Note sugli anni di guerra a Collina e nell'Alto Gorto (1915-18)

Queste note avrebbero dovuto far parte di un lavoro più ampio su Collina e l’Alto Gorto tra Ottocento e Novecento, che tarda a venire. Si basano per lo più su opere conosciute, ma anche su alcune fonti inedite. Tra queste il manoscritto autobiografico Memoria di mia vita in cui Gaetano Giuseppe Sotto Corona (Collina 1885-1977) ripercorre i suoi primi trentun anni. Il racconto termina con la chiamata alle armi (febbraio 1916) e fu verosimilmente composto negli anni venti congiuntamente a un altro Libro di Guerra incentrato sul periodo trascorso sotto le armi, che poi venne parzialmente rielaborato. Così si può interpretare l’annotazione – «Seguita. Vedi il Libro di Guerra. Vercelli li 20 settembre 1927» – posta in chiusura. Si ringraziano i discendenti di Gaetano Sotto Corona, in particolare Elena Gerin e Leandro Di Sopra, per aver cortesemente agevolato la consultazione dei manoscritti. Sono inoltre riconoscente a Enrico Agostinis per le preziose e puntuali osservazioni che mi ha dato.
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Linee e stazioni telefoniche
Mappa delle linee telefoniche tra gli uffici Centrale e Fonogrammi di Forni Avoltri e le postazioni prossime al fronte (Archivio privato)

L'entrata in guerra nei ricordi di Gaetano Sotto Corona

La dichiarazione di guerra del 24 maggio 1915 fu anticipata dal rientro degli emigranti, che, iniziato l'anno precedente in sincronia con l'acutizzarsi dello scontro tra Austria-Ungheria e Serbia, nell'autunno del 1914 si era trasformato in un flusso impetuoso.

Gaetano Sotto Corona, nonostante avesse già percepito «dei tumulti perché avevano Amazato il Principe Ereditario Ferdinando ma nonsifece tanto caso»1, nel luglio 1914 si trovava in Alsazia, epicentro di tensioni esplosive, dove aveva da poco raggiunto, proveniente Weyer (Oberösterreich), suo cognato Basilio Di Sopra da Givigliana.

Lo scoppio delle ostilità tra Francia e Germania determinò la paralisi dell'attività lavorativa in cui era impegnato e la necessità di rientrare in famiglia; «era tutto uncativo umore nonera modo di restare comincio un gran convoglio di militari, tutto impegnato nessuno ci diceva gnente»2.

Così dapprima raggiunse un campo di raccolta nei pressi di Basilea ― una vera bolgia, in cui si trovò compresso con dodicimila persone ― e poi proseguì in treno ― via Costanza, Lindau, Innsbruck, Ala, Verona ― fino a Udine. Nei mesi successivi, per mancanza di sbocchi lavorativi e di entrate economiche, la miseria e lo spettro della fame s'affacciarono anche alla sua porta.

«Macolandare avanti della staggione sifecce sentire anche lamiseria. che lavori noncenera.
Iginio Gaier de Pauro propose di andare infriul, ed io feci meza idea dicomprare lasua casa se combinavo la vendita della mia coi Signori Caneva...»3.

L'anno successivo, il «trentesimo anno» di Gaetano, «cominciava ariempirsi dapertutto di soldati...»4. A Collina e nelle montagne circostanti, appartenenti alla Regione Volaia (dal 1917 denominata anche Comando tattico Volaia), inclusa nel Sottosettore Degano del Settore Bût-Degano della Zona Carnia5, tra aprile e maggio 1915, si posizionò la 17 Compagnia del battaglione «Dronero».

La 17 Compagnia comandata dal Capitano Bassignano Ernesto col tenente Giorello, sott. Giaccone, sott. di compl. Montessori, dopo aver svernato nel 1914 a Comegliàns (Carnia) il 9 Aprile 1915 si trasferiva a Collina dove si accantonava ed era impiegata dapprima al riattamento delle mulattiere varie e sorveglianza al confine del passo Volaia poscia nella costruzione di un baraccamento in legno in prossimità  di forcella Plumbs. Il 17 maggio da Collina si trasferiva a Casera Plumbs e due plotoni il giorno successivo andavano ad attendarsi a monte Floritz (nebbia, pioggia e vento) per lavori di organizzazione e di difesa, del posto6.

Successivamente interverranno anche i battaglioni «Valle Stura», «Val Maira», «Val Dora» e, dal 1917, il «42° bersaglieri».

I primi scontri e l'impatto con l'esercito italiano

Stando alle testimonianze raccolte da Giuseppe Del Bianco, gli alpigiani collinotti furono direttamente coinvolti nelle operazioni militari fin dall'inizio delle ostilità.

E a Collina il maggiore Piva comandante un battaglione del 2° Alpini, convocava presso di sé i più esperti alpigiani e dopo averli informati essere la guerra aperta, e dopo aver detto che gli alpini sarebbero partiti durante la notte stessa per prendere posizione ed impedire al nemico di calare in paese, chiese se fra essi vi fossero state persone di coraggio disposte a guidare la truppa sugli impervi roccioni che recingono la valle. Plebiscitaria fu l'offerta, e si dovette procedere alla scelta fra i più robusti.
La sorte designò Umberto Barbolan, Giovanni Tamussin (Jeffo), Mario Tolazzi, Michele Toch, Giuseppe Toch. A tutti venne consegnato un fucile con la cartucciera e gli animosi lasciarono il paese, precedendo gli alpini verso il Volaia e verso il Canale, alle spalle cioè di val Bordaglia. Quelli salirono al Volaja, entrarono a contatto con il nemico, col quale ci fu uno scambio di fucileria; due rimasero feriti7.

Anche Umberto Caneva «Guida patentata della Società Alpina Friulana si arruolò volontario come Guida al 2° Rgt. Alpini, prestando servizio per tutta la durata della guerra fino alla ritirata quando venne svincolato dal suo obbligo»8.

Gaetano Sotto Corona percepì i primi segni concreti del conflitto già il giorno successivo a quello della dichiarazione di guerra: «la prima canonata la sentii al'indomani matina perandare alla stalla sun maserio»9.

Gli scontri avvennero da posizioni sfavorevoli all'esercito italiano10.

Mentre ai nostri soldati, nei giorni antecedenti la dichiarazione, era rigorosamente vietato salire verso il confine, i nemici si erano appostati e premuniti. Va ricordato, a proposito, quanto successe al Sac. Pietro Della Pietra, cappellano di Collina, ugualmente parecchi giorni prima del 24 maggio. Girando, al Volaia, con compagni di caccia, trovò, ben protetto dalle intemperie, un apparecchio telefonico e lo portò al di qua del confine e lo nascose. Ragionamento: o la guerra si farà  e potrà  servire per le nostre truppe, e se non avverrà  nulla, lo restituiremo. E non fu necessario restituirlo, perché invece servì ai nostri soldati, i quali di tali ordigni, in principio, erano affatto sprovvisti11.

Don Fortunato Molinaro ricorda che «i primi assalti avvennero in Bordaglia di Sopra, per l'occupazione della trincea Val d'Inferno. [...] Fra le mie note ho segnato che il 26 maggio, alle ore 18 solennemente furono sepolti nel cimitero di Forni Aimar Giacomo della Croce Rossa e Isana Francesco, caduti in Bordaglia. Alla sera e senza lumi, perché i nemici ci dominavano e spiavano dal monte Fleons. Chiesi e ottenni che i morti venissero raccolti in canonica. E purtroppo la raccolta fu molto grande»12.

