Valùtos [tes -]   Q1580, ✧NE. TU Casera Valuttis. Bosco resinoso e radure in pendio moderato, con casera [bosco resinoso, ruderi]. Il classico diminutivo femm. friulano in -uto applicato al lemma prec. Vals, che risulta in un letterale “vallette” o “piccole valli”.

Sul terreno, le Valùtos del toponimo si rivelano nulla più di una serie di modesti avvallamenti successivi e digradanti nel bosco soprastante il Bevorcjàn, lungo la strada forestale che conduce alla malga di Plumbs. Il luogo rivestì una certa importanza intorno al 1880 quando le Valùtos divennero sede di una casera con relativo pascolo, in appoggio alla neocostruita casera Còmpet.
L’iniziativa ebbe tuttavia poca fortuna, e nessun seguito: l’edificio o gli edifici sono oggi del tutto scomparsi, letteralmente cancellati dal tempo e dall’irresistibile lavorio della foresta.

305. Véspoi [ti -]   Q1700, ✧E. Prato in forte pendio [ id. inselvatichito]. Véspoi è plurale di véspol (v. Plan dal Véspol).

Pur presente con molti esemplari sparsi nella foresta di abeti, il faggio non è certo presenza dominante – o anche solo numericamente significativa – fra le piante d’alto fusto dei boschi di Collina.
Di qui la relativa sorpresa dell’incontro con un gruppo di véspoi non sappiamo quanto numeroso, ma comunque abbastanza nutrito da colpire la fantasia dei valligiani e dettare la denominazione del corrispondente terreno. Beninteso, non una faggeta, come pure se ne trovavano numerose in Carnia345, ma solo una piccola isola di faggi entro il mare dell’abetaia.
E i véspoi ci sono ancora, qui, seppure in misura probabilmente inferiore al passato: pochi esemplari a dare, a distanza di secoli, senso compiuto ad un toponimo tanto caratteristico quanto inequivocabile.
Faggi a parte, il toponimo corrisponde ad alcuni prati fra Ğùof dabàs, Cuéštos e le Cjanalètos, sul versante destro del Riù di Cuéštos.

306. Vèto [te -]   Q1980, ✧S. Dirupo roccioso molto inclinato [id.]. Dall’it. “vetta”, con identico significato.

Balza rocciosa lungo le pendici meridionali della Crèto di Cjanâl, la Vèto è toponimo di origine quasi certamente venatoria, giacché la via di salita al m. Canale che transita di qui è assai poco frequentata346.
Nonostante sia tutt’altro che “vetta” (si trova anzi decisamente in basso sul fianco del monte) la forma triangolare della lastronata di roccia richiama tale forma, da cui il nome stesso347. La Vèto p.d. è il culmine della lastronata, là dove questa si restringe e va a terminare sul grande crestone SSE del m. Canale, che qui piega decisamente a S.

307. Vïàçs [ti -]   Q1830, ✧E. Pascolo, quindi prato in pendio ripido [id. inselvatichito]. Etim. v. Vìo, di cui Vïàçs è, almeno letteralmente, una sorta di plurale masch. spregiativo348. Il termine indica le fasce orizzontali formate dal calpestio degli armenti nei pascoli alpini (NP1271, manca in Sc).

Il luogo è così detto per la morfologia del terreno a fasce inclinate, verosimilmente originate dal pascolo del bestiame che si spingeva quassù dalle sottostanti e non lontane Bergjarìos. Il toponimo corrisponde infatti a un’area nell’alta valle del Riù di Cuéstos in dx or. di questo, fra Belvedère e Cjampēi.
Anche a prescindere dai vïàçs, per la fienagione si trattava di terreno impervio e difficile, oltre che assai lontano dall’abitato, tanto che pochi si spingevano quassù a falciare349. Anche il poco fieno che se ne ricavava andava trasportato fino a Ğùof dabàs per la mèdo e per il definitivo trasporto a valle.

308. Vidàrios  Q1190, ✧S. Coltivi in medio pendio [prato con abitazione AP101, attraversato da strada comunale]. Vidàrios è agglutinazione di vi-des-àrios, dove àrios è plurale dell’aria di Collina, e cioè di àrio (Sc9) dal latino aer (REW376). Vi- sta per “là”, mentre dès è la preposizione articolata “alle”, per un insieme che suona come “là alle arie”350.

Il luogo è così detto per i venti che vi spirano insistentemente, non di rado con forte intensità351.
Trovandosi al margine occidentale della campagna di Collinetta, il sito è infatti particolarmente esposto alle brezze di valle. La percezione della corrente d'aria è subitanea: anche nei giorni più afosi, giungendo qui dalla conca di CP – al riparo dei venti – si avverte immediatamente il moto della brezza.
Talvolta, la brezza si trasforma in vero e proprio uragano: nel 1992 la violenza del vento fu tale da asportare il tetto dell'edificio che si trova precisamente in questo luogo (AP54) e da radere interamente al suolo un fitto boschetto di abeti nel contiguo Devóur Àrios (v . il lemma che segue).
Vidàrios è l’autentica “porta” di Collina provenendo da Forni, e da questo accesso sono transitate e tuttora transitano tutte le vie di comunicazione che da là provengono352. E, come ogni porta che si rispetti, cela accuratamente ciò che si trova oltre: solo da qui, ormai alla fine del viaggio, la conca che racchiude gli abitati e i monti che la sovrastano diventano visibili al viaggiatore che giunge da Forni per la carrozzabile.

309. ⇑ Devóur Àrios   Q1190, ✧SO. Prato e bosco ripido [rovi e boscaglia, bosco]. Per àrios v. il lemma prec. + la prep. devóur-dietro.

È la continuazione verso O di Vidàrios: il devóur-dietro è riferito al costone che separa nettamente i due luoghi e che, scendendo al Fulìn, limita a O la campagna di CP. Devóur Àrios prelude all’ampia frana della Ruvîš, dalla quale è separato da un piccolo e del tutto anonimo agâr.
L’attuale aspetto brullo e poco attraente della parte superiore del luogo – caratterizzato da evidenti opere di contenimento di frana – è recente, e frutto del già ricordato uragano del 1992 (v. il lemma prec.). La parte inferiore, al confine con Val, è stata rimboschita intorno al 1960 con abeti oggi fittissimi, e costituenti una barriera quasi impenetrabile.

310. ⇑ Sót Àrios   Q1150, ✧SO. Prato in medio declivio [bosco fitto da rimboschimento] a E di Val. V. i due lemmi prec. + la prep. sót-sotto.

Il toponimo si spiega da sé, definendo la porzione di terreno sottostante i due toponimi precedenti, e trova ragion d’essere nella differente morfologia del terreno e nella minore insolazione rispetto ai quasi omonimi soprastanti.
Il luogo è oggi sede di un fittissimo bosco di abeti, piantati nella seconda metà del secolo scorso con funzione di contenimento del terreno, ad evitare scivolamenti verso la parte inferiore della contigua frana della Ruvîš.

311. Vidrìnos [in -]   Q1220, ✧SE. Coltivi e quindi prato [prato inselvatichito, strada comunale, edifici]. Parrebbe il diminutivo plurale di vidrìo (friul. vidrìa = contribuzione in natura, NP1273). A sua volta vidrìa dovrebbe essere derivato di avogadrìa (o avogarìa o avvocazia, comunque dal lat. avocare = distogliere, chiamare a sé), in epoca medievale ruolo connesso – fra gli altri – al diritto di esazione dei tributi per conto del feudatario353.
 1958. Partenza di gara di sci in Vidrìnos
1958. Partenza di gara di sci in Vidrìnos (foto G. Del Fabbro).

In sostanza, la vidrìno-vidrìa verrebbe a configurarsi come una sorta di gravame o angaria sui terreni in questione, una contribuzione in natura dovuta al titolare del diritto di avogadria (in epoca patriarcale, il Gastaldo di Tolmezzo, v. oltre).
Sin qui le ipotesi circa lo status dei terreni. Che in Vidrìnos avesse solitamente luogo l’adunanza della vicinia di Collina è invece documentalmente certo354.
Adunanza estiva, naturalmente: quella che si teneva con la partecipazione di tutti gli uomini, compresi i cramârs di ritorno al paese. Nella stagione invernale, quando i cramârs erano lontani ad esercitare il loro mestiere e i “vicini” erano in minor numero (e soprattutto faceva un freddo cane), l’adunanza si teneva in casa di qualche maggiorente del paese: “L'anno dalla Red.ne nostra 1795 Ind.e XIII g.no di Lunedì 30 9bre nella Villa di Collina nella stua della Casa del sig.r Michiele qm. sig.r Leonardo de Tamer, ove suol radunarsi la vicinia di quest'On.do Comune nella rigida stagione..355.
Sull’istituto della vicinia (o visinanço, com’è detta a Collina) molto vi sarebbe da dire, e infatti molto è stato detto, e scritto. Molto brevemente, e mi perdonino gli studiosi dell’argomento, vicinia era anzitutto la comunità o Comune dei “vicini” (altrimenti detti “comunisti”), i capifamiglia del villaggio e i rarissimi foresti cui l’ingresso nella vicinia era concesso solo dopo anni di residenza a Collina, e solo dietro un cospicuo versamento in denaro.
Come sopra già ricordato, la visinànço era anche il momento decisionale del Comune, una sorta di parlamento o potere legislativo formato dai vicini e convocato di norma due volte l'anno, a deliberare per il bene e l’interesse comune.
Le competenze della vicinia erano vastissime, toccando praticamente ogni aspetto della vita comune con l’unica eccezione della giustizia356: dall’elezione delle cariche pubbliche del villaggio – dal meriga ai consiglieri, al cameraro (praticamente, l’intero potere esecutivo del Comune) – all’assunzione del cappellano-mansionario, all’assegnazione delle angarie, e molto altro ancora…
In anni recenti l’antichissimo istituto della vicinia è oggetto di una autentica riscoperta e di nuova e crescente attenzione. Ciò non tanto sotto il profilo accademico quanto, e soprattutto, in chiave di riscoperta e rivalutazione (e rivendicazione) delle antiche autonomie amministrative e gestionali delle piccole comunità nei confronti della moderna istituzione comunale.
All’epoca della formazione del toponimo e fino agli inizi del XX secolo il luogo si trovava al limite occidentale del centro abitato di CG357: spaziava infatti dal fienile in luogo dell’attuale Albergo Cogliàns (sopra Agâr) fino al luogo della casa detta de Pàuro, costruita nel 1902 (AP73)358 lungo la stradella che congiungeva CP e CG. Sostituito l’antico percorso dall’attuale carreggiabile (la via Corona della odonomastica urbana), e costruiti i primi edifici lungo la strada359, Vidrìnos è venuta a trovarsi interamente incorporata nel centro abitato.

312. Viganìos [tes -]   Q1220, ✧NO. Bosco di conifere [id.]. Forse da Vižo, della quale le Viganìos fanno parte, seppure al loro limite superiore360.

Il luogo, sito sul versante S della valle, oltre i Reticolâts, è effettivamente parte integrante della Vižo, e quindi soggetto a regole.
Il luogo è prossimo al crinale che funge da demarcazione fra i territori di Collina e Givigliana. Come abbiamo già avuto modo di constatare (v. Ğùof), un confine tribolato e oggetto di incontri molto, molto movimentati: oltre che confrontarsi in punta di diritto e regalarsi reciproci sgarbi e ripicche, di291 tanto in tanto Culinòts e Gjvianòts se le davano di santa ragione, l’una e l’altra parte ritenendo di essere nel giusto e di battersi (sic) per la retta causa.

313. Vìo [in -]   Q?, ✧?. Semplicemente “via”, v. Sorovìo.

Anche di questo toponimo, raccolto da mio padre e oggi in completa obsolescenza, non sappiamo nulla circa posizione e destinazione d’uso del terreno.
Né può essere d’aiuto l’etimologia, pure del tutto trasparente, dal momento che Vìo potrebbe riferirsi a qualsivoglia dei numerosissimi sentieri e stradelle che si ramificavano per l’intero territorio361.

314. Vio Montarèço [la -]   Q1200, ✧E. Sentiero in prato [id.]. Per vio v. il lemma prec.; montarèço sembrerebbe originarsi nel verbo montâ = salire (Sc186) a sua volta dal lat. montare (REW5668), forse agglutinato con l’aggettivo rét = diritto, o anche ripido (Sc255)362 dal lat. (de)rectus = diritto (REW2648, 2). Si avrebbe dunque un odonimo, peraltro semanticamente corretto, come via “che sale diritta” o, forse meglio, “che sale ripida” (ai campi soprastanti).

Interessante esempio di odonomastica alpina, Vìo Montarèço delinea il ruolo della via, altrimenti un qualunque sentiero di montagna: la nostra vìo consisteva in una rapida (e ripida) salita che superava il dislivello fra la vecchia strada fra CP e CG – in corrispondenza del ponticello sul Riù di Cuéštos in Riù – e i soprastanti terreni di Fùos e Cjamavùor e oltre, fino al Rònc e alla Grataròlo363.
Gli interventi nella viabilità locale – il primo nel 1889, il secondo nel 1970, con la costruzione delle nuove strade e dei nuovi ponti – hanno mutato sostanzialmente la morfologia del luogo, cancellando interamente la parte inferiore del sentiero.
Abbandonata l’attività agricola, il breve tratto residuo della vio è usato dai boscaioli per la calata dei tronchi alla carrozzabile.

315. Virùncs   Q1110, ✧SO. Campi e prati in medio pendio con stavoli [prato inselvatichito in rimboschimento]. Agglutinazione di vi- e runcs, ma il luogo è invariabilmente detto Virùncs, V. Runc, di cui runcs è plurale; vi- ha la medesima funzione svolta in Vidàrios, Viculìno ecc. ossia “là a”.

Virùncs è la naturale prosecuzione di Colarìot in direzione di Collina, oltre l’Agaràt che separa i due terreni.
E con Colarìot Virùncs divise destino d’uso e qualità dei prodotti: fieno abbondante, ma di qualità tutto sommato modesta e non particolarmente gradita al bestiame. Pure ostinatamente e talvolta disperatamente ricercati, sole e caldo talvolta non danno buoni risultati, almeno sotto il profilo qualitativo.
In comune con Colarìot oggi Virùncs ha anche l’abbandono, che proprio sole e caldo amplificano a livelli incredibili: fra gli ultimi ad essere abbandonati (circa 1970), questi terreni sembrano incolti da sempre, o quasi. Erbe altissime, cespugli e alberi a foglia caduca dilagano con velocità impensabile, fino a insidiare la stabilità dei pochi stavoli ancora presenti, a loro volta già indeboliti dal tempo e dalle intemperie, e anch'essi ormai prossimi al crollo.
Situato immediatamente al di sotto della strada comunale Collina-Forni Avoltri, anche Virùncs era attraversato dall'antico percorso periziato nel 1768364.

316. ⇑ Sót Runcs   Q1080, ✧SO. Bosco misto in pendio ripido [id.]. Sót-sotto e Runcs del lemma prec.

Detto anche Runcs di 'Sot, è il terreno sottostante l’area identificata dal toponimo precedente, con sensibile mutamento di pendio e, soprattutto, a diversa e più modesta destinazione d’uso.
Tanto la ripida pendenza quanto la modesta insolazione (a cui si aggiunge il considerevole dislivello rispetto alla strada) hanno precluso una più remunerativa utilizzazione di questo terreno.

317. Vïùto [la -]   Q1190, ✧SE. Stradella a fondo naturale [scalinata in pietra]. Diminutivo di Vìo.

Unico esempio di odotoponomastica urbana originale a Collina, la viuzza (di nome e di fatto) non era altro che la parte terminale della strado des ùolğos che dalla Furcùço scendeva a CP. All’interno dell’abitato la Vïùto consentiva alle case superiori di CP l’accesso alla strada, più in basso, e nel contempo consentiva alle case inferiori l’accesso diretto ai prati di Cjamavùor, evitando un giro più ampio verso E.
La costruzione della nuova strada "tangenziale", che lascia quasi interamente l’abitato al di sotto della sede stradale, e la risistemazione-pavimentazione della Vïùto hanno cancellato la caratteristica forma concava della via, tipica di tutte le strados des ùolğos, convertendo quest’ultima in una graziosa scalinata con il fondo in porfido.

318. Vižo [te -]   Q1210, ✧NO. TU Vizza. Bosco di conifere [id.]. Vižo è il collinotto per “vizza”, termine generico a indicare un’area vincolata da regole o norme, dal longobardo wîffa = terra bandita (De133) o wizan = pena, punizione (REW9565), attraverso l’alto tedesco wizi = vizza, porzione di terreno soggetta a regole (REW9565a, Sc352).

Si tratta di un termine abbastanza diffuso come toponimo e microtoponimo, e sempre con il medesimo significato, nelle regioni del nord est dal Trentino al Sudtirolo, al Veneto e al Friuli365.
La Vižo è “bosco di proprietà di 7 comuni, compreso fra il ‘Fulìn’ e la forcella ‘Tórs’ (la nostra Furcjìto, N.d.A.) lungo la strada che da Collina conduce a Rigolato”. Così Scarbolo nel suo glossario, aggiungendo alla trattazione del lemma la genesi del nostro toponimo e la sua precisa collocazione sul territorio366.
In senso stretto, più che toponimo la Vižo è dunque una caratteristica amministrativa dei terreni sui quali si estende, dei quali indica l’assoggettamento a particolari regole: conseguentemente, il termine abbraccia e comprende numerosi toponimi che, singolarmente, individuano ciascuno i diversi luoghi che fanno parte della Vižo.
Quanto alle origini delle regole e del toponimo, sembrano risalire assai indietro nel tempo. In un documento del 1791 a firma di “Pietro Uruzzi Nodaro” si fa riferimento a documenti antecedenti, rispettivamente del 1662 e del 1727, che regolamentavano l’uso della Vizza.
Nel documento, senza titolo e datato Tolmezzo 21 giugno 1791, si registra la comminazione di una “pena di Ducati 100” ai capi del Comune di Collina “per occasione del taglio d’arbori furtivo … fatto da ignote persone nel bosco detto Vizza in loco detto Sorepuinz posto nella pertinenza della villa di Collina367.

