COLLINA E L'ALPINISMO
ovvero l'alpinismo a Collina

Alpigiani dell’Alto Gorto nell’epoca semieroica dell’alpinismo

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Scarica questo file (Alpinismo132.pdf)Collina e l’alpinismo ovvero l’alpinismo a Collina[versione 1.3.2 del 7-8-2016]1483 Downloads

A CAVALLO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO

Collina si trova in Carnia, nell'alta Val di Gorto, a ridosso del confine con la Carinzia, ai piedi del monte Cogliàns, la vetta più elevata del Friuli; dall'inizio dell'Ottocento ad oggi ha sempre fatto parte del comune di Forni Avoltri.

A dispetto del nome, che richiama rilievi ben più modesti, giace «nella più alpestre e scoscesa situazione, forse d'ogni altra della Provincia»1. Sempre contro ogni apparenza, «Collina» è nome collettivo, o meglio duale, poiché designa l'insieme di due ville contigue, quasi omonime, eppur distinte:

  • Culino grando/Collina grande;
  • Culino piçulo/Collina piccola, ovvero Collinetta2.
Ricordo e saluti da Collina

La «Guida della Carnia» e Collina

La «Guida della Carnia» del 1906, dopo averne evidenziato l'importanza alpinistica, in quanto «per altitudine (1250 m.), è il terzo luogo abitato del Friuli, venendo tosto dopo Sàuris di Sopra (1390 m.) e di Latteis (1250-1300 m.)» e in quanto «sorge in una conca alpina veramente stupenda, dominata dal massimo dei nostri colossi e circondata da cime importantissime», ne fa una breve descrizione, probabilmente valida anche per la Collina di qualche tempo posteriore3.

L'abitato «presenta un certo aspetto pittoresco con le sue basse case costruite in legno con piani in muratura e coperte di paglia e raramente di scandole, per cui molte son prive di camino per la paura del fuoco»4. La popolazione, coi suoi 366 abitanti (222 a Collina e 144 a Collinetta), è «scarsa»5, ma «di non comune bellezza e vigoria» e parla «una varietà del carnico singolarmente diversa dal dialetto comune, nel quale odesi una specie di ü lombardo, e le s diventano striscianti e molte delle e o della a del friulano suonano o od io»6.

Quanto alle attività economiche «il clima non permette la coltura che del frumento, della segala, dell'orzo, delle patate, dei cappucci e della canapa, che la limitata campagna dà in quantità di gran lunga insufficiente ai bisogni della popolazione. Perciò le vere fonti di vita stanno nei boschi, specialmente di abeti, alcuni dei quali veramente ammirabili, e nei pascoli»7. L'emigrazione temporanea non viene menzionata in questa occasione8. Nel comune di Forni Avoltri il censimento del 1901 conteggiò 178 emigranti su 1387 residenti (corrispondenti al 12,8% della popolazione)9.

Tra i primati dei collinotti vengono ricordati quello dell'istituzione della prima latteria sociale della provincia di Udine, avvenuta 1881 per impulso del maestro Eugenio Caneva, e di una stazione meteorologica, attiva dal 1875, cui si devono «osservazioni pluviometriche e termometriche, proseguite per 22 anni»10.

Mulini di Collinetta

Gli abitanti di Collina nel 1878

Nella descrizione della «Guida» riecheggiano le risposte di Giovanni Marinelli ai quesiti postigli, quasi un trentennio prima, da Cesare Lombroso11 (un estratto significativo dell'articolo è racchiuso nel riquadro sottostante). Da esse emerge una descrizione geografica ancor più dettagliata e guarnita con riferimenti a «esplorazioni» e «misurazioni» altimetriche appena svolte12.

Così, il clima «è freddo, ma, come a Sauris, mancano affatto osservazioni meteoriche serie. Da circa un anno io però ho potuto quivi fondare un osservatorio pluviometrico, dal quale finora mi sembra ricavare che a Collina piova meno e nevichi di più (ma non molto più) che nel resto della Carnia. Dal Gennaio all'Aprile vi caddero circa 2300mm di neve e l'ultima neve fioccò il giorno 30 Aprile»13.

Gli abitanti, parte dei quali emigra annualmente in Germania, si cibano in prevalenza di «polenta di granoturco (senza sale), pane di frumento e di segale, latticini, carne salata o fumata, patate, fave, baccelli, fagiuoli»14. Mancano strade carreggiabili; le vie di comunicazione sono costituite da «sentieri pedonali, di cui il più breve, che conduce al capo comune, Forni Avoltri, è ancora lungo due ore»15.

Giovanni Marinelli e gli abitanti di Collina nel 1878
  1. Non sembra che vi sieno notevoli divergenze fra la docilità degli abitanti di Collina e quella dei comuni limitrofi.
  2. Non puossi dire se più intelligenti degli altri; certamente intelligentissimi sono e pronti al pari degli altri Carnici, che già appariscono d'ingegno acuto per sé.
  3. Sono molto vivaci, allegri e coraggiosi.
  4. Sono molto atti agli esercizi muscolari. In genere la carica che prende una Collinotta è maggiore di quella che porta una donna della valle. Per esempio di solito le donne di Collina prendono a Rigolato da 45 a 55 e, perfino, a 60 chilogr. di grano e con quello salgono i 500 m. di ripidissima ascesa che forma il sentiero che passa presso Givigliana in circa 1 ora e mezza. È una cosa incredibile. Di più gli uomini sono in gran parte dediti al[ai] lavori del boscaiuolo, lavori che esigono una grande robustezza, ed è altresì a tale mestiere, che si dedicano quasi tutti gli emigranti da Collina, di preferenza a qualunque altro paese. Le guide e i portatori Collinotti, che provai nelle escursioni alpine, furono sempre fra i più robusti, di cui abbia memoria.
  5. Intorno alla disposizione alla Venere, le mie informazioni sono contraddittorie. La fama dei Collinotti e delle Collinotte presso gli abitanti dei dintorni è che siano proclivi agli amplessi e di questo avviso sono anche i medici. Invece gli abitanti di Collina respingono decisamente tale accusa.
  6. Una straordinarietà nella prolificazione non si nota; però sembrano piuttosto prolifici considerando l'aumento rapido della popolazione in questi anni. Io però non ho potuto finora procurarmi dati statistici che meglio chiariscano tale questione. In genere fra loro sono rari i nato-morti e rare le operazioni ostetriche.
  7. Di solito il medico (D. Antonio Magrini di Luint) in queste regioni non si presta facilmente a salassare; però si nota una grande tolleranza pel salasso ed anzi molte volte viene perseverantemente e pertinacemente ricercato.
  8. Sono pochissimo anemici; anzi dotati della massima energia, si gli uomini che le donne, prevalendo le masse fibrinose alle sierose.
  9. Sono però più facili all'emorragie di quello non sieno gli abitanti delle circostanti sottoposte vallate.
  10. Le loro funzioni digerenti si riscontrano energiche e pronte alle relative assimilazioni.
  11. Sono piuttosto alti, tarchiati e ben fatti.
  12. Prevalgono i capelli castani e neri. La pelle assume facilmente nelle parti scoperte la tinta bruna.
  13. Testa proporzionata e regolare a tipo carnico.
  14. Hanno torace ampio e rilevato, più che nei Carni di solito non si riscontri. Le donne sono riccamente fornite di muscoli e di adipe; hanno ricche mammelle; fianchi larghissimi; bacino ampio; la schiena nella parte inferiore larga e depressa. Questi tre ultimi fatti, uniti al camminare ondulato, derivano dall'uso di portare pesi enormi nel gerlo tenuto da due ritorte di giunco che passano sopra le spalle e sotto le ascelle, mentre la punta del gerlo va a premere sulle vertebre, alquanto superiormente all'osso sacro.
  15. Intorno al dialetto ho già risposto.
  16. Non diedero uomini distintissimi; però mostrano le medesime attitudini dei Carni. Mostrano molta intelligenza negli affari e nei commerci. Ebbero un molto egregio bachicultore, oggi residente a Dignano d'Istria.
  17. Meno l'industria del boscaiuolo non preferiscono un mestiere ad un altro. Se emigrano, si danno volentieri al piccolo commercio.
  18. Non vi si formano forti ricchezze; ma tutti sono proprietari di qualcosa.
  19. Non sembra che sieno superstiziosi più degli altri Carni, quantunque l'isolamento, in cui, a confronto degli altri, sono costretti a vivere, li giustificherebbe, se lo fossero. Certo non si lasciano maneggiare dai preti.

Giovanni Marinelli, «Note sulle condizioni degli abitanti di Sauris e Collina. Sopra 1300 m», in Cesare Lombroso, Pensiero e meteore. Studi di un alienista, In risposta ai quesiti posteriori del prof. Lombroso, Fratelli Dumorald, Milano 1878, pp. 225-227.

L'approccio apparentemente neutro e «scientifico» di Giovanni Marinelli non riesce a dar forza alle altre considerazioni sugli abitanti di Collina più strettamente vincolate ai quesiti di Cesare Lombroso, piuttosto impressionistiche e inclini ai luoghi comuni, che possono farci sorridere oggi16. Tuttavia esse offrono, indirettamente, spunti curiosi sul «carattere» dei collinotti di allora e svelano dettagli sui loro modi di vita (si veda, al punto «4.», la descrizione degli «esercizi muscolari» cui erano sottoposte normalmente le donne)17.

Il giudizio sulla poca propensione a lasciarsi «maneggiare dai preti» (punto «19.»), riemergerà nelle considerazioni, di molto posteriori, di don Fortunato Molinaro18, il quale constatò che da Collina uscirono solo tre religiosi, e tutti nel Settecento «quando invece in tutte le altre ville della Parrocchia, di preti oriundi dalle medesime, ce ne sono stati parecchi. E ciò per tutti i secoli dei quali si hanno conoscenza. Qualche cosa deve pure mancare a Collina, che, neanche dopo ha avuto persone religiose, perché Iddio la dà la vocazione, chiama anime al Suo servizio, dappertutto. Forse sarà l'ambiente sfavorevole, il clima inadatto, per cui le vocazioni vengono distrutte sul fiorire, e anche dopo, durante gli studi, che vanno a lungo; 13 anni»19. Ciò non impedì ai collinotti di condurre una battaglia secolare per l'autonomia della propria chiesa, e la salvaguardia della mansioneria, istituita coi lasciti di alcuni emigranti20. Nel 1901 venne inaugurato l'oratorio di San Bartolomeo (patrono di Collinetta), dove un decennio dopo si celebreranno «dai mesi di novembre all'aprile, funzioni e la messa, a motivo della lontananza della Chiesa, e della stradaccia: senza ferri alle scarpe, difficile non sdrucciolare sul ghiaccio»21.

L'accenno «al molto egregio bachicultore», contenuto nel punto «16.», rimanda a Tommaso Sotto Corona, membro dei direttivi della Società Agraria Istriana, della Società Politica Istriana, della Camera di commercio ed industria dell'Istria22, relatore al VII Congresso bacologico internazionale tenutosi a Siena nel 188123, proprietario, dal 1883, del castello di Lupogliano (già degli Eggenberg di Gradisca e dei conti Brigido di Trieste)24, «industriale triestino, proprietario d'un grandioso stabilimento bacologico e uno dei capi del partito nazionale liberale»25, membro del Partito democraticoistriano26. A Dignano d'Istria era giunto giovanissimo, appena tredicenne, e apparentemente povero, almeno stando alla richiesta di rilascio a gratis del passaporto rivolta dal padre, il 6 ottobre 1847, alla deputazione comunale di Forni Avoltri27. I suoi rapporti col paese d'origine s'erano mantenuti nel tempo, tanto che nel 1879 «fu istituita la stazione di Monta Taurina col capitale di lire 200 donato dal sig. Tomaso Sotto Corona nato a Collina e residente a Dignano d'Istria»28.

Vie di comunicazione

In un articolo del 1889 Giovanni Marinelli descrive le modalità per arrivare a Collina in questo modo:

Per giungere a Collina, dal fondo della val del Degano, si presentano tre vie. Una move da Forni Avoltri (898 m.), vi mena in due ore, ed è la più facile e breve; la seconda parte da Rigolato, è lunga 2 ore e mezza, ma esige che si pratichi un sentiero ripidissimo che, con molteplici zig zag, dal thalweg risale la costa forse per 500 m. di dislivello; l'ultima prende le mosse da Mielis, e attenendosi sempre alla montagna ne sale lentamente il pendio, e traversa bellissime praterie inclinate e fitte foreste, qui fortunatamente conservate a tutela dei fianchi assai erti, sui quali crescono. […] a percorrerlo da Mielis vi vogliono almeno 4 ore e da Comeglians quasi 529.

Non ci si può, quindi, meravigliare che l'anno precedente egli avesse incrociato sul passo della Valentina «tre operai di Forni Avoltri, diretti a raggiungere per la più breve, cioè pel Gailberg, la ferrovia della Drava»30. Una strada di collegamento diretto tra le due Colline venne realizzata nel 188931, «con importanti modifiche rispetto al tracciato precedente. In particolare la costruzione di un nuovo ponte di pietra, qualche decina di metri a monte di quello lungo la via della chiesa, eliminò la necessità di discendere dal borgo al rio per poi risalire interamente l'erta china delle Pàlos, con ciò praticamente dimezzando il dislivello dell'intero percorso»32.

Forse è proprio nella rete viaria che, a inizio Novecento, intervengono i mutamenti più significativi. La strada di fondovalle il cui tracciato tra Comegliàns e Forni Avoltri era rimasto sostanzialmente immutato almeno dal 1762, viene, tra il 1912 e il 1914, ampliata e ridisegnata così com'è (a parte alcune correzioni più o meno recenti, come la galleria di Tors o la «variante» di Comegliàns) ancor oggi33.

Nell'ottobre 1910 viene inaugurato il tratto Stazione per la Carnia-Villa Santina della «Ferrovia Carnica»34 e nel 1915 parte la costruzione della «tranvia del Degano», a scartamento ridotto, destinata a risalire la vallata fino a Comegliàns e ad entrare in funzione solo nel 1917, alla vigilia dell'invasione35.

La strada di collegamento tra Collina e il fondovalle via Tors (detta di Créts), venne realizzata a inizio Novecento interamente a spese dei collinotti36. Secondo Tommaso Pellicciari «nel 1908 intanto l'impresa Brigidin di Forni Avoltri aveva costruito il primo lotto con il ponte, quale inizio, sul rio Fulin sotto Collinetta» fino al Giuof37. Bisognerà attendere il 1914 per vederla completata38.

La costruzione della strada per Forni Avoltri (come si è visto, percorrere una distanza di poco superiore ai sette chilometri richiedeva, a inizio Novecento, circa due ore di cammino), principierà nel 1915, sotto il pungolo delle esigenze belliche, per concludersi solo nel dopoguerra39.

Fervori di fine Ottocento

La scuola elementare di Collina, divenuta una realtà stabile nella seconda metà dell'Ottocento, retta tra il 1862 e il 1903 da Eugenio Caneva40, dal 1913 era condotta da Alberta Agostinis, anch'essa collinotta, che proseguirà la sua opera fino al 195841. Proprio a inizio Novecento, nel 1905, viene eretto un nuovo edificio scolastico, progettato dall'ingegnere Gio Batta Calligaris e costruito dall'impresario rigolatese Amedeo Zanier42.