Il quattro giugno 1915, la 17 compagnia del battaglione Dronero, conquistò, senza perdite, il passo Sesis, destinato ad essere perduto di lì a poco.13

Tra il dieci e l'undici giugno 1915 si svolse lo scontro per la conquista del passo Volaia, occupato per tempo dagli austriaci, i cui resoconti parlano di un attacco italiano frontale, rivolto alla trincea posizionata al centro del valico, accompagnato da una manovra di accerchiamento delle postazioni poste sulla sinistra realizzata calandosi «con funi lungo la parete nord del versante orientale del Seekopf/Monte Capolago»14. I resoconti italiani confermano l'assalto frontale «alle trincee che trovansi esattamente sulla displuviale che costituisce il passo» e la contemporanea manovra condotta sul lato sinistro, lungo il costone rosso, finalizzata all'annientamento delle «alte trincee nemiche», andata a buon fine anche grazie ad alcuni colpi di artiglieria ben piazzati e al «sopraggiungere sul fianco destro d'una nostra (ardita) pattuglia munita di bombe lenticolari»15.

In quei giorni Collina divenne sede direzionale del secondo reggimento alpini, del battaglione «Dronero», di vari gruppi di artiglieria e batterie.

L'impatto con la popolazione non fu dei più tranquilli.

A quasi cinquant'anni dall'annessione al Regno d'Italia, emersero diffidenze, sospetti di scarso patriottismo e di collusione col nemico, che sfociarono in provvedimenti ruvidi, brutali. Michele Gortani trattò l'argomento nel suo «memoriale» dell'ottobre 1918, a guerra ancora in corso (riquadro 1).

1 - L'internamento di Amedeo Zanier
«Il 25 maggio ebbe luogo il primo scontro al Passo di Val d'Inferno. Naturalmente, se disorganizzazione c'era a Tolmezzo, non è difficile immaginare che cosa potesse esserci più su.
Avvenuto lo scontro, dovuto al fatto che le truppe avevano ordine - come già detto - di tenersi negli accantonamenti, mentre gli austriaci avevano già occupato i confini, il Comando telefonò d'urgenza al cav. Zanier Amedeo e al dott. Vazzola di Rigolato, perché cercassero di portare tutti gli aiuti possibili ai feriti, preparando dei letti a Rigolato e trovando modo di concorrere al trasporto dei feriti stessi.
Una prima volta il cav. Amedeo Zanier ed il dott. Vazzola si recarono fino allo sbocco della valle per portare aiuto ai feriti e provvedere al loro trasporto. Una seconda volta, essendo più numerosi i feriti, furono inviati sul posto quaranta operai che sotto la guida del cav. Zanier provvidero a raccogliere e a trasportare tutti i feriti, mentre il cav. Zanier si portava perfino in luoghi battuti dal nemico, per assicurarsi che nessuno dei feriti rimanesse senza cure. Ebbene, il dott. Vazzola ebbe la medaglia la valore, ma il cav. Zanier fu internato, perché si diceva che era troppo «curioso».
Quest'uomo, infatti, che aveva più volte rischiato la vita per la salvezza dei nostri soldati, s'interessava delle truppe che arrivavano lassù. Alle mie rimostranze, quando fu preso questo odioso provvedimento, si rispose: Val più la pelle d'un alpino che cinquanta dei suoi cavalieri!
Purtroppo questo argomento dell'internamento è molto doloroso. In Carnia, poiché si aveva la fortuna di avere il Generale LEQUIO, dopo queste prime incertezze, alle quali egli non aveva ancora potuto provvedere, la cose furono regolate e ai primi errori si mise riparo.
Il cav. Zanier fu richiamato e non avvennero altri internamenti se non dopo aver sentito il parere del Sottoprefetto.
Non così invece avvenne altrove. Assai spesso e in più luoghi le autorità  militari, così come avevano fatto quelle della Carnia nel caso del Cav. Zanier, agirono tagliando a diritto e a rovescio, partendo dal preconcetto che le popolazioni di confine le quali avevano brillato durante cinquant'anni di Regno unito pel loro vigile patriottismo, fossero invece austriacanti.
Avvennero così fatti molto più dolorosi di quello che ho citato. Tra l'altro il capitano dei carabinieri Schiavetti mi confidò che gli risultava di famiglie internate perché le donne non avevano voluto cedere ai desideri degli ufficiali.»

Novella Cantarutti (a cura di), Il memoriale Gortani: le resposabilità del comando supremo e la rotta di Caporetto, in «Ce Fastu?», vol. 44-47 (1968-1971), p. 180 - contiene la Deposizione dell’on. Gortani prof. Michele, Deputato di Tolmezzo effettuata il 7.10.1918, in Roma, presso la Commissione d’inchiesta istituita con R.D. 12.1.1918, n. 35.

Anche Gaetano ricorda quel clima di sospetto: «ecicominciarono aperseguitare, eguardarci da spionaggi»16.

A distinguersi in queste iniziative fu il «maggiore Abele Piva, comandante del Battaglione Alpino Dronero e del presidio della Val di Gorto convinto che dietro a un tiepido patriottismo, o nella manifestazione di qualche simpatia filoasburgica si celi un atteggiamento di aperta collusione con il nemico e il tradimento, e che sia sufficiente aver avuto rapporti di lavoro in Austria, o mantenervi relazioni di parentela per essere considerati agenti al soldo dell'Imperatore»17.

Giovanni Sotto Corona da Collina, Pietro Eder, Ferruccio Vittorio Toch, Valentino Gaier, da Forni Avoltri, Giovanni Pellegrina, Vittore e Amedeo Zanier, da Rigolato, conobbero la prigione e/o il confino (riquadri 1, 2, 3)18.

2 - Arresti del giugno/luglio 1915
«Così fa arrestare Giovanni Sottocorona, muratore di Collina, perché ‹sobillatore e favoreggiatore dell'Austria›, nonché ‹persona malfida, prepotente e malvagia... esercitante lo spionaggio a danno dell'Italia› ma i carabinieri accertano essere l'imputato, al contrario, ‹persona di buona condotta in genere e stimata fra i suoi compaesani›, potendogli tutt'al più essergli addebitati flebili sentimenti patriottici, un giudizio ‹troppo apertamente e spavaldamente› dispiaciuto ‹per l'intervento dell'Italia nel conflitto europeo› e, in ultimo, l'abitudine, comune alla maggioranza dei carnici, di emigrare temporaneamente e saltuariamente in Austria a cercarvi lavoro.