1916. Volaia, comando prima linea
1916. Volaia, comando prima linea.
319. Volajo [te -]   Q1975, ✧S. TU Passo Volaia, Wolayer Pass. Roccia nuda e pascolo alpino [id.]. Friulanizzazione del tedesco Wolayer, ma le grafie non sono concordi: nella letteratura d’oltralpe si trova anche Volayer, Volaia etc., e più anticamente Molaja Alpe e Molajer See (1785). Dal romanzo vallaris o vallaria = forra, vallicella368.
1916. Volaia, baraccamenti a ridosso della prima linea
1916. Volaia, baraccamenti a ridosso della prima linea.

Con la radice neolatina autorevolmente avanzata da Pohl viene dunque a cadere la mia prima ipotesi di Volaia come derivato dal tedesco voll = pieno e Aue = pascolo, con riferimento agli ampi pascoli della grande conca sottostante il passo369. Analogamente sembra venire meno anche l'ipotesi di Maurizio Puntin, fondata sulla grafia tardo settecentesca Molaja di cui alla nota 408, che vorrebbe una radice in Möll = palude e che avevo preso come sostitutiva della mia precedente.
La Volajo costituisce una profonda e importante incisione nella Catena Carnica principale, che dà luogo all’omonimo passo e che mette in comunicazione Collina e il bacino del Degano/Tagliamento/Adriatico con Birnbaum nel Lesachtal, e quindi con il sistema Gail/Drava/Inn/Danubio/Mar Nero.
Nei dintorni del valico, conosciutissimo fra gli alpinisti e gli escursionisti dei due paesi, sorgono due rifugi: uno in territorio italiano (Lambertenghi-Romanin, di proprietà del comune di Forni Avoltri), l’altro in territorio austriaco (Volayerseehütte370, di proprietà dell’ÖAV, il Club Alpino Austriaco), sulla sponda NO del grazioso laghetto di Volaia.
Più che il passo vero e proprio, nella parlata di Collina il termine Volajo individua l’intera area circostante, mentre il valico propriamente detto era un tempo denominato Caròno Ròsso (Corona Rossa), per la cospicua presenza di rocce rossastre proprio in corrispondenza del valico e immediatamente a SO di questo371.
Volàjo rimane nella parlata di Collina un termine generico, dunque, non accompagnandosi ad altri microtoponimi (il m. Volaia è invenzione recente, probabilmente risalente alla prima guerra mondiale e poi fatta propria dalla TU).
Al contrario, il termine tedesco Wolayer accompagna una mezza dozzina fra microtoponimi e idronimi: pass (passo), see (lago), bach (rio), törl (forcella), tal (valle), alpe (alpeggio, i già citati Obere e Untere, superiore e inferiore). A proposito degli alpeggi di Volaia, è interessante notare come fino alla fine del 1800 affittuari delle malghe fossero proprio i Collinotti.
Non si può dimenticare l’utilizzo del valico, ancora in tempi relativamente recenti, quale passaggio in direzione di Monte Croce attraverso la Valentina372. Percorso certamente più lungo e complesso rispetto alla via per la Fòrcjo di Plumbs, e che oltretutto comportava un'ulteriore salita d'inverno assai pericolosa da Volaia al passo della Valentina (il Valentin Törl della TU austriaca), ma che scendendo alle spalle di Monte Croce, e quindi già in territorio austriaco, evitava il transito dal valico.
Un vantaggio non da poco per chi cercasse l'anonimato (ad esempio chi fosse privo di documenti per l’espatrio), o chi portasse qualcosa da nascondere a gendarmi e finanzieri (come i contrabbandieri/cacciatori di Collina373).
Non raramente, oggetto del contrabbando era la selvaggina stessa: a parziale attenuante dei “bracconieri-contrabbandieri” non si può tuttavia dimenticare che spesso (non sempre, ma spesso) lo facevano per autentica fame, e non per diletto…
Situato lungo il confine fra il regno d’Italia e l’impero Austro-Ungarico, il passo di Volaia ebbe una certa rilevanza nel corso degli eventi bellici del 1915-1917, quando dall'inizio delle ostilità fino alla rotta di Caporetto vi si fronteggiarono gli Alpini e i Landesschützen austriaci. Alpigiani locali questi ultimi, contadini della Carinzia e della stessa Lesachtal; montanari piemontesi invece gli Alpini dei battaglioni val Stura e Dronero, mentre gli Alpini di Collina, inquadrati nel battaglione Tolmezzo, combattevano altrove, sul Pal Piccolo e Pal Grande, o in Valcanale.
L’importanza bellica del valico fu tuttavia relativa, in quanto si trattava pur sempre di un valico di alta montagna, raggiunto da una viabilità approssimativa e non praticabile d'inverno se non da truppe di montagna con armamento leggero. In sostanza, non si poteva invadere il paese nemico con carriaggi pesanti e salmerie attraverso il passo di Volaia. A riprova di ciò, i combattimenti che vi si svolsero non furono neppure lontanamente paragonabili a quelli per il controllo del valico strategico di Monte Croce Carnico. Paragonati alle carneficine del Pal Piccolo, dunque, i combattimenti di Volaia furono davvero poca cosa: tuttavia, pur sempre di fronte si trattava, e la vita dei soldati d’ambo i fronti era a rischio tutti i giorni.
Dopo i primi aspri combattimenti per la conquista e la riconquista del passo, presidiato dagli austriaci all’inizio delle ostilità e in giugno conquistato dagli italiani, nell’agosto 1915 la situazione a Volaia si stabilizza, e l’attività si riduce a scambi di fucileria e qualche tiro di artiglieria: italiana dal lontano Pic di Gòlo, austriaca dal Maderkopf o dallo Judengras. Talvolta, un infruttuoso tentativo austriaco di riguadagnare il passo o un breve scontro di pattuglie in esplorazione notturna al di là delle proprie linee illumina sinistramente il lago e le pareti di roccia dintorno. Dopo qualche ora, tutto ripiomba nel buio più profondo e in un silenzio altrettanto profondo, rotto solo dalle ghiaie smosse dalle corvées che raggiungono gli avamposti più lontani.
Nei rapporti degli ufficiali ai propri comandi ricorre frequentemente la parola “calma”. D’inverno la calma è spesso assoluta, come se anche la guerra appartenesse alla natura che, nel suo ciclo annuale, in questa stagione rallenta il suo ritmo o lo arresta del tutto. Tutto fermo e immobile, saldato nella morsa del gelo. E gli uomini che si combattono trovano un nemico comune nel freddo che li costringe – tutti – a difendersi nelle grotte e nelle baracche, al riparo dalla neve e dal vento che in montagna moltiplica il freddo. Al coperto e al sicuro… Forse.
“… La valanga è precipitata dal versante orientale del M. di Volaia, riversandosi nella conca sottostante dove ha spazzato via delle baracche e la cucina degli ufficiali; altri due baraccamenti sono stati schiacciati dal peso della massa nevosa. Iniziati immediatamente i lavori di soccorso, sono stati estratti 55 morti e 64 feriti; i dispersi sono 32. I lavori proseguono ma sussiste il grave pericolo di altre valanghe. Per il momento è impossibile effettuare il trasporto dei feriti. Si segnalano valanghe in tutto il settore con dolorose perdite, interruzione delle linee telefoniche e tenace opera di soccorso. Gruppo tenente Fasser374.
Ma anche la guerra finisce, e il silenzio torna padrone a Volaia: lo splendido, meraviglioso silenzio che la montagna sa regalare ai suoi adepti (sic) in cambio di davvero poca cosa: attenzione e rispetto, e nulla più.
Ma è destino (?) che la pace non duri a lungo lassù. Oggi, la Volajo è meta di un incessante pellegrinaggio di escursionisti, tanto che entrambi i rifugi sono stati recentemente ricostruiti o ampliati per soddisfare la crescente domanda di alpe. Nelle domeniche d’estate, l'aspetto del luogo richiama quello di una sagra di paese o, forse meglio, di una spiaggia cui manca solo il carretto degli hot dogs con relative patatine fritte per essere davvero tale. Un’iradiddio, insomma. Ma appena fuori stagione...
Appena l’aria si fa pungente e i "bagnanti" alpini muovono verso altri lidi, un altro mondo rivive, un mondo nuovo e antico dove solo il vento è compagno di chi si avventura lassù ad ascoltare.
Un mondo dove chi vuole e sa intendere la voce dei monti riesce ancora a percepire, frammisti al sibilare del vento e al lieve sciabordio delle acque del lago, il rumore sordo delle pietre smosse dal passo di vecchi emigranti, il richiamo lontano di alpinisti d’altri tempi, mormorii e suoni e canti di alpini e landesschützen che quassù hanno visto l'intero ciclo delle stagioni, e forse qui hanno vissuto anche la loro ultima, di Sbilfs e Perchten, veri e soli abitanti e proprietari di questi luoghi…
Ma questo è parte della toponomastica non ragionata… O no?

Commiato

La straordinaria e forse anche eccessiva lunghezza dello spazio e del tempo dedicato all’ultimo toponimo non sarà certo sfuggita all’attento lettore. Mi appello alla sua benevola comprensione.

Come ben sanno scrittori e scriventi di tutto il mondo ma anche, seppure per ben altri versi e su altri "fronti", madri e padri mettere la parola fine ad un “lavoro” è forse il momento più difficile. Lasciare che il figliuolo se ne vada per le strade del mondo senza di noi, senza che abbia più bisogno di noi, senza più i nostri consigli e ritocchi e perfezionamenti (be', quanto a questi ultimi, almeno lasciatecelo credere...), è cosa difficile. Molto.

Quel momento è giunto, e questo figliuolo un po’ scapestrato va. Scusate se l’ho trattenuto un poco, solo un poco di più, sulla soglia di casa.

Mandi, grazie e scusàit.

E buinonót.

 


  1. A Voltois, frazione di Ampezzo, troviamo le varianti Gadória e Gadoràta, ovviamente con identico significato del nostro (Gadoràta è il peggiorativo di Gadória). Cornelio Cesare Desinan, Problemi di toponomastica Friulana - Contributo I, Società Filologica Friulana, Udine 1976, p. 88. 

  2. Anche cognome presente da secoli, con le sue varianti, in Carnia (CF49). 

  3. Rotolo del cameraro di s. Michele di Collina, 1595-1605, APC. 

  4. Pagamento di dotte et fine remisione Fatta da S.r Zuanne Tamusino; et Tomaso di Tamer, hà S.r Nicolò Barbolano loro Socero, 1712, APC. Per la dizione “monte del fieno”, v. al lemma Creşadìço

  5. V. nota 2 in Appendice, 1 - Perizia Pascoli

  6. In Agâr non è dunque ripido, né roccioso, né mai vi scorre l’acqua, ma forse non fu sempre così. Certo è che la morfologia del luogo fu profondamente alterata dalla costruzione delle due strade che attraversano l’abitato di CG e dall’espansione dell’abitato stesso. Nello stato pristino del luogo la concavità di Agâr proseguiva verso l’alto, oltre l’attuale albergo Cogliàns, sempre più stretta e profonda. Proprio come un agâr

  7. A Ravascletto (in Monài, per i meno giovani) si trova un Cjamp Balt, ma non ci è noto se le caratteristiche corrispondano o meno a quelle del nostro agâr

  8. Divisioni di S.S. Zuanne e Biasio Fratelli Barbolani, 1683, APC. 

  9. Pagamento di dotte et fine remisione Fatta da S.r S.r Zuanne Tamusino; et Tomaso di Tamer, hà S.r Nicolò Barbolano loro Socero, 1712, APC. 

  10. Acquisto di Ms. Nicolò fig.lo di S. Osualdo Barbolano et S. Tomaso Toch mediante la scorporazione fatta dalli Beni di Zuanne qm Vitto Betan, 1689, APC. 

  11. Cinque di essi sono identificati da toponimi. Da sx a dx di chi osserva dall’abitato, Agâr Scûr, A. di Plan, A. dal Clap de Fàrio, A. dal Gran Salt, A. dal Cjavàl

  12. Non è nota alcuna precedente denominazione del luogo, probabilmente del tutto anonimo. 

  13. L’evento mi fu raccontato da mio padre, pressappoco nel 1985. Il cavallo era del nonno, Gaetàn Agostinis di Pirucèlo, e stava lavorando a strozâ nel bosco (lo stròz è la manovra di spostamento dei tronchi a mezzo di cavalli: tramite grappe e funi il tronco è agganciato al collare del cavallo, e quindi trascinato; di qui il termine stròz, letteralmente “strozzo”). 

  14. Quant cu la bielo stagjon dal so porton ’e vierç ju clóštris, ‘e su par Pàlos in prešo in prešo ‘i spiço ju patinoštris… tu parts discjadenado, tuinant, businant…lavino dal Furlan”, Alberto Agostinis, La lavino dal Furlàn in «La vita Cattolica», n. 23/1962. 

  15. È il conosciutissimo e frequentatissimo percorso alpinistico che, senza inutili e faticose perdite di quota, collega la Volajo e la Fòrcjo di Morarìot, e quindi i rispettivi rifugi Lambertenghi-Romanin e Marinelli. Il sentiero, costruito nel 1935, è attrezzato con fittoni e maniglie di ferro, come pure è dotato di una scaletta per superare il breve camino iniziale sul versante di Volaia. Il percorso è dedicato all'alpinista friulano Riccardo Spinotti, che si ritiene essere stato il primo alpinista a compiere la traversata che oggi porta il suo nome (il primo in assoluto fu la guida di Collina Pietro Samassa, intorno al 1890). Appassionato frequentatore dei monti di Collina, Spinotti morì di sfinimento durante una bufera di neve, nel corso di un tentativo di salita nelle Alpi Giulie insieme a Celso Gilberti. 

  16. V. s.v. Antîl. Una così tarda fruibilità di un terreno così prossimo all’abitato sembra confortare l’ipotesi del mutamento nella morfologia del territorio avanzata nell’analisi del lemma seg. 

  17. Rilevandone uno (Macìlis) a Voltois in comune di Ampezzo lo stesso Desinan afferma che per questo toponimo sono “numerosi i confronti” (in area friulana, n.d.a.), evidentemente dettati dalla diffusione della coltivazione e della lavorazione della canapa nelle diverse realtà locali (Cornelio Cesare Desinan, Problemi di toponomastica Friulana - Contributo I, Società Filologica Friulana, Udine 1976, p. 89). V. anche Macilas ad Avasinis e Macilis a Peonis (Enos Costantini, Incontri ravvicinati con i toponimi di Bordan e Tarnep in SlN, n. 3-4/1986, p.11). 

  18. V. nota 7 in Appendice 1, Perizia Pascoli

  19. Il termine è certamente di origine onomatopeica. Il termine manca in Sc e in NP, ma senza allontanarci troppo dal linguaggio corrente, si tratta probabilmente di un’aferesi di brundulâ = brontolare (Sc32). 

  20. Il tratto superiore è percorso dalla normale via di salita al m. Canale, ma l’accesso della via al canalone si trova diverse centinaia di metri più in alto, dal Pecól Dadàlt

  21. Quanto all'etimologia del cognome Toch, devo parzialmente – ma ben volentieri – contraddire me stesso. In altra sede avevo affermato che “L’incerta origine è quasi certamente da mettere in relazione con un soprannome, forse a sua volta con origine nella voce locale e friulana toc = pezzo (…), oppure direttamente nello stesso toc, ma onomatopeico. Per i germanofili ad oltranza, avanzo invece due ipotesi: una derivazione dal tedesco tochter = figlia, oppure una diretta importazione da Sappada del cognome Tach…” (AP45). Il soprannome c'è, e il tedesco pure, ma la provenienza è quasi certamente dalla voce germanica *tuch/ = stoffa o tessuto, riportata a Collina da qualche cramâr per l'appunto di ritorno di Tadésc. È d'obbligo il proverbiale meglio tardi che mai! 

  22. V. nota 8 in Appendice, 1 - Perizia Pascoli

  23. Quanto agli animali selvatici, senza spingerci ad una fauna poco meno che mitologica come orsi, lupi, linci e qualsivoglia carnivoro di grossa taglia, oggi gli abitanti di Collina e Sigilletto sono costretti a cintare gli orti in paese, in quanto esposti alle continue scorrerie dei caprioli che al crepuscolo calano a valle a rifornirsi di insalatina fresca e cime di ortaggi vari. 

  24. Divisioni di S.S. Zuanne e Biasio Fratelli Barbolani, 1683, APC. 

  25. Cn. Le precisazioni in parentesi sono di chi scrive. 

  26. L’aggettivo semplice “aperto” è invece vièrt, con la medesima origine (Sc347 s.v. vièrgi). 

  27. V. anche s.v. Antîl

  28. Gùstil è Augusto Brunasso da Sigilletto, costruttore della bàito stessa. 

  29. Si noti che un taj senza attributi è sempre e invariabilmente quella-cosa-lì, un bicchiere di vino rosso. Diversamente, dotato di qualsivoglia attributo, il medesimo taj diviene una semplice e corrente unità di misura per liquidi (1/8 di litro). 

  30. Motivazione decisamente molto “ufficiale”. Il rifugio fu costruito a 100 metri di distanza dal luogo ove si trovava la Bàito, e 30 m più in alto. Il sito dov’era posta la Bàito è precisamente quello oggi occupato dalla stazione di partenza della teleferica di servizio al rif. Lambertenghi, mentre l’area circostante è in larga parte occupata dal parcheggio del rif. Tolazzi. 