Nel 1892 entra in funzione una «rivendita di privativa», ovvero di generi di monopolio43. Al 1895 risale l'installazione di «una buchetta per l'impostazione delle lettere»44 e un decennio dopo, nel 1905, il servizio postale tra Forni Avoltri e Collina si fa regolare, giornaliero45. Nel 1907 la linea telefonica arriva a Collina, accorciando ulteriormente le distanze col resto del mondo46.

A cavallo tra Ottocento e Novecento un rinnovato fervore edilizio, sia pubblico sia privato, pervade la comunità; molte case vengono costruite ex novo, altre ristrutturate o ampliate. Il panorama di tetti coperti con paglia e scandole, descritto dal Marinelli, si fa più vario e tende a mutare rapidamente47.


L’ALPINISMO A COLLINA


L’alpinismo moderno arrivò a Collina negli anni Sessanta dell’Ottocento ad opera degli austriaci.

Nel settembre 1865 Paul Grohmann, co-fondatore del Österreichischer Alpenverein, intenzionato a raggiungere la cima della Cjanevate (Kellerwand), si sentì offrire da un, non meglio identificato, signor Hofer di Birnbaum d’accompagnarlo invece sul Cogliàns, dove egli era già salito e dove sapeva «che i cacciatori veneziani ci erano saliti piuttosto spesso». Il 29 settembre, assieme a quest’ultimo, approdò a Collina, dove, sorbito «un vino italiano dal forte odore, una misera zuppa di riso nella quale ci saranno stati a stento cinquanta chicchi e un salame mezzo andato a male» nella locanda di Michele Sottocorona, ingaggiò come guida «il falegname Niccolò Sottocorona che aveva un’ottima fama come cacciatore e alpinista». Il 30 settembre il gruppetto raggiunse la cima del Cogliàns «in tre ore e dieci minuti […] più velocemente di quanto non avessero previsto i cacciatori di Collina, che ne avevano auspicate quattro»48. In seguito il «falegname Niccolò Sottocorona» mantenne i contatti con Paul Grohmann, tanto da spedirgli nel 1867 una lettera per informarlo «che gli era riuscito di salire un’altra cima presso la Kellerwand e che solo la neve gli aveva impedito di salire oltre, che egli aveva comunque trovato la via della Kellerwand»49, ma l’informazione, alla verifica sul campo effettuata l’anno stesso, risultò errata.

L’alpinismo nacque in ambiente urbano, tra le élites intellettuali cittadine. Agli albori s’ammantava di motivazioni conoscitive di natura scientifica50, tinteggiate a volte nel nazionalismo post-risorgimentale, che si diluirono in breve, fino a sparire col prevalere di quelle puramente «sportistiche» ed edonistiche, più o meno guarnite con argomentazioni ascetico/religiose, filosofiche, salutistiche, tipiche dei nostri giorni51.

Per gli alpinisti italiani «l’epoca semieroica dell’alpinismo», coincidente col «periodo delle scoperte»52, arriva nell’Alto Gorto relativamente tardi.

[…] per le Alpi Venete e specialmente Friulane, proprio il periodo delle scoperte, almeno per conto degl’Italiani, s’aggira appunto fra il 1873 e il 1880, allorché furono per la prima volta saliti (o almeno si credette che fosse la prima volta) ed illustrati il Canino, il Jôf del Montasio, il Sernio, il Clapsavon, il Coglians e il Kellerwand, le cime più interessanti e difficili delle nostre montagne. Per taluna delle cime friulane eravamo veramente stati preceduti dagli alpinisti tedeschi e in ispecie dagl’inglesi, e prima di noi il Ball avea più volte percorse le nostre vallate, e il Tuckett fin dal 1873 avea visitato il Cansiglio e salito il monte Cavallo e li avea descritti, e il Gilbert e il Churchill colle loro Dolomite Mountains (1865) aveano tracciato degli efficacissimi abbozzi di alcune fra le più caratteristiche montagne delle Carniche e delle Giulie, e dal Mojsisovics e dal Grohmann erano già stati esplorati e descritti i gruppi del Peralba e del Coglians. Ma, com’erano ignorate le cime e le giogaie, così era poco nota o mal nota la loro storia e la loro bibliografia […] Fu, ad esempio, soltanto nel 1873 che io presi conoscenza con quella che poi adesso da tutti si giudica la più alta giogaia del Friuli e delle Alpi Carniche53.

L’«epoca d’oro» dell’alpinismo a Collina cade negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento54. In questo periodo, per la prima volta, l’attività di «guida alpina» tende a farsi professione e, benché destinata a svolgere un ruolo economico marginale, con un orizzonte già segnato dall’affermazione di ascese ed escursioni solitarie o autonome, arriva ad esprimere alcuni nomi ed individualità: Nicolò Sotto Corona, Antonio Gaier, Pietro Samassa ( si veda la tabella in appendice ). A metà degli anni Settanta Giovanni Marinelli segnalerà Niccolò Sotto Corona e Antonio Gaier per le salite di Cogliàns, Crostis e Volaia56.

Pietro Samassa

Un nome spicca ben presto su tutti, quello di Pietro Samassa. La sua figura, così come ci è giunta, sembra condensare l’aura «mistica» dei cacciatori di camosci/contrabbandieri iscritti nella mitologia alpinistica degli albori, i tratti carismatici trasfusi da quelli nelle prime guide alpine «locali» e l’ineffabilità dell’arrampicatore disinteressato, quasi «astratto», mosso dal «puro piacere», moderno.

Così una volta, per sfuggire ai gendarmi austriaci che lo inseguivano nei pressi del Volaia, approfittò d’un banco di nebbia per salire la «parete NO del Lastron del Lago» dove, per non scivolare e meglio aderire ad «una placca liscia che gli sbarrava la strada», si tolse «gli scarponi, fece dei piccoli tagli nei piedi (così raccontano) e con l’adrenalina alle stelle salì la placca che superò meglio di come avrebbe pensato. Non fu facile salire in cima al Lastron ma la fortuna degli audaci aveva fatto sì che salendo uscisse dal mare di nebbia. La strada per il Coglians la conosceva, un sole stupendo accompagnò ancora una volta questo grande montanaro verso la vetta e la vita»57.

Nel 1886, alla visita di leva, si dichiarò calzolaio, e nel 1894, al momento del matrimonio con la compaesana Andreina Ottavia Gerin, muratore; un anno dopo, nel 1895, «ottenne il riconoscimento di Guida patentata che gli permise di esercitare l’attività con alcuni dei maggiori esponenti dell’alpinismo regionale e non, dell’epoca»58.

Lo possiamo seguire a tratti in un’escursione dell’agosto 1892, promossa da Arturo Ferrucci, accompagnato da Giuseppe Morelli de Rossi, Riccardo Spinotti e da Pietro Galante di Mieli.

[…] giungemmo a Collina a mezzodì, l’ora sacra al pranzo in tutta la montagna friulana e all’osteria Faleschini noi trovammo davvero di che soddisfare l’appetito copiosamente. Quel paesetto lì, che dista appena una paio d’ore da Rigolato o da Forni Avoltri, cioè da una bella carrozzabile, meriterebbe davvero di essere più conosciuto e visitato. La posizione ne è incantevole, l’osteria pulitissima e discretamente provvista di cibi e, sempre, ottimamente di vino, le gite nei dintorni […] indescrivibili. […] Durante il pranzo fu fatto chiamare un giovinotto che doveva servirci da guida: Pietro Samassa. M’era stato raccomandato come buon conoscitore della montagna e robustissimo camminatore. Tosto iniziai un interrogatorio, dal quale mi persuasi che, come del resto la maggior parte degli abitanti di Collina, la nostra guida conosceva benissimo il Coglians, ma poco quel tratto di giogaia che corre ad oriente della Cialderate. Sulla Kellerpitz non era mai stato. […] Però egli assicurò, con aria convinta, che ov’erano andati altri, egli pure saprebbe andare, che la strada l’avrebbe trovata, ecc. ecc., tanto che m’inspirò una certa fiducia. Chiamò con sé un suo compagno: Pasquale Tamussin, per aiutare a portare il bagaglio e, fra le chiacchiere, attendemmo l’ora della partenza59.

Prima di salire il Ciadin che porta verso la cima del Coglians gli scarponi vengono abbandonati a favore degli scarpets.

Per consiglio della guida, levate le scarpe, calzammo gli scarpetti, l’ottima calzatura dei nostri montanari, che sulla roccia presta così buon servizio. Là però, il detrito grosso e angoloso che riempie il Ciadin, mettendo a dura prova la sensibilità dei nostri piedi, fece rimpiangere a qualcuno di noi le scarpe, lasciate in basso; nella salita del Coglians gli scarpetti possono essere adoperati tutt’al più nell’ultimo tratto, per meno d’un’ora, ma non necessari60.

Giunti alla cima, «raccolti attorno alla piramide trigonometrica», ammirano il panorama, quando, ad un tratto, «Ecco Collina! esclama Samassa. Infatti, mentre da presso la piramide non si vedono che le case di Collinetta, fatti pochi passi lungo la cresta, a sera, ci si presenta tutta Collina, nella sua verde conca […]»61. Poi si rifocillano e discutono.

Discusso, stabilito ed ammirato il panorama, lo stomaco reclamando per i suoi diritti, ci radunammo di nuovo intorno alla piramide per la colazione. Durante la quale si impegnò conversazione con la guida sulla possibilità di altre vie per la salita o la discesa. Samassa, cacciando, è disceso una volta dal Coglians per il versante settentrionale al lago di Volaja; gli sembrò quella una via abbastanza difficile, forse interessante per la discesa, certo troppo lunga per la salita. Di salite e discese verso la Cialderate non è a parlare: occorre discendere a quella depressione, che si vede dal Ciadin, scavalcare lo sprone, che si spinge a sud della cima 2750 e da quello discendere nella Cialderate. Via lunga e noiosa e per nessun conto preferibile a quella da noi tenuta e che, anche venendo da Timau, può aggiungersi per la forcella di Monument62.

La comitiva, rammaricandosi «di non indossare le scarpe, invece degli scarpetti», scende rapidamente verso Casera Monument, dove arriva dopo che Pietro Galante se n’era già andato «per salire al Crostis a visitarvi le casere di sua proprietà e scendere poi a Mieli». Morelli e Spinotti decidono di rientrare a Udine via Timau, mentre Ferrucci si ferma con Samassa e Tamussin «per tentare l’indomani la salita della Kellerspitz»63.

Ho detto «tentare» perché veramente, sapendo la via non facile, le ripetute assicurazioni del Samassa non bastavano a tranquillizzarmi completamente sull’esito dell’impresa. D’altra parte ricorrere, come avrei potuto, al nostro bravo Plotzer di Timau, che la Kellerspitz conosce benissimo, non voleva, per non far torto al Samassa. in cui già avevo riscontrato qualità d’ottima guida e per poter averne nuova e decisiva prova64.

Raggiungono la vetta della Kellerspitz dal Pizzo Collina. «Di grande utilità, starei per dire indispensabile, è in questa traversata il sostituire alle scarpe chiodate gli scarpetti»65.

Alle 10.55, un’ora e cinquanta minuti dopo lasciato il Pizzo Collina, eravamo seduti intorno agli avanzi della piramide, su cui il fulmine aveva esercitato tutte le sue furie, e fra i quali luccicavano i cocci di due o tre bottiglie. Vi rinvenimmo parecchi biglietti, in parte distrutti, e fra questi leggibili ancora soltanto quelli che portavano i nomi del signor Hoche e del conto Pio di Brazzà di Udine e quelli dei signori Otto Reich e Wilhel Reich di Vienna. Dopo qualche istante di riposo, presi ad osservare il panorama che naturalmente è molto più vasto di quello che si scorge dal Pizzo Collina66.

Alle 17.40 raggiungono Timau.

In questo paesello lasciai Pietro Samassa, come già ai piedi del Pizzo Collina aveva lasciato Pasquale Tamusin, che ritornava a Collina; ad entrambi strinsi cordialmente la mano, come a cari amici ed oggi ancora ricordo con gran piacer la loro bravura nella non facile salita, per essi nuova, e le loro affettuose premure per me67.

Dal punto di vista alpinistico, l’importanza di Pietro Samassa, riconosciuta da subito (si veda il riquadro 1), sta nell’essere stato «tra i primi ad aver innalzato la soglia di superamento delle difficoltà, avendo aperto vie che probabilmente superavano il quarto grado»68.

1 - In morte di Pietro Samassa (1912)
Il giorno 10 Marzo si è spento a Collina, suo paese natale, nel pieno vigore dell’età, quest’uomo, che noi riguardavamo come una delle guide più forti e valenti della nostra regione alpina. Arditissimo cacciatore, di Lui si giovarono i topografi e gli ufficiali dell’Ist. Geog. Mil. nei rilievi eseguiti intorno al 1890 sui monti circostanti a Forni Avoltri e Collina. La sua carriera come guida datava da una salita alla Kellerspitz nell’Agosto del 1892, dopo di che tutte le più notevoli imprese alpinistiche compiute nei gruppi del Coglians e del Volaja per oltre un decennio, furono guidate da Lui. Ricordiamo:
  • 13 Luglio ‘95 con Pico e Spezzotti 1a salita del M. Avanza; 20 Agosto ‘95, con Urbanis 1a salita della Kellerspitz dalla Cianevate, ripetuta nel ‘900 con Kugy e con Brunetti e nel 904 con Sottocorona.
  • 16 Settembre ‘96, con Baldermann e Jaroscheck 1a salita del Seekopf, ripetuta nel ‘98, con Bolaffio, con Cozzi, ecc.
  • 30 Agosto ‘97, con Urbanis 1a salita del Coglians dal versante nord.
  • 9 Settembre ‘98, 1a salita del M. Canale con Klauss e Tatzel; 11 Settembre ‘98 con Wödl e Siebeneicher, 1a salita della Cima del Sasso Nero.
  • 27 Febbraio ‘99, con Kugy e Bolaffio, 1a salita invernale del Coglians.
Forse non sempre l’ardimento e il valore erano in Lui accompagnate ad altre qualità non meno necessarie e lodevoli, ma in quelle eccelleva. Chi scrive conserva una Sua lettera del Gennaio ‘909 in cui, correndo allora sui giornali le notizie dei preparativi del Duca degli Abruzzi per la spedizione all’Imalaia, il Samassa gli esprimeva il desiderio di venir arruolato alla spedizione. Ingenua ma notevole manifestazione del Suo entusiasmo per lele impreseimprese ardite! Un saluto alla Sua memoria! A. F. Arturo Ferrucci, Pietro Samassa, in «In Alto», vol. XXIII (s. 2), n. 1-2 (1912), p. 31

Alpinisti delle «Giulie» con radici collinotte

Tra le ascensioni effettuate nei dintorni di Collina a cavallo di Ottocento e Novecento (tabella A.1) se ne notano alcune aventi per protagonisti dei «triestini» dal cognome più che familiare: Umberto e Aldo Sotto Corona. Fratelli, membri della Società alpina delle Giulie, della quale furono, in modo particolare Umberto (si veda il riquadro 2), esponenti attivi, hanno evidenti radici collinotte. I loro resoconti delle salite al Sasso Nero, al Cogliàns e al Kellerspitz, sono chiari, scorrevoli, sintetici, fin troppo rispettosi dei canoni descrittivi prevalenti tra gli «scopritori» delle montagne, con ben pochi appigli utili a soddisfare curiosità sulla natura dei loro legami con Collina. Il che, forse, è il segno d’un distacco pienamente riuscito; essi ci appaiono, e sono, triestini a tutti gli effetti, anche se, probabilmente, mantengono ancora dei legami, materiali e immateriali, col paese d’origine69.