Pietro Eder, fabbroferraio di Forni Avoltri, finisce in prigione perché, ‹individuo malfido› e ‹favoreggiatore degli austriaci› anche lui, con ‹parenti e simpatie in Austria›, è conseguentemente sospettato di essere il ‹probabile autore di una certa lettera spedita da Forni Avoltri al comando delle truppe austriache del Veranis rilevante i movimenti dell'esercito italiano› (e invece il rapporto dei carabinieri lo qualifica come ‹persona onesta e laboriosa› il cui unico torto sarebbe quello di aver ‹dimostrato sentimenti austrofili› e di ‹aver anche sostenuto uno speciale interessamento per i feriti austriaci›, trascurando ‹completamente quelli italiani›;

Ferruccio Vittorio Toch, muratore di Forni Avoltri, viene tradotto in carcere perché indicato ‹dalla voce pubblica e anche delle confidenziali informazioni come un pericoloso spione e favoreggiatore dell'Austria› visto che risulterebbe essere un ‹individuo di poca buona fama e dall'atteggiamento misterioso, avente rapporti, amicizie e simpatie con persone di nazionalità austriaca esercitanti lo spionaggio a danno dell'Italia›;

anche Valentino Gaier muratore di Forni Avoltri, conosce la reclusione per ‹essere egli pubblicamente indiziato come favoreggiatore dell'Austria› e in concreto per ‹avere anche manifestato l'intimità sua con sudditi austriaci ospitando clandestinamente nella propria casa, e in tempi prossimo all'apertura delle ostilità, certo Ricci Rodolfo, suddito austriaco e ufficiale della riserva nell'esercito nemico, persona sospettissima di spionaggio› (che poi l'istruttoria rivelerà semplicemente essere un negoziante di legnami presso la cui azienda erano impiegate la moglie e la sorella dell'imputato).

Vittime della vox pubblica che li definisce ‹sobillatori, antimilitaristi e favorevoli all'Austria, organizzatori di spionaggio›, finiscono pure Giovanni Pellegrina, muratore, e Vittore Zanier, guardia campestre entrambi di Rigolato, scagionati poi dalle accuse grazie alle testimonianze del sindaco, dell'ex sindaco e del parroco, che facendo fede ‹dell'onestà e del patriottismo› dei due imputati, spiegano come essi siano ‹vittime di nemici personali, i quali, godendo le confidenze del magg. Piva› ne avevano approfittato per metterli in cattiva luce e calunniarli».

Angelo Dreosti e Aldo Durì, La Grande Guerra in Carnia nei diari parrocchiali e nei processi del tribunale militare, Gaspari editore, Udine, 2006, p. 15-16.

Qualche anno dopo don Pietro Cella rievocherà, con sottile ironia, quel clima in un piccolo racconto contenente accenni a collinotti, a fornetti e a don Fortunato Molinaro, «chel sac di vuèsc nome pietât di lui»; quasi una parabola sull'autoaccrescimento di dicerie più o meno verosimili e fantasiose in contesti pervasi da forte emotività.

E come s'a no fos avonde la confusion da vuere, las ciacare da int e i suspièz di cerz uficiai a fàsevin pierdi incimò plui i sentimenz. La Ciargne a ere tornade une spelonche di ladròns. Spiòns e traditôrs da patrie and ere di ogni bande, ca no sci saveve in ce mont chi erin ridòz. Un sior di Napuli di grande gnuche nond ere un compagn, al veve ciatât sui libris che i ciargnei a vevin di essi di zoc todèsc e no podevin bastardà la raze. Di bant a no làvin ogni an, prin de vuere, dibòt duc' i biei oms a fà la lor stagion in Giarmanie come a ciase lor e in Italie a tornàvin nome d'invièr e po a disevin ogni mal di jei percè ca no ju mantignive come siors, cun pòuc lavôr e buines pàes. Canae porches!... E ce disevinei? La bire nere da Baviere, ché a è bire!... I lavors da Giarmanie, chei a son lavôrs!... E i sciôrs da l'Austrie, tant degnèvui, ca dan tant da lavorà  a povare int, chei a son sciôrs da tiràur jù il ciapièl, âti che i talians tegnòus ca platin i bez tas bances per no lassànus vivi!... Cussì a disevin, e ce mût sci podevie fidasci di lôr?
La Ciargne, come si dis, in prin de vuere a sameave un quartir general di spiòns e traditôrs. I uficiai, cul lor nas fin, a lu vevin capît di colp.
[...]
Tal Cianàl di Guart i digos da Culino a sci intindèvin cui lor fradis di la da Wolàe cui segnos a lûs di steles.
A par infin da l'impussibil ce tant ingèn ca vevin chei mostros di Ciargnei tai lor tradimenz, ca non sci rivave adore mai di capii un dret nè di ciapaju una volte cu las mans tal sac. I predis po, ca i àn la scuele nere, as fasevin di ches da fâ vignî i grìsui. Chei dal Cianal dal Fier biel da prinzipi a vevin scugnût internàju duc' jù pa l'Italie. In Ciargne, fra tanc', il plavan dal For, chel sac di vuèsc nome pietât di lui, certes noz al lave su a scur da bande di Avoltrùz e in t'un luc c'al saveve nome lui, al vierzeve un sterp e al sparive denti di une tane. Tal doman abuinore, intant che lui al diseve messe, i todesc a tiravin las canonades e a non sbalgiavin neanc'une.
[...]
Me ce ocorie lâ a ciri a un a un, s'a erin duc' compagns? A sci sintive a dì infin che i oms ca lavoravin tas trincees a vevin cûr di fa galeries sot tiere e s'ciampâ in Austrie o clamà cà i Todescs. In t'une paràule al ere un cas cun chei mostros di Ciargnei. Ma tal ultin a l'an capide ca no ur zovave nue, e un tic a la volte finalmenti a sci son bonâz19.

Sia don Fortunato Molinaro, allora economo di Sopraponti, in seguito medaglia di bronzo al valore militare e profugo di guerra, che ne scrisse verso la fine degli Anni Cinquanta del Novecento, sia Gaetano Sotto Corona, che ne scrisse verso la fine degli Anni Venti, ambedue testimoni diretti dell'accadimento, collegano lo sgombero dei paesi, attuato a inizio giugno 1915, col giudizio di inaffidabilità della popolazione locale circolante tra i militari20.

3 - Pietro Eder
«Il caso di Pietro Eder, a. 45, di Forni Avoltri, propone, come tanti altri casi, la storia di generazioni carniche migranti in Austria. La conoscenza ch'egli s'era creata di cittadini di nazionalità austriaca bastò per configurarlo come spia al soldo del nemico. Arrestato, incarcerato e processato dal Tribunale militare di Gemona, venne poi assolto per insufficienza di prova. La petizione alla Regina d'Italia della figlia maggiore, Teresa, - copia della stessa fu spedita la Re, a Salandra ed all'onorevole Barzilai - s'inserisce in questo contesto.
A S. M. la Regina d'Italia,
Io sottoscritta Eder Teresa di Pietro, rivolgo rispettosa istanza a Vostra Maestà per esporle quanto segue. Quando il cinque del decorso giugno alle ore ant. mio padre di anni 45, venne arrestato unicamente perché suo nonno era nato in Austria (e non per nessuna prova di fatto come tutto il paese potrà testimoniarlo), io Eder Teresa a. 18, Eder Gemma a. 15, Eder Anna a. 14, Eder Lino a. 12, Eder Attilio a. 10, Eder Regina a. 8, Eder Giselda a. 6, Eder Irma a. 5, tutti suoi figli legittimi nati in Italia come mio padre e mio nonno, restammo nella più completa e desolante miseria. Fino adesso abbiamo tirato innanzi la vita elemosinando, non solo per il disagio economico ma anche perché siamo privi di tutto. La nostra madre è morta quattro anni fa; come vede la bontà di Vostra Maestà, ci troviamo tutti sul lastrico per non avere alcuno che ci dia una guida e perché non siamo atti a lavorare per mantenerci. Io come figlia più grande a nome delle mie sorelle e fratelli che alle volte mi chiedono pane e non posso loro dargliene, mi rivolgo alla magnanimità di Vostra Maestà affinché possa provvedere a concedersi il nostro bene amato padre innocentissimo non sapendo proprio più come poter vivere. Con la speranza che la clemenza di Vostra Maestà vorrà accordarci la grazia che vengo a chiederle. Mi Creda col dovuto rispetto di Vostra Maestà, devotissima umilissima serva
Eder Teresa di Pietro.
Forni Avoltri lì 17 gennaio 1916.
Non c'è documentazione che attesti l'esito della petizione.»