  31. Il cjapût è il cavolo cappuccio, con cui si producevano crauti con pochi rivali in Carnia e contermini. 

  32. Fino agli anni ’50 l’arrivo di un’automobile privata a Collina rimase un fatto forse non raro, ma certamente non comune. 

  33. In territorio del Comune di Gonârs ritroviamo ben due Vie Basse, una strada e un luogo lungo la strada stessa, DC 25. 

  34. Nella CTR Belvedere è indicato circa 70 m più in basso della posizione effettiva. 

  35. Si noti tuttavia la pronunzia con la “e” tonica aperta (Belvedère), laddove la corretta pronunzia in it. richiede la “e” chiusa (belvedére). 

  36. Mc1911-304. Si noti che la malga non è fra quelle personalmente visitate dall'Autore. 

  37. Pietro Samassa, Annotazioni manoscritte, Archivio Privato. 

  38. Con stazione di partenza in Val, l’impianto a fune era adibito al trasporto di materiale destinato ai reparti di artiglieria attestati in Crèto Blàncjo e alle truppe dislocate sulla cresta fra il m. Sasso Nero e il m. Volaia. I ruderi delle costruzioni militari sono ancora oggi considerevoli, ma anche il flusso dei materiali dal fondovalle doveva essere altrettanto imponente, da cui l’esigenza di grandi depositi e magazzini che dovevano contenere di tutto, dai viveri ai materiali da costruzione alle munizioni. È quindi possibile che i lavori per l'edificazione dei vasti baraccamenti e delle infrastrutture abbiano cancellato ogni traccia della malga. Oltre Belvedère la teleferica si sdoppiava: a sx verso Crèto Blancjo, a dx verso Clanìori. In alternativa i materiali proseguivano a dorso di mulo lungo la Strado di Soldâts che proveniva da CP e che, con ripida serpentina sul filo del costone, raggiungeva la mulattiera che attraverso i Bùrgui ancora oggi (sent. CAI 169) congiunge Crèto Blàncjo alla Fòrcjo di Ombladìot. A 2000 m. di quota (circa 200 m. sopra Belvedère), dalla Strado di Soldâts si dipartiva verso dx (N) un’altra mulattiera che si ricongiungeva al già citato tracciato che da Crèto Blàncjo porta, attraverso i Bùrgui, alla Fòrcjo di Ombladìot e di qui in Clanìori

  39. Pietro Samassa, op. cit. 

  40. Ca. 

  41. V. anche i numerosi toponimi Beorchia, Beorchian, Bevorchians in Fr34 e CD118, nonché il cognome Beorchia in CF96. 

  42. Di qui il toponimo al plurale. Alcune delle attuali diramazioni dalla strada "principale" (quella che sale a Plumbs) sono tuttavia recenti, almeno quanto a conformazione e dimensioni, e certamente posteriori al toponimo stesso. 

  43. In condizioni normali il rio ha l'aspetto di un placido ruscello. Per avere un'idea della spaventosa potenza che il "placido ruscello" può assumere, 80 m a valle dell'attuale ponte è ancora ben visibile il precedente, trasportato laggiù dalla piena. Ponte in cemento armato, in grado di reggere non già quattro pedoni e una vacca, ma il transito di camion carichi di tronchi... 

  44. Divisioni di S.S. Zuanne e Biasio Fratelli Barbolani, 1683, APC. 

  45. Non ritengo essere questa la biforcazione all’origine dei due toponimi Bióucjos, ma piuttosto quella del lemma prec., certamente più frequentata. Vi transitavano infatti emigranti, contadini e pastori con le loro mandrie. 

  46. VZ. 

  47. Domenico Molfetta, I cramârs in viaggio, in Cramârs, Atti del convegno internazionale di studi, 1997, p. 202. 

  48. A chi abbia una certa dimestichezza con le “cose di guerra” non suonerà strano leggere, fra le testimonianze ancora oggi leggibili quassù, di un battaglione di bersaglieri ciclisti attestato a oltre 2000 metri di quota. Ci sarebbe eventualmente da chiedersi dove mai i soldati avessero “parcheggiato” i velocipedi… 

  49. Giovanni Frau, Contributo alla conoscenza dell’elemento longobardo nella toponomastica friulana in Atti del convegno di studi longobardi (a cura di Giuseppe Fornasir), Udine-Cividale, 1969, pp. 165-182. 

  50. Codrêo (Sc132) dal lat. quadriga (REW6918, 2) è il solo termine in uso a Collina per “aratro”. Davvero nulla a che vedere con il friulano uàrzine (NP1231). 

  51. Alberto Agostinis, Un Culinòt pal mont, in «Sot la nape», n. 1, a. 5 (1953), p. 16. 

  52. È l’ultimo nato della toponomastica collinotta, e non da tutti accettato quale toponimo a pieno titolo. Tuttavia l’uso è diffusissimo anche fra i locali, e la sua presenza qui è d’obbligo. 

  53. V. nota 2 in Appendice, 1 - Perizia Pascoli

  54. Divisioni di S.S. Zuanne e Biasio Fratelli Barbolani, 1683, APC. 

  55. La costruzione della scuola in questo luogo fu movimentata da un piccolo imprevisto: “Sorprendentemente, a m 2,50 di profondità fu trovato un ferro di bue, e a 3 m del carbone di legna” (Cn). La sorpresa dei contemporanei fa supporre che nessuno avesse la benché minima idea che proprio qui si fosse trovata, in tempi anch’essi sconosciuti, una fucina (ipotesi certo la più verosimile, ma si può davvero pensare di tutto, dai druidi ai celti, agli anacoreti che si racconta avessero scelto questa valle per il loro romitaggio e che avessero – udite! udite! – fondato Collina). D’altra parte, assenza di memoria collettiva e profondità dei resti fanno a loro volta supporre che l’attività qui svolta fosse assai anteriore, e certamente di diversi secoli, al ritrovamento. 

  56. Nel Giura francese (Svizzera) si riscontrano toponimi quali Cernil, Cernu, Cernois, Cierne, che la toponomastica locale riconduce, seppure con qualche significativa differenza, al nostro circinare. Soprattutto all’estero, in Francia come Gran Bretagna, accanto al significato che qui attribuiamo a circinare (accezione peraltro ampiamente condivisa) si ritrova una interpretazione dello stesso verbo come “tagliare in cerchio” riferito alla foresta nel suo insieme, e non al al singolo albero: in tal modo si giunge, sul terreno, a “radura circolare” o qualche cosa di simile. 

  57. Si veda anche in DC113: “RONC: denominazions par solit medievâls”. 

  58. V. testo e note s.v. Cjasarîl

  59. Con identica grafia, Cercenât, se ne incontra uno ad Ovaro, a pochi chilometri da Collina. 

  60. Rotolo del cameraro di san Michele di Collina, 1595-1605, APC. 

  61. Questa definizione riporta integralmente quella di Scarbolo, che evidentemente comprende anche il toponimo. Tuttavia, più che al Cjadìn la descrizione sembra attagliarsi precisamente al Cjadinón (v. il lemma succ.), alcune decine di metri più in alto del Cjadìn stesso. Viceversa, la TU non si occupa né di Cjadìn né di Cjadinón, definendo esclusivamente il risalto (Pic Chiadin) sovrastante il Cjadinón, lungo la dorsale scistosa che congiunge il massiccio del Cogliàns al m. Crostis. 

  62. La denominazione esatta è dunque Cjadìn di Morarìot, per distinguerlo dal Cjadìn di Plumbs. Tuttavia, nella parlata corrente è detto semplicemente Cjadìn, senza attributi, anche per la contiguità con il soprastante Cjadinón

  63. È il vallone percorso dalla via normale di salita al Cogliàns. 

  64. Nella parlata di Collina, il participio passato femm. di cjafùolgi è cjafulgùdo

  65. Aquisto dell sig.r Antonio Casina da S. Benedetto Barbolano per pretio de d:ti 30, 1672, APC. 

  66. Scrivendo in italiano, Caneva usa il termine “Chialgiador” (il che è ragionevole), ma scrive anche – ed è il solo a farlo – “Cjariadùor”. Ciò ha suggerito ad alcuni informatori locali un’origine del toponimo in cjariâ per “caricare” (NP137, manca giustamente in Sc, v. qui di seguito), in relazione al caricamento del fieno sulle slitte per il trasporto a valle, operazione effettivamente usuale quassù in Cjalgjadùor. Tuttavia, non solo il verbo cjariâ è del tutto estraneo al lessico della parlata di Collina, ma anche in Friuli – dove pure è presente – esso è circoscritto ad aree ben delimitate (si veda in NP137). È d’altra parte noto che la forma generale friulana per “caricare” è cjamâ, endemismo di origine oscura senza riscontro nelle altre lingue neolatine. È invece probabile che il “Cjariadùor” di Caneva sia il risultato di una forzatura etimologica, sfociata in un fuorviante neologismo che – fortunatamente – non ha attecchito, lasciando intatto il toponimo originale. Digressioni a parte, si noti la finale del toponimo in -ùor, che nella parlata dell’alto Gorto prende invariabilmente il posto del friulano centrale -ôr (l’it. “-ore”): muradôr (muratore) diviene muradùor, savôr (sapore) savùor, onôr (onore) anùor, colôr (colore) calùor ecc.
    Eugenio Caneva, alle cui memorie (Cn) si fa frequente riferimento in queste note, fu per alcuni decenni maestro elementare a Collina negli anni a cavallo fra ‘800 e ‘900. Ma fu anche e forse soprattutto autentico promotore e fautore del progresso economico e sociale del suo paese: fondatore nel 1875 di uno dei primi osservatori meteorologici della Carnia, ideatore e fondatore nel 1880 della prima latteria sociale della provincia di Udine, promosse l’apertura di nuove vie di comunicazione (una per tutte, la strada del Fulìn), la costruzione del nuovo acquedotto e tutta una serie di iniziative volte a innalzare la qualità della vita di Collina e dei Collinotti. Le sue memorie raccolgono oltre cinquant’anni di vita di Collina, fatti e avvenimenti descritti con minuzia pari alla sapidità dei commenti – talvolta feroci – indirizzati ai faccendieri del tempo (che pare abbondassero) come pure ai suoi (altrettanto abbondanti) antagonisti-oppositori. 

  67. V. s.v. Antîl (nota ????). 

  68. L’etimologia di Cjamavùor coincide con quella della località toscana di Camaiore (Lucca, DT122). 

  69. Stima dei beni di Maddalena qm Zuane di Carono…,1694, APC.> 

  70. V. anche Campeglio (Faedis) e Campeis (Pinzano al Tagliamento) CD165-166, e numerosi altri in Fr39, da cui anche il cognome Campeis in DF166. 

  71. 1867. Furono venduti i prati: Zovo (in Ğùof), Chiampei (Cjampēi), Valantugni (Valantùgnos), Miól (id.) ecc. all’avvocato Grassi di Tolmezzo, che comprò a lire 20 il settore e ridusse all’attuale Malga Chiampei”, Cn (in parentesi i toponimi quali in uso nel parlato d’oggi e descritti in questo lavoro). 

  72. In Mc304 è definita come "annesso comparto" della Cjanalèto (v. nota 116). 

  73. Inferno, canto XXIV, 31-33. 

  74. Come spesso accade con i nomi generici, esiste(va) anche il Cjampēi vècju di Plumbs, non discosto dall’omonima casera. 

  75. Instrumento di confine fatto da S. Osualdo Barbolano a S. Nicolò suo figlio, 1677, APC. Posto che il “Prato degli Amblis” è il nostro Pra(t) di Àmblis, il “monte del Canale” (mont di Cjanâl, dove il friulano mont sta per “malga”) è precisamente la nostra Cjanalèto. Si noti come Pra(t) di Àmblis si posizioni non sotto la Cjanalèto, ma sotto i pascoli di Cjampēi, ciò che fa pensare che al tempo dell’estensione del documento nella Cjanalèto fosse già malga, e Cjampēi ne fosse una pertinenza. 

  76. "Sotto l'altissima e dirupata cresta del m. Canale, a oltre 1800 m., trovasi la malga Canaletta cogli omonimi ricoveri e con quelli dell'annesso comparto Chiampèi; di proprietà privata, è capace di 60-70 capi bovini di varia età e di 30-40 capre", Mc304. Anch'essa non visitata da Marchettano, il quale annota che la malga "è capace di 60-70 capi bovini", non che ospita i bovini stessi. 

  77. Nel 1930 la Cjanalèto è “Prati e casera diruta”, Ca. 

  78. La prima menzione in anagrafe della casata di Cjanóuf è del XVII secolo (Osualdo Di Sopra di Antonio di Kianof, n. 1634), ma la casa-casata è certamente anteriore, e – necessariamente – ancora più antica dev’essere la denominazione del luogo ove la famiglia costruì la propria abitazione (la casa è oggi più comunemente nota come in Chini). Alla casata di Cjanóuf (e non già al toponimo) fa quindi riferimento la Siēo di Cjanóuf (v.). 

  79. V. nota 5 in Appendice, 1 - Perizia Pascoli

  80. Le ragioni - di ordine temporale, logistico, funzionale - che ostano a questa interpretazione sono molte e, seppure nessuna in sé probante, nell’insieme rendono l’ipotesi poco praticabile. Il toponimo data da almeno 3 secoli e già allora il luogo, di particolare pregio nella povera economia locale, era destinato a coltivo. Fino al 1880, quando fu istituita la latteria sociale - che fu comprensibilmente collocata all’interno dell’abitato, per facilitare il conferimento del latte da parte dei soci - il formaggio era prodotto e conservato in famiglia. Più precisamente era prodotto in casa (peraltro, fino alla metà del secolo scorso, spesso contigua alla stalla), e nei secoli non si ha memoria di abitazioni in Cjasarîl. L’immagine qui riportata mostra il classico fienile con stalla (ma privo di abitazione), diffusissimo in fondovalle e media montagna nei pressi dei prati e dei campi coltivati, dove la presenza dei bovini era di brevissima durata ed esclusivamente funzionale alla concimazione dei terreni. 

  81. Confessione di Osualdo Barbolano…, 1762, APC. Probabilmente Osualdo Barbolan e il figlio Giovanni Giacomo sono cremârs, e si indebitano con Lenardo Barbolan per merci, contante e altro ("Di Roba et Dinari et Di agionte Dalla Casa”) per un totale di 79 fiorini e 35 carantani. A garanzia del debito, Osualdo impegna i terreni elencati. Una bella garanzia: il valore dei terreni impegnati sarà quantificato, quattro anno più tardi, in 5 volte il debito (solo Cjasarîl e Runc di Cércen saranno valutati 346 fiorini e 20 carantani, e in più c’è il baiarzo sotto casa). 

  82. Particola del Pagamento di dare Osualdo qm Giacomo Barbolano alli Fratt.i qm Antonio di Sopra, 1766, APC. Evidentemente gli affari vanno male, e Osualdo Barbolano non è in grado di saldare il debito contratto con il documento precedente, e neppure altri impegni di famiglia ancora anteriori: il debito totale, decisamente pesante, ammonta a 1613 fiorini e 10 carantani. Osualdo ha solo 49 anni, ma evidentemente si fa da parte e in suo nome il debito è saldato dal figlio Giacomo. La Nava è ovviamente la Navo, come Stalatton è Stalatòn, Sottoqual è Socuàl, Runc di Piazza è Runc di Plàço

  83. Sin qui è farina del sacco di chi scrive. È invece di Paolo Rumiz, brillante giornalista e scrittore di cose del Nordest e dintorni, quel che segue. “Il nome della bora è più antico di Omero. Viene dal mesopotamico Buriash, il dio delle tempeste dei montanari Cassiti, che scesero su Eufrate e Tigri per conquistare Babilonia. La parola ‘Borea’, per dire Nord, viene da lì”. Paolo Rumiz, Sulle tracce del Turco, in La Repubblica 7 agosto 2004. 

  84. Transazione fra Givigliana e Collina dei Confini, 1765, Archivio Privato, Rigolato. La “Gotta” del testo è la nostra Gòto, mentre il toponimo “Cjasarîl Boreàn” fu in uso nei documenti e nelle carte topografiche fino al XIX secolo a indicare questo stesso luogo, Cjaso Boreàn

  85. Prima ancora che toponimo il termine cjàsos era infatti termine generico, proprio a indicare le baracche militari con parti in muratura. Altre cjàsos si trovavano a ridosso della cresta sommitale del m. Capolago, dove era collocato un riflettore che illuminava i baraccamenti austriaci nella conca di Volaia. Anche queste cjàsos hanno dato luogo ad analogo microtoponimo, ma la distanza dal fondo valle ne circoscrive l’uso del toponimo stesso ai soli cacciatori. (Inf. priv. Luigi Astori). 

  86. V. Cjavèces a Interneppo (Enos Costantini, Il paesaggio dei Tre Comuni attraverso i nomi di luogo: dall’Ambiesta alla Tremugna passando per Tarnep, p. 415, in Val dal Lâc, Società Filologica Friulana 1987). Inoltre, qualcosa di assai simile si ritrova a Voltois in comune di Ampezzo, dove abbiamo un Poscjàcis, per il quale Desinan ipotizza un’origine in po(st) cjavacis = dietro le scorciatoie (Cornelio Cesare Desinan, Problemi di toponomastica Friulana - Contributo I, Società Filologica Friulana, Udine 1976, p.89). 