2 - In morte di Umberto Sotto Corona (1919)
Il 1. settembre 1919 si spegneva improvvisamente il nostro consocio signor Umberto Sotto Corona, attivissimo membro della Commissione grotte. Per oltre un ventennio Egli si dedicò indefessamente alle investigazioni sotterranee del Carso, pubblicando nella nostra Rivista studi originali. Così descrisse dapprima le grotte di Crepegliano, poi quella di Ospo, gli abissi di Gropada e di Cesiano. Compilò anche un interessante studio sulla complessa idrografia e speleologia delle valli di Olissa (Laas), Circino (Zirnitz), S. Canziano del Rack e Albiniana (Planina).
Fu direttore per un triennio della Società Alpina delle Giulie, appassionato alpinista, e descrisse parecchie sue escursione sul m. Coglians, Cima dei Lastrons del Lago (Judenkopf) ecc.
I funerali riuscirono una solenne manifestazione di cordoglio. Al cimitero il segretario sociale capitano dott. Timeus portò l’ultimo saluto dell’Alpina al caro estinto che fu modello di padre, di cittadino e di soldato.
La commissione grotte deliberò, in segno di onoranza, di dare ad una delle grotte del Carso il nome del compianto amico, mentre la Direzione sociale elargiva la somma di Lire 50 a favore del monumento all’Unità.
Recentemente, da una visita fatta da oltre trenta consoci, la grotta ex-Rodolfo presso Divacciano, venne battezzata col nome Umberto Sotto Corona.
Alpi Giulie, XXII (1920), 1, p. 5.

Umberto, «assieme al consocio ed amico Giuseppe Sillani e alla guida Pietro Samassa», il 7 agosto 1901 sale il Sasso Nero, «questo monte delle Alpi Carniche principali la cui altezza è segnata solamente nella tavoletta italiana, scala cinquantamila, conta una sola salita alpinistica fatta dai signori Wödl e Siebeneicher di Vienna con la guida Pietro Samassa di Collina li 11 Settembre del 1898. Parecchi anni prima però il Samassa raggiungeva questa vetta e vi fabbricava un ometto». I tre partono da Collina alle 5¾ «salendo dapprima per buona mezz’ora su sentiero fra campi e pascoli, scendendo poscia nella valletta del Rio Chianaletta fino alla casera omonima (1810 m.), dove si fece una sosta di un quarto d’ora». Alle 9.45 sono in vetta, dove vengono sorpresi da «una bella nevicata seguita da grossa grandine», che dura poco. Il cielo si rischiara, il panorama si riapre […] Il rientro, per altra via, si rivela difficoltoso: «dopo tre ore di faticosa discesa, raggiungiamo un po’ di prato e subito un nevaio abbastanza lungo, che seguito da una lavina ci conduce alla casera Chianaletta ove sostiamo per un poco. Alle 3¾ pom. eravamo di nuovo a Collina»70.

3 - In morte di Arturo Sotto Corona (1969)
Lo scorso 18 giugno si è spento improvvisamente a Verona il nostro fedele abbonato cav. Arturo Sotto Corona,che negli ultimi tempi risiedeva, con i figli, a Bolzano. Nato a Piano d’Arta nel 1885, aveva trascorso quasi tutta la vita a Pola, dove era largamente conosciuto per la probità e la laboriosità con le quali aveva fatto progredire i due negozi che il padre suo, sceso dalla natia Collina, aveva aperto ancora al tempo della dominazione austro-ungarica. L’amore per la città adottiva non aveva minimamente intaccato il suo amore per la Carnia natale, che, ancora l’estate scorsa, aveva ripercorso, ottantatreenne, solo e con lo zaino in spalla. Al caro cav. Sotto Corona, il nostro commosso e reverente saluto; al fratello gemello Paolo, residente a Palermo, ai figli e ai familiari e congiunti tutti, la rassicurazione della nostra partecipazione al loro dolore.
Friuli nel mondo, IX (1969), 185 (luglio), p. 10.

La stessa impostazione narrativa, solo un pochino più aggettivata, viene adottata da Aldo Sotto Corona per descrivere la «salita al Collians (m. 2782) dalla parete nord», portata a termine nel luglio 1903 assieme al cugino Paolo Sotto Corona e a Pietro Samassa. Partiti da Borgo Chiusini (Piano d’Arta), il 22 luglio, dopo essersi congiunti con Pietro Samassa a Timau, in serata raggiungono il rifugio austriaco sul lago Volaia. Il giorno dopo «alle 4 ant. svegliati dal buon Samassa, fatti in fretta i preparativi per la partenza», giunti all’altezza del passo della Valentina, iniziano l’ascesa, per toccare la vetta alle 8 e 27.

Qui troviamo due comitive di alpinisti tedeschi. Se abbiamo la soddisfazione delle riuscita del nostro tentativo, che dovrebbe essere il secondo effettuato, da questo lato, da italiani, non abbiamo però quello della vista che densa nebbia ci ruba. Nell’attesa, uno squarcio improvviso delle nubi, dal versante carintiano, ci presenta, come magnifica apparizione, le nivee cime dei Tauri. Trascorsa fugacemente un’ora, ci rimettiamo in cammino per discendere a Collina per la forcella Mereret. In ore 2 e 20 minuti siamo a Collina, ricevuti dal cortese Faleschini. Così si chiude questa giornata, per noi, tanto ricca di alpinistiche emozioni71.

I due cugini non partirono a caso da Borgo Chiusini, poiché proprio in quel luogo Paolo – che risiedeva a Pola con la famiglia, composta dai fratelli Arturo (suo gemello) e Roberto, dalla madre Maria Pellegrina e dal padre, Giovanni Battista, negoziante – era nato nel 1885 (si veda il riquadro 3).

Dopo un giorno di riposo trascorso a Collina, nel pomeriggio del 25 luglio Aldo e Paolo Sotto Corona, guidati da Pietro Samassa, s’incamminano verso il ricovero Marinelli, con l’intento salire il Kellerspitz nella mattinata successiva. Così avviene; lasciano il rifugio alle quattro, percorrono il vallone della Cianevate («nel suo sfondo si eleva la cima Cianevate spesso battuta dai cacciatori») fino quasi al termine, si portano «verso N. E., su per un ghiaione alquanto ripido, lungo un tratto di 200 m. circa e, scavalcando un cordone di neve, raggiungiamo una cavità rossiccia, formata dalla scendente parete del Kellerwand. Qui abbandoniamo tutto ciò che può esser d’impaccio e calzati gli scarpetti, dopo esserci assicurati alla corda, incominciamo l’arrampicata… »72. Dopo 3 ore e 22 minuti raggiungono la vetta. Ridiscendono per la stessa via impiegandovi 5 ore. Solo in chiusura del suo resoconto, dopo aver rivendicato il primato di questa discesa, ad Aldo sfugge un accenno, che induce a sospettare l’esistenza di relazioni e scambi vivi e vitali, ai numerosi amici collinotti.

Per quanto mi consta, il Kellerspitz non fu mai disceso da questa parte, e la nostra è dunque la prima discesa per il versante Cianevate. Ritornati al rifugio, ci fermiamo a lungo a scambiare le nostre impressioni su questa bella salita. Alle 5 e 20 del pomeriggio partiamo alla volta di Collina, ove alle 6 e 30 siamo accolti festosamente da numerosi amici73.

Anche il già ricordato Tommaso Sotto Corona74 fu membro autorevole della Società Alpina delle Giulie. Il suo rifugio sul Monte Maggiore e il suo castello di Lupogliano, che già nel 1888 avevano ospitato il VII convegno alpino della S.A.G.75, dieci anni dopo (22 maggio 1898) funsero da base per il XVII convegno della stessa associazione76. Quello sul Monte Maggiore fu il primo rifugio alpino istriano (si veda il riquadro 4).

4 - In morte di Tommaso Sotto Corona (luglio 1902)
Martedì 21 u.s. cessava di vivere, dopo breve malattia, a Dignano, sua patria adottiva, l’egregio nostro consocio signor Tommaso Sotto-Corona. Nato a Collina, nella Carnia, fino dalla sua prima gioventù egli venne a stabilirsi a Dignano, dove con un lavoro assiduo, con intelligenza e con intraprendenza, che gli fece sempre onore e ne fa a tutti i bravi figli della Carnia, riescì a formarsi una brillante posizione. Con l’industria della bachicoltura, allora quasi sconosciuta ne’ nostri paesi, superando in principio grandissime difficoltà, fece il bene suo e de’ suoi, e quello de’ cittadini della sua seconda patria, che l’amarono, finché visse, come fratello, come padre.
Stimato e tenuto in buon conto da tutta la provincia, per il senso pratico nelle cose commerciali e agricole, coprì parecchi importanti posti nella Camera di Commercio, ne’ Consorzi Agrari, dappertutto distinguendosi e facendosi amare per un’attività seria, proficua e produttiva.
Socio della nostra Alpina da molti anni, egli si mostrò, nato fra i monti, nella sua diletta Carnia, verso di lei largo di ogni buon consiglio e aiuto.
Il rifugio dell’Alpe Grande che porta il nome suo, perché posto in una malga di sua proprietà, venne da lui messo a disposizione della nostra Società che l’arredò a comodo de’ nostri alpinisti per la salita dell’Alpe Grande, m. Braico, m. Sìa o Seiano, m. Aquila, m. Maggiore ecc. ecc. — Fu parecchie volte compagno a’ nostri alpinisti, nelle salite dell’Alpe Grande, e parecchie volte li accolse ed ospitò nel suo castello di Lupogliano.
Buono, gentile, caritatevole, franco d’una franchezza rude quando si trattava di correggere, di consigliare il bene; egli lascerà in tutti i suoi concittadini, e in molti de’ nostri alpinisti, ch’ebbero la fortuna di conoscerlo, una memoria incancellabile.
A’ funerali, che ebbero luogo a’ 23 u.s. nella sua Dignano, la nostra Alpina venne rappresentata dal suo direttore signor N. Cobol.
A’ fratelli, a’ figli, alla moglie, agli altri parenti, la Società Alpina delle Giulie, a mezzo nostro, porge la sue più vive condoglianze.
Alpi Giulie, VII (1902), 4, p. 44.

La stagione dei rifugi

Spulciando gli elenchi dei soci della S.A.F. d’inizio Novecento ci si imbatte nei nomi di persone, come il poeta Enrico Fruch, nato a Ludaria, e l’imprenditore rigoladotto Amedeo Zanier, con radici ben piantate nelle vallate gortane77. L’alpinismo aveva ormai contagiato l’intellighenzia «locale» e favorito la nascita d’iniziative economiche connesse alla nuova, e più intensa, frequentazione delle montagne. I primi vagiti dell’«industria turistica» moderna riecheggiarono in quegli anni anche nella conca di Collina, con l’apertura dell’albergo «Di Tamer»78, erede d’una delle tre osterie con alloggio (di Giovanni Barbolan, Giovanni Faleschini e Giacomo Tamer, appunto) segnalate da Giovanni Marinelli come operanti a inizio Novecento79 e di due rifugi alpini nelle vicinanze.

Nel 1896 venne ultimata la costruzione, a ridosso del lago Volaia, del rifugio austriaco «Wolayerseehütte»80.

Ricovero G. Marinelli

Il 22 settembre 1901 s’inaugurò il «ricovero» Marinelli, collocato a Fòrcjo di Morarìot (Forcella di Morareto), nel territorio del comune di Paluzza, la cui conduzione in seguito gravitò sempre su Collina81. I gestori, da allora, furono sempre collinotti, a cominciare dal primo, Michele Tolazzi, cui seguirono la moglie Giuditta Agostinis, rimasta vedova, e, fino al 1949, altre due generazioni di Tolazzi, per giungere ai nostri giorni con Caterina Tamussin82.

L’inaugurazione coincise con il XX convegno della S.A.F.. Alla vigilia, sabato 21 settembre, quindici persone, anziché le sei programmate, tra le quali anche «Fruch maestro Enrico» e Amedeo Zanier da Rigolato, raggiunsero il ricovero, per pernottarvi; «in quella sera al Ricovero non mancò né la cena né l’allegria e tutti riposarono sulle molli piume sfalciate dal vicino prato»83. La mattina successiva, di buon’ora, un piccolo gruppo s’incamminò verso la cima del Coglians, mentre nella zona già s’inalava aria di festa.

La mattina di domenica 22 settembre alle 4 tutti al Ricovero erano in piedi. Partirono pel Coglians con le guide Umberto Caneva e Pietro Plotzer i 6, più il signor Sergio Petz e i due fratelli Rizzi. I mortaretti tuonarono e quella mattina non tralasciarono il loro lavoro. Alle 7 si vedevano a occhio nudo gli alpinisti sulla vetta del Coglians. Intanto a poco a poco giungevano al Ricovero quelli che avevano pernottato a Collina, gente con provviste e molte persone dai paesi sottostanti. Riconosco il simpatico dott. Zozzoli di Rigolato, il dott. Vazzolla di Comeglians, il signor Francesco Raber e il maestro Topan pure di Comeglians, il maestro Caneva di Collina col fratello Orazio rappresentante il Comune di Forni Avoltri, il dott. Pividori e il signor Casellato colla sua Signora di Forni Avoltri, il geometra Galante di Mieli, i signori Cantoni e Brunetti di Paluzza, Corradina da Tolmezzo, ecc. Noto infine i Reali Carabinieri e alcune guardie di Finanza. Moltissimi montanari e montanare erano presenti e tre osti improvvisati erano al loro servizio84.

La cerimonia ufficiale, a cui parteciparono delegazioni delle società alpine consorelle, italiane e austriache, rappresentanti delle istituzioni locali, del 7° reggimento Alpini e «più di 150 persone fra alpinisti, guide, portatori, abitanti delle sottostanti valli, ecc., pittorescamente aggruppate sulla spianata dinanzi al ricovero, sulla forcella e sulle alture circostanti»85, iniziò alle 10. In un breve discorso il segretario della S.A.F., Emilio Pico, dopo aver osservato che «la società nostra soddisfa oggi a due impegni: uno di data remota verso l’alpinismo, l’altro di data più recente, verso il nostro indimenticabile presidente Giovanni Marinelli», ripercorse i momenti che portarono all’individuazione del sito e alla costruzione dell’edificio «affidata, in ritardo, all’intelligente operosità del signor Amedeo Zanier di Rigolato, coadiuvato da una squadra di ottimi operai», ultimata «con una rapidità meravigliosa, considerata specialmente l’incostanza della stagione»86. Finita la cerimonia «gli alpinisti si diedero a lieto convitto attorno ad una lunga mensa preparata all’aperto»87. Una parte degli intervenuti scese quindi a Rigolato, per partecipare al convegno della S.A.F.88.