Elpidio Ellero, Friuli 1914-1917. Neutralità, guerra, sfollamenti coatti, internamenti, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, Udine, 2007, p. 203, a cui si rinvia per gli estremi archivistici della lettera di Teresa Eder e per una bella foto di Pietro Eder circondato dai suoi otto figli.

Don Pietro Cella, mansionario di Givigliana che pure venne sfollata, non fa, invece, alcuna connessione di questo tipo21; Vittorio Romanin, allora ragazzo, collega l'evento al timore di una possibile invasione22, così come fa la «vecchia» ascoltata dal neo-caporale, socialista interventista, Benito Mussolini nell'aprile 1916, citata nel suo diario pubblicato a puntate sul Popolo d'Italia23.

È stato osservato che in quell'occasione «furono emanate le disposizioni con le misure di sicurezza atte a salvaguardare le operazioni in zona di guerra, come avviene in ogni operazione bellica, evacuando la popolazione per sottrarla ai pericoli inerenti alle insidie e violenze delle armi moderne»24, il che appare più che verosimile, ma non per questo incompatibile con la coesistenza di atteggiamenti ostili e diffidenti nei confronti della popolazione, ben documentati e radicati nei ricordi di molti protagonisti.

Lo sgombero

L'ordine di sgombero colse la famiglia di Gaetano Sotto Corona in un momento particolarmente delicato, con la moglie prossima al parto.

Partirono per Givigliana prima l'anziana madre (n. 1839) con la nipotina Elda (n. 1909), poi lui e la moglie Maria Di Sopra con la mucca. Il giorno successivo, poiché anche Givigliana venne colpita dall'ordine di sgombero, ripararono a Calgaretto presso la famiglia della cognata Virginia Di Sopra.

ai primi giugno cicapito lordine alle due dopo mezo giorno di evuaquare il paese Si puo inmaginare la disperazione di tutto il paese; inventiquatro ore didare il completto sgombro [tutti erano disperati. chia destra]
perl primo calmi erasegnati si decise di far partire mia madre e Elda poveretta colsuo gerletto di roba licompa gnai col'ochio finno alla latteria, Era unacosa ridicola a vederle, e d'altra parte pensando le cose molte inpresionanti, gnente rasegnarsi
Mia moglie era neigiorni del parto. ed'essere aquelle condizioni. Enongiova, si andò aprendere lavaca esi parti per givigliana, al'indomani pure la arivo l'ordine di sgombro. Esi aviamo arigolato.
Poi si trovo Lacognata Verginia checi veniva incotra, esi ando la diella Mia madre ando a Chialina mavisto chenonstava poco bene ritorno. a Calgareto con noi.
Erapure giovanni bandol collasua famiglia e Erminia Ma il suo marito Pietro era chiamato ed'era gia alla guerra25.

Dopo qualche tempo vennero autorizzati dei rientri temporanei, finalizzati all'espletamento dei lavori agricoli più urgenti.

Mapoi qualche personale, ci riconobe lerore che feccero aslogiarci edecisero di darci il permesso giornaliero per andare avedere le nostre case eitereni. Il municipio di Forni era a Comeglians.26.

I permessi di rientro erano limitati a un membro per famiglia. C'era il pericolo di venir requisiti per lavori militari, ma ogni occasione era buona per deviare verso casa. Alle cinque del pomeriggio si doveva rientrare.

4 - Lo sgombero dei paesi (giugno/luglio 1915)
«Il 7 giugno l'Autorità militare ordinò lo sgombero dei paesi. Riparammo a Comeglians e dintorni. Il Municipio di Forni si stabilì a Comeglians e l'Ufficio parrocchiale io lo portai a Liariis, dove avevo conoscenze care, perché il 1913 l'avevo passato ad Ovaro, come economo spirituale. A vedere gironzolare qua e là, i miei bambini e bambine, ed anche i grandi, qual pena sentivo! Furono giorni di angustie.
Risultava che i nemici conoscevano tutto ciò che si diceva e si faceva, epperò si arguì trattarsi di spie. Meschinità dei giudizi umani! Le spie non c'entravano, ma l'intercettazione delle linee telefoniche.
Un soldato triestino, che faceva il telefonista, disertore, spiegò la maniera che usavano per captare le corrispondenza.
E però il 18 luglio 1915 fummo richiamati ed assolti dalla taccia di spie. Era brutto questo appellativo e ci guardavano a vista. Due Cappellani militari devo ricordare in particolare Pietro Perusino, che fu il primo, e Pompeo Borghezioa, che rimase più a lungo, e precisamente sino al 19 febbraio 1917.
La Zanier Caterina sposata Barbolan di Collina, che non poté essere mossa, perché ammalata grave, e morì il domani dello sgombero, fu sepolta dal Cappellano Perusino.
Ambedue piemontesi, al terzo alpini. Il Borghezio, avendo i suoi soldati al Volaia, risiedeva a Collina, e la fece da vero Cappellano del paese. È notissimo anche ora, benché sia passato più che un quarantennio. La predicazione che ci tenne, era preziosa e gradita. Amò Collina, come fosse il suo paese. La statua del Sacro Cuore e quella dell'Ausiliatrice ed il quadro della Consolata sono regali suoi e ricordi cari. Il Perusino aveva le sue truppe fra le cime delle due Avanze, ed in paese potè scendere molto di rado.»
Fortunato Molinaro, La cura di Sopraponti e le sue ville (Carnia), Tipografia Doretti, Udine, 1960, p. 104-105.

«La guerra portò un sovvertimento generale nella vita del paese, che venne a trovarsi entro la linea del fuoco. Nella confusione dei primi giorni, e cioè il 6 giugno 1915, la popolazione dovette sgombrare il paese, come quella di Forni e Collina, e disperdersi, desolata e piangendo, col bestiame, giù per Rigolato e Comeglians e Ovaro, con miseria e senza lavori; ma poi, a metà luglio, poté rientrare in villa. Da allora, per due anni, Givigliana fu un bivacco di guerra, pieno di soldati di passaggio per la fronte o discesi a riposo dal Bioichia e dal Crostis e Moraretto.»
Pietro Cella, Memorie di Givigliana, Premiato Stabilimento Tipografico L. Lukezic, Gorizia, 1928, p. 50.

a Pompeo Borghezio, (1888-1959). fg. di Giovanni e Maria Fontana. Soldato di sanità e cappellano militare del III Alpini, battaglione Val Dora; decorato al valore militare; negli Anni Quaranta del Novecento fu un protagonista della lotta clandestina di resistenza e insurrezione al nazifascismo.