  87. Per Cavazzo e altri toponimi in regione si ipotizza una radice nel lat. cavus = cavità (Fr43), ma le opinioni in merito non sono unanimi. Per ragioni fonetiche, tanto per Cavazzo che per Cavasso Nuovo si avanza l’ipotesi di un’origine nel romanzo “*cabaç = luogo eminente, colle, castello su un colle” (CD118). Entrambe le ipotesi sono tuttavia del tutto incompatibili con la morfologia e lo stato dei luoghi. 

  88. Nella parlata di Collina la cava è gjavo, dal verbo gjavâ = togliere, levare. 

  89. Starebbe dunque con altri toponimi presenti in regione aventi la medesima origine, come Chiàulis e Chievolis (Fr46). Il medesimo toponimo Cjìolos è presente anche ad Avoltri. 

  90. È il gioco delle preposizioni a distinguere l’idronimo dal toponimo, qui come negli altri casi che si incontrano in questo lavoro, secondo quanto anticipato nella parte introduttiva: la preposizione non articolata (a Riù di Cjìolos) indica invariabilmente il luogo, mentre l’articolo accompagna il corso d’acqua (lu riù di Cjìolos). Il gioco si ripete in altri idronimi/toponimi: Riù di Cuéštos, di Plumbs, d’Ormèntos… 

  91. Quasi non bastasse la considerevole confusione fra toponomastica locale e TU (clap nìori, in Clanìori e m. Sasso Nero non corrispondono), all’interno della TU stessa è un autentico guazzabuglio. Nelle successive versioni della carta IGM il m. Sasso Nero è di volta in volta identificato come “Creta Bianca” e “Creta di Ombladet”, denominazioni parimenti errate l’ultima delle quali (“Creta di Ombladet”) sfortunatamente fatta propria dalla pur recente CTR. La confusione ha probabilmente origine (ma non per ciò giustificazione…) dalla presenza, a poche centinaia, di Crèto Blàncjo-Cima Ombladet. 

  92. La denominazione è anteriore al periodo bellico (v. Giovanni Marinelli nella nota che segue), ma con esso fu affermata irreversibilmente. 

  93. La cima ha questo nome dal colore di una lingua di scisti che si stende in alto fino a circa 150 m sotto di essa, e da calcari oscuri contigui agli scisti” (Mn575), concetto poi ripreso da Castiglioni in Alpi Carniche-Guida dei Monti d’Italia, CAI-TCI, Milano 1954, p.215). Spiegazione dotta e un po’ forzata, ma che in qualche modo giustifica l’oronimo m. Sasso Nero, altrimenti privo di significato (oltre ad avere poco da spartire con il nostro clap nìori, il monte è di un bel calcare chiaro). A ingenerare ulteriore confusione provvidero i comandi italiani nel primo conflitto mondiale denominando (monte) Creta Bianca (v. Crèto Blàncjo) il risalto immediatamente a SE della Tacca, dove più evidenti sono i resti di opere belliche. 

  94. All’origine della fame fu certamente l’occupazione austriaca con le sue requisizioni (per di più, tutto il requisito fu pagato con moneta dell’Impero…), ma soprattutto una disastrosa grandinata che il 29 giugno 1918 investì Collina con i campi di patate in piena fioritura. Non se ne salvò nulla. 

  95. Prelievo e non escavazione, giacché non è, questo, luogo di cava. 

  96. V. nota s.v. Prâ(t) di Àmblis

  97. Véido = aiuto del pastore frazionale (Sc344), dal tedesco weide = pascolo, pastura. 

  98. Codarûl = striscia di terreno coltivato, lunga e stretta. NP166, s.v. còde. Si noti tuttavia come a Collina codaróul assuma tutt’altro significato, ossia “coccige”. 

  99. Desinan ne ha censite poco meno di 90, da Code di Bolp (C. di Volpe) a Code di Gjal (C. di Gallo, e già qui davvero ci piacerebbe vedere di che sorta di luogo si tratta…), fino a… Coda Formighe (DE104)! 

  100. A sua volta “tavella” è qui termine del tutto generico, e non è da identificarsi con il nostro microtoponimo Tavièlo

  101. DC 47. 

  102. Secondo Frau, la cui ipotesi è ripresa anche da Cinausero-Dentesano, Cogliàns sarebbe un derivato in -anu del lat. collis = colle, altura, monte (Fr50), “magari con riferimento al paese di Collina, che gli sta ai piedi”, ovvero Cogliàns come “monte di Collina”. L'ipotesi etimologica in Comelicanus è ampiamente sviluppata in Enrico Agostinis, Spigolature toponomastiche (e non solo) sulla montagna carnica, in SlN, n.2/2015, pp.8-16. Nell'articolo si analizza dettagliatamente anche il possibile percorso fonetico-grafico dalla singolare denominazione Quel Cane della Kriegskarte a Cogliàns (o viceversa). 

  103. VZ 

  104. Ancora verso la metà del '900 i vecchi collinotti usavano pronunciare Cogliàns con la g e la l della sillaba centrale invertite, ovvero Colgjàns. Anche in it. le stesse parole con gli liquido erano da molti pronunciate con lg: ad esempio “meglio” o “voglio” erano spesso pronunciate melgjo e volgjo, una pronunzia oggi pressoché scomparsa. Peraltro, anche in italiano Il suono è relativamente recente (…). La grafia si stabilizzò durante il Rinascimento (…)

  105. Nella Grecia classica l'Olimpo era considerato la sede degli dei (peraltro decisamente "umanizzati"), ma i mortali se ne dovevano stare a debita distanza. Successivamente gli dei scompaiono, non sostituiti dal Dio dei cristiani ma da una pletora di esseri soprannaturali da cui niente di buono può venire e dai quali il valligiano "normale" è bene si tenga alla larga. In epoca più recente, scomparse aganos e salvans, sbilfs e maçarots, alla croda-creto rimane associata l'idea di "pericolo" cui il frequentatore della montagna "alta" va quasi necessariamente incontro. 

  106. Nella più antica “carta topografica” conosciuta (IV-V secolo, giuntaci in copia nella c.d. Tabula Peutingeriana), nell’intero mondo allora conosciuto, dalla Scozia al Nordafrica all’India, non sono nominati che 7 gruppi montuosi. Di tutto l’arco alpino non è menzionata alcuna specifica montagna. 

  107. "Nelle Carniche sovrasta il Paralba (metri 2690) nel distretto di Rigolato ai confini col Bellunese, coronato d’eterne nevi". Giandomenico Ciconj, Grande illustrazione del Lombardo Veneto, Volume quinto Parte seconda - Udine e sua provincia, Corona e Caimi, Milano 1861, p. 247, stampa anastatica Arti Grafiche Friulane, Udine, 1992, p. 7. Si noti la precisione della quota attribuita al Peralba, identica all’attuale. 

  108. Si tratta di un processo tutt’altro che infrequente nella parlata di Collina, assai diffuso fino agli anni '60 del secolo scorso e oggi del tutto scomparso insieme ad altre peculiarità della parlata locale. Lo stesso it. “meglio” o “voglio” e tutte le parole con gl liquido, ad esempio, erano da molti pronunciate come “melgjo” e “volgjo”. Più ampiamente in Enrico Agostinis, op. cit. in SlN. 

  109. Enrico Agostinis, op.cit. in SlN. 

  110. Fr51; CD276. 

  111. Nel senso che non è necessario che Comeglians fosse villaggio fondato o abitato da genti del Comelico, ma è sufficiente che si trovasse sulla via per il Comelico stesso. 

  112. V. anche i numerosi toponimi con questa radice in Fr50: Colloredo di Montalbano, Colloredo di Prato (Pasian di Prato), Colloredo (Faedis), Colloreda (Aquileia) ecc. 

  113. Rotolo del cameraro di san Michele di Collina, 1595-1605, APC. 

  114. Stima dei beni di Maddalena qm Zuane di Carono…, 1694, APC. 

  115. V. nota 10 in Appendice, 1 - Perizia Pascoli

  116. V. nota 11 in Appendice, 1 - Perizia Pascoli

  117. Non suoni irrispettoso nei confronti del simbolo per eccellenza del cristianesimo un sentimento inconsueto e decisamente poco trascendente come la simpatia. Simpatia e affetto per il modesto ex-voto – un semplice crocifisso in legno, peraltro di modesta fattura – derivano dalle traversie subite nel corso degli anni, avversità brevemente riassunte in una targhetta nel verso della croce. Ripetuti furti, vandalismi e quant’altro frutto della umana idiozia hanno accompagnato l’intera esistenza del povero Crišt di Vìgjo, ogni volta assistito e riportato a nuova vita (sic) dalla pietà popolare. 

  118. Non sembrino, queste, disquisizioni lessicali del tutto prive di senso pratico. In altri tempi (non poi così lontani: cinquant’anni addietro) le differenze di pronuncia erano pretesto per reciproche, feroci prese in giro fra paesani d’un villaggio nei confronti dell’altro (Collina e Sigilletto e Givigliana in primis). Giusta le annotazioni relative a Comedo', una di queste prese in giro prevedeva per i Collinotti l’appellativo di sanmicjelò (da san Micjìol-san Michele, patrono di Collina e titolare della chiesa). 

  119. A questo proposito, è importante sottolineare come dopo la costruzione della casera un secondo toponimo – te Mònt – sia sopravvenuto a denominare il Còmpet (o una parte di esso), senza tuttavia sostituirlo del tutto o cancellarlo. Per questa ragione, come pure per la evidente indipendenza etimologica, (te) Mont sarà trattato separatamente. 

  120. Cornelilo Cesare Desinan, San Michele Arcangelo nella Toponomastica Friulana, problemi ed ipotesi, Società Filologica Friulana 1993, p. 25. 

  121. Ivi

  122. V. note s.v. In som d’Agâr, Prâ(t) di Àmblis e Sovròndo

  123. Fondo di rami d’ontano o più raramente d’abete su cui era posto e trainato (o meglio… frenato, lungo i ripidissimi pendii della valle) il fascio di fieno per il trasporto a breve-medio raggio dal prato di mont a luoghi più adatti al trasporto con la slitta. 

  124. Crét e crèto non sono esattamente sinonimi, né sono liberamente intercambiabili. Seppure con qualche approssimazione si può affermare che nell’accezione comune il primo indica la roccia-materiale (tipico lo spregiativo cretàt per indicare la roccia friabile) di cui è costituita la seconda, la roccia-montagna: ovvero, la crèto è fatta di crét. Circa l’etimologia del termine comune crét-crèto, le interpretazioni sono molteplici e contrastanti. Scarbolo (Sc25) propende per una voce onomatopeica dal lat. crepitare (REW2316). Frau suggerisce per cret un’origine preromana (Fr55, s.v. Cret). 

  125. La contrapposizione bianco-nero, percepibile solo da CP, è per l’appunto con il clap nìori e non già con il m. Sasso Nero come comunemente si crede e spesso si legge: “La Creta Bianca (o Blancia) è così chiamata dai suoi bianchi dirupi calcarei in contrasto col vicino Sasso Nero” (Ettore Castiglioni, op. cit., p. 215), dove per Sasso Nero s’intende erroneamente l’intero monte, e non il più modesto ma caratteristico clap. Del frequentissimo e ormai consolidato equivoco si dà conto s.v. Clanìori, dove si fa anche cenno all’errore dei comandi italiani che nel corso delle operazioni del primo conflitto mondiale definirono (monte) Creta Bianca un risalto a SE della Tacca del Sasso Nero 

  126. Situazione sera 1/8 (1915, n.d.a.) – gruppo ten. Fasser… Fra le 2 e le 3 pom. l’artiglieria nemica della cima dell’Ombladet ha operato contro la postazione della fanteria sulla Creta di Bordaglia e poi su Wadecken”. Walther Schaumann, Le nostre montagne teatro di guerra, Edizioni Ghedina – Cortina, 1978, p.262. 

  127. … i valligiani di Collina davano il nome di M. Canale a tutto il massiccio dal Sasso Nero al Passo di Volaia”. Ettore Castiglioni, op. cit., p. 230. Per i Collinotti dunque il m. Sasso Nero, il m. Canale e il m. Capolago semplicemente non esistevano come monti a sé stanti (si veda anche la nota che segue), ma c’era solo l’insieme Crèto di Cjanâl che tutti li comprendeva. La stessa Cjanalèto (la casera Chianaletta della TU), assai più prossima al m. Sasso Nero che non al m. Canale p.d, era pur detta “malga del Canale”. 

  128. Il m. Volaia (peraltro non visibile da Collina) porta un nome italiano di palese origine tedesca (v. Volàjo), e fa la sua comparsa solo in una carta austriaca del 1833, così come il m. Canale p.d.; m. Capolago è traduzione letterale del tedesco Seekopf (v. Secóuf); cima Lastròns del Lago è un neologismo (e infatti la cima non ha nome nella microtoponomastica locale), pout pourri friulano-italiano che mescola il lago a NO con la lastronata a SE della cima. Lastronata che per di più, a dispetto del nome, nulla ha a che fare con i Laštròns della toponomastica locale, che identificano tutt’altro. Inoltre, come ben si è visto al lemma Clanìori, se è vero che l’it. “Sasso Nero” della TU è la traduzione fedele di Clap Nìori, è altrettanto vero che lo stesso Sasso Nero identifica ben altro che il Clanìori dei Collinotti. 

  129. È tuttavia improbabile che “Grotte di Colina” sia pura invenzione del topografo il quale, pur attraverso la mediazione dell’informatore (certamente non di Collina, v. nota s.v. Cogliàns), di volta in volta trasferiva sulla carta le indicazioni degli informatori locali. Per il termine “grotte”, si veda qui di seguito. 

  130. Nel medesimo foglio della Kriegskarte, a breve distanza dalle “Grotte di Colina” ma al di fuori dell’area di interesse di questo lavoro, sono riportate “Grotta di Vas” (m. Vas della TU), “Grotta Spizata” (m. Tuglia), “Grotta di Cadenis” (m. Chiadenis, nel gruppo Peralba-Avanza) e, nell’adiacente foglio XV-6, “Grotta Ferrata” per il m. Creta Forata nel gruppo Plèros-Siera, tutto curato dallo medesimo topografo, il capitano Hirsch del 26° Reggimento Fanteria Höhenlohe Bartenstein, allora di stanza a Udine. 

  131. Non sembra proponibile una relazione con ruìgn = striscia di terreno prativo presso i campi o lungo le fosse (Sc263), dal tirolese roan

  132. APC. Epilogo di una vita davvero travagliata, quello di Maddalena Barbolano e Bartolomeo Longo: da proprietari di terreni e malghe a debitori costretti ad alienare il patrimonio (v. Morarìot), fino alla condizione di “questuante” di Maddalena che precipita dal sentiero. 

  133. Rocce e pendii ripidi alberati fra il Fulìn e la strada Culìno-Rigolato”, DC. Il Fulìn è qui inteso come rio, e non come luogo. 

  134. Non solo a Collina, se in NP198 alla voce cròdie è attribuito anche il significato di “cotenna dei prati” (accezione però sconosciuta, come tale, a Collina). E in territorio di Socchieve abbiamo pure Crodeàte (DE116)! 

  135. Scarbolo riporta per cuél il solo significato di “collo” (Sc147), dal lat. collum (REW2053). 

  136. La notizia è menzionata da Cn. 

  137. VZ. 

  138. È pur vero che con il significato di “collina” il NP menziona pure culìne-colìne e derivati (NP211), ma si ha la percezione che si tratti di voce relativamente recente, italianismo o venetismo comunque facente capo non più direttamente al lat. collis, ma ad esso solo attraverso il “lat. tardo collina, propr. femm. di collinus, a sua volta agg. di collis = colle” (Etimologico Treccani). 

  139. Sole e parziali eccezioni prive di dittongo rinvenibili nei repertori friulani di carattere enciclopedico (NP, Fr, CD) sono Culurumiç (Collerumiz) in comune di Tarcento e Cólze (Colza) in comune di Enemonzo, nonché Culgéi (Culzei) in comune di Prato Carnico. Eccezioni malferme qualora si consideri che nel caso di Culzei e Culurumiç e oltre a Culurumiç storicamente si registrano forme che mantengono il dittongo: per Collerumiz Quelrumiz, Quelrumi, Cuèll Rùmiz tutte con il dittongo ue; per Colza si registrano invece le forme duecentesche Gualça e Chuolsa, con il dittongo ua/uo. Quanto infine a Culzei, ormai unica eccezione, si avanzano anche ipotesi etimologiche diverse da collis

  140. CF224. E forse anche lo stesso cognome Collina(!), ipotizzando tuttavia un percorso solo in ambito linguistico italiano come ipercorrezione di (Ni)colina. Diversa invece (ma solo all'apparenza: giusta la nostra ipotesi, si allunga solo la strada...) l'origine del cognome Collinassi, che significa “originario di Collina”. Quando si dice la nemesi! 

  141. L'ipotesi è più ampiamente sviluppata in Enrico Agostinis, op. cit. in SlN. 

  142. Non fa purtroppo eccezione la pur recente (autunno 2006) Cjarte dal Friûl, edita congiuntamente da Tabacco Editore - Udine e dalla Società Filologica Friulana. Anche in quest’opera si privilegia la toponomastica ufficiale italiana piuttosto che il rigore filologico, preferendo Culine a Culine Grande (la grafia corrisponde al friulano centrale, e non alla parlata di Collina). È proprio vero che de minimis… 

  143. In occasione della visita pastorale del Luogotenente patriarcale Agostino Bruno, 1602. 

  144. La categoria dei “normalizzatori”, più o meno estemporanei, non cessa di far danno. Nei primi anni del Ventennio ebbimo (sic) Cuormaggiore al posto di Courmayeur, e Cadipietra in luogo di Steinhaus, naturalmente moltiplicati per millanta e più. Gli amanti del varietà ebbero anche Vanda Osiri e Renato Rascele. Sempre per gli amanti del varietà, ma purtroppo involontario e in tempi più recenti (2002), ricordo anche una mozione presentata in Consiglio Regionale FVG volta all’abolizione dei toponimi “Forni” (i due Forni Savorgnani e Forni Avoltri), in quanto ritenuti offensivi nei confronti del popolo ebraico. Anche la madre dei “normalizzatori” pare essere sempre incinta. 