Fra le 12 e 12½ quasi tutti principiarono a discendere verso Collina e Rigolato. Il cielo andava oscurandosi e a Collina cominciò a piovigginare; finimmo la discesa a suono di dirotta pioggia. All’ingresso di Rigolato, erano le 16.30, i mortaretti annunciarono la nostra presenza; Rigolato era messo a festa e un magnifico arco verde era stato eretto dal signor Umberto Capellari vicino all’albergo Zanier. Alle 17.30 nella sede del Consiglio comunale erano radunati gli alpinisti e alquanto pubblico per udire le parole del presidente89.

Nel suo intervento il presidente della S.A.F., Olinto Marinelli, ricordando la figura del padre, tracciò una sintesi dell’evoluzione dell’alpinismo friulano. Il periodo eroico, dominato dalla scoperta delle montagne, quando «ogni anno si potevano contare nuove vette per la prima volta salite, nuove vie per la prima volta percorse»90, è ormai superato, anche se sopravvivono alcune vette vergini nelle Prealpi Clautane.

Al periodo della scoperta è subentrato quello dell’esplorazione. Gli alpinisti agognanti a mettere l’agile piede su cime non mai tocche dovranno presto emigrare dal Friuli e, direi quasi, dall’intero sistema alpino e cercare la forte emozione dell’ignoto nelle gigantesche catene dell’Asia, nelle sterminate cordigliere dell’America91.

L’alpinista di professione si trova innanzi a un bivio; se vuole sopravvivere deve trasformarsi in scienziato.

[…] gli alpinisti di professione, devono trasformarsi se non vogliono scomparire. Dapprima servivano a discoprire le vie, a rendere accessibili le montagne, a farle ampiamente conoscere, ad eccitare la gioventù ai nobili ardimenti della montagna. Oggi il primitivo arduo compito loro è quasi cessato; si moltiplicarono le guide, si segnalarono i principali sentieri, si costruirono in molti punti ricoveri, si fecero ovunque diligenti itinerari delle più ardue salite. In questo campo, lo ripeto, tutto non è ancora fatto, ma molto non resta da fare. Il tipo classico dell’alpinista deve proprio trasformarsi e diventare scienziato, come il moderno viaggiatore ha lasciato le scoperte per le esplorazioni92.

L’ambiente montano si presta a questo passaggio ben più di quello delle «uniformi, sterminate pianure», in quanto «qui la crosta terrestre ci si mostra sviscerata; qui agevolmente ne scorgiamo (quasi gli strati terrestri fossero trasparenti) l’interna anatomica struttura; qui ne sentiamo quasi le pulsazioni»93 e «il complesso mondo alpino, mondo fisico, mondo biologico, mondo sociale presenta tanti aspetti, tanti lati, tanti problemi insoluti che chiunque cerchi in qualche modo di esaminarlo, od anche, senza volere accingersi ad uno studio, vi si affaccia o vi si accosta, si sente da esso irresistibilmente attratto»94.

Ricovero Marinelli in una cartolina di Amedeo Zanier

Il congresso si conclude con un simposio sociale all’albergo Zanier.

Alle 18.30 in una bella sala dell’albergo Zanier principiò il pranzo sociale. Nuovi venuti il socio Valentino Martina di Chiusaforte e il cappellano-maestro di Rigolato don Eugenio Taboga. Il banchetto, servito inappuntabilmente dall’infaticabile Zanier, coadiuvato dal sig. Benedetto Raber di Comeglians, che gentilmente fungeva da cameriere-direttore, è riuscito stupendamente. La sala era adornata: nella parete di fronte al Presidente col ritratto di Giovanni Marinelli coronato di alloro e di quercie, nell’altra lo stemma della S.A.F. in mezzo a quello della provincia e a quello antico di Gorto e su un’altra l’elenco cronologico dei passati convegni alpini. Allo champagne tutti ci alziamo e beviamo in onore del Presidente della S.A.F. e di quello delle Giulie e dell’impresario Zanier; l’egregio maestro-poeta Fruch legge fra gli applausi i seguenti tre allegri sonetti in dialetto, che ricordano una notte piovosa al Ricovero Marinelli, non ancora inaugurato…95

5 - In alt – di Enrico Fruch
I.
Son cinc òris che si trote
Su pe montagne e no si rive mai.
Isal bon timp? l’è un soreli c’al scote
Plòvial? Sglavine. Tant pete che dai.

Ançhe il sacc tirolès, che ‘l fol lu trai,
Nus ocoreve su la schene rote.
Si rid d’istess, çhaminand come il cai
E çhantuzzand di rabie une volote.

Cu -l zei aduess e cu -l gurmàl ledròs
Dentri il vèl de fumate eco une pueme,
Un flôr çhargnell che nus console i vôi.

I dis: – Biondine, pènsistu al moròs? –
Mi rispuìnd cun che grazie e cun che fleme:
– Siorìe, siorìe, us clòpin i zenoi…


II.
Sintile su sçhandule del tett
A bati il timp e a spissulà sul pràd
La pluvisine! E voltami tal jett
Del Ricovero gnùv come un danàd!

Il gno compagn di gestre al duàr cujett
Il siun del ius, un siun dur e filàd
E chell di çampe mi cole sul pett

E mi sune il liron da disperàd.
– O çhamarute me, blançhe e cujete,
La c’’o duàr i miei siuns bessòl e in pâs,
Jetutt a sustis, coltre benedete!

Volè fò l’alpinist. Indovinade!
Cumò tu sês content, cumò tu sâs
Ce ch’è la mont, alpinist in velade!


III.
A buinore mi svei che lûs la lune,
Ch’al ientre pa -l balcon il so lusòr.
Cui varess ditt di gioldi la furtune
D’un cil stelàt, d’un magnìfic splendòr?

Dulà sono lis monts che nome una
Jess fûr dai nûi cu -l so neri color?
Sore la grande pâs regne la lune,
L’ajer no’l puarte une vôs di pastor.

Come is òndis d’un mar in tampieste
Corin i nui che cuviarzin a plèn
Da Sapade a Timau lis mont çhargnelis.

E parsore il Ricovero une creste
Taje, lampide e nete, il cîl serèn:
il Kellerpìtzen coronâd di stèlis.


In Alto, XII (1901), 6, p. 59.
Ricovero G. e O. Marinelli 1934 - Custode Vittoria Tolazzi, Collina

Alpigiani, alpinisti, alpini

Alla cerimonia d’inaugurazione del ricovero Marinelli intervennero, come s'è detto, rappresentanti del 7° reggimento Alpini96. La loro presenza non poteva certo dirsi casuale. Nate negli anni Settanta dell’Ottocento, le formazioni alpine erano le uniche, all’interno del nuovo esercito nazionale italiano, con arruolamento a base territoriale; la maggior parte dei collinotti e dei giovani carnici soggetti alla leva transiterà al loro interno.

Anche in epoca veneta i carnici dovevano occuparsi della difesa dei confini che delimitavano il loro territorio. Ma non si può certo dire che in quei secoli si fosse affermata e consolidata una tradizione militaresca, tanto meno dalle tinte «alpine». Belsazar Hacquet, che visitò la zona verso la fine del Settecento, rimase divertito dalle esercitazioni che gli capitò di percepire:

Seguii il torrente Degano in direzione della sorgente, spostandomi sempre tra imponenti monti scistici. Dappertutto sentivo spari di fucile; avendo chiesto spiegazione, venni a sapere che i giovani contadini locali dovevano radunarsi nei paesi per sottoporsi alla visita di leva, eseguita da un podestà o da un funzionario distrettuale, di solito un avvocato. Questa cerimonia mi ha divertito non poco per la dimostrazione della misera organizzazione militare delle repubbliche europee, che dimostra chiaramente che i loro vicini non hanno motivo di temere, anzi ne possono trarre vantaggio sia oggi che domani97.

Durante il periodo austriaco l’arruolamento era impostato in modo da annacquare i contatti diretti delle reclute col territorio d’origine98.

Le nuove truppe alpine italiane divennero ben presto uno strumento di diffusione tra gli alpigiani di alcuni dei temi tipici di quell’aggregato culturale e ideologico, variegato e composito, denominato alpinismo. Le modalità con cui ciò avvenne nell’Alto Gorto sono ancora tutte da studiare e scoprire99.

CONCLUSIONI

Le testimonianze raccolte fino ad oggi sull’atteggiamento dei «montanari» collinotti verso la montagna prima della diffusione dell’alpinismo scarseggiano, sono di tipo indiretto (leggende, notizie di eventi atmosferici straordinari, incidenti100 ), prive della voce dei protagonisti.

Con Pietro Samassa lo «spirito» dell’alpinismo dimostra di esser giunto, e di essersi insediato, a Collina, permeando ambiti e angoli in precedenza considerati refrattari al fascino delle vette. La sua figura, anzi, fa supporre che ai collinotti d’inizio Novecento il ruolo di montanari passivi, mero oggetto di studio e curiosità da parte degli ultimi «scopritori» pianigiani, andasse un po’ stretto.

Direttamente, con Pietro Samassa, e indirettamente, con Tommaso, Umberto, Aldo e Paolo Sotto Corona, essi espressero soggetti capaci di farsi sentire, e conoscere, al di fuori dei confini della «più ampia giogaia delle Alpi Carniche» e di svolgere un ruolo consapevole, attivo e creativo, nell’ambito dell’alpinismo.

Appendici

Salite nei dintorni di Collina tra il 1862 e il 1905
AnnoAlpinistiGuideMontagne
1862 E. Mojsisovics, A. Waldner A. Riebler Pizzo Collina
1865 P. Grohmann N. Sottocorona, Hofer Cogliàns
1867 P. Grohmann N. Sottocorona Pizzo Collina
1868 P. Grohmann J. Moser, P. Salcher Cianevate
1876 G. Marinelli, F.lli Mantica, A. Sala A. Gaier Cogliàns
  O. Welter da Colonia A. Gaier Cogliàns
  L. Pitacco e altri A. Gaier Cogliàns
1877 L. Pitacco, P. Galante, A. Menchini A. Gaier Pizzo Collina
  O. Da Pozzo da Tolmezzo   Cogliàns
1878 G. Hocke da Udine   Cianevate
  C. e G. Mantica da Udine N. Silverio Cianevate
1880 G. Brazzà   Cianevate
1883 G. Hocke da Udine   Cianevate
1884 L. Billia   Cianevate
  E. Tellini   Cianevate
1889 Fiechter   Cogliàns
1892 A. Grassi   Cianevate
  A. Ferrucci   Cogliàns
  A. Ferrucci   Cianevate
1895 E. Pico, L. Spezzotti P. Kratter, P. Samassa Avanza
  G. Urbanis P. Samassa Cianevate
  A. von Krafft di Monaco, C. Oestreich   Cianevate
1896 G. Baldermann Jaeoscheck P. Samassa Seekopf
  E. Prunner   Ciadenis
  G. Baldermann P. Samassa Ciadenis
1897 A. Ferrucci, A. Steppenhofer, studenti e soci S.a.f.   Cogliàns
  G. Urbanis P. Samassa Cogliàns
1898 H. Wödl, A. Siebeneicher P. Samassa Sasso Nero
  H. Wödl, A. Siebeneicher P. Samassa Seekopf
  H. Wödl, A. Siebeneicher P. Samassa Canale
  Comitiva Österreich TouristenClub da Vienna   Seekopf
  G. Bolaffio di Trieste P. Samassa Seekopf
  G. Baldermann, H. Wödl, C. Schmid da Vienna   Volaja
  G. Baldermann, H. Wödl, F. Kordon da Vienna   Seekopf
  P. Cozzi da Trieste P. Samassa Seekopf
  H. Wodl, A Siebeneicher   Seekopf
  K. Klauss, V. Tatzel P. Samassa Canale
1899 J. Kugy, G. Bolaffio da Trieste P. Samassa, J. Komac Cianevate
  J. Kugy, G. Bolaffio da Trieste P. Samassa, J. Komac Cogliàns
1901 G. Sillani, U. Sottocorona da Trieste P. Samassa Sasso Nero
1904 Aldo Sottocorona da Trieste P. Samassa Cianevate
1905 E. Tellini   Cianevate
  P. Samassa da Collina   Canale
  Ufficiale IGM   Canale
  P. Samassa di Collina   Seekopf
  G. Urbanis   Cianevate
  H. Kofler detto Jas da Sittmoss   Cianevate
  E.T. Compton S. Obernosterer Canale
  J. Kugy da Trieste P. Samassa, J. Komac Cianevate
  M. Brunetti da Paluzza con due ufficiali P. Samassa Cianevate
  N. Cozzi e A Zanutti da Trieste   Cianevate
  A. Cozzi, T. Cepich, A. Zanutti, G. Baldissera, G. De Gasperi, G. Feruglio   Cogliàns
 