Così Gaetano Sotto Corona salì a Collina, trovando l'abitazione intatta, anche se «atornata di mulli come una scuderia»27.

poi si comincio aotenere i permessi perandare a Collina uno perfamiglia. Ma passando per Rigolatto cifermavano ecome operai siera obligati ad'andare alavorare col genio in prima linia.
Ame mi toco il primo giorno, cosi e andai fino a Forni. anzi ero io Giuseppe sarturut. E Marcello Tamusin
Rivati aforni. uno adestra euno asinistra intanto che andarono avedere degli atrezzi per lavorare si ando a Collina.
rivati la andai a Casamia. Era atornata di mulli come una scuderia faceva. ombra. rientrai trovai tutto intatto. poi unpo qua enpola venì sera ealle cinque si doveva essere fuori del paese28

Un giorno arrivò appena in tempo per assistere alla requisizione del foraggio stivato nel fienile di Maserio.

Nel terzo giorno andaisu quando fui Nel fulin poi andato su in buros mi chiamarono, mi dissero diandar presto che nel stali di mascerio caricavano dei mulli di fieno.
Mi diedi alla fuga di tutta corsa per fortuna arivai prima che partissero ed'era un sargente nonmi voleva fare il buono solo di quello che avevano preso inquel giorno, elatro nò intanto presi quello29.

Non mancarono pericoli più immediati, magari innescati da gesti banali, legati alla quotidianità, innocui in un contesto normale, come accadde quando una lunga chiave venne scambiata per un'arma.

Unaltro giorno fuisu alavorare nelle patate, venuta l'ora di andarsene ero unpo inritardo edissi a Severino Barbolan di aspetarmi cheandavo fino a casa poi venivo dicorsa ecosi feci chiusi in fretta la porta maestra e per un breve istante andai di corsa colla chiave inmano per ragiunger Severino che mi atendeva.
Passando davanti lacorte di Pietro Barbolan cera dei uficiali emi vedettero qualcosa alla mano sospetitti di quache arma. armarono un caporal maggiore emelo mandarono dietro
Io vidi subito questo avenirmi dietro, mamai pensavo di tali cose. veniva col fucile acrociatet30 aquache passo di distanza mintimo lalt
Non feci nesun calcolo proseguii alora rivato piu vicino mi fece fermare, e di deponegli l'arma, io dissi scusi signor Caporale mi prende in'erore. Noncè g[n]ente tantoe e tanto basta. dvoi siette armato e deponetemi l'arma altrimenti o l'ordine di spararvi ecco la palla.
Io con calmezza continuai adire dino. alora lui mintimo lebracia inalto emi tasto letasche, visto che non'ave vo gnente, dimando Severino seglielavevo data alui severino tremante disse dino poi cilascio andare31.

Ai primi di luglio la moglie diede alla luce Marina, che venne battezzata nella chiesa di San Giorgio, parrocchiale di Comegliàns, collocata tra Runchia e Calgaretto, in suggestiva posizione dominante sulla media Val Degano.

5 - I primi giorni di guerra e lo sgombero dei paesi
«[Luglio] 6. [...] Raccontasi che a Prato sentivasi chiaramente e fortemente il cannone carno-tedesco, anzi la notte vedevano talora anche bagliori di luce. Le donne e i vecchi vivevano continuamente in isgomento temendo di vedersi capitare da un momento all'altro i Tedeschi. Il più dei nostri soldati è a Paluzza e a Timau; mentre l'alta valle del Degano è affidata ai Piemontesi. Ma vi è tanta milizia ch'è uno spettacolo.
A Rigolato molti più soldati che borghesi. È stata fatta sloggiare anche Givigliana, ma non i paesucoli sotto. Era corsa la voce che non solo questi ma anche Rigolato avrebber dovuto avacuarsi; ma non fu vero. Quei dell'altre ville vennero giù e parecchi per tre dì girarono per Comeglians e dintorni non trovando ove collocare le loro bestie. Poi ne prese a pascere l'uno e l'altro.
Più su di Rigolato non passa alcuno, se non ogni qual tratto alcuno di quei lassù per dar un'occhiata alle case vuote; e nemmeno più su di Paluzza lasciano passare. I socialisti sono divenuti gatte bagnate.
Taluno anche in Canal Pedarzo divertivasi balordamente a raccontar fatti paurosi per ispaventare donne e vecchi od anche solo per sciocca boria di dir cose non dette da altri. Così uno raccontava un giorno che i Tedeschi avevano passato il Monte Croce ed eran venuti molto in qua.
Anche lo schienale del monte fra Prato e Forni-Rigolato è provveduto d'artiglieria, e la parte alta della montagna non si falcierà quest'anno, essendo proibito di andare più su di Vespaliat e Forçha. Di Prato son feriti 5, e di due nulla si sa. Si monticheranno le malghe, ma solo quelle sulla destra della Pesarina.
È vero che il famoso Giovanni Cleva da Bass, apostolo dei socialisti, anziché andare al confine assegnatogli, era andato a nascondersi in uno de' fienili pesarini addentro nella vallata. Ma un dì avviatosi verso il paese per provvedersi non so di che, imbattessi ne' carabinieri, e ne fu bellamente ammanettato e condotto in giù come un Cristo. Gli altri sarebbero stati mandati nella bassa Italia.
Lavorano accanitamente in Gorto per aprir una strada sul monte Crostis per trascinarvi artiglierie grosse. Avrebbero condotti in su pezzi del peso di 70 quintali.»

Antonio Roja, Ma i generali dormivano…? Il marmocchiume s’è messo a giocare alla Guerra. Diario - Forni di Sotto, maggio settembre 1915, Paolo Gaspari editore, Udine, 2003, p. 40-41.

Dopo pochi giorni l'ordine di sgombero venne revocato, ma la moglie rimase a Calgaretto per riprendersi.

L'andarivieni di Gaetano tra Collina e Calgaretto continuò fino alla fine del mese e proseguì un po' anche dopo per dare una mano nella fienagione al cognato Giovanni Della Pietra, destinato a morire di lì a poco per malattia.

Intanto arivo i primi Luglio Emia moglie diede allaluce una bambina, poi qualche giorno dopo sila Batezò colnome di Marina a S. Giorgio,
intanto civeni Lordine definitivo di poter ritornare alpaese eritornai io perche mia moglie fuvenuta solo quando stava meno male.
Siera atorniati di Canoni e lafare si faceva piu triste Batterie di qua canoni di la. eio dovevo andare sempre suegiu cioe acalgareto ai ultimi di luglio fuia prendere Lamoglie ela bambina. Rivati bene acasa.
poi qualche giorno dopo ritornai giu a Calgareto ad'aiutare Giovani Della Pietra mio cognato afare il fieno madopo qualche giorno siamalo gravenente e lo assistei per tre giorni. poi ritornai a Collina, che poi cifurono achiamare cheaveva cessato divivere. Si puo inmaginare come restò mi Cognato desolata poi dopo il funerale andai acasa32.

Guerra e lavoro

La situazione militare, dopo la conquista del sovrastante passo Volaia, si stabilizzò e i rapporti tra comunità locali ed esercito italiano sembrarono rasserenarsi. Al fronte non mancarono gli scontri, con morti e feriti; uno stillicidio continuo che però non ebbe nulla a che fare con quello che successe altrove. Nel corso dell'inverno molti morti furono provocati dalle difficili o precarie sistemazioni logistiche33.