  145. Onore al merito: già colta in fallo per Culine in luogo di Culine Grande, la citata Cjarte dal Friûl (v. nota al lemma prec.) riporta correttamente Culine Pìçule

  146. I posteri, che saremmo anche noi, sono ben consci che la gloria non si misura con il metro di Culìno Pìçulo e Collinetta. Nondimeno, si trattò e si tratta di una sciocchezza storica e linguistica, e neppure delle peggiori. Ma il (ri)volgere la sciocchezza in lingua friulana, e come tale mantenerla e perpetuarla, quello sì è davvero inglorioso. 

  147. L'ipotesi qui esposta circa le origini dell'italiano Collinetta, la tematica riguardante la val di Collina e il suo rapporto con l'omonimo villaggio sono ulteriormente sviluppate in Enrico Agostinis, Mons di Culina, Culìno e Culinòts, in Ab25-27. 

  148. Troviamo un Comùgne in comune di Gemona (Fr52) e un altro a Gonârs (DC48). In Carnia, a Voltois si trova Cumùgnis, esatto corrispettivo del nostro Cumùnios (Cornelio Cesare Desinan, Problemi di toponomastica Friulana - Contributo I, Società Filologica Friulana, Udine 1976, p.87). Fuori regione, la località con il nome di Comunanza (Ascoli Piceno, DT224). 

  149. I non avvezzi alla terminologia giuridica appartenenti alla categoria dei benpensanti-malpensanti inclini ai pruriti hanno due alternative: 1) informarsi; 2) to scratch themselves, come si dice a Culìno. Tuttavia, in un afflato di immeritata misericordia, comunisti = titolari di diritto in comune con altri. 

  150. Il masch., lu Cunfìn, è oggi generalmente usato per definire il confine di stato e simili, ma si tratta appunto di forma d’uso assai recente. 

  151. Le considerazioni sin qui esposte mi fanno preferire questa etimologia a quella con origine in *tem- *tim- = acqua, avanzata più oltre per Temós

  152. Vale anche il principio contrario, ovvero il numero di madrinaggi (?) quale status symbol. Il record di Collina pare essere tenuto da una certa Domenica ux. Joannes Barbolani, che dal 1634 al 1660 tenne a battesimo almeno 27 infanti di diverse famiglie. Nel Guinness collinotto troviamo anche Catharina q. Zuanne de Tamer (la famiglia più in vista di Collina, quella dei Tamer), con 23 battesimi dal 1703 al 1717 (inferiore a Domenica per numero assoluto, ma prima per frequenza: solo la morte arrestò la sua rincorsa al primato assoluto…). Ma i casi citati corrispondono a famiglie ricche, non solo benestanti. 

  153. Diversa è l’interpretazione di Enos Costantini, che propende invece per un’alterazione del friul. (l)uridôr o didôr (anticamente auditor) ecc., “piccola costruzione annessa a una chiesa di campagna”. 

  154. Circa la finale in -ùor, si veda la nota s.v. Cjalgjadùor

  155. Rotolo del cameraro di s. Michele di Collina, 1595-1605, APC. La cancellazione di tamer è nel testo originale, come pure il creditor, che ha tutta l’aria di essere un errore del cameraro per debitor

  156. Pagamento di dotte et fine remisione Fatta da S.r S.r Zuanne Tamusino; et Tomaso di Tamer, hà S.r Nicolò Barbolano loro Suocero, 1712, APC. 

  157. Non casualmente, le Foràns rimasero terreno comune e incolto fino al 1871 (v. Antîl), quando la necessità spinse i Collinotti verso le loro terre più alte e… più basse, come questa. 

  158. Piccolo particolare, la cui importanza potrà meglio essere compreso da chi percorre il sentiero Spinotti, gna Vitorio era affetta da una grave malformazione all’anca, ciò che la costringeva ad una camminata laboriosa e faticosissima. Il suo spostamento quotidiano alla sièlo e ritorno, lungo un sentierino che ancora oggi presenta un paio di passaggini delicati in roccia, era da considerarsi alla stregua di un autentico pellegrinaggio. La stessa gna Vitòrio, di professione sarta, fu tra gli informatori di Gino di Caporiacco nel corso del lavoro sulla toponomastica di Forni Avoltri, ampiamente citato in questo lavoro. 

  159. Il ramo di conifera (più propriamente di abete) è detto dašo (Sc58). 

  160. Cn. 

  161. id. 

  162. Daniela Piccini, Lessico medievale in Friuli, Società Filologica Friulana, Udine 2006, p. 232. 

  163. Sebbene per poche centinaia di metri l'abitato di Sigilletto appartiene al bacino idrografico del Riù d'Ormentos e quindi del Fulìn, mentre Frassenetto appartiene direttamente al bacino del Degano. 

  164. VZ. V. anche la Crèto di Cjanâl, detta “Grotte di Colina” (o "Creta di Colina") a conferma che l’informatore del topografo non era certo collinotto. 

  165. Stima dei beni di Maddalena qm Zuane di Carono…, 1694, APC. 

  166. Per tutti i toponimi con radice in furca (fòrcjo e varianti) è del tutto improponibile un’origine nell’omonimo attrezzo agricolo: per varie ragioni - quota, distanza dall’abitato, morfologia ecc. - nessuno dei luoghi così denominati si presta a uso di coltivo, e dunque a essere sforcjât (lavorato con la forca). 

  167. È questa l’autorevole opinione di Desinan, che a carduus riconduce il toponimo Sgiarséit (DE338) in comune di Sutrio (NP1517). Da segnalare anche un Giarsêt “(fontana)” in comune di Prato Carnico (NP1481). 

  168. Go404. 

  169. Go453-458. 

  170. In un precocemente nevoso dicembre di non molti anni fa, attraversando il deposito di neve compatta di una precoce e grande valanga scaricata dall’Agâr di Róndoi mi capitò di vedere alcuni ciuffi di pelo di camoscio sulla superficie. Pensai che la simpatica bestiola l'avesse scampata, questa volta, davvero per un pelo... Non era così. Solo nell'estate successiva seppi che, a pochi giorni dal mio avvistamento in superficie, il camoscio intero era stato estratto dalla neve (ovviamente stecchito, ma ottimamente conservato: la natura ha inventato il frigorifero prima di noi, solo che d’estate “va via la luce”). Evidentemente il camoscio - un esemplare non più giovane, e quindi probabile vittima della selezione naturale - era stato sorpreso proprio da una delle centinaia di valanghe che questo agâr e i suoi simili scaricano ogni anno nel Gjarsìot. Oggi il trofeo (?) della povera bestiola farà certo bella mostra di sé in casa di qualche novello Tartarino. 

  171. È tuttavia da notare come, oltre al cognome, a Collina fosse presente anche una casa-casata di Tàmer, non sempre né necessariamente popolata di soli abitanti con questo cognome. 

  172. Frequentemente dall'anagrafe gratificati del titolo di dominus, e dai compaesani dell'appellativo ju šiors di Glèrio-i signori di Glerio, i Tamer furono cramari, notai e possidenti terrieri le cui fortune subirono un irrimediabile crollo nel 1800 a causa della epidemia - morbus dicti dissenteria a indicare una sconosciuta infezione gastroenterica, forse da salmonella o da virus contratti chissà dove - che nella famiglia allargata di Michele di Tamer (compresi cioè suoceri, cognato e nipoti, questi ultimi probabilmente tutti conviventi) causò certamente 8 morti, probabilmente 10, forse 14. 

  173. Archivio privato, Rigolato. “Piano di Piertia” è il nostro Plan di Pièrtios, “Zovo” è il Ğùof. Le virgolette sono nel testo originale. 

  174. Ivi. 

  175. Oltre ai citati, più prossimi a Collina abbiamo anche il villaggio di Zovello (Ravascletto, Fr71). 

  176. Transazione fra Givigliana e Collina dei confini, 1765. Archivio privato, Rigolato. 

  177. Il Giov” nella Kriegskarte. 

  178. Delle vie d'accesso a Collina, compresa questa, si è già trattato nell'omonimo capitolo. Fino alla metà del XX secolo e allo sviluppo della motorizzazione individuale la sostanziale economia di baratto delle famiglie di Collina insistette quasi esclusivamente verso il medio Gorto, soprattutto Comeglians ma anche oltre. Proporzionalmente ancora più accentuata questa relazione dovette essere nel tardo Medioevo e fino al XVIII secolo, quando Avoltri e la sua dépendance Forni erano piccoli villaggi a economia prevalentemente legata all'attività mineraria. La crescita in dimensione e importanza di Forni Avoltri prese avvio nella seconda metà del XVIII secolo, con la risistemazione della strada del Monte Croce (Comelico) da parte della Serenissima. Si sostanziò poi con la riforma francese dei primi anni dell'800, che fra l'altro abolì i comuni storici (fra essi Collina) di epoca patriarcale-veneziana e centralizzò le amministrazioni in distretti (per l'alto Gorto, Rigolato) e comuni (per il territorio della parrocchia di Sopraponti, Forni Avoltri), con i restanti ex comuni ridotti a frazioni. 

  179. Detto dell'Infièr, non sembrerebbe esservi spazio per luoghi di maggior tormento e disagio nei dintorni di Collina. Non è così. Nel fondo della stessa valletta, poco oltre l'alto corso del riù d’Ormèntos e quindi già in territorio di Sigilletto, ancor più riparati e raccolti e senz'aria dell’Infièr sono gli Infiernàts, gli “infernacci”. Niente di nuovo sotto il sole. Il Sommo aveva già tutto visto e descritto: Luogo è in Inferno detto Malebolge… (Inferno XVIII, 1). 

  180. Attenzione, giacché la confusione è grande sotto il cielo di Collina. Esistono altri Lastròns, più avvicinabili ma anch’essi poco consueti ai Collinotti “normali”. Si tratta di un toponimo di origine venatoria, ideato da cacciatori sulle piste di qualche camoscio in fuga. Il termine, poco usato nella parlata corrente, identifica la serie di lastronate di roccia, lisce e quasi verticali, sul versante S della Crèto di Cjanâl (il m. Canale), una serie di grandi placche inframmezzate da cenge erbose ben visibili da tutta Collina. Il sistema di cenge consente una salita tortuosa ma relativamente agevole (percorso pur sempre da… camosci, e in considerevole esposizione) del ripido fianco del monte, evitando di affrontare direttamente questi Laštròns (la c.d. “via del Lastròn”, v. nota s.v. Vèto).
    Abbastanza paradossalmente, dunque, si gratifica di denominazione una lastronata secondaria mentre rimane senza nome la più evidente e imponente lastronata dei monti di Collina, quella che dalla cima tricuspide dei Lastrons del Lago, a NO del Cogliàns, scende verso SO in direzione di Collina. Stranezze del linguaggio, c’è una denominazione della TU italiana (appunto Lastrons del Lago), e un’altra della TU austriaca (Seewarte, Vedetta del Lago): la toponomastica collinotta … nujo. Nulla. Ma già, quei lastroni non servivano proprio a nulla, neppure per le previsioni del tempo… 

  181. In regione si hanno anche i toponimi La Maine (Sauris), e Mainuzza (Farra d’Isonzo) (Fr77). 

  182. Un toponimo del tutto simile (passo Maleet) si trova poco fuori dei confini della Carnia, in comune di Venzone, e vi è segnalata la significativa presenza del sorbo degli uccellatori

  183. Montem de Val de Meleseijs possessum per illos de Culina, così in ms. 1563 del Fondo Principale Manoscritti della Bibl. Civica Vincenzo Joppi di Udine (vol II, Documenti carnici 1451-1883, anno 1467. Trascrizione dall’originale del 1467 e nota in calce di Alessandro Wolf. In un documento dell’anno successivo (1468) la notazione muta in Val de Melesijs

  184. Dal culmine del lungo crestone del Pic di Gòlo il costone scende per poche centinaia di metri in direzione NO fino al Cuél di Ğulìgn, dove piega marcatamente a O per poi scendere a perdersi sul Bertoléš

  185. Riparto delli dennari e spese da ripartirsi per ogni famiglia del ricavo della prima ratta del bosco dietro il Maletto e altre spese sostenute col dennaro stesso esborsatti da Pasquale Tamussino, 1858, APC. Il documento così intitolato redige un rudimentale ma precisissimo bilancio del taglio e vendita del legname di Devòur lu Malìot, ridistribuendo il ricavo netto in parti uguali fra i membri del consorzio (in pratica, tutte le famiglie di Collina, per un importo di ben L. 24 ciascuna). 

  186. Si veda anche Masarolis (Torreano) e Maseris (Coseano, Fr77), come pure Macerata (DT367), e Maser (Treviso, DT382). 

  187. Questa etimologia condividerebbe l’origine con Mèolo (Brescia, DT390), senza tuttavia condividerne percorso e conclusioni. 

  188. Una Fontàno di Mïól si trova a Givigliana, poco prima di giungere in paese. 

  189. Divisioni di S.S. Zuanne e Biasio Fratelli Barbolani, 1683, APC. 

  190. Senza scomodare Einstein e relativa relatività (!), decisamente poco digeribili e troppo di moda, riporto invece il pensiero di un grande pensatore (!!) del XX secolo: “È strano come una discesa vista dal basso somigli tanto a una salita”, affermazione apodittica che nella sua variante Collinotta diviene una sorta di “tutto ciò che non è in pendio (ripido) è un piano”. Dimenticavo: il profondissimo pensiero è di Goofy alias Pippo, personaggio disneyano ingiustamente considerato “spalla” di figure di lui decisamente più impersonali e anonime. 

  191. Te Mont si trova all’interno del Còmpet ma non coincide con esso. Alla nota a piè di pagina di quest’ultimo lemma si rimanda per la distinzione semantica fra i due toponimi. 

  192. la Società (…) fece costruire per proprio conto una cascina nel Rusulan per le vacche nella stagione estiva” (Cn). V. Còmpet

  193. Questa rappresentazione del rapporto fra montanaro e montagna oggi fa sorridere i discendenti di quei montanari. Eppure, senza riandare agli orchi e draghi e streghe che popolavano la montagna degli antenati degli attuali scettici, ho il ricordo personale degli anziani Collinotti/e che ancora nei roaring 60s, quando all'alba mi vedevano avviare zaino in spalla verso “lassù”, immancabilmente mi gratificavano della formula di rito: jô, no sta lâ tal pirìcul, “non andare nel pericolo”. Il pirìcul era ovviamente la caduta o la caviglia, o magari di lâcj a pierdi o, peggio, a incretâ-incrodare: certo non era o non era più la strega (a diciotto o vent'anni, magari!), ma il messaggio era comunque inequivocabile: “che-ci-vai-a-fare”? Non tutti, certo, ché i vecchi cacciatori erano contenti di vedere un ragazzotto che andava pi créts, e ancor più felici di poter dispensare indicazioni e suggerimenti (non sempre precisi, e neppure veritieri...) di cenge nascoste e di passaggi dove loro non avrebbero mai più messo piede. E io raccoglievo quella sorta di deleghe e di procure... 

  194. Sul muro esterno della latteria, a CG, una targa ricorda il centenario della fondazione della Latteria di Collina come frutto del “solidarismo della popolazione”. Vero o solo presunto che fosse il "solidarismo" (gli argomenti a supporto della seconda ipotesi non mancano) amo pensare alla Latteria come ad un sussulto forse l’ultimo! della dignità, della fierezza e dello spirito di comunanza che per secoli e secoli animò questa gente. 

  195. L'informazione mi fu fornita intorno al 1965 da Edoardo Tolazzi. 

  196. In due documenti del 1467 e 1468 Morarìot è detta Montem de Val de Melesijs (v. Malìot), ed è “possessum per illos de Culina”. V. Malìot. Anche per gli assetti proprietari del pascolo, v. Ab23-25. 

  197. Vendita fatta da domino Bortolo Longo al S.r Leonardo q.m Antonio di Tamer, 1771, APC. 

  198. Minuziose descrizioni della malga e della sua attività si hanno in Mc304 e soprattutto in G. Bubba, Una malga dell'Alta Carnia, in Bullettino dell'Associazione Agraria Friulana 1908, n.11-12, p. 296. 

  199. Nella IGM 1913 la forcella è collocata più a S, in corrispondenza della forcellina fra il Pic e il m. Floriz. Errore tanto più incomprensibile se si considera che il “Ricovero Marinelli” è posizionato correttamente, e che dalla forcellina in questione non transita alcun sentiero (il versante verso Morarìot è a dirupi scoscesi e friabili). 

  200. Plòto (dal lat. plautus = piatto, REW6589) è la versione nella parlata di Collina del friul. plòte = lastra piatta, spec. lastra di pietra per coprire canalette e simili. A Collina è detta ploto la piastra superiore in ghisa dello spolèrt, la diffusissima cucina economica che nella seconda metà del XX secolo prese definitivamente, nelle case dei friulani e dei carnici in particolare, il posto che fu del fogolâr. La fòrcjo era detta de Ploto con riferimento al vasto falsopiano ondulato immediatamente sottostate la fòrcjo stessa sul versante paluzzano, un tempo terreno di pascolo per le non lontane malghe Plotta, recentemente ristrutturata, e Monumenz, completamente diroccata. V. Ab9 e anche la nota a piè di pagina in Ab13, dove si tratta pure degli abbagli della toponomastica ufficiale qui intorno, compresa la contraddizione in termini del c.d. Vallone del Ploto, assai ripido e scosceso a dispetto del Ploto-pianoro. 