Altezze: Avanza 2493 m s.l.m.; Canale 2487 m; Ciadenis 2439 m; Cianevate 2775 m; Cogliàns 2782 m; Pizzo Collina 2691 m;
  Sasso Nero 2466 m; Seekopf 2550 m; Volaja 2454 m.
Fonti: Marinelli, La più alta giogaia, cit.; Id, Guida della Carnia, cit..
Fortunato Molinaro (Cornino 1877 - Cornino 1965)
Figlio di Andrea, ordinato sacerdote nel 1903. Prima cappellano mansionario di Forni Avoltri (1903-1905), poi economo di Sopraponti (1906-1910, 1914-1917 e 1918-19), «Ecomomus perpetuus» come si autodefinì nel saggio storico dedicato alla parrocchia di Frassenetto (La cura di Sopraponti e le sue ville (Carnia), Tipografia Doretti, Udine 1960, p. 102), medaglia di bronzo al valor militare per il comportamento tenuto nel corso dei bombardamenti di Forni Avoltri del luglio 1916:
«Durante un bombardamento nemico, sviluppatosi un incendio che minacciava di estendersi a tutto il paese, fu tra i primi ad accorrere ed a gareggiare coi militari del Presidio nell’incuorare la popolazione civile e soprattutto nel concorrere con essi all’opera di estinzione ed al salvataggio di persone, di bestiame e di materiali. Pur sotto il nutrito, preciso tiro di interdizione dell’avversario, dimostrò fino all’ultimo calma, serenità ed ardire a tutta prova, esponendosi dove era maggiore e più evidente il pericolo e destando in tutti l’ammirazione pel suo contegno esemplarmente cristiano e coraggioso. Già distintosi in altre occasioni per abnegazione, patriottismo e coraggio», Giuseppe Del Bianco, La guerra e il Friuli, Libro IV - Sull’Isonzo e in Carnia, Del Bianco Editore, Pradis di Colloredo di Montalbano 2001, vol. II, pp. 270-271.
Così l'ha ricordato Guglielmo Biasutti:
«Molinaro d. Fortunato di Andrea, n. 1877, o. 1903, ✞ in Cornino il 13-3-1965, sepolto nel mezzo del cimitero. Mansionario di Forni Avoltri fino al 1919, vicario di Peonis fino al 1925, quindi a Cornino fino al 1936, occupò poi incarichi di rilievo per qualche anno su istanza dell’arcivescovo mons. Nogara. Parroco di Mels dal 1939 al 1962 donde si rititò quiescente nel paese natio. In seminario fu segretario del circolo democratico murriano, di cui era presidente d. Beniamino Alessio di Buia. Nel primo decennio del secolo corr. fu uno dei maggiori esponenti del cosiddetto modernismo sociale tra il clero udinese. Nel 1919 l’arcivescovo mons. Rossi lo voleva direttore spirituale del seminario, ma egli declinò l’invito. Di ingegno sottile, di grande pietà. Pubblicò due opuscoli sulla sua attività in Cornino e uno sulla storia della parrocchia d’Oltreponti (Frasseneto) e di Forni Avoltri», Guglielmo Biasutti, Forgaria - Flagogna - Cornino - S. Rocco, Arti Grafiche Friulane, Udine 1977, p. 475.
Questo il necrologio apparso sul periodico Friuli nel mondo col titolo Ricordo di don Fortunato Molinaro mite e instancabile apostolo della bontà:
«Si è spento a Cornino, a quasi 88 anni d’età, don Fortunato Molinaro, eccezionale figura di sacerdote, che la popolazione del luogo (e, con essa, altre del nostro Friuli) ricorderanno con gratitudine e con affetto indelebili. Non si esagera certo dicendo che c’era in lui uno spirito d’iniziativa sorprendente, una naturale disposizione a dare con slancio il meglio di sé per il bene degli altri senza attendere altra ricompensa che la pace con la propria coscienza e l’aiuto della Provvidenza divina che non lo abbandonò neppure nelle ore più buie. Fu proprio, anzi, la sua incrollabile fede nella bontà, la sua certezza che il male non può prevalere nel mondo, a rendere così generosa la sua mano nel dare, così intrepido il suo fervore nel soccorrere. Nel 1903, appena consacrato sacerdote, fu destinato in qualità di cappellano a Forni Avoltri, dove rimase (salvo la parentesi di un anno ad Ovaro: e qui riuscì a costruire un campanile, in tempi oppressi da mille bisogni e da infiniti disagi) sino alla primavera del 1909. Al paese di cui gli era stata affidata la cura spirituale dedicò un libro, «La Cura di Sopraponti», che è un autentico monumento per i documenti, le notizie, le chiose che raccoglie e che danno un quadro quanto mai efficace ed esatto della vita del paese, che ha trovato in quelle pagine il volto della propria storia. Ma a Forni Avoltri don Fortunato Molinaro fece anche il dono dell’asilo parrocchiale, e ancor oggi c’è chi lo ricorda recarsi con la gerla sulle rive del Degano a raccogliere sabbia e ghiaia per portare a termine l’opera iniziata con tanto spirito di sacrificio e con tanto apostolico zelo. Successivamente, per un lustro, fu parroco a Peonis di Trasaghis e più tardi ancora raggiunse Cornino, il suo paese natale, soprattutto per erigervi la chiesa in luogo della medievale cappella ormai insufficiente alle necessità del culto. Quanta fatica, quanti silenziosi eroismi per tirar su i muri del tempio! Il girovagare di don Fortunato sul greto del Tagliamento per affastellare giunchi e vepri, il suo raccogliere «baràz» per venderli onde ricavare qualcosa a favore della chiesa, il suo far incetta di uova e di cianfrusaglie per pagare i debiti (ed erano gli anni in cui la crisi economica aveva fatto la sua trista apparizione in ogni casa d’ogni nostro paese) sono ricordi ancora vivi nella mente di molti parrocchiani, anche se per i più giovani quegli episodi acquistano già il sapore della leggenda. Il venerato arcivescovo mons. Nogara avrebbe voluto fare di quel sacerdote d’eccezione, in cui lo zelo apostolico si sposava mirabilmente alla vastità e profondità del sapere, un vicario foraneo: e lo destinò, in qualità di economo, ad Ampezzo, a Varmo e a Mortegliano. Ma don Fortunato era tanto schivo di onori quanto geloso della propria umiltà, che fu il segno caratteristico ed inconfondibile di tutta la sua vita. Si ritirò pertanto come parroco a Mels, dove rimase 23 anni e dove si dedicò interamente alla formazione delle anime, alla preghiera, allo studio, alla spirituale unione con il Signore. Poi la morte nel paese natale: un commiato quasi improvviso, in punta di piedi, per non disturbare nessuno. Ma Cornino, Forni Avoltri, Ovaro, Peonis, Ampezzo, Varmo, Mortegliano, Mels – e tutti, tutti quanti conobbero di don Fortunato Molinaro la povertà, la semplicità e la mortificazione — non dimenticano il santo sacerdote ansioso di giustizia e di verità, e ne tramanderanno il nome come quello di un’anima che in tempi squallidi e disordinati seppe conservare intatta in sé, e trasmettere luminosa negli altri, la fiducia nell’invincibile forza del Bene», Friuli nel mondo, IX (1965), 145 (dicembre), p. 7.
Aldo e Umberto Sotto Corona
Aldo [Adolfo negli atti di leva] Sotto Corona (Trieste 1884 - Nervi 1919), figlio di Giovanni e Emilia Cainero. Nei registri di leva c’è forse qualche imprecisione riguardo al cognome della madre, che nell’atto del fratello Umberto corrisponde a «Castro»; dagli stessi atti si rilevano la professione di farmacista e i seguenti tratti somatici: statura 180 cm; torace 82 cm; capelli castani lisci; occhi castani; dentatura sana; colorito naturale (Friuli in prin, Leva 1884, e. 357, Tol. p. 110; Leva 1885, e. 379, Tol. r. 24; Leva 1886, e. 400, Tol. r. 12; Leva 1889, e. 002, Tol. r. 24).
«Sottocorona, Aldo. Farmacista triestino (1884-1919), volontario irredento, arruolatosi nel Corpo di Sanità prestò servizio in zona di guerra, dove contrasse grave malattia che lo portò alla morte dell’Ospedale di Nervi. Croce al merito di guerra», AnVGD Gorizia, Dizionario biografico dei giuliani, fiumani e dalmati, Edizioni della Laguna, Mariano del Friuli 2009, p. 183.
Aldo Sotto Corona

Pagnacco Federico (a cura di), Volontari delle Giulie e di Dalmazia, Tipografia della Società Editrice Mutilati e Combattenti, Trieste, 1930, p. 351

Aldo Sotto Corona

Aldo Sotto Corona, Il Piccolo 2.11.1924

Aldo Sotto Corona

Aldo Sotto Corona, Il Piccolo 2.11.1924

Umberto Sotto Corona, (Trieste 1879 - Trieste 1919), figlio di Giovanni e Emilia Castro (Friuli in prin, Leva 1879, e. 271, Tol. p. 165).
«Sottocorona, Umberto. Impiegato triestino (1879-1919). Volontario irredento tra gli Alpini, combatté valorosamente sul Pal Piccolo meritandosi un solenne encomio. Morì all’Ospedale di Trieste in seguito a malattia contratta al fronte. Croce al merito di guerra», AnVGD Gorizia, Dizionario biografico dei giuliani, fiumani e dalmati, Edizioni della Laguna, Mariano del Friuli 2009, p. 184.
Umberto Sotto Corona

Pagnacco Federico (a cura di), Volontari delle Giulie e di Dalmazia, Tipografia della Società Editrice Mutilati e Combattenti, Trieste, 1930, p. 356

Note


  1. Dalla domanda di beneplacito per l'istituzione della mansioneria inoltrata dai collinotti, nel 1729, alla Serenissima, nella trascrizione riportata in Fortunato Molinaro, La cura di Sopraponti e le sue ville (Carnia), Tipografia Doretti, Udine 1960, p. 82; il passo è citato, in forma lievemente diversa, probabilmente più aderente all'originale, da Enrico Agostinis in un articolo che lo richiama esplicitamente nel titolo, Enrico Agostinis, Nella più alpestre situazione. Il territorio di Collina in Carnia spiegato da un culinòt, in «Tiere furlane/Terra friulana», n. 1 (2009), p. 87. La Provincia a cui si accenna corrisponde alla «Cargna» del periodo veneto. 

  2. Sia la «coppia contrastativa» grande/piccola, sia i toponimi legati a «collina» costituiscono evenienze toponomastiche frequenti e diffuse. «Collina e Collinetta: due nomi facili da spiegare, il che, come avvertito, non succede spesso nelle nostre zone», osserva Cornelio Cesare Desinan, Cornelio Cesare Desinan, Osservazioni sulla toponomastica del Canale di Gorto, in «Memorie storiche forogiuliesi», vol. LXXV (1995), p. 145. Enrico Agostinis, che stigmatizza la variante friulana Culinète dello «sfortunatissimo Collinetta della toponomastica ufficiale», richiamandosi ad un'antica attestazione, «Aculine parve», osserva: «E se fosse figlia, quella antica lezione Aculine, di un ad collem con riferimento al già citato Cogliàns-collis? Oppure, e va benissimo lo stesso, ad-colles al plurale, a indicare l'insieme dei monti che chiudono la valle e incombono su Collina stessa. Avremmo infine la vera evidenza: Collina non già "sulla collina", ma villa "tra i monti" o "vicino ai monti"», Enrico Agostinis, I luoghi e la memoria. Toponomastica ragionata e non della Villa di Collina, Territorio della Carnia, Agostinis Enrico 2007, pp. 78-79. Sulle origini, e la leggenda fondativa, di Collina si veda Enrico Agostinis, Le anime e le pietre. Storie e vite di casa e casate, di uomini e famiglie. Piccolo grande zibaldone della villa di Culina in Cargna, Sagep, Genova 2001, pp. 7-14. 

  3. Le citazioni sono tratte da Giovanni Marinelli, Guida della Carnia, G. B. Ciani, Tolmezzo 1906; rist. Arnaldo Forni Editore, Bologna 1981, p. 327, secondo cui «le informazioni riguardanti gli alberghi ecc. e le guide, generalmente si riferiscono all'inverno 1905-06», ivi, p. 40. 

  4. Ivi, p. 329. Parecchi anni dopo, intorno al 1933/34, Ugo Pellis si soffermerà sugli stessi particolari: «Il paesaggio è quanto mai pittoresco. Le costruzioni del villaggio sono caratteristiche. Parecchie case sono coperte di paglia di segale senza fumaioli perciò il fumo uscendo dalla porta e dalla finestra affumica e annerisce la case all'esterno. Sono stato in una casa: il soffitto è tutto una cappa nera. Quando fuma, devo uscire un po' che mi bruciano gli occhi…», Ugo Pellis, Pagine inedite, in «Ce Fastu?», vol. XXI (1945), n. 1-6, a cura di Tita Brusin, p. 23. 

  5. Marinelli, Guida della Carnia, cit., p. 308; si tratta della «popolazione presente» al censimento del 10.2.1901; la «popolazione residente» era d'un pelo superiore, 373 abitanti, 226 a Collina e 147 a Collinetta -- Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, *Censimento della popolazione del Regno d’Italia al 10 febbraio 1901, Tipografia Nazionale di G. Bertero e C., Roma 1902, vol. I, p. 376. Il giudizio sulla sua scarsità genera stupore oggi, abituati come siamo a ben altre consistenze. Secondo la prima edizione della «Guida», qualche anno prima, nel 1896, le due borgate contavano 301 abitanti -- Giovanni Marinelli, Guida della Carnia (Bacino superiore del Tagliamento), Società Alpina Friulana, Udine 1898, p. 458; il censimento del 1871 ne aveva rilevati 250 -- Accademia udinese di scienze, lettere ed arti, Annuario statistico per la Provincia di Udine, Tipografia di Giuseppe Seitz, Udine 1876, vol. I, p. 166; nel 1881 la popolazione si aggirava sui 300 abitanti («Collina […] contava nel 1871 poco più di 250 abitanti, e nel 1881, come popolazione residente, suppergiù 300 abitanti», Giovanni Marinelli, La più alta giogaia delle Alpi Carniche. Appunti vecchi e nuovi, in «Bollettino del Club Alpino Italiano per l’anno 1888», vol. XXII, n. 55 (1889), p. 131); nel 1811, secondo il primo «ruolo generale della popolazione», allora istituito, i residenti erano 221 -- Tullio Ceconi, Forni Avoltri, 1800-1915: avvenimenti, risorse locali e mobilità delle persone, Comune di Forni Avoltri, Forni Avoltri 2011, p. 12; il «Compartimento territoriale» del 1802 conteggiò 209 abitanti (Compartimento territoriale delle città, terre, castella, borghi, ecc.ed anagrafi della popolazione delle provincie austro venete - Formato con il fondamento delle note manoscritte spedite dalle provincie l'anno 1802, Archivio di Stato di Venezia, Biblioteca legislativa, b. 351). 

  6. Marinelli, Guida della Carnia, cit., pp. 327-328. Sul friulano parlato a Collina vedasi Giuseppe Scarbolo, Collina e il suo dialetto, in «Sot la nape», vol. II, n. 5 (1950), pp. 44-49 (basato sulla sua tesi di laurea -- Il dialetto di Collina, Università di Padova a.a. 1947/48), che ricorda la sensazione provata da Ugo Pellis intorno al 1933/34: «A Collina la parlata rivelando le antiche vestigie dell'anima friulana mi procura un godimento particolare…», Pellis, «Pagine inedite», cit., p. 22. 

  7. Marinelli, Guida della Carnia, cit., p. 328. 

  8. In precedenza era stata illustrata con queste parole: «Fenomeno vitale per la Carnia è quello della emigrazione all'estero, che è quasi esclusivamente emigrazione temporanea. Nell'anno 1901 emigrarono temporaneamente 6657 individui dal distretto di Tolmezzo e 1347 dal distretto di Ampezzo, quindi nell'elevatissimo rapporto medio del 14% della popolazione. La Carnia è infatti la plaga che, in Italia, presenta la massima emigrazione temporanea. Gli operai che emigrano all'estero sono muratori, braccianti, boscaiuoli, tagliapietre, arrotini, segatori di legname, fornaciai, falegnami, fabbri, tessitori, sarti, ecc. I paesi esteri più frequentati sono la Germania, l'Austria-Ungheria, la Bosnia, gli stati Danubiani», ivi, p. 12. 

  9. Giovanni Battista Ciani e Giovanni Battista Seccardi, Guida commerciale, industriale ed amministrativa della Carnia e del Canale del Ferro, Stab. tip. G. B. Ciani, Tolmezzo [1902], p. 83. 

  10. Marinelli, Guida della Carnia, cit., p. 327. Sulla figura di Eugenio Caneva vedasi Enrico Agostinis, Fu la prima a nascere… Vita e opere di Caneva Eugenio da Collina, in «Tiere furlane/Terra friulana», n. 2 (2010), pp. 53-60. 

  11. Giovanni Marinelli, «Note sulle condizioni degli abitanti di Sauris e Collina. Sopra 1300 m», in Cesare Lombroso, Pensiero e meteore. Studi di un alienista, In risposta ai quesiti posteriori del prof. Lombroso, Fratelli Dumorald, Milano 1878, pp. 213-227. 