Le necessità belliche portarono lavoro e un inaspettato benessere. Le considerazioni svolte in proposito da don Pietro Cella per Givigliana (riquadro 6) possono, ragionevolmente, estendersi anche a Collina.

6 - I facili guadagni
«Cominciarono i lavori militari.
Tutto il ciglione di monte Bioichia e Crostis fu rigato da linee di trincee e camminamenti e posti di artiglieria e gallerie, e sul davanti tutto un saettare di strade militari che da Ponte Lans, su per i boschi e per i prati, salivano a raggiungere la cima del Crostis. Qua e là  sorsero dei baraccamenti militari, e i più notevoli a Casa Borean e in val di Croce.
La popolazione valida del paese fu tutta requisita, come nei dintorni, per i lavori militari, salvo quella necessaria per casa e campagna. E furono guadagni facili ed insperati, ma non mancarono anche le dure fatiche.
A sovvenire i soldati in montagna, nel primo inverno, tra il freddo più rigido e l'imperversare della bufera di neve, ogni giorno, colonne d'uomini e di donne e perfino di fanciulli risalivano il Crostis coi viveri, con la legna, con le granate. [...]
Ma la confusione della guerra, ma le lusinghe della vita militare, ma i guadagni ogni giorno più facili, fecero salire i fumi alla testa. Quante pazzie! Pareva che né di Dio né di leggi ci fosse più bisogno, che la gran cuccagna dovesse durare eterna. L'aria famigliare fu tutta dissipata, la voce della fede parve morta, la chiesa desolata. Per tutto no, ma per molti, anzi per troppo, si. [...]
In quegli anni i boschi furono diradati e quasi distrutti dai tagli continui di abeti per necessità militare con poca previdenza, e i capitali ricavati furono, come si dice, in gran parte male adoperati e anche dispersi senza utile pubblico; sicché la cassa frazionale di Givigliana restò sempre povera. Inoltre i militari tagliavano piante per baraccamenti e le squadre di operai per i lavori di strade e copertura di trincee e armamenti di gallerie. Lo scempio del povero bosco fu spietato.»
Pietro Cella, Memorie di Givigliana, Premiato Stabilimento Tipografico L. Lukezic, Gorizia, 1928, p. 50-51.


«Col tempo, le truppe aumentarono, ed i militari trovarono modo d'entrare quasi in tutte le case, o per stanze da letto o per le mense dei sott'Ufficiali dei diversi Corpi, e la moralità ci rimise gravemente.
Il Sacerdote, che ha i suoi figli e quelle benedette figlie, fra tali confusioni e pericoli, viene a trovarsi in continuo, desolante tormento che strazia il cuore.»
Fortunato Molinaro, La cura di Sopraponti e le sue ville (Carnia), Tipografia Doretti, Udine, 1960, p. 105.

L'economia di guerra colmò il vuoto prodotto dall'inceppamento dell'emigrazione stagionale ed ebbe una ricaduta positiva sulle infrastrutture «civili», specie su quelle viarie. L'intera popolazione si trovò coinvolta nei lavori militari, donne e giovanissimi inclusi34. Anche Gaetano Sotto Corona, tormentato dal timore di venir, prima o poi, chiamato alle armi, colse le nuove opportunità, lavorando «in Piertio», «nel pecol», «sulpic di crostos», «sulla Biaugios».

Poi si ando alavorare in Piertio nel bosco tagliato dal genio. poi nel pecol aportar travi epoi sulpic di crostos e sulla Biaugios Colgenio.
tanto sicominciava aguadagnare qualche soldo unpo qua unpola. siaiutava si, ma sistava senpre col pensiero alla golla diqualche chiamata chela guerra si faceva sempre più tenace35.

Il tutto non avvenne senza costi.

Don Pietro Cella segnala, in particolare, la sistematica depredazione dei boschi e l'abbandono «di Dio» e delle «leggi»; don Fortunato Molinaro lamenta, con discrezione, una caduta della «moralità» (riquadro 6)36. Come altrove sembra di cogliere un certo incremento delle nascite «illegittime»; non mancano casi di «figli della guerra», come quello doloroso di V.R. nato «dalla unione naturale di R.V. con un sottoufficiale» di stanza a Forni Avoltri, ricoverato presso l'Istituto «San Filippo Neri» di Portogruaro nel 1920, dopo la morte della madre «in seguito a denutrizione subita durante l'invasione nemica e a febbre spagnola» e al suicidio del nonno «in seguito a squilibrio mentale prodotto da alcoolizzazione e da mancanza di mezzi di sussistenza», destinato a vivere per sempre all'interno della struttura, fino alla morte per malattia avvenuta nel 193637.

Gaetano Sotto Corona, rimase a Collina, occupato nei lavori militari, fino alla fine di febbraio del 1916, quando venne richiamato alle armi.

Il trentunessimo ano ero a lavorare pacifico in giampei afare trincee i primi febraio chera capo scuadra Vale. esi senti il decretto che chiamavano 84 e 85. di terza Categoria38.

La disfatta

Don Pietro Cella, da quella vedetta protesa sull'intera Val di Gorto che è Givigliana, ci dà una descrizione molto densa dei giorni della disfatta.

La piovosa domenica del 28 ottobre fu singolarmente tragica per le dicerie oscure e confuse di sequestro degli operai sparsi come il solito ai lavori militari. Alla sera gli operai tornarono, raccontando le loro strane vicende.
Sul far della notte cominciarono gli incendi dei baraccamenti militari, a Rigolato, a Forni, per la cerchia delle montagne. Dall'osservatorio di Givigliana lo spettacolo appariva imponente, spaventoso. Pareva la rovina universale. Talora si udiva anche il rombo cupo d'un ponte che saltava o d'una mina che esplodeva.
Verso mezzanotte cominciò a passare la colonia dei militari che discendevano in ritirata dai monti. Erano silenziosi, tristi della immensa sventura, si vergognavano di loro stessi. Quella lunga colonna serpeggiante giù per la cleva pareva un interminabile corteo funebre notturno.
Era la patria che, suo malgrado, ci abbandonava alla sorte più oscura39.

Lo scorrere del tempo e i movimenti di uomini e cose sembrarono come d'incanto bloccati, sospesi; tutti rimasero avvolti da un'atmosfera irreale e stralunata, col fiato trattenuto in un'apnea che, in breve, si tramutò in frenesia predatoria, volta al saccheggio dei depositi militari.

Nel domani tutto Givigliana restò in vedetta a osservare ciò che avveniva a Rigolato, senza osare di muoversi.
Pareva di essere in un mondo fantastico e che i Tedeschi dovessero comparire come d'incanto da ogni parte.
Verso sera qualche uomo si accorse che a Rigolato si dava fondo ai magazzini militari, e allora giù in folla a fare provvisioni.
I giorni seguenti via ai monti, in Val di Croce, in Crostis, in Plumbs, a fare raccolta degli avanzi militari. Dei soldati discesi in ritirata dai monti, uno arrivò in paese e fu raccolto moribondo e morì senza poter dire nemmeno il suo nome. Fu sepolto con un bel funerale nel cimitero di Givigliana, unico soldato di guerra40.

Il «nemico» arrivò qualche giorno dopo. A Givigliana «una pattuglia di tedeschi, i primi, arrivò in perlustrazione il giorno tre novembre. Essi avevano paura di noi, noi di loro»41.