  201. Sebbene da secoli probabilmente utilizzata da pastori e cacciatori, fino alla costruzione del Ricovero la forcella non fu considerata un luogo di transito fra le valli del Fulìn e del rio Chiaula (allo scopo era utilizzata la forcella Plumbs), e quindi non era dotata di un vero e proprio sentiero. La salita alla forcella dal lato Plotta era "per erbe e sfasciumi o rocce non difficili". 

  202. Quale sorgente principale assumiamo qui essere quella che si trova nel Plan di san Ğuàn

  203. Matïùto è diminutivo di Mattia Toch, da leggersi come “Mattia il giovane”, per distinguerlo da Matïón (“Mattia il vecchio”). I due erano padre e figlio, e quindi la confusione si originava in casa. 

  204. Analogo microtoponimo (Mulìnis) si ritrova in frazione di Tarcento. 

  205. Non però l’ultimo ad operare. Il Mulìn di Matïùto (v. Fàrio) rimase in attività fino al secondo dopoguerra. 

  206. La nostra Navo è infatti toponimo collettivo di tutti questi terreni contigui che risultano essere (da O a E, o da sx a dx di chi osserva dal basso): Cumùnios, Roncjadìços, Sterpìot e Pecìot

  207. Acquisto di Ms. Nicolò fig.lo di S. Osualdo Barbolano et S. Tomaso Toch mediante la scorporazione fatta dalli Beni di Zuanne qm Vitto Betan, 1689, APC. V. anche note s.v. Cjasarîl

  208. Per ragioni varie e di diversa natura (morfologia e natura del terreno, posizione dell’area) non sembra proponibile per Gjàjos l’etimologia avanzata da Frau per Giàis (fraz. di Aviano, Fr65), ovvero “da una voce longobarda gahagi (‘terra bandita’, De133), attraverso la forma latinizzata gadium ‘luogo chiuso’, ‘recinto’”. 

  209. La forcella è tuttavia punto di transito in discesa da Crèto Blàncjo, oppure per una bella escursione Collina- Pierabec-Forni Avoltri. Oppure ancora per la salita al m. Sasso Nero e al m. Volaia, ma non per chi provenga da Collina, che troverà più agevole la salita lungo il costone che separa Cjampēi dalla Cjanalèto

  210. Le varianti semantiche di pala accompagnano l’intero arco alpino centro-orientale, a indicare rilievi di forma e consistenza diversissime fra loro e diversissime dalla nostra. Cito a memoria il Palon de la Mare, coperto di ghiacci perenni, come i bastioni dolomitici e le guglie delle Pale di san Martino (DT469) e di san Lucano, e ancora numerosissime altre. Altre pale, certo più domestiche e accessibili, si hanno a Pala in comune di Ampezzo (Fr88), e Paluzza (Fr89). 

  211. Lett. “salita di Pàlos”, v. nota 3 in Appendice, 1 - Perizia Pascoli

  212. Nell'anno 1887 mi venne l'idea di costruire una strada più comoda (…) per andare a Collinetta cioè ove trovasi attualmente. L'anno 1888 fu tenuta l'asta pell'appalto…”, Cn (il grassetto è corsivo nel testo originale). Come di consueto, i lavori furono accompagnati da aspre polemiche sui costi e sulla qualità dei manufatti: i commenti di Caneva circa l'onestà degli appaltatori e degli amministratori comunali sono ferocissimi. 

  213. Repetita juvant, la preposizione è parte integrante del toponimo e quindi, a parità di “base”, a preposizioni diverse corrispondono toponimi diversi. 

  214. È, questa, una curiosa ma patente contraddizione dei più accaniti sostenitori della cosiddetta “vocazione turistica di Collina”, dove il significato autentico di cotesta apodittica affermazione consiste nella replica di modelli un tempo altrove fortunati (ribadisco, un tempo fortunati: oggi gira male anche per quelli). Gli stessi che negli anni d’oro dello sci intendevano costruire impianti sciistici e piste di discesa lungo i percorsi di valanga e su pendii volti a sud, oppure creando piste ex novo nel mezzo di foreste in buona parte vergini (il tutto, beninteso, a spese del contribuente o giù di lì). Il tempo, talvolta davvero galantuomo, ha fatto giustizia di questa sottocultura da boom economico. Di ritorno alle contraddizioni turistiche, con i tralicci dell’alta tensione – e non è che un esempio) si sono sciaguratamente devastati e deturpati i luoghi più belli della valle. Cito solo tre fra i numerosissimi: la Caròno di Colarìot, il Runc di Cuàl e il ponte al Plan di Valebós, per tacere della bellissima gabina (sic) di fronte alla staipo di Canòbio, naturalmente pensando che i turisti abbiano le fette di salame sugli occhi anziché nel panino che regolarmente si portano da casa. A ben pensare, forse non è una contraddizione… 

  215. Al secolo Tommaso Gerin di Antonio (1878-1932), mentre Tûš è una casa-casata di Collina (AP84). 

  216. Un detto di Collina, riferendosi alla notte di Natale (madìns è la messa di mezzanotte) e alla previsione della stagione successiva, recitava: madins scurints, stâlis luşints; madins luşints, stâlis scurints. Secondo una traduzione letterale (scurints è deformazione di scûrs) risulterebbe: notte scura, fienili lucenti; notte lucente, fienili scuri. La sciarada usa “lucenti” e “scuri” con il significato, rispettivamente, di “vuoti” e “pieni”. 

  217. Ê questo l’ultimo toponimo, in ordine di tempo, ad entrare in questa raccolta (27 dicembre 2006), grazie alle precise indicazioni di Luigi Astori che ringrazio. 

  218. Rotolo del cameraro di s. Michele di Collina, 1595-1605, APC. 

  219. Divisioni di S.S. Zuanne e Biasio Fratelli Barbolani, 1683, APC. 

  220. Acquisto di Ms. Nicolò fig.lo di S. Osualdo Barbolano et S. Tomaso Toch mediante la scorporazione fatta dalli Beni di Zuanne qm Vitto Betan, 1689, APC. 

  221. Puìnt, AP74. 

  222. Così Desinan: “Evidentemente part è una brachilogia (sinteticità, NdA) per ‘parte comunale data in concessione’” (De126). Si veda anche Mauro Buligatto, “Osservazioni toponomastiche su Mossa”, in SlN, n.3-4/2004. Nella nostra fattispecie si tratta della part del prato di Pàlos

  223. Le parts dovettero essere un tempo numerose a Collina. Di alcune di esse si ricordano ancora i nomi delle famiglie o casate assegnatarie: la part di Miéç (entro Sôro ju Prâz), quella di Gjàra (sopra Masério), quella di Betàn. Quest’ultima è anche l’unica ancora oggi ad essere associata ad un luogo specifico, tanto da essere divenuta la Part senza attributi. 

  224. Analogo toponimo – Pezzéit – si trova in comune di Chiusaforte (Fr92). Identico significato ed etimologia per Valpicetto in comune di Rigolato, Valpecìot (agglutinazione di val e pecìot) nella parlata dell’alto Gorto (Fr92). 

  225. Se la relazione semantica del pecól con la gamba della sedia è trasparente (genericamente “sostegno”, come il picciolo della frutta), per quanto concerne la “salita” il nesso va probabilmente ricercato in pedus, nel senso che il pecól (o parte di esso) sta al “piede” della montagna o ne costituisce una sorta di contrafforte. Non mi sembra in ogni caso applicabile al pecól di Collina l’interpretazione di De Gasperi “sommità di un colle… sul cui dorso corre un sentiero… o tratto di sentiero. In altri casi si adopera nel senso di valico” ripresa in NP722 e da altri autori (Fr91, CD625) per numerosi luogi in regione. 

  226. Da non confondere con il costone che di Antîl scende in Caròno. Il Pecolàt è immediatamente a E di questo. 

  227. Più che al significato odierno, il termine “pista” era associato alla traccia lasciata sulla neve da chi scendeva per primo. Nessuna curva o evoluzione ad eccezione della curva d’arresto, una specie di telemark detta scïòro (lett. “signora”, forse per l’elegante movimento delle terga e relativa esposizione delle stesse…). 

  228. In Friuli, v. anche Picón in comune di San Leonardo (Fr92) 

  229. Inoltre c’erano delle batterie italiane sul m. Gola con possibilità di tiro diretto sul lago di Volaia.” Walther Schaumann, op. cit., p. 270. 

  230. …quod quidam Candidus, Blasius et Matheus et Pizolus nomine dictarum villarum supplicarunt quod proprium possint habere sacerdotem qui in dictis ecclesiis quatuor villarum divina celebret officia, sacramenta ecclesia, et cura exerceat animarum …”, 2 maggio 1467, copia in ACAU, Moggio vol. 3, Fraxinetum (v. anche in Mo16-17 come pure, e più estensivamente, in Flavia De Vitt, op. cit., pp. 70 e 157. 

  231. Divisioni di S.S. Zuanne e Biasio Fratelli Barbolani, 1683, APC. 

  232. In Sc260 è riportata anche la curiosa espressione fâ la ròjo, urinare sul terreno così da – letteralmente – “fare il rigagnolo”. 

  233. Altro termine – va da sé, meno aulico – per indicare la Pìçulo Rojo è Riù di Bugjei, Rio dei Budelli. 

  234. In provincia di Udine, con questa etimologia si hanno anche le frazioni di Pertegada in comune di Latisana, e Perteole in comune di Ruda (Fr91). 

  235. In tal senso si veda in DE112, come pure in Fr120 (Vieri, Vieris etc.). 

  236. A Venezia la cosiddetta pertica grande misurava 2.086 m ed era costituita da 6 piedi, ciascuno di 0.347735 m. A loro volta, 5 piedi costituivano 1 passo, lungo 1.738 m. Sono queste le unità di misura adottate nella perizia di Antonio Pascoli del 1765, ripetutamente citata in questo lavoro e integralmente riportata in Appendice. 

  237. Nel parlato corrente plaço assume anche il significato di piccola area o spiazzo (uno p. di foncs, uno p. di mòros = uno spiazzo di funghi o di mirtilli), come pure di spazio (‘an d’é plaço avòndo = c’è abbastanza posto). 

  238. V. nota 4 in Appendice, 1 - Perizia Pascoli

  239. AP60. 

  240. Il prezioso catasto napoleonico ci propone anche un luogo “Sotto Corona”, che altro non è che il plurisecolare e attuale cognome/casa/casata Sotto Corona (AP43 e 58). L’edificio dei Sotto Corona si trova in effetti una ventina di metri sotto la Caròno di Plàço, e il toponimo del catasto identificava un’area nei dintorni a quel tempo non edificata. L’area è probabilmente quella su cui oggi sorge la casa de Martino nuova, costruita ex novo alla fine del 1800 (AP57). 

  241. A Forni Avoltri il lancio delle cìdulos dall’altura di Tóps si tiene in occasione dell’equinozio di primavera, il 21 marzo. 

  242. Il toponimo è ricordato anche da Scarbolo s.v. cìdulos (Sc51). Ma il luogo fungeva anche da pascolo e altro ancora, e come tale è rimasto nella memoria di chi questo ed altri luoghi simili frequentava da fanciullo nell’immediato secondo dopoguerra, un’immagine che qui riporto volentieri: “…con i coetanei al pascolo, il casòn di frasche d’abete, i giochi, le patate rubate nei campi e cotte sul fuoco fra i sassi, il dondolarsi appesi ai rami degli abeti (v. Plan di Trìcui, n.d.a.), la malinconica poesia della pioggia e noi all’asciutto nel fitto dell’abetaia o nel casòn…”. 

  243. A temperare l’intensità di questa affermazione suggerisco la concreta possibilità che le miserie di questo plan fossero semplicemente contrapposte all’abbondanza e alla ricchezza degli altri luoghi della ridente e prosperosa valle di Collina. 

  244. V. alla voce Pièrtios di Vereòns

  245. Si noti tuttavia che nella Definizione dei Confini del 1765 il luogo è già definito “Piano di Piertia” (v. Gòto), e quindi il termine è certamente anteriore a quella data. 

  246. Il riferimento potrebbe essere alla scomparsa delle ultime nevi invernali dai pascoli di Morarìot, nevi che giacciono proprio nel Plan di san Guan

  247. L’eventuale immagine sacra e il toponimo potrebbero essere in relazione con la transumanza degli armenti dalla valle al monte, esodo che tradizionalmente aveva luogo il giorno di san Giovanni. Posto che immagine ci fosse, essa era forse posta qui a protezione dell’intero pascolo, dei pastori come degli armenti. 

  248. Si noti il suono sibilante sonoro con cui è pronunziata la s di 'sôro, come pure la s di 'sot nel lemma che segue. 

  249. Acquisto di Ms. Nicolò fig.lo di S. Osualdo Barbolano et S. Tomaso Toch mediante la scorporazione fatta dalli Beni di Zuanne qm Vitto Betan, 1689, APC. 

  250. Nel documento di cui alla nota precedente è riportata la valorizzazione del “pezzo pratto” di Plan di sót, sia pure insieme ad altri terreni (tre prati per un totale di 31 Ducati). Considerando che gli altri due terreni ceduti insieme a questo sono in posizione migliore, e considerando i prezzi correnti desunti da altri documenti (10 ducati un campetto in Collariotto), la valorizzazione del terreno di “Piani di Sot” sembra davvero modesta. 

  251. Questo tipo di esercizio a braccia era detto trìcul di bòšc (dondolo o altalena di bosco), per distinguerlo dal trìcul convenzionale con corde e sedile. 

  252. Vero è che non conosciamo lo stato dei luoghi al tempo della nascita del toponimo: certo è tuttavia che l’habitat degli ultimi secoli non sembra particolarmente favorevole a vasti insediamenti di bosso. 

  253. La “valle dei buoi” sarebbe dunque Morarìot. Di questa ipotesi non convincono tuttavia né i buoi in sé, una cui significativa presenza in Morarìot è quantomeno assai dubbia (per quanto si riesca a risalire indietro nel tempo Morarìot è sempre stato pascolo di vacche, mentre i buoi pascolavano altrove), né la presenza dell’eccentrico bós per “buoi” in luogo dell’invariante bóuš della parlata locale (v. anche Pas di Bóuš e Plan di Bóuš in questo stesso lavoro, e la Mont di Bóuš in territorio di Sigilletto). 

  254. “Piano” può certamente essere considerato l’insieme del Plan di Valebós (ove sbocca il Riù di Morarìot) e del Gjarsìot (ove sbocca il Riù Landri), aree contigue in modesta pendenza distinte solo dallo stato dei terreni: fitto bosco di conifere il primo, più roccioso e a bosco rado il secondo. 

  255. La “Tre Rifugi”, gara a staffetta di corsa in montagna, è conosciutissima in tutta l’area friulana e oltre confine (ogni anno sono numerose le compagini austriache e slovene che si cimentano nella competizione) che ogni anno raccoglie a Collina migliaia di spettatori. Ancor prima della corsa in sé, è il percorso stesso ad essere particolarmente attraente e spettacolare: un anello intorno e a cavallo delle vette più elevate delle Alpi Carniche, fra rocce e crode, fra mughi e pascoli. Da CG il percorso si snoda lungo la strada fino al Plan di Valebós e al rif. Tolazzi, dove inizia la ripida salita lungo Clevomàlo, Puìnt dal Mùš e il Pecòl adàlt fino al rif. Lambertenghi a Volàjo. Qui inizia la traversata lungo il sentiero Spinotti, percorso alpinistico che attraverso l’Agâr dal Furlàn, i Monumènts e il Cjadinón conduce, superata la Sièlo di Vitòrio, alla Forcjo di Morarìot e al rif. Marinelli. Terminata la traversata, inizia la ripida discesa attraverso i pascoli di Morarìot e nuovamente al rif. Tolazzi e a CG. Ciascuno dei tre staffettisti che formano una squadra percorre uno dei tre tratti – salita, traversata, discesa – che formano l’intero anello. Non è questo il luogo dei dettagli tecnici: e piuttosto che assistere alla competizione voglio solo caldamente suggerire di percorrere a passo “umano” l’intero tracciato, magari in due giorni diversi con sosta in rifugio. E allora si comprenderà bene come la gara sia solo un plus, avvincente e spettacolare fin che si vuole, ma pur sempre tale. Lo spettacolo vero non è fornito dagli (eventuali) attori ma piuttosto dallo stesso palcoscenico, dove gli attori hanno solo il ruolo di comprimari, neppure utili e men che meno indispensabili. 

  256. 1774 - 25 Agosto. Mobili, Semoventi, Rata Plumps, e ressiduo d'effetti Di Caneva per il sig. Pietro di Tamer, Archivio privato, Tolmezzo. E anche 1857. Nel mese di Luglio morì De Tamer Antonio, che fu proprietario della Malga Plumbs e buona parte di Morareto e Gleria. Ca. 

  257. Mc303, G. Bubba, op. cit., p. 298. 

  258. Walther Schaumann, op. cit., p. 242. Ho udito personalmente e ripetutamente analogo racconto da parte degli anziani di Collina negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. 

  259. Sono gli ormai conosciutissimi venditori ambulanti, per lo più di stoffe e merceria oppure di spezie, che da tutta la Carnia si portavano stagionalmente oltre confine, dalla Croazia all'Ungheria e fino alla Germania settentrionale. A partire dagli anni '80 del secolo scorso i cramârs sono stati oggetto di nuovo interesse, un’autentica riscoperta che ha portato ad accurate analisi e descrizioni del fenomeno nei suoi vari aspetti – economico, demografico e culturale – nonché di congressi, mostre e rassegne monografiche ad essi dedicate. Per il percorso dei cramârs da Collina a Monte Croce Carnico si veda, seppure con qualche imprecisione toponomastica, Domenico Molfetta, I cramârs in viaggio, in Cramârs, Atti del convegno internazionale di studi, 1997, p. 202. 