  12. «L'altimetria della valle è varia. Comincia a 750 m.; finisce a 2000 m., colle selle, a 2800 m., colle vette. Però il paese di Collina è a circa 1255 m.; mentre quello di Collinetta è circa 50 metri più basso. Una nuova livellazione da me praticata quest'anno mediante il barometro Fortin mi diede appunto questi risultati», ivi, p. 223. 

  13. Ibidem

  14. Ivi, p. 224. 

  15. Giovanni Marinelli osserva come, nonostante l'isolamento geografico, gli abitanti «si mescolano però coi confinanti molto più che non facciano quelli di Sauris», ibidem

  16. E questo nonostante con esse negasse «il rapporto tra "pensiero e meteore" sollecitato dal Lombroso, sostenendo che […] l'azione barometrica non appariva influire sulla statura o sulla moralità», Francesco Micelli, «I geografi e l’esplorazione scientifica della montagna friulana», in La montagna veneta in età contemporanea. Storia e ambiente. Uomini e risorse, a cura di Antonio Lazzarini e Ferruccio Vendramini, Ed. di Storia e Letteratura, Roma 1991, p. 329, come del resto lo stesso Lombroso aveva riconosciuto. 

  17. Marinelli, «Nota sulle condizioni degli abitanti», cit., pp. 225-227. Riguardo agli «esercizi muscolari», richiamati al punto 4., si veda Andreina Ciceri, Le portatrici di fieno, in «Sot la nape», XXVII (1975), 2, pp. 45-47, che riporta alcune note di consegna di fieno (febbraio 1851, marzo 1854) a Valentino Vidale da Forni Avoltri da parte di Antonio Di Tamer da Collina. I pesi medi trasportati da ciascun portatore (in prevalenza donne) superano le 100 unità d'una misura che non viene specificata (Libbre? Chilogrammi?). 

  18. Si veda la breve nota biografica riportata in appendice. 

  19. Molinaro, La cura di Sopraponti, cit., p. 75. Nelio Toch ha osservato che nel Novecento, almeno in fatto di vocazioni religiose femminili, le cose cambiarono: «Ma nel secolo scorso ci sono state […] ben cinque vocazioni femminili tutte emigrate: Noemi a Torino, le cugine Grazia e Mafalda in Liguria, Dorina a Parma e la più anziana Marina "di Betan" in Argentina, prima a Buenos Aires e poi a San Julian in Patagonia, nell'estremo sud del paese», Nelio Toch, Cento anni di emigrazione femminile a Collina, dal 1870 al 1970, in Donna ed emigrante. Storia di vita femminile tra stanzialità ed emigrazione nella comunità di Forni Avoltri, a cura di Tullio Ceconi, Comune di Forni Avoltri, 2011, p. 200. 

  20. Notizie su Daniele Di Sopra/Oberhauser, emigrato a Lubiana, socio ed esecutore testamentario di Mattio Tamer, deceduto a Lubiana, e il suo lascito del 1728 finalizzato all'istituzione della mansioneria in Molinaro, La cura di Sopraponti, cit., pp. 72-73 e Giancarlo L. Martina, «Nella città di Lubiana sotto il stato imperiale». I Tamer di Collina ed i cramari settecenteschi di Forni Avoltri, in Cramars. Atti del convegno internazionale di studi Cramars. Emigrazione, mobilità, mestieri ambulanti dalla Carnia in Età Moderna, a cura di Giorgio Ferigo e Alessio Fornasin, Arti Grafiche Friulane, Udine 1997, pp. 335-340. 

  21. Molinaro, La cura di Sopraponti, cit., p. 77. Nel 1886 era stata costruita una nuova canonica a Collina grande e nel 1890 venduta quella di Collinetta. 

  22. Si veda la collezione de' «La Provincia dell'Istria», digitalizzata e resa disponibile sul sito www.dlib.si, dalla quale si desume che fu membro attivo e influente della Società Agraria Istriana; in occasione del VII congresso (1873), svoltosi a Dignano ne divenne vicepresidente: «Venne eletto a presidente il Dr. Milossa di Rovigno, uomo di molta capacità, e che perciò tutti desiderano di vederlo prender parte attiva alle pubbliche cose; a vice-presidente l'egregio Sottocorona di Dignano, noto in provincia, per i suoi studi di bachicultura. A direttori i prestantissimi signori Tommaso Bembo di Valle, Antonio Cecon e Federico Spongia di Rovigno», La Provincia dell’Istria, VII (1873), 24 (16 dic.), p. 1375. In occasione dell'VIII congresso (settembre 1875), venne eletto direttore e lesse un «referato sulla bachicoltura» riportante «le conclusioni dei quattro congressi bacologici internazionali con alcune proprie osservazioni che assoggetterà al giudizio dei sigg. soci convenuti», La Provincia dell’Istria, IX (1875), 20 (16 ago.), p. 1731; in seguito, fino alla morte, lo troviamo sempre nel direttivo dell'organizzazione; nel 1893 è confermato vicepresidente dalla Camera di commercio: «Il ministro del commercio ha confermato la rielezione del sig. Domenico Candussi-Giardo a presidente e del sig. Tomaso Sottocorona a vice-presidente della camera di commercio ed industria dell'Istria per l'anno 1893», La Provincia dell’Istria, XXVII (1893), 8 (16 apr.), pp. 64-65. 

  23. Congresso bacologico, Atti e memorie del VII Congresso bacologico internazionale tenuto in Siena nei giorni 15, 16 e 17 agosto 1881, Bargellini, Siena 1882, pp. VII, 74-77. 

  24. Dario Alberi, Istria. Storia, arte, cultura, Lint, Trieste 2001, p. 957, che probabilmente si rifà a Camillo de Franceschi, il quale nel suo studio sui castelli della Val d'Arsa non mancò di ringraziare «il signor Sottocorona» che «con la squisita cortesia che lo distingue, mise a mia disposizione tutti i documenti da lui posseduti riguardanti l'antica signoria di Lupoglavo», Camillo de Franceschi, I Castelli della Val d’Arsa. Ricerche storiche, in «Atti e Memorie della Società di Archeologia e Storia Patria», vol. XIV, fasc. 1.º e 2.º (1898), p. 194, oltre a riassumere le ultime vicende del castello in questo modo: «La signoria di Lupoglavo, che nel 1814 fu sottoposta per gli affari giudiziari al neo-istituito Commissariato distrettuale di Bellai, veniva negli ultimi tempi amministrata da un gerente (che si disse anche governatore) delegato dai Brigido. Questi ne ricavavano un utile netto di circa 10 mila fiorini all'anno. Giuseppe Ferdinando Brigido (1816-1840), unico figlio del conte Paolo, premorì al padre in conseguenza di una ferita riportata in duello a Vienna. Dalla consorte Carolina baronessa de Hackelberg-Landau non ebbe che due figliuole: Paola andata sposa ad un cugino materno e Ferdinanda, le quali — eredi testamentarie del nonno — vendettero nel 1883 il castello di Lupoglavo e gli annessi beni allodiali, al signor Tomaso Sottocorona di Dignano», ibidem. Il 20.5.1888 Tomaso Sotto Corona ospita nel suo castello il VII convegno alpino della Società alpina delle Giulie: «Domenica 20 maggio, alle ore 10.30 ant., congresso generale dei soci nel castello di Lupolano, cortesemente concesso dal proprietario sig Tomaso Sottocorona, col seguente ordine del giorno : […] 2. Alpe grande. (Planik, 1273 m.). Domenica 20 maggio, ore 3 pom. Partenza dal luogo del convegno (403 m.) per la malga Sottocorona (1000 m. circa), ove si arriva alle ore 7 pom. circa e si pernotta. --- Lunedi 21 maggio, ore 3 ant. Partenza per la vetta del monte ove si giunge alle ore 4 aut. Scioglimento del convegno», La Provincia dell’Istria, XXII (1888), 6 (16 mag.), p. 75. Il castello venne rimesso in vendita da Tomaso Sotto Corona nel 1895, almeno stando a un documento formato da «tre pagine in lingua italiana, composto con grafia bella e comprensibile […] accompagnato da un disegno dettagliato, in scala 1:2880, del castello e della sua area, che rappresenta l'intera struttura: piano terra, primo piano e secondo piano» (da una scheda bibliografica, tradotta con Google, relativa a Slaven Bertoša, Osebujno mjesto austrijske Istre: lupoglavski kraj u srednjem i novom vijeku). 

  25. Almanacco italiano, Almanacco italiano. Piccola enciclopedia popolare della vita pratica e annuario diplomatico amministrativo e statistico, Anno IX, R. Bemporad & Figlio, Firenze 1904, p. 660, dove si precisa che morì a Dignano d'Istria nel luglio 1902. A commento di una tabella sulla produzione istriana di bozzoli nel periodo 1870-1889, Eugenio Pavani si dichiara debitore per i dati esposti verso il «sig. Tommaso Sottocorona di Dignano, solerte riproduttore del seme serico della razza indigena a bozzolo giallo. Egli prepara annualmente circa 8000 oncie di seme a selezione cellulare Candoni-Pasteur», Eugenio Pavani, Cenni storici intorno alla seta in Gorizia, nell’Istria e in Trieste, in «Archeografo triestino. Raccolta dimemorie, notizie e documenti particolarmente per servire alla storia di Trieste, del Friuli e dell’Istria», vol. n.s. XVI (1890), p. 105. «Villa Francesca del sig. Tomaso Sottocorona a Dignano» è ricordata come luogo di deposito e custodia di reperti archeologici provenienti nell'agro polese, Piero Sticotti, Relazione preliminare sugli scavi di Nesazio, in «Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria», vol. XVIII (1902), p. 144. È autore di diversi articoli e pubblicazioni; ricordiamo almeno Tommaso Sotto Corona, Cure pratiche raccomandate da T. Sotto Corona in Dignano agli allevatori di bachi a bozzolo giallo, Tip. A. Coana, Rovigno 1881. 

  26. E in particolare del comitato permanente del suo consiglio agrario -- Era nuova, n. 7 (7.6.1901), scaricabile dal sito web www.dlib.si/. 

  27. «Alla deputazione Comunale di forni Avoltri. Avendo il figlio Tomaso deta danni 13 la sorte di poter entrare in un negozio a Dignano nell'Istria così si prega la Deputazione Comunale d'accompagnarlo favorevolmente all'autorità per fargli avere un Passaporto à Gratis per potersi bentosto Recarsi colà. Collina li 6 Ottobre 1847. Giuseppe Sotto Corona», una copia fotografica dell'istanza è pubblicata in Ceconi, Forni Avoltri 1800-1915, cit, p. 104. 

  28. La citazione è tratta da una copia manoscritta del «Promemoria per ricordare Date - Fatti - Avvenimenti», elaborato dal maestro Eugenio Caneva, fornitaci da Enrico Agostinis, che ringraziamo. Dalla stessa fonte s'apprende che «1867 – Furono venduti i prati: Zovo, Chiampei, Valantugni, Miol ecc. all’avvocato Grassi di Tolmezzo, che comprò a lire 20 il settore e ridusse all’attuale malga Chiampei. Fù per acquistarlo il signor Sotto Corona Tomaso di Dignano d’Istria (nato a Collina). Il Grassi voleva avere £ 22.000, e il Sotto Corona gli offrì £ 15.000 ed infine ne pagava 16.000. Non si misero d’accordo. Dopo morto l’avvocato, le figlie vendettero a Pascolin Nicolò (Culau) di Sigilletto a £ 9000» -- passo già in parte citato in Agostinis, I luoghi e la memoria, cit., p. 55. 

  29. Marinelli, La più alta giogaia, cit., p. 129. A queste tre vie va poi aggiunta quella che sale, quasi perpendicolarmente, dalla località di Ponte Coperto a Sigilletto, tagliando Basulin, Lurinz e Navo, e prosegue per Collina (ore 2 circa), come ricorda, forse non senza un pizzico di malizia verso i neifiti, condensata nel giudizio sulla sua «comodità», il programma dell'inaugurazione del ricovero Giovanni Marinelli (22.9.1901): «Da Rigolato a Collina per Sclinghin (680) o Givigliana, il sentiero è buono e discretamente comodo. Altrettanto bello e ancora più comodo è quello che sale da Ponte coperto, e una piccola passeggiata con poca salita è la via da Forni Avoltri», In Alto, XII (1901), 6, p. 42. 

  30. Marinelli, La più alta giogaia, cit., p. 168. 

  31. Secondo Fortunato Molinaro la strada «venne aperta nel 1885 e gli imprenditori erano da Forni Avoltri, Romanin Fridolino, Romanin Valentino e Vidale Gio. Batta. Prima per passare da Collinetta a Collina grande, si seguiva la strada che porta alla Chiesa», Molinaro, La cura di Sopraponti, cit., p. 69. 

  32. Agostinis, I luoghi e lamemoria, cit., p. 109, che cita anche un estratto dai ricordi di Eugenio Caneva: «Nell'anno 1887 mi venne l'idea di costruire una strada più comoda […] per andare a Collinetta cioè ove trovasi attualmente. L'anno 1888 fu tenuta l'asta pell'appalto…», ibidem. «Infine, nel 1969-70 fu costruita la nuova strada alta sopra C[ollina]P[iccola] e fu edificato l'attuale ponte, pochi metri a monte del precedente (ponte che fu successivamente demolito perché pericolante, ma le spalle sono ancora in piedi e ben visibili dal ponte nuovo», ibidem

  33. «Importanti lavori stradali vennero portati a termine pochi mesi prima dell'entrata in guerra dell'Italia, nella zona pedemontana e montana. Va ricordato, tra l'altro, che nel 1912 era stato ultimato il tronco che collegava Comeglians a Rigolato, e nel settembre del 1914 veniva inaugurato solennemente il tratto Rigolato-Forni Avoltri. In tal modo si realizzava una grande aspirazione degli abitanti della valle del Degano e si creava un'importante via di comunicazione di interesse militare, in vista delle imminenti operazioni belliche», Gaetano Cola, Cento anni di opere pubbliche in Friuli, Del Bianco Editore, Udine 1967, p. 72. «Dichiarata provinciale di II serie nel 1875 la strada del Gorto, detta impropriamente del Monte Croce [di Comelico], questa fu cominciata a sistemare, o meglio a ricostruire di sana pianta, verso il 1880; arrivando in un primo tempo fino a Comegliàns, e soltanto molto più tardi (1914) a Forni Avoltri, mentre del tutto recente è il buon collegamento con Sappada», Michele Gortani, «Vie e mezzi di comunicazione», in Giovanni Marinelli, Guida della Carnia e del Canal del Ferro, a cura di Michele Gortani, Libreria Editrice «Aquileia», Tolmezzo 1924-25, p. 143. Riguardo al ponte Lans «sul quale la strada Rigolato Forni Avoltri, passa dalla sinistra alla destra» del Degano, don Molinaro precisa «L'attuale ponte venne costruito in cemento nel 1914. Ma si ricorda che era in legno. Era stato costruito nel 1890 da un semplice falegname, un ottimo artigiano e costruttore, Vidale Gio-Batta da Forni Avoltri. L'antecedente era stato fatto nel 1878, più basso assai, ed era stato asportato dalla piena straordinaria del 1882. Rifatto in forma provvisoria, un'altra piena, ben maggiore, nell'ottobre del 1889 lo distrusse nuovamente», Molinaro, La cura di Sopraponti, cit., p. 11. L'impresa aggiudicataria dei lavori del 1890/91 faceva capo a «Giacomo Romanin di Forni Avoltri ed operai Romanin Fridolino, Romanin Valentino ed il sopraddetto Vidale Giobatta, tutti di Forni Avoltri», ibidem

  34. Cola, Cento anni, cit., p. 67. 

  35. «Alla ferrovia Carnica vengono a far capo, rispettivamente a Tolmezzo e Villasantina, la tranvia del Bût e la tranvia del Degano. Sono entrambe dovute al generale Lequio, che, sollecitando il concorso dei Comuni, riuscì ad ottenere stabile e duratura quella che doveva essere altrimenti solo una provvisoria opera di guerra», Gortani, «Vie e mezzi di comunicazione», cit., 148. Per la data d'entrata in funzione vedasi Giuseppe Nogarino, Tranvie del Degano e della Valle del Bût in Carnia - Alto Friuli, Calosci editore, Cortona 2001, p. 21. Siamo a ridosso della disfatta di Caporetto che si sarà forse ripercossa anche sulla funzionalità della tranvia del Degano. Nata per favorire l'esportazione del legname e gli scambi commerciali, non venne utilizzata per il trasporto di persone, almeno stando ai ricordi don Molinaro: «Il sacerdote Fortunato Molinaro, alla sera del 14 aprile 1919, entrò a Peonis, sua nuova destinazione. È vero che partì non accompagnato da alcuno, alla notte dal 13 al 14 aprile, a piedi, da Forni Avoltri per Comeglians, per prendere la corriera e, non avendo trovato posto, continuò fino a Villa Santina per il primo treno», Molinaro, La cura di Sopraponti, cit., p. 106. 