7 - La disfatta
«A Rigolato gli Italiani abbrucciarono i magazzini della teleferica pel monte Crostes nella notte dal sabato 27 alla domenica 28. Anche su al Forno erano qua e là fuochi immensi. E poiché il cielo era coperto, i bagliori e gli scoppi davano la sensazione di esser in mezzo ad un cataclisma.
Avean da poco impiantata una teleferica anche da Rigolato a Comeglians, e l'aveano appena provata. Anche i magazzini di questa dovean far saltare. Il sindaco e maggiorenti di Rigolato se n'erano andati. I vecchi del paese col pregare e mostrar come sarebbe andato in fiamme anche il borgo di Magnanins ottennero da soldati più umani non si bruciassero. Ma mille sacchi di farina furon gettati nel Degano grosso, e non giovaron preghiere. Non si volle che il povero ne potesse vivere. Dopo che furono scappati il popolo prese e godette quanto non avean potuto distruggere. Le prime requisizioni e perquisizioni lassù non si ebbero se non verso il Natale e non furon mai con tanti rigori che quaggiù. Da Rigolato mancano pochissime famiglie. Eran veramente partiti parecchi, ma per la distanza e mancanza di veicoli non fecero in tempo per evitare l'accerchiamento e così alla spicciolata tornarono alle case loro. Solo la notte degli scoppi seppero della rotta.»
Antonio Roja, Tutta una immensa desolazione. La Carnia da Caporetto alla Vittoria nel diario di don Antonio Roja, Paolo Gaspari editore, Udine, 1998, p. 204.

«La sussistenza commette un vero delitto, di cui io stesso e con me altri colleghi faremo chiedere conto un giorno a chi di ragione.
Il personale addetto ai magazzini è scappato, migliaia di soldati viste le porte dei depositi aperte e gli stessi abbandonati, vi si precipitano: rovinano-asportano-bevono-si ubriacano. Le strade sono piene di militari, caduti avvelenati dalla grappa; quelli che non sono morti rimarranno in mano del nemico. Sulle funi delle teleferiche pendano ancora i carrelli pieni di viveri; è stata tale la fretta di allontanarsi del personale addetto a questi servizi che il disordine in cui il tutto è lasciato convince l'osservatore che quel si sta facendo non è una ritirata ma una fuga.
La batteria giunge a Comeglians alle 11, dove fa un alt di circa 2 ore. Essa sfila nel massimo ordine davanti al Comandante del 70° Raggruppamento d'assedio che ne fa gli elogi. Nessun soldato manca, ogni militare tiene un contegno degno di lode. La truppa consuma viveri di riserva. Anche a Comeglians sono abbandonati i magazzini delle teleferiche: fra gli altri materiali costosi noto cinque o sei forni e apparati telefonici nuovissimi.
Stralcio del memoriale di Italo Pezzia, capitano della 19a batteria someggiata
Paolo Pozzato, Paolo Volpato e Luca Girotto (a cura di), Soli di fronte al nemico. 1915-1918: dalle Dolomiti agli altopiani, Itinera progetti, Bassano del Grappa, 2013, p. 205-206.

Don Antonio Roja, che ricorda come la «novella portata in secreto ad un prete il venerdì che gli Austriaci erano a Resiutta non fu creduta affatto e tanto meno propalata. Così il temporale rovesciossi addosso a quei paesi a ciel sereno»42, conferma la descrizione di don Cella, aggiunge qualche ulteriore particolare (riquadro 7), e non manca di segnalare, accanto alla fuga di don Fortunato Molinaro e di poche famiglie, i pericoli per l'archivio parrocchiale.

Vi vennero i Tedeschi dal passo di Volaia, dalla Val d'Inferno, da Veranis, da Sezis. Chiusa la via verso Rigolato per la rottura dei ponti rincularono al Forno.
Il parroco era andato temendo malanni per sé pel suo patriottismo essendo dagli Italiani stato premiato con medaglia. Per mancanza od insufficienza della canonica abitava nel locale dell'asilo infantile sorto per opera di lui. Fuggendo vi lasciò tutto senza affidare ad alcuno nemmeno l'archivio parrocchiale.
I Tedeschi s'annidarono nel bel fabbricato e l'archivio è perduto. Per fortuna si son potuti salvare i registri canonici almeno in parte.
Anche da Forni son partite pochissime famiglie. Serve adesso spiritualmente quella popolazione il cappellano di Givigliana pur continuando a star nella sua sede43.

Dal suo racconto traspare lo scetticismo verso i «patrioti nel senso liberalesco della parola», i «creduli alle chiacchiere ufficiali italianesche e quindi più timorosi dell'internamento»44, specie se sacerdoti con obblighi pastorali, tenuti a dar conforto al loro gregge.

Riguardo al parroco di Rigolato, egli ricorda che «anche questi era scappato non tanto per lo spavento degli incendii delle baracche e magazzini quanto pel timore di venir internato. Se ne venne così a Socchieve suo paese nativo. Qui mutò idea vedendo i suoi compaesani avviliti perché senza sacerdote quindi senza che alcuno desse loro qualche po' di coraggio e conforto. Passata la burrasca don Simonitti45 tornò fra i suoi Riguladots, e tornò anche il vicario foraneo di Comeglians suo compaesano partito prima nullis dictis e andato più lontano. Criticasi la miseria intellettuale e morale di questi reverendissimi vicarii foranei che quando più occorrerebbe non san dire una parola ai loro dipendenti»46.

La questione lacerò il clero friulano che, a dispetto della fuga di monsignor Antonio Anastasio Rossi, arcivescovo di Udine, scelse in gran parte di rimanere. Don Fortunato Molinaro ricorda il suo percorso in questo modo:

Scesi a Villa Santina a piedi, e, per la Valle dell'Arzino, a Forgaria. Le truppe nemiche non erano riuscite a passare il Tagliamento, che era in piena. Nella Valle dell'Arzino trovai una divisione dei nostri che fu catturata al completo. Penso che avrebbe potuto sfuggire scendendo verso Casiacco, e, di là, verso Toppo. Celebrai a Casiacco, era il giorno dei Morti; poi, via a Toppo, sempre a piedi, e da Toppo a Pordenone, dove presi il treno per Milano. A Pordenone vidi il Parroco di Ampezzo, Don Ermenegildo Bullian con la sua gente. Era stato arrestato. Entrato in barbieria, accennò ai disastri delle truppe uscenti dalla Carnia. Un tenente l'accusò di disfattismo, e, sotto quella accusa, fu arrestato dalla Forza pubblica. E ce ne vollero del tempo e delle pratiche per liberarlo. A Milano fummo raccolti dagli stimatini di via Manforte, e di là io venni rilevato dal Curato di Bisuschio, in quel di Varese, dove ebbi lavoro abbondantissimo47.

I ricordi di Vittorio Romanin, poco restii alla retorica patriottica, concordano sostanzialmente con le testimonianze dei tre sacerdoti, e aggiungono particolari ulteriori: - per timore degli invasori donne e maschi giovani si rifugiarono in una malga; - i tedeschi apparirono affamati e ansiosi di proseguire.