  260. Su questo punto le opinioni sono controverse, e spesso basate su luoghi comuni dimostratamente infondati. Era convincimento diffuso a Collina che le malghe e casere al di là dello spartiacque Degano-But (in luogo detto val di Collina ma sito in territorio di Timau, comune di Paluzza) fossero un tempo proprietà della stessa villa di Collina, e da questa cedute per finanziare la costruzione del coro della chiesa di s. Michele. La tesi è suggestiva e trova qualche indubbio riferimento nella toponomastica dei luoghi: (casera val di Collina, malga Collinetta di sopra e di sotto etc.), ma mentre questa asserita proprietà non trova alcun supporto documentale è al contrario documentato come i Collinotti fossero affittuari dell'alpeggio di val di Collina, beneficio al quale rinunciarono verso la metà del XV secolo per il grave stato di indigenza nel quale versava la villa. Il tema è argomento principale del saggio Ab (v. bibliografia). 

  261. AZ. 

  262. Ugo Pellis in Forum Iulii, Rivista di scienze e lettere II, 276. Altre autorevoli voci non concordano tuttavia con questa ricostruzione: “parrebbe di poter risalire ad un preromano *ambli- non altrimenti identificato” (la sottolineatura è nel testo). Così Pellegrini in Giovanni Batt. Pellegrini-Alberto Zamboni, DESF-Flora popolare friulana, Casamassima, Udine 1982, pp. 46-47. 

  263. Instrumento di confine fatto da S. Osualdo Barbolano a S. Nicolò suo figlio, 1677 APC. 

  264. Pagamento di dotte et fine remisione Fatta da S.r S.r Zuanne Tamusino; et Tomaso di Tamer, hà S.r Nicolò Barbolano loro Socero, 1712, APC. In questo documento, lo stesso Nicolò Barbolano “figlio” nel documento di cui alla nota precedente assegna la dote alle figlie tramite un complicatissimo giro di pegni e garanzie da parte dei generi, in un documento dall’esasperato dettaglio di contanti, condizioni, termini e terreni. Il monte Prativo – o monte del fieno, come più frequentemente si ritrova negli archivi – è il dosso di Creşadìço, così definito per il numero e l’estensione dei prati che lo ricoprivano. 

  265. Le valanghe caddero numerose nel mese di febbraio di quell’anno, dopo un periodo di intensissime nevicate che non solo costrinsero la popolazione a scavare autentiche gallerie per uscire di casa (si racconta che in paese fossero caduti circa 3 metri di neve) ma – evento unico nella memoria locale – fecero temere per la sicurezza stessa dell’abitato di CG. Le valanghe di maggiori dimensioni ebbero tutte origine nella parte superiore del gran dosso che va da Prâ(t) di Àmblis a Creşadìço, a distanza di poche decine di metri l’una dall’altra. Della prima si narra qui sopra: una seconda scese in Clap de Scjalo, una terza terminò la propria corsa alla Ròjo dal Çuét ostruendo la strada. 

  266. Nella lingua parlata di Collina si ha una marcata elisione della t di prât, per una dizione che risulta quasi Pradacumùn. È anche da notare come il da sia un dal (it. “del”) con caduta eufonica della l finale, che regge quindi il genitivo, pertanto differenziandosi rispetto al più comune (nella toponomastica) da, dal, de con il significato di “a”, “ai”, “alle”, oppure “presso”. 

  267. Nel senso di cui alla nota sub Cumùnios

  268. L’espressione in uso per definire il pascolo delle vacche (o il calpestio dei ragazzi) nei prati privati ancora da falciare era in dam, letteralmente “in danno”. 

  269. Quale che sia la sua ragion d’essere, il toponimo trova comunque un confratello friulano in comune di Alesso, dove abbiamo un Riù de Cóut

  270. A Prato Carnico il termine muta in lìara (NP520). 

  271. Puàrt dovette essere (e probabilmente ancora è) toponimo assai frequente lungo il percorso del legname per il Degano e il Tagliamento. Lungo quest’ultimo segnalo il Puàrt dal Cjarantàn in comune di Osoppo, in Mino Blason, Da Golena… ai Pisins, La toponomastica di Osôf sul cricâ dal XXIm secul, Comun di Osôf 2004. 

  272. L'insufficiente grado di maturazione di molti raccolti (segale, orzo, la stessa canapa) costituiva un problema ricorrente nell'economia quasi autarchica della Collina d'antan. Se la canapa necessitava della graticola esposta al sole, l'orzo veniva messo a dérgi sul solaio del fienile. L'operazione consisteva nel porre i fasci di orzo capovolti a cavallo di lunghi bastoni: l'ambiente secco e gli ultimi tepori del sole che scaldavano il tetto e il solaio contribuivano a terminare un'opera che la sola natura non era in grado di portare a compimento. 

  273. È “Ponte Coverto” nella Kriegskarte (VZ). 

  274. Transazione fra Givigliana e Collina dei confini, 1765, Archivio Privato, Rigolato. 

  275. V. 6 nota 6 in Appendice, 1 - Perizia Pascoli

  276. Per curiosa coincidenza(?) le tre citazioni dantesche di questo lavoro (rispettivamente ai lemmi Cjampēi di Clàpos, Infièr e questo stesso) non solo sono tutte ambientate nell'Inferno (càpita...), ma hanno tutte per oggetto Malebolge e due di esse ("chiappa" e "lena") sono nel medesimo canto della Commedia, separate da pochi versi e da pochi metri lungo l’erta salita in Malebolge: La lena m'era del polmon sì munta / quand'io fui su, ch'i' non potea più oltre, / anzi m'assisi ne la prima giunta (Inferno XXIV, 43-45). L'infernale (sic) scoscendimento del pendio lascia poco spazio ad una radice nel lat. lenis = dolce, moderato (REW4977), come altrove proposto per Agolèno (Acqualena, Fr25), affluente di dx del Degano in frazione di Avoltri. Così come la nostra Ribolèno, il corso e la storia del rio Agolèno (traboccante di autentica furia distruttrice in occasione delle frequenti piene) davvero non suggeriscono l’idea di lentezza e dolcezza. 

  277. V. nota 3 in Appendice, 1 - Perizia Pascoli

  278. È la casa-casata detta per l’appunto di Riù, AP65. 

  279. Stima dei beni di Maddalena qm Zuane di Carono…, 1694, APC. 

  280. Questa etimologia è proposta anche per vari altri toponimi in Friuli (Fr27). 

  281. Il nostro rio è infatti denominato “Rio di Peccol” nella Kriegskarte (VZ). 

  282. Con significato simile al nostro si ha una Cjamara dal Landri a Toppo, in comune di Travesio (v. Ippolito Marmai, Siti archeologici del comune di Travesio, Comune di Travesio, Travesio - 2001, p.18). 

  283. Quanto all’assenza di questo immaginario collettivo a Collina, in passato ho avanzato l'ipotesi – forse impietosa, ma non per questo meno verosimile – che una vita così dura e difficile come quella dei Collinotti non lasciasse molto tempo, e soprattutto energie, da dedicare al soprannaturale (tout compris) o al paranaturale. In altre parole, nel tempo la popolazione si è dotata di un “senso pratico”, ormai codificato nel DNA, che lascia poco spazio all'effimero e, più in generale, all'immaginazione fine a sé stessa (o comunque percepita come tale). Una sorta di “scetticismo cosmico” ante litteram, insomma.
    Di ritorno a gnomi ed elfi, nell'immaginario popolare di Collina è tuttalpiù rintracciabile la presenza di generiche strìos (le onnipresenti e indifferenziate “streghe”) e della şgnacheôso ("mocciosa" nel senso letterale del termine), insieme a qualche vaga menzione del mito dei danâts – i Dannati – spesso con riferimenti a persone e fatti reali del paese; oppure si ricorda, in tempi relativamente recenti, un non meglio definito boboròš, con funzione deterrente nei confronti dei bambini (… 'i clami lu boboròš!) e di natura apparentemente più onomatopeica che altro. Un babau, insomma. Una volta di più, fantasia sì, ma pur sempre con i piedi per terra… 

  284. VZ. 

  285. Fr28. 

  286. È possibile che fossero quei di Sigilletto a portare il loro ormènt al pascolo lungo il corso inferiore del rio, e che ad essi debba farsi risalire la denominazione. 

  287. V. note 11 e 12 in Appendice, 1 - Perizia Pascoli

  288. Come abbiamo avuto modo di rappresentare altrove (AP), i soprannomi reciprocamente affibbiati dai villici erano di una generalizzata, innocente(?) crudeltà. Il minimo fallo, il più piccolo difetto fisico o comportamentale diveniva occasione di nascita, sviluppo e sedimentazione di soprannomi, ai limiti dell’ingiuria e anche oltre, giunti fino a noi a distanza di secoli. Fosse cattiveria o necessità di identificazione, non sapremo mai (o sì?). 

  289. Nella toponomastica di Collina la qualità dei ròncs è generalmente peggiore di quella dei runcs

  290. È la voce autorevole di Giovanni Battista Corgnali a sollevare qualche perplessità in proposito. “Sul cont de peraule ronc … une robe no je stade incjmò mitude in evidenze: valadì il fat che in grandissime majorance i nestris nons di lûc di cheste categorie e àn te lôr lidrîs un -o-, mentri che dome te proporzion dal 15 par cent si cjate un -u-, e chest -u- al è dome in Cjargne e dilà da l’Aghe: Runc, Runcs, Runcjadis, ec. A colp di voli no si bade plui che tant a cheste diferenze, e si pense che Runc al sedi une pure variant di Ronc, o viceviarse.Ma al podares ancje dâsi che si trati di dôs formis indipendentis. Cjosse duncje di studiâsi biel plancùt. Finore o ài podût intravignî che la forme Runc che s’incuintre in Cjargne e cjate compagnie no in Cjadovri…, ma plui in dentri (Pusterìe, val Sarentine, Badìe-Marebe, Bressanon, val Venoste): Rungg, Rungatsch, Runk, Runge…”. Giovanni Battista Corgnali in Ce fastu?, Rivista della Società Filologica Friulana “G.I. Ascoli”, 1965-67, p. 221. Come molte altre, devo anche questa segnalazione a Enos Costantini. 

  291. Nuovamente, siamo in presenza di un toponimo pressoché ubiquitario: numerosissime località con questa etimologia sono disseminate nell’italia centro-settentrionale, da Ronciglione (Viterbo, DT553) a Ronco Canavese (Torino, DT554) a Ronchi dei Legionari (Gorizia, Fr104). Sebbene ormai privo di batraci come quasi tutta la bassa padana, a Milano esiste tuttora un Ronchetto delle Rane: già tipico piatto della bassa milanese e pavese, le rane sono state completamente sterminate dai diserbanti. 

  292. Il luogo è definito “Prati sopra Creşadìço“ (DC). 

  293. Il termine sembra coerente con ronciàde = i getti recenti dei boschi tagliati di fresco (NP896) ma non altrettanto con il significato letterale di ronciadizze = monconi delle canne di granturco e di saggina, colle loro radici,che rimangono nel campo dopo la mietitura (NP896). 

  294. V. nota s.v. Agâr dal Cjavàl

  295. In queste stesse pagine si vedano le numerose menzioni del Rotolo del cameraro di s. Michele

  296. NP893. Un allargamento del significato di ròdul si trova in NP1145 s.v. suàrt, dove il termine è associato il significato di “fascia di terreno” la cui assegnazione si rinnovava ogni anno fra gli utenti. Per una trattazione più allargata v. Elwys De Stefani in Ce Fastu?, Rivista della Società Filologica Friulana G.I. Ascoli, LXXVI (2000) 2, p. 188. 

  297. Si veda al proposito Stefano Barbacetto, Tanto del ricco quanto del povero, Edizioni del Coordinamento dei Circoli Culturali della Carnia, 2000, nota 77 a p. 71 ove si legge: In qualche comunità particolarmente conservativa, come in quella della villa di Trava, la carica di Meriga doveva essere esercitata, a turno, da tutte le famiglie originarie (rotolazione). Il principio della “rotolazione forzosa” doveva peraltro essere piuttosto diffuso fra le comunità alpine nordorientali. A proposito delle Regole d'Ampezzo ne tratta Stefano Lorenzi de ra Becaria in Rodoleto: tradizione da non dimenticare, in Ciasa de ra Regoles, Anno XXIII-n. 134, gennaio 2012, dove il rodoleto è la evidente versione ampezzana del nostro ruédol

  298. Termine più calzante è (s)natura, a indicare che fra hostarie, skilift, tendoni e quant’altro davvero c’è di tutto un po’, dal buono al cattivo al decisamente esecrabile (e, temo, irrimediabile). Velenoso commento di nemico del progresso e di fautore del ritorno coatto a scarpéts e galòços, a geis e çàfos, a maçarots e salvans (attrezzi e personaggi comunque poco domestici agli innovatori pro domo sua)? L’insinuazione – non nuova né disinteressata – è evidentemente risibile, richiamando da vicino le altrettanto disinteressate perorazioni dei costruttori dei grattacieli di Punta Perotti o dell’Amalfitana Hotel (il “mostro di Fuenti”) davanti ai giudici. Giudici che – scoperti antiprogressisti e retrivi vessatori del sano spirito imprenditoriale, novelli emuli dell’Inquisitore – decretarono l’abbattimento dei mostri abusivi. A noi che intendiamo diversamente sviluppo e progresso e civiltà, più che Torquemada i giudici abbattitori ricordano san Giorgio. E i mostri, infine, caddero. 

  299. In alcune non meglio identificate carte topografiche pare fosse riportato il toponimo “Runc di Piazza”, traduzione letterale del nostro. 

  300. V. nota s.v. Cjasarîl

  301. Il primo Di Qual (Giovanni Battista) giunse da Valpicetto (Rigolato) nel 1703; il secondo (Pietro) giunse da Stalis (Rigolato) nel 1874. È probabile che siano solo omonimi, ma non parenti. V. anche CF306. 

  302. AP37 e nucleo familiare Di Qual in CDRom. 

  303. È dunque estremamente probabile che sia di Cuàl e non Di Qual. Sfortunatamente, a differenza di Só(t)Cuàl (v.) non ne possediamo la certezza documentale. 

  304. DC lo definisce “Runc di Plan di Rôşo”. Trattandosi del medesimo toponimo (seppure con qualche approssimazione, DC lo colloca nella stessa area), non mi sento di escludere che questa sia la forma corretta, o che coesistessero entrambe, quella attuale e quella riportata da DC. 

  305. Nella parlata di Collina è in uso, non frequentissimo e soprattutto fra le persone più anziane, il diminutivo di riù, riùšul

  306. Solo nella sua parte mediana il corso si fa meno ripido: è qui che fu costruita la casêro dal Còmpet, detta anche la Mònt (v. nota in calce a quest’ultimo toponimo). 

  307. Rr. 51-57 PP. 

  308. Della Ruvîš e delle sue malefatte si è ampiamente trattato nel capitolo sulle Vie di comunicazione. V. anche nota 7 in Appendice, 1 - Perizia Pascoli

  309. È Ruvis da bas nel testo. 

  310. Scjalìn (Sc273, NP965) è propriamente il gradino della scala, mentre scjalòt ha attinenza con il puro aspetto funzionale del gradino stesso, generico facilitatore della salita. Le pietre infitte nei muri di sostegno delle strade allo scopo di facilitare l’accesso ai prati soprastanti sono scjalòts, come pure il passaggio su roccia lungo il sentiero che da Monte Croce Carnico sale alla Forcjo di Morarìot è detto la scjalòto (e non la scjalo o la scjalinado), 

  311. Allo scopo gli abitanti di CP utilizzavano il ponte sul Riù di Cuéstos, ma senza perciò denominare il luogo Scovaçâr

  312. Il quale scrive “il Capoluogo della carta” (DC). 

  313. Alcuni - evidentemente digiuni di microtoponomastica locale e di topografia ma memori di gite oratoriali in Dolomiti - verbalmente e per iscritto, e anche in sede "ufficiale", si ostinano a gratificare la Sièlo del titolo un po' ampolloso ma decisamente improprio di "passo". "Passo Sella" come se l'Agâr dal Furlàn e i Laštròns, rispettivamente a sinistra e destra della Sièlo per chi guarda da Collina, fossero val Gardena e val di Fassa, e il corno della Piràmido niente meno che il Sassolungo... 

  314. Riçòt è probabilmente Pietro Antonio Tamussin di Zuane (1734-1791), fondatore della omonima casa/casata di Riçòt a CG. Il nome della segheria va inteso come denominazione della casata, e non necessariamente del fondatore. 

  315. Viventi ancora alcuni involontari protagonisti e comparse di dette parodie, mi vedo costretto a ricusare ogni invito alla pubblicazione di cotanta opera d’arte. Nulla di offensivo, beninteso, ma i soggetti-oggetti potrebbero comunque non gradire… 

  316. Più precisamente – e forse inevitabilmente – il soggetto era il vino, variamente declinato: il recalcitrante mulo carico di damigiane (non completamente piene, si direbbe, almeno a giudicare dal naso degli alpini comandati a trasportarle), il cacciatore ubriaco che spara al proprio cane, ecc. 

  317. V. nota s.v. Cjasarîl. Abbastanza curiosamente, l’edificio che si trova immediatamente sotto Socuàl (una sorta di sót- sót Cuàl), casa detta de Fuséto o da Pio (AP252), fu abitazione proprio dei Di Qual… 

  318. Rotolo del cameraro di san Michele di Collina, 1595-1605, APC. 

  319. V. anche Sapoç in Enos Costantini, op. cit., p. 20. La grande abbondanza di ottime sorgenti e, più in generale, di acque in superficie rende superflua l’escavazione di pozzi per l’estrazione di acque sotterranee, prassi quest’ultima del tutto sconosciuta a Collina. 