  36. Don Molinaro accenna «ai canti che vibrarono sotto il Coglians» in tale occasione. «Quando fu concesso al paese di cotruirsi la strada del Fulin, e con denaro proprio, perché allora le frazioni avevano casse proprie, l'entusiasmo fu al colmo. Ricordo la magnifica cantoria quando c'erano i fratelli Agostinis e compagni», ivi, pp. 81-82. 

  37. Tommaso Pellicciari, Forni Avoltri, Arti Grafiche Friulane, Udine 1973, p. 221. 

  38. «Dall'ideazione della strada all'individuazione del percorso, alla progettazione (i progetti furono tanto mutevoli quanto numerosi), fino alla conclusione dei lavori, l'iter della realizzazione dura sette anni, dal 1907 (anno di ideazione della strada) al 1914 (fine dei lavori)», Agostinis, I luoghi e la memoria, cit., p. 13. «Terminata nel 1914, alla vigilia dello scoppio del primo conflitto mondiale, la strada non fa neppure in tempo a svolgere la funzione per la quale è concepita e fortemente voluta, ovvero il trasporto diretto a valle del legname. Fra i numerosi sconvolgimenti che il conflitto prima e il dopoguerra poi portano con sé vi è la rapidissima evoluzione (meglio sarebbe dire rivoluzione) delle vie di comunicazione e dei mezzi di trasporto: una rivoluzione che si replicherà, moltiplicata, nel secondo dopoguerra», Agostinis, «Nella più alpestre situazione», cit., p. 96. 

  39. «Dopo l'avvio delle ostilità nel 1915, le esigenze belliche convinsero ben presto il comando militare della Zona Carnia della necessità di una strada che avvicinasse Forni Avoltri, sede del comando di settore, alla linea del fronte che si snodava lungo la cresta principale, dal passo Giramondo a Volaia a Monte Croce Carnico. Un percorso che mettesse in collegamento Forni con Collina, dunque, ovvero con l'immediata retrovia della prima linea che dal monte Volaia correva all'omonimo passo, per poi risalire al Cogliàns e alla Chianevate. Fu quindi dato avvio alla costruzione della strada attuale, i cui lavori furono però interrotti dalla disfatta di Caporetto e dalla conseguente ritirata del novembre 1917 da tutto il fronte orientale. La costruzione della strada fu infine portata a compimento solo nel dopoguerra, a spese del Comune di Forni Avoltri», Agostinis, I luoghi e la memoria, cit., p. 16. 

  40. «Per quasi un secolo, le scuole elementari furono dirette da due paesani ed esperti insegnanti. Eugenio Caneva (1862-1903) e Alberta Agostinis (1913-1958) che meritarono la stima generale del paese. Oltre alla scuola il Caneva s'adoperò per il perfezionamento del paese. La latteria sociale, la prima della Carnia (1881) la posta, il telefono, la stazione metereologica, le nuove scuole sono merito suo. Ebbe medaglia d'oro. Erano gli anni in cui deputato per la Carnia era Gregorio Valle, il quale favorì in tutti i modi il Caneva. La moglie del Caneva non fu da meno, perché si dedicò particolarmente ad opere di carità ed assistenza degli ammalati e moribondi del paese», Molinaro, La cura di Sopraponti, cit., pp. 77-78. 

  41. «L'attitudine e l'amore alla scuola della maestra Alberta Agostinis sono notissime. Dimostrò ammirevole sollecitudine e impegno per avviare gli scolari ad una vita giusta, che non potrà mai essere tale, se non è religiosa. E ne diede anche l'esempio. Non meno della scuola amò la chiesa», ivi, p 78. Un suo bel ritratto fotografico, risalente agli anni di guerra (16.6.1917), in Novella Del Fabbro, Vitos di paîs, Centro Culturale «J. F. Kennedy», Forni Avoltri 1999, p. 35. 

  42. Vedasi Agostinis, I luoghi e la memoria, cit., p. 48, che si rifà alle memorie inedite di Eugenio Caneva e pubblica una foto dell'edificio risalente al 1909. Sulla poliedrica figura di Amedeo Zanier, industriale, inventore, fotografo, che verrà citato di nuovo anche in seguito, si veda la breve biografia tracciata da Pieri Pinçan, Pierino Pinzan, Lu cavalir Zanier, in Vertâz. Storia, emigrazione, esperienze e caratteristiche di una comunità, ALEF, Comune di Rigolato, Scuola elementare di Rigolato, 1991, pp. 173-174. 

  43. «1892 - Oggi 1° febbraio venne aperta una Rivendita di Privativa a Collina. La gestione venne affidata a Tolazzi Michele fu Michele, che morì il 25 novembre 1904. Continuò la vedova fino al 1910. Dopo asunse tale gestione Gaier Giovanni di Valentino (Paur)», Eugenio Caneva, Memorie, copia manoscritta dell’originale riportante il timbro dell’Albergo G. Sotto Corona - Collina - Via Tors 2, sd, p. 38. 

  44. Ibidem

  45. «1905 - 20 aprile: oggi inizia il portalettere da Forni a Collina, giornaliero con residenza a Collina e retribuito con £ 300 annue. È Mazzocoli Luigi fu Daniele. Nel 1908 si fanno pratiche perché gli venga migliorata la sua condizione, che verrà portata a £ 500», ivi, p. 40. 

  46. «1907 - Fu piantata la linea telefonica da Forni Avoltri a Collina. Il primo palo fù piantato a Collina l'8 giugno, l'ultimo a Forni il 21 giugno. Servizio provvisorio il 1° luglio», ibidem

  47. Per un quadro analitico si rinvia ad Agostinis, Le anime e le pietre, cit., pp. 52-101. 

  48. Paul Grohmann, «Aus den Carnischen Alpen», in Zeitschrift des Deutschen Alpenvereins, a cura di Theodor Trautwein, Deutschen Alpenvereins, München, vol. I (1869-1870), pp. 59-60; traduzione ripresa da Melania Lunazzi, «Il “Cogliano"», in Caterina Ferri, Antonio Giusa, Melania Lunazzi e Antonio Massarutto, Alpi Carniche e Dolomiti Friulane. Itinerari alpinistici dell’Ottocento, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 2000, pp. 185-189. 

  49. Grohmann, «Aus den Carnischen Alpen», cit., p. 66; traduzione ripresa da Caterina Ferri et al., Alpi Carniche e Dolomiti Friulane, cit., p. 195. 

  50. «Chi furono i pionieri? Da dove vennero? Non certo dai villaggi di montagna, i cui abitanti non si spingevano mai volentieri verso l’alto, se appena potevano evitarlo. Avevano paura delle vette, e il folclore alpino è ricco di draghi e di mostri», Claire-Eliane Engel, Storia dell’alpinismo, Giulio Einaudi editore, Torino 1965, p. 13.
    «I pionieri della montagna vennero da tutt’altra parte: furono degli scienziati. L’epoca nella quale nacquero si interessava alla ricerca scientifica più del XVII secolo, e, senza trascurare la matematica, studiava appassionatamente le scienze naturali. La botanica, le geologia e la fisica permettono all’uomo di comprendere più chiaramente la complessità della natura e la forza del proprio spirito», Ivi p. 17.
    Precursore degli scienziati-esploratori ottocenteschi delle Alpi Carniche fu Belsazar Hacquet che le visitò tra il 1781 e il 1793: «Seguii il torrente Degano in direzione della sorgente, spostandomi sempre tra imponenti monti scistici. […] Dirigendomi ora per qualche tratto verso sud, giunsi al monte Neval, composto di calcare, ma con un po’ di scisto e di serpentina alla base. Prima della località di Forno di Carnia finiscono le montagne scistiche, mentre più avanti non si incontra altro che gli alti monti brulli, addossati l’uno all’altro, di cui i più elevati sono l’Altrozo, il Tullia e Colo Mesali, ai cui piedi scaturisce il torrente Degano.», Belsazar Hacquet, «Le Alpi Carniche. Le Alpi Carniche e la loro estensione verso occidente. I singoli monti. Le miniere di Auronzo ed Agordo. Gli abitanti di questa catena alpina ecc.», in Belsazar Hacquet dal Tricorno alle Dolomiti. Un viaggiatore del Settecento, a cura di Melania Lunazzi, Nuovi Sentieri Editore, Belluno 2010, pp. 165-167. 

  51. «[…] da quando le grandi montagne si sono stagliate sull’orizzonte, un incentivo è totalmente scomparso, e si tratta proprio dell’incentivo che ha aperto la strada alle montagne: la ricerca scientifica. Con questa unica eccezione, le altre vecchie tendenze sopravvivono tuttora, sotto aspetti diversi», Engel, Storia dell’alpinismo, cit., p. 17. 

  52. Marinelli, La più alta giogaia, cit., p. 122. 

  53. Ivi, p. 123. 

  54. «Per una breve stagione, dunque, i massicci montuosi che circondano la bella conca del Lago Volaia contendono alle più famose Dolomiti il richiamo verso gli alpinisti e i turisti ‹alla moda›», Caterina Ferri et al., Alpi Carniche, cit., p. 162. 

  55. Melania Lunazzi, «Gli accompagnatori dei primi alpinisti. Da cacciatori a guide alpine», in La Società Alpina Friulana e le Alpi Friulane, a cura di Giuseppe Bergamini, Cristina Cristante Donazzolo e Francesco Micelli, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, 2000, p. 50. «Per le salite “ordinarie" spettavano alla guida tre o quattro lire al giorno, per le salite di Canin, Coglians, Peralba, Clapsavòn e Pramaggiore dalle cinque alle sei lire al giorno. Ai portatori, che erano quasi sempre delle donne, spettavano normalmente, a meno che non si trattasse di “fatiche straordinarie", per le quali occorrevano tre lire, due lire al giorno. Non dimentichiamo che il ruolo di queste ultime fu altrettanto fondamentale quanto quello della stessa guida, anche se per incombenze poco “psicologiche", di pura fatica, trattandosi in quegli anni di trasportare al seguito un carico di vettovaglie assai vario, voluminoso e soprattutto pesante (coperte, fucili, barometri, apparecchi fotografici ecc.), dato che quasi mai le escursioni in montagna si realizzavano in un solo giorno», Ibidem.
    Devo a Enrico Agostinis la segnalazione di un'inesattezza presente nelle precedenti versioni di questo lavoro, consistente in una presunta salita (nel 1870) alla Creta di Collina da parte di Paul Grohmann guidato da un inesistente Nicolò Samassa (una specie di commistione tra Pietro Samassa e Nicolò Sotto Corona), ripresa acriticamente da Pellicciari, Forni Avoltri, cit., p. 97.  

  56. Sergio De Infanti, «Pietro Samassa», in Novecento. Dai monti della Carnia, a cura di ASCA - Associazione Sezioni Carniche del CAI, Edizioni Andrea Moro, Tolmezzo 2002, p. 12, che ha ripreso e accentuato quanto già esposto in Valnea Pinzan, Pietro Samassa, guida alpina (1866-1912), in «In Alto», vol. LXXVI, n. CXII (1994), p. 269, e, ancor prima, in un racconto di Pier Arrigo Carnier pubblicato nel 1957 – Pier Arrigo Carnier, Vento di Carnia. Racconti, Tipografia G. B. Doretti, Udine 1957, pp. 19-28. «Fra gli abitanti delle vallate alpine c’era chi conosceva un po’ meglio le montagne: i cacciatori di camosci e i cercatori di cristalli - e molto spesso chi era cacciatore era anche cercatore di cristalli. […] Era facile trovarli lungo tutta la catena alpina, e i racconti delle loro avventure appassionavano grandemente i viaggiatori. Si trattava sempre di racconti altamente drammatici. Per scalare le rocce a strapiombo alla ricerca della preda, essi di mettevano a piedi nudi e, per avere maggior presa sugli appigli precari, si tagliavano le piante dei piedi perché il sangue delle piaghe li facesse aderire meglio alla parete. Viene da chiedersi come mai uomini in possesso di tutte le facoltà mentali abbiano potuto inventare una storia del genere – una storia che, pure, ha continuato a essere ritenuta vera fin quasi alla fine del secolo scorso», Engel, Storia dell’alpinismo, cit., p. 15. «Per tutto il XVIII secolo e all’inizio del XIX i cacciatori di camosci hanno una parte di primo piano in tutte le opere dedicate alla montagna. Furono essi le prime guide – non c’era scelta; poi, data l’assoluta certezza dell’epoca nella fondamentale bontà della natura, si trasformarono rapidamente in idillici personaggi sempre pronti a pronunciare massime edificanti di dubbia originalità. Ma se conoscevano qualche cresta e qualche ghiacciaio dove tendere l’agguato alla preda, i cacciatori di camosci non tentavano mai di raggiungere le vette per amore puro e semplice dell’ascensione», Ivi, p. 17. «Nella sua vita di guida alpina possiamo seguire un’evoluzione che porta ad un “alpinismo obbligatorio" a cui fu costretto più per necessità che per passione, fino ad una ricerca di nuove vie di salita, indipendentemente dal tornaconto economico del suo mestiere di guida», Pinzan, «Pietro Samassa», cit., p. 267. 