  320. Cn. 

  321. Logica vuole che i primi insediamenti abbiano avuto luogo nelle immediate vicinanze di qualche sorgente o corso d’acqua: a CP probabilmente in Riù (v.), a CG forse in Murìt (AP94). 

  322. Aquisto (sic) dell sig.r Antonio Casina da S. Benedetto Barbolano per pretio de d:ti 30, 1672, APC. 

  323. Nella parlata di Collina il significato di basso non si ferma tuttavia al solo significato riportato nel toponimo con lo stesso nome: mutato in sostantivo, sta a indicare la soglia della porta o della finestra (Sc19). Sul terreno il toponimo può legare con entrambi i significati, in quanto la Basso è tanto accesso o “soglia” del luogo contiguo, Sót Póç, quanto… bassa: la Basso è infatti a livello lievemente inferiore rispetto al terreno-toponimo a cui prelude, costituendo per esso un'autentica ma valicabilissima soglia. Tuttavia, entrambe sembrano ipotesi remote rispetto alla principale suesposta. 

  324. Si noti come, nuovamente, non esista un luogo fisico de Glîsio altro della sola chiesa e sagrato della stessa (già il cimitero è tal žimitéri e non de Glîsio), e non ai terreni circostanti che sono tutti diversamente definiti (Valgèlo, Palù ecc.). 

  325. Pagamento di dotte et fine remisione Fatta da S.r S.r Zuanne Tamusino; et Tomaso di Tamer, hà S.r Nicolò Barbolano loro Suocero, 1712, APC. 

  326. Solo due di questi hanno denominazione propria: da E a O (da dx a sx di chi osserva dal basso), Spàdolo, senza nome, Pecolàt, senza nome (coincide con lo spallone che scende di Caròno). 

  327. Recupera di M. Nicolò Barbolano da M. Nicolò Toch d'un bene prativo in loco chiamato chiamp sora stallaton, 1683, APC. V. anche la nota s.v. Cjasarîl

  328. Confessione di Gion Giacomo Barbolano…, 1787, APC. La Codo di Stalatòn è una diretta testimonianza della frammentazione della proprietà fondiaria già in atto in tempi forse insospettati. La còdo in questione è una sottile striscia di terreno che dalla Navo si protende entro Stalatòn a guisa di coda, probabile frutto di successive divisioni di terre pregiate (Stalatòn è certamente fra queste) fra eredi. In tempi più recenti, la frammentazione di questo terreno è bene evidenziata dalla nota fotografia che ritrae Collina e i terreni a N di essa (1907). 

  329. In realtà il termine stâli identifica l’intero fabbricato, con piano terreno in muratura e sopralzi in legno, comprendente lu cjùot (la stalla dei bovini, al pianterreno), lu stâli p.d. (il fienile, al primo piano), lu stài (per la maturazione della granaglie, al secondo piano) e infine, sotto il culmine del tetto, lu stajùt. Questa definizione canonica vale per lo stâli principale, situato all’interno dell’abitato o nelle sue immediate vicinanze. Lo schema talvolta si semplifica negli stâlis più lontani dove, pur mantenendo la struttura in muratura al piano terreno, con relativa stalla per il bestiame, la costruzione è spesso ridotta a tre o due soli piani. 

  330. Il toponimo identifica tanto il rio che la frana. Invece della Ruvîs di Stâli, DC rileva una Clapo de Ruvîš di Stâli quale “Rio franoso a E di Collina”, indicazione assai approssimativa alla quale questo luogo comunque corrisponde. Non è chiaro a che cosa si riferisca la suddetta Clàpo (per l’etimologia, v. Cjampēi di Clàpos), dal momento che qui non si rileva alcunchè di significativo con queste caratteristiche. È probabile che le consistenti opere effettuate lungo il rio e sulla frana abbiano rimosso o cancellato la Clàpo dal terreno e dalla toponomastica. 

  331. Le case di Gorto avevano tipicamente il tetto a quattro spioventi molto inclinati, uguali a due a due, con gli spioventi più piccoli ai lati dell’edificio. 

  332. Sterpet e Sterpêts in comune di Gonârs, DC 128. 

  333. Muovendo da Cjamavùor la strada toccava Sôro ju Prâts, Plan dal Véspol, Avièrt, Cjalgjadùor, Furcùço, Ğùof Dabàs, Ğùof Dadàlt, Belvedère, Crèto Blàncjo

  334. A scanso di spiacevoli inconvenienti a carico di occasionali escursionisti, sottolineo come il sentiero-mulattiera sia decisamente impraticabile nella sua parte superiore, tanto in salita che in discesa e in qualsiasi stagione. Particolarmente d’inverno, dalla vetta di Crèto Blàncjo la prospettiva della discesa è tanto attraente quanto ingannevole, e in caso di neve alta può trasformarsi in un autentico incubo. 

  335. DC131. 

  336. Rispettivamente, romice (Rumex Crispus e Rumex Alpinus) e panace (Heracleum Sphondylium), piante idrofile abbondantissime lungo i corsi d’acqua e nelle zone umide. 

  337. Acquisto di Ms. Nicolò fig.lo di S. Osualdo Barbolano et S. Tomaso Toch mediante la scorporazione fatta dalli Beni di Zuanne qm Vitto Betan…, 1689, APC. 

  338. Le probabilità che non si tratti di una donna sono davvero infime. Tuto sta certamente con le Anùto, Mariùto, Bipinùto, Vigjùto e quant’altre succedutesi nei secoli a Collina. Con tutta probabilità è infatti il diminutivo di una delle 16 Santa o Santina (attraverso Santo→Santùto→Tuto) che si ritrovano in anagrafe dal 1803 al 1898. 

  339. Nel linguaggio parlato, l’espressione corrente è junvàl, agglutinazione di ju in val, lett. “giù in valle”. 

  340. L’associazione di Val con questo toponimo che si ritrova nel catasto d’epoca napoleonica è arbitraria ma anche, tutto considerato, non irragionevole. 

  341. Identica grafia (e genere: anche questo termine è femm.!) ma significato totalmente diverso per val = vaglio o vassoia per mondare i cereali (Sc342, NP1255), dal lat. vallus di identico significato (REW9136). Questa val consisteva in una cesta di vimini con un lato abbassato, ed era utilizzata anche per il trasporto delle interiora del maiale al luogo deputato per il lavaggio (v. Pìçulo Ròjo e Rujùto). E, a ben guardare, la forma di Val non è poi così dissimile da una val… 

  342. Recupero di Ms. Nicolò fig.lo de Ms. Osualdo olim Zuanne Barbolano da D. GioBatta di sora d'un prato in loco detto Val d'Antugnas (recupero di fondo dato in pegno contro prestito in moneta, n.d.a.), 1684, APC. 

  343. Si noti come in questa approssimativa ricostruzione della genesi del toponimo la funzione di de non sia quella della preposizione italiana “di”, ma piuttosto quella della preposizione articolata”alla” o “presso la”. In tal modo la fantasiosa (ma non poi molto) ricostruzione diviene un verosimile “…laggiù in Val, presso la Gòto”. 

  344. Stima dei beni di Maddalena qm Zuane di Carono…, 1694, APC. 

  345. Poche centinaia di metri al di fuori dei confini di Collina, a Sigilletto, in posizione assai riparata ed esposta a sud troviamo il luogo che la TU definisce Vespoléit, un autentico faggeto d.o.c.. 

  346. È la c.d. “via del Lastròn” menzionata nella Guida della Carnia (Mn576). 

  347. È possibile che il termine Vèto si riferisca invece al piccolo avancorpo roccioso, poco più di un gendarme, che si trova nelle vicinanze dello sbocco della via del Lastròn sul crestone SE che scende dalla vetta del m. Canale. 

  348. Nulla a che vedere con viàç = viaggio, ma solo spregiativo masch. di vìo

  349. Fra questi, l’acquirente nel 1867 della non lontana malga Cjampēi (prezzo 9000 lire), Nicola Pascolin da Sigilletto, detto Culàu

  350. Il vì- agglutinato è usatissimo a Collina, quasi sempre associato ad un’idea di moto a luogo (più precisamente, dal luogo ove si trova chi parla al luogo ove si trova ciò di cui si parla). In questo lavoro, oltre a Vidàrios troviamo Virùncs e Viculìno, ma la casistica nel linguaggio corrente è assai più ampia, da vicjàso (“là a casa”) a vištùo (“là in sala”) ecc. D’alta parte, oltre a vi- sono correntemente in uso altre forme agglutinate di preposizioni di luogo: su- (“su”), ad es. in su(d)àlt (“su di sopra”), e ju- (“giù”), ad es. in jubàs (“in basso” o “per terra”) e ju(n)cjàveno (“giù in cantina”). 

  351. Non mi sembra confacente per questo luogo l’etimologia proposta in Fr28 per il toponimo Àriis et al. (nel lat. area = spianata), in quanto priva di riscontro sul territorio: il terreno è qui in pendio uniforme e senza interruzioni, a eccezione del gradino artificiale della strada costruita nel 1915-1920 (e quindi di gran lunga posteriore al toponimo). 

  352. V. nota 6 in Appendice, 1 - Perizia Pascoli

  353. Oltre alla nostra, troviamo una via Vidrina a Chialina fraz. Di Ovaro, un locus Vidrina a Leno (BS), una loc. Vidrine (o Vedrine) a Lumezzane (BS). 

  354. …nel luoco solito della Pubblica Vicinia di questo onorando Commune di Collina maggiore e minore dettisi di Vidrinis… (21 agosto 1774), APC. 

  355. Procura data dal Onorado Comune di Colina Riguardo le Diferenze e Contestative col Sig.r Mansionario Bonano, 1795, APC. 

  356. Fino al termine del potere patriarcale (1420), il potere giudiziario in materia civile e religiosa fu prerogativa del feudatario/vescovo, il Patriarca di Aquileia, che lo esercitava tanto attraverso le sue emanazioni gerarchiche (rispettivamente il Gastaldo di Tolmezzo e l’Abate di Moggio), quanto direttamente in ultimo grado di giudizio. Con l’annessione alla Serenissima anche il potere giudiziario fu prerogativa di quest’ultima, che incorporò la gastaldia nelle proprie strutture . 

  357. Fino alla seconda metà dell’800, l’abitato di CG era concentrato lungo il pendio dall’attuale Albergo Volaia in direzione della chiesa. Il limite occidentale dell’abitato era costituito da due case site l’una in luogo dell’attuale parcheggio dell’Albergo Cogliàns, l’altra in posizione adiacente alla prima, in mezzo all’attuale strada. 

  358. 1902 – Giovanni Gaier di Valentino si mise a costruire la casa di Vidrìnos… Cn. 

  359. Il primo edificio a sorgere in Vidrìnos fu la nuova Latteria (1884-1885): ad essa fecero seguito numerosi altri, a partire dal 1902 (AP72-75). 

  360. Mi sembra tuttavia poco probabile una diretta origine in vicinia (REW9310a, in friulano vicìnie, NP1272 manca in Sc), l’adunanza dei capifamiglia del Comune per discutere e deliberare delle cose d’interesse generale. A tal proposito, si noti che il termine in uso – ab antiquo – nella parlata di Collina per indicare la vicinia non è in ogni caso viğanìo, ma bensì vişinanço (Sc351). 

  361. Non mi sento di prendere la scorciatoia che metterebbe Vio sopra Sorovìo, o viceversa. Molto meglio dubitare, e astenersi. 

  362. Preceduto dalla preposizione a, rét diventa avverbio: lâ a rét = andare diritto, ma anche salire o scendere lungo la linea di massima pendenza (lâ surét, lâ jurét). 

  363. Enos Costantini è in disaccordo con questa ricostruzione etimologica, propendendo invece per una interpretazione legata al passaggio degli armenti, una sorta di “armentarezza”. Pur tenendo in grande considerazione opinioni e insegnamenti dell’amico Enos, insisto nella mia interpretazione, anche se per ragioni storiche e logistiche, e non filologiche. A monte del sentiero non v’era alcunché che potesse suggerire o anche solo giustificare il passaggio di armenti (una coppia di buoi non fa un “armento”). Inoltre, il viottolo era eccessivamente ripido e malagevole per il bestiame, il cui eventuale passaggio sarebbe certamente stato più agevole lungo la via normale (a soli 150 metri) piuttosto che per questa scorciatoia.
    Una “via Montarezza” esiste anche a Chions (PN) e a Dolegnano, frazione di San Giovanni al Natisone (UD), come pure una località con questo nome si ritrova in comune di Barcis (PN), ma qui davvero non saprei dire con quale radice storica o etimologica. 

  364. V. nota 8 in Appendice, 1 - Perizia Pascoli

  365. A breve distanza da Collina si veda Vuèzzis, frazione di Rigolato (Fr126). Al di fuori delle regioni indicate si trovano Vizza e Vizzà in provincia di La Spezia, ma forse con significato diverso dal nostro. 

  366. Sc352. Scarbolo incorre qui in una piccola inesattezza, in quanto i comuni proprietari della Vizza erano solo originariamente 7 (Ovaro, Mione, Comeglians, Monaio, Prato Carnico, Rigolato e Forni Avoltri). Nel 1807, con l’accorpamento di Mione al comune di Ovaro i comuni divennero 6, pur mantenendo a 7 il numero delle quote (Ovaro ne possiede quindi 2: una per sé e una per Mione). 

  367. APC. La sanzione è irrogata dal “Gastaldo e Giudici di Tolmezzo”, ciò che fa chiaramente intendere come la violazione delle regole della vizza (o almeno di alcune di esse) fosse di competenza della giustizia ordinaria. Dalla sanzione ben si comprende anche come valesse, almeno per quel genere di infrazione, il principio della responsabilità oggettiva: il crimine è commesso da ignoti, ma la sanzione colpisce i “capi del Comune di Collina”, evidentemente in “rappresentanza” del paese stesso. Resta ancora da comprendere – ma non lo sapremo mai – se sia sanzionata la villa di Collina perché le “ignote persone” non sono poi così ignote, ovvero sussistano indizi o prove che le piante trafugate sono finite a Collina e non altrove; in alternativa, non è da escludere che la sanzione sia irrogata personalmente ai capi stessi del Comune (e dunque non alla comunità intera) per omessa vigilanza sulla parte di vizza di competenza del Comune di Collina. 

  368. Heinz-Dieter Pohl, Bergnamen in Österreich, 2. Die Namen der bekanntesten Kärntner Berge. La "M" di Molaja è da attribuire alla particolare pronunzia carinziana, in quanto "il fonema /v/ è pronunziato bilabiale [w] nel dialetto carinziano: non solo nel caso di Wolaja (Molaja, 1785, di origine romanza), ma anche in Valentinalm (1718 Möledin, con origine slava in voletina 'pascolo dei buoi')". Inf. priv. Pohl. 

  369. Mi era sembrato che una conferma indiretta all'etimologia potesse venire dalla Kriegskarte (VZ), dove il valico come tale è senza nome ma in corrispondenza del passo p.d. sono riportate due frecce a indicare le due possibili direzioni di transito per chi proviene da Collina: l’una, accompagnata dall’indicazione “Mauten e Monte Croce”, volge a E verso il Valentin Törl; l’altra punta a N, “nella Vall aÿa” (sic). Grafia, quest’ultima, decisamente curiosa (si noti soprattutto l’umlaut sulla ÿ) e non dissimile dall’etimologia ipotizzata. 

  370. Già Eduard Pichlhütte, ha mutato denominazione nel 2002. Da Luigi e Michele Gortani il lago è invece indicato come "Lago di M. Canale", denominazione senza altri riscontri noti (Carta botanica, allegato a Go). 

  371. Quasi due secoli or sono il termine Caròno Ròsso conobbe anche il sapore dell’ufficialità grazie alla correttezza dei regi imperiali cartografi di Ferdinando V. Il termine culinòt compare infatti, volto in italiano, in una mappa austroungarica del 1840 per denominare così – “monti della Corona Rossa” – ciò che in precedenza era stato nella Kriegskarte denominato “Grotte di Colina” (v. Crèto di Cjanâl), e oggi in tedesco è detto Biegengebirge (letteralmente “montagne ad arco”). Successivamente i cartografi del belpaese – forse nell’intento di innalzare il rango di una toponomastica così provinciale, forse in un impeto di creatività – per definire esattamente gli stessi monti caveranno dal cilindro l’originale(?) neologismo “monti di Volaia”. 

  372. La discesa lungo il Wolayertal fino al fondovalle del Gail è lunghissima e conduce all'abitato di Nostra e quindi a Birnbaum, piccolo villaggio del Lesachtal (l’alta valle del Gail) ancora lontanissimo dalle principali arterie viabili. Per questa ragione, chi transita da Volaia diretto all'Austria interna preferisce la salita al Valentin Törl e la successiva discesa alla strada di Monte Croce, che porta direttamente a Mauthen e Kötschach e alla viabilità principale austriaca. 

  373. Fra '800 e '900, in un impulso di romanticismo fuori tempo massimo si è assistito a un’autentica mitizzazione del cacciatore-alpinista-contrabbandiere poi acriticamente ripresa anche da autori contemporanei con episodi più inventati di sana pianta che neppure verosimili, e soprattutto riportati, con assai dubbio gusto, al limite del feuilleton e del trash e anche un poco oltre. V. nota 57 nel bel lavoro di Adelchi Puschiasis Collina e l’alpinismo, ovvero l’alpinismo a Collina. Alpigiani dell’Alto Gorto nell’epoca semieroica dell’alpinismo

  374. Walther Schaumann, op. cit., p. 255.