  57. Ivi, p. 167. La visita di leva, cui si sottopose nel 1886, restituisce alcuni dei suoi tratti somatici: statura 169 cm; torace 93 cm; capelli castani lisci; occhi castani; dentatura sana; colorito roseo; cicatrice alla fronte - Friuli in prin, Anagrafe storica delle famiglie friulane, Samassa Pietro Antonio, Leva, 1866, e. 193, Tol. p. 389. Si sposò il 29 agosto 1894; il giorno prima Giuseppe Urbanis, intenzionato a raggiungere la Kellerspitz da uno dei canaloni della Cjanevate, lo cercò: «Arrivato a Collina, seppe che Samassa si sposava il giorno seguente; ma questi lungi dal declinare l’invito, chiese all’Urbanis di attendere solo per il giorno delle nozze, dopodiché all’alba partirono. Purtroppo l’impresa non riuscì, la guida con il suo ben noto coraggio propose di continuare da solo senza inutili pesi per portare a termine ugualmente l’impresa, ma l’Urbanis non glielo permise.», Pinzan, «Pietro Samassa», cit., p. 269. 

  58. Arturo Ferrucci, Nel gruppo del Coglians, in «In Alto», vol. IV, n. 1 (1893), p. 6. 

  59. Ivi, p. 7. 

  60. Ibidem

  61. Ivi, p. 8. 

  62. Ibidem

  63. Ivi, pp. 8-9. 

  64. Ivi, p. 9. 

  65. Ibidem

  66. Ivi, p. 10. 

  67. Lunazzi, «Gli accompagnatori», cit., p. 52. «Pietro Samassa morì giovane, nel pieno vigore delle sue forze, e fu una dolorosa sorpresa per noi tutti. Era stato l’uomo più ardito e sfrenato che io abbia conosciuto. Quando raccontava, con le vampe negli occhi, delle sue cacce proibite e del suo periglioso contrabbando, c’era da aver paura. Lì sapeva il fatto suo. Non mi sarei stupito di nessuna pazzia da parte sua: né del sacrificio della propria vita per un’inezia, né di una fucilata improvvisa che avesse sparato, quando gli si gonfiava la vena in mezzo alla fronte, contro un presunto avversario. Poco gli’importava: o io o tu, o la vita o la morte! Così visse la sua breve vita quest’uomo ambizioso, audace, appassionato. La mia `relazione’ arriva in ritardo. Ma nella storia dell’esplorazione della Cianevate gli compete un posto onorevole. E ci rimanga stampato, come sarà stato il desiderio di quel temerario, ostinato, impetuoso, ottimo rocciatore della Carnia!», Julius Kugy, Dalla vita di un alpinista, Lint, Trieste 2000, p. 195. Una sintesi delle imprese di Pietro Samassa anche in Pellicciari, Forni Avoltri, cit., pp. 97-98; una ritratto succinto e puntuale in Giovanni Battista Spezzotti, L’alpinismo in Friuli e la Società Alpina Friulana, Società Alpina Friulana, Udine 1963, vol. I (1974-1899), pp. 150-151; altre notizie su di lui (Piori di Toch) in Novella Del Fabbro, «’Gna Vitorio dal Ricovero Marinelli. Zia Vittoria del Ricovero Marinelli», in I cento anni del Rifugio Giovanni e Olinto Marinelli, a cura di Società Alpina Friulana sezione di Udine del CAI, SAF, Udine 2001, pp. 40-43. 

  68. Sulla loro assoluta «triestinità» non hanno avuto alcun dubbio gli estensori del Dizionario biografico dei giuliani, fiumani e dalmatiAssociazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia AnVGD Gorizia, Dizionario biografico dei giuliani, fiumani e dalmati, Edizioni della Laguna, Mariano del Friuli 2009, pp. 183-184; si vedano le note biografiche, riportate in appendice. 

  69. Le citazioni sono tratte da Umberto Sotto Corona, Cima di Sasso Nero (2466 m.). Seconda salita, in «Alpi Giulie», vol. VI, n. 6 (1901), pp. 66-67. 

  70. Aldo Sotto Corona, Salita al Collians (m. 2782) dalla parete nord, in «Alpi Giulie», vol. IX, n. 1 (1904), pp. 2-3. 

  71. Aldo Sotto Corona, Salita al Kellerspitz (m. 2775) dalla Cianevate. Prima discesa da questo versante, in «Alpi Giulie», vol. IX, n. 2 (1904), p. 37. 

  72. Ivi, p. 38. 

  73. Per uteriori dettagli si veda, in questo sito, l'articolo Collinotti a Dignano d'Istria

  74. Dal breve resoconto pubblicato sulla «Provincia» si apprende che Tommaso Sotto Corona «con questa, già per la terza volta ospita cortesemente i soci nel suo castello»; all’evento parteciparono circa 45 soci tra cui molte «signore, che vogliono non essere da meno del sesso così detto forte». «Alle 12 ore s’imbandiscono le mense con sollecitudine per mano delle amabili e ardimentose signore e signorine che ci accompagnano. Gustosi i cibi, preparati dall’oste Giombini, che da Pisa venne ad accasarsi a Lupolano non senza fortuna, squisiti i vini Sottocorona di Dignano: terrano, rosa e bianco spumante. E però allegro il simposio e brindisi infiniti e serii e faceti. […] Levate così le mense, alle ore 4 ci fu il commovente saluto tra quelli che si spargevano attorno ad attendere l’ora della partenza per Trieste e gli altri che si accingevano parte — 18, tra quali quattro signore — a salire l’Alpe grande Planik), parte — 12, tra cui una signora e la bella figliuoletta del presidente d’anni otto appena — il Monte maggiore. Questi aveano a passare la notte alla Cantoniera, quegli alla Malga Sottocorona. Dei quali ultimi fui compagno anch’io: ché il Monte maggiore lo salii altre volte. E qui fino all’arrivo alla malga, non saprei che narrare. Quello di cui mi ricordo è che alla malga io giunsi senza l’aiuto delle gambe, ma come rapito da un pallone aerostatico. E fu mercè del generoso vino. Vi giungemmo alle 8 e fummo accolti da quei villici molto amorosamente. Dove asciugammo a un buon fuoco le vesti inzuppate di sudore, mangiammo e bevemmo un altro poco e passammo la notte dormendo sul fieno del fienile. - Alle 3 del mattino suonò la sveglia… », La Provincia dell’Istria, XXII (1888), 11 (1 giu.), pp. 81-82. 

  75. «Già alla domenica del 21 un bel gruppo si alpinisti si radunava a Lupoliano nell’osteria del “Monte Maggiore" di Giuseppe Giombini […] Di questa comitiva, abbastanza numerosa, alcuni dopo le 2 pom. partivano per il rifugio Sotto-Corona dell’Alpe Grande […] Alla sera della stessa giornata, giungeva a Lupoliano il grosso de’ partecipanti, de’ quali alcuni, approfittando del bel chiaro di luna, proseguivano per il rifugio Sotto-Corona, godendo a quanto mi dissero di un paesaggio indimenticabile; altri pochi dirigendosi verso il Monte Maggiore; i più restarono a pernottare a Lupoliano, parte all’osteria del Giombini e parte nel castello del signor Tommaso Sotto Corona offertoci per quella sera con cortese cavalleria dal proprietario», Alpi Giulie, IV (1899), 4, p. 41. Si veda anche l’articolo di Mario Schiavato, Alla ricerca del castello di Lupogliano, in «La voce del popolo. Quotidiano degli italiani dell’Istria e del Quarnero», n. 3122 (9 aprile 2011), pp. 18-19, con numerose fotografie che rendono conto della condizione di abbandono in cui si trova attualmente il castello di Lupogliano. 

  76. Si veda l’«Elenco dei soci della Società Alpina Friulana a 1° gennaio 1903» allegato al numero 4 dell’annata 1903 di «In Alto». 

  77. Agostinis, Le anime e le pietre, cit., p. 78. 

  78. Marinelli, Guida della Carnia, cit., p. 327. 

  79. «1896 - Quest’anno fu costruito il Ricovero Alpino al lago di Volaja, dalla Società Austro-Germanica - Sezione di Villaco, e venne inaugurato col concorso della Società Alpina Friulana - sezione di Tolmezzo», Eugenio Caneva, Memorie, copia manoscritta dell’originale riportante il timbro dell’Albergo G. Sotto Corona - Collina - Via Tors 2, sd, p. 38. Secondo Giovanni Marinelli l’inaugurazione avvenne l’anno successivo. «La sezione dell’Obergailthal (valle superiore della Gail) del D. u. Oe. A. V., residente da Catescio, ha […] costruito colla spesa di 4700 marchi un ricovero, col titolo di Wolayerseehütte, che venne inaugurato il 10 agosto 1897. Esso consiste in un solido edificio, lungo metri 9.2, largo 6.2, alto circa 4.0, costruito in pietra rossa tratta dalle roccie circostanti. Entrando, a sinistra a pianoterra si trova prima la camera delle signore, poi quella del custode, a dritta la stanza da mangiare, poi quella da dormire per 6 o 7 persone. Nello spazio compreso sotto il tetto, al quale si accede per una scala dal salotto da pranzo, v’è posto per 6 o 7 viaggiatori e una decina di guide. Nell’estate esso è custodito da una guida autorizzata della Sektion Obergailthal e munito di provvigioni sistema Pott. La chiave del Ricovero è depositata presso Anton Rizzi a Catescio (Kötschach), Albin Ortner a Muda (Mauthen) e Johann Huber a Birnbaum», Marinelli, Guida della Carnia, cit., pp. 226-227. 

  80. «1901 - Venne costruito il Ricovero alla Forcella Moraretto, al quale fu dato il nome di Ricovero Marinelli del Cav. Giovanni fondatore della Società Alpina Friulana. Venne inaugurato il 22 settembre 1901 col concorso di molti soci e della Società Austria-Germanica», Caneva, Memorie, cit., p. 39. «Il ricovero G. Marinelli consiste in un fabbricato in muratura lungo m. 9 e mezzo, largo m. 5 e mezzo, alto circa m. 6. È diviso in due piani: il pianoterra comprende un atrio d’ingresso con scala per il piano superiore, la cucina che serve anche da stanza da pranzo, ed un’altra piccola stanza ove possono avere alloggio separato le signore; il piano superiore ha due soli ambienti, un piccolo atrio e un dormitorio che può servire per 12 alpinisti; superiormente, in una soffitta, riposano le guide. Le pareti del ricovero sono tutte rivestite internamente di legno e di legno sono le pareti che dividono fra loro gli ambienti. Da luglio a metà settembre il ricovero è aperto e vi abita costantemente un custode che fornisce agli alpinisti cibi e bevande con tariffa della S.A.F.. La tassa di soggiorno per i non soci è di L. 0.50, quella di pernottamento L. 2; esse danno diritto a lume e fuoco. Il ricovero è anche fornito di una piccola farmacia. La forcella su cui sorge il ricovero è sprovvista d’acqua; sul versante di Timau la si trova a Fontana Nera (mezza ora in salita, 15 minuti in discesa), sul versante di Collina alla prima origine del Rio Mararèt (20 minuti in salita, 10 discesa)», Marinelli, Guida della Carnia, cit., p. 204. 

  81. Per maggiori informazioni: Caterina Tamussin, «Ricordi della figlia del gestore», in I cento anni del rifugio Giovanni e Olinto Marinelli, a cura di Società Alpina Friulana sezione di Udine del CAI, SAF, Udine 2001, p. 50. 

  82. In Alto, XII (1901), 6, pp. 53-54. 

  83. In Alto, XII (1901), 6, p. 54. 

  84. Giuseppe Luzzatto, L’inaugurazione del Ricovero Giovanni Marinelli sul Coglians, in «Alpi Giulie», vol. VI, n. 6 (1901), p. 62. 

  85. In Alto, XII (1901), 6, p. 55. 

  86. Luzzatto, «L’inaugurazione», cit., p. 62. 

  87. «Il convengo di quest’anno, a quei pochi fortunati che vi assistettero, lascerà ricordi simpatici e duraturi», In Alto, XII (1 901), 6, p. 53. 

  88. In Alto, XII (1901), 6, p. 56. 

  89. In Alto, XII (1901), 6, p. 56; la corsa alla scoperta coesisteva con altre finalità «relative ai benefici dell’alpinismo sulla educazione fisica e morale della gioventù e al contributo che esso poteva dare al benessere materiale ed al perfezionamento intellettuale delle popolazioni alpine», Ibidem

  90. In Alto, XII (1901), 6, p. 57. 

  91. Ibidem

  92. Ibidem

  93. Ivi, p. 58. 

  94. Ibidem; i tre sonetti di Enrico Fruch sono trascritti nel riquadro 5

  95. Questo il saluto loro rivolto: «Ringrazio prima di tutto a nome della Società alpina friulana il colonnello cav. Oro comandante del 7° Alpini che volle farsi rappresentare dal maggiore cav. Gaetano Ruiz y Balstreros», Ibidem

  96. Hacquet, «Le Alpi Carniche», cit., pp. 165-166. 

  97. «In uno stato travagliato da profondi contrasti di nazionalità, come l’Austria-Ungheria, i reggimenti venivano normalmente stanziati in una regione lontana da quella di reclutamento e in alcuni casi avevano una composizione nazionale mista, che assicurava un maggior controllo della truppa; i legami tra il reggimento e la sua area di reclutamento erano però mantenuti con cura e i reparti sufficientemente omogenei, anche se di mobilitazione più lunga di quelli tedeschi», Giorgio Rochat e Giulio Massobrio, Breve storia dell’esercito italiano dal 1861 al 1943, Giulio Einaudi editore, Torino 1978, p. 90. 

  98. Per chi volesse approfondire questi aspetti, si rimanda a Claudia De Marco, Il mito degli Alpini, Gaspari editore, Udine 2004. 

  99. Nei registri parrocchiali delle sepolture nell’Ottocento troviamo, per esempio, annotati alcuni di questi eventi: - Giuseppe Samassa da Forni Avoltri «recandosi nella vicina Carinzia nel giorno 24 gennaio 1817 fu al discender le vette del monte Volaia rapito da una alluvione nevosa che lo soffocò e coprì senzacché abbiasi peranco potuto rinvenire il di lui cadavere», con lui morì anche il compaesano Giovanni Battista Vidale (Archivio parrocchiale di Forni Avoltri (d’ora in poi Apf), Registro civile morti 1817-1863, sub die); - «Nicolò fu Giacomo Revelante di Rigolato d’anni 23, essendo alla caccia nelle cretaglie di Collina precipitò dalle medesime e restò morto sul momento nel giorno 13 xbre 1843 e nel giorno 16 detto fu sepolto nel cemitero di Collina» (Archivio parrocchiale di Rigolato, Registro degli atti di morte 1817-1846, sub die); nei registri di Forni Avoltri le «cretaglie» vengono chiamate col loro nome: «Il predetto essendo alla caccia a Collina precipitò da una rupe del monte Coglians[…]» (Apf, Registro civile morti 1817-1863, 13.12.1843); - il 26 ottobre 1854 Antonio Sotto Corona di 72 anni ritornando «dalla prossima Germania ove era stato alcun tempo a questuare giunto alla cima del monte Plumbs che conduce a Collina, colpito da una bufera di vento neve e freddo, fu trovato qualche giorno dopo morto», e con lui morì anche Maria Toch, moglie di Natale Gerometta, di 57 anni (Apf, Registro civile morti 1817-1863, sub die).