Circola una voce inattesa e sconcertante... I Tedeschi sono riusciti a sfondare il fronte a Caporetto e scendono nel Friuli superando ogni resistenza dei nostri. Quando si sa che anche la nostra zona è in pericolo, si pensa di abbandonare nuovamente il paese, ma è troppo tardi perché i Tedeschi hanno già tagliato la via del Friuli. Poche famiglie che si erano mosse al primo momento riescono a fuggire, altre ritornano avvertendo che era inutile ogni tentativo. Per ostacolare l'avanzata del nemico vengono fatti saltare i ponti.
Non potrò dimenticare le esplosioni paurose di quella notte piena di trepidazione. Le baracche sulle montagne mandano tristi bagliori e quelle situate in paese formano un rogo che mette in serio pericolo tutto il paese. La popolazione è come inebetita per gli impressionanti avvenimenti e terrorizzata al pensiero di cadere nelle mani dei nemici. È impossibile descrivere la scena.
Le donne giovani e i pochi uomini rimasti a casa abbandonano il paese per rifugiarsi in una malga. È giunto il momento tanto temuto. I Tedeschi entrano in paese e non incontrano alcuno perché tutti si sono rifugiati in casa sprangando le porte... ... Scendono dalle montagne altri reparti ma per fortuna hanno fretta di proseguire. Sono pieni di fame e vogliono mangiare ad ogni costo. Uno mangia fino a morire e noi diciamo crepa48.

Dal numero natalizio (1917) del trimestrale tedesco Wolk und Heer (Popolo e esercito), dal titolo Mit der zehten Armee. Der Offensive II. Teil (Con la decima armata, L'offensiva: parte seconda), ricaviamo una versione austriaca dell'ingresso delle truppe austro-tedesche nell'alta Carnia e nell'alto Gorto (riquadro 8). Veniamo così informati di una traversata del passo Volaia particolarmente difficoltosa; la neve era alta altre due metri e gli animali utilizzati per il trasporto delle attrezzature telefoniche vennero «slittati» su di essa; per i vettovagliamenti si fece ricorso alle teleferiche e a portatrici locali, presumibilmente collinotte, affertesi volontariamente. Sappada venne raggiunta il primo novembre 1917.

8 - L'avanzata della X armata austro-ungarica
«Alle 8 di sera del 28 ottobre conquistarono il contrafforte orientale del Plökenpass (Passo di M.te Croce Carnico), il Pal Grande. Dal versante austriaco un'eccellente strada conduceva fino al Passo di M.te Croce Carnico; sulla parte italiana però essa si trasformava in una carrozzabile in cattivo stato che scendeva con molti tornanti giù a valle. Gli italiani oltretutto l'avevano in parte fatta saltare. Le avanzanti truppe di fanteria a quel punto potevano proseguire sulla via innevata solo in fila indiana e per i veicoli essa divenne praticabile appena dal I novembre. Ciononostante i coraggiosi ed instancabili uomini della 94a divisione di fanteria si riversarono dal passo di M.te Croce Carnico e dalle alture orientali nelle valli che conducono verso Tolmezzo. Il 29 avevano raggiunto la linea Paluzza-Pailaro. A quel punto una brigata si spinse verso occidente, per poi piegare a Comeglinas verso sud in direzione di Villa Santina. Solamente i distaccamenti del maggiore Wünsch e del colonnello Fasser dovevano proseguire la marcia verso occidente ed avanzare verso il M. Rementera, dove c'era una fortezza italiana ed altre strutture.
Il 31 di ottobre le colonne in marcia verso sud raggiungevano Tolmezzo e Villa Santina, nonostante forti retroguardie nemiche tentassero continuamente di arrestare l'avanzata opponendo dura resistenza o facendo saltare ponti e strade.
A quel punto cominciava a sfaldarsi anche il fronte italiano ad ovest del Monte Croce Carnico fino all'Hochspitz (M.te Vancomune). In quel settore a reggere il comando era il colonnello dei «Cacciatori del Kaiser» Josef Edler von Fasser. Il 28 ottobre un sergente disertore dei bersaglieri comunicava che gli italiani stavano iniziando la ritirata.
Tra il M.te Vancomune e la Kellerwand solamente il passo del Volaja porta oltre la Alpi carniche.
Dal fondo di un'angusta valletta in cui scorre un ruscello d'improvviso si sale, attraverso molti tornanti, da quota 1100 a quota 1700 m. La valle continua fino al passo con un ampio pascolo. In cima, dal terreno spunta un immenso masso roccioso. I soldati lo hanno soprannominato passo della donna e ci hanno scavato le loro trincee.
Lo costeggiano le ripide pareti di ghiaccio e pietra del M. Cogliano altro 2790 e del Seekopf alto 2550 m.
Al passo la neve superava i 2 metri e si poteva attraversare la zona solamente in fila indiana. La cosa più difficile era far passare gli indispensabili animali che trasportavano i telefoni. Vennero buttati a terra, avvolti in coperte e trascinati oltre il passo. Il passo venne poi faticosamente ripulito da compagnie di spalatori.
Gli approvvigionamenti furono fatti arrivare più tardi per mezzo della funivia austro-ungarica e italiana e attraverso il passo trasportati volontariamente da donne delle località italiane più vicine. Un tratto del percorso fino alla stazione italiana della funivia fu affrontato anche con l'aiuto di buoi.
Nonostante tutte le difficoltà, il I novembre una compagnia di alta montagna raggiungeva Granvilla sulla sella di Sappada, che conduce nella verde valle sorgiva del Piave. Fu una marcia di 16 km con un dislivello di 800 m., caratterizzata da innumerevoli salite e discese nella neve e nel ghiaccio, da battaglie con le retroguardie e necessità di ripristinare strade e ponti fatti esplodere.»

Alexander Hübner, Der Vormarsch der zehnten Armee, in «Volk und Heer», n. 11-12 (Weihnachtsnummer); trad. it. «L’avanzata della decima armata», in Carnia invasa 1917-1918. Storia, documenti e fotografie dell’occupazione austro-tedesca della Carnia e del Friuli, a cura di Enrico Folisi, traduzione dell'articolo di Valerio Rainero, [Comune di Tolmezzo], Tomezzo 2003, p. 156-157.

La risposta data, a guerra appena finita, dal parroco di Comeglians al «questionario inviato dalla reale commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico»49, fornisce qualche dettaglio aggiuntivo sull'invasione nell'Alto Gorto. I saccheggi dei primi giorni riguardarono soprattutto i paesi di fondovalle, attraversati dalla via di comunicazione principale.

Nel Comune di Comeglians non furono combattimenti, durante l'invasione del nemico e quindi non furono bombardati i paesi, né per terra, né per aria, né per questo alcun edificio ha sofferto.
Le truppe nemiche, nelle loro entrate, sono penetrate anche nelle case dei presenti in famiglia ed hanno rubato formaggio, burro, granoturco, biancheria, mettendo il disordine in ogni casa. Questo specialmente avveniva nei paesi, per i quali passava la truppa, come Povolaro, Maranzanis e Comeglians. Nei paesi di Povolaro e Maranzanis, nei primi quattro giorni dell'invasione, furono uccise venti vacche e venti maiali. [...]
Negli altri paesi pattuglie di soldati entravano nelle case a rubare e viveri e biancheria. Molte case dei profughi furono spogliate di tutta la mobiglia e biancheria.
Bisogna però notare che a questa spogliazione concorsero borghesi di questo ed altri comuni. In alcune case resta ancora qualche cosa: ma questo è merito di qualche buona persona, che ha nascosto50.

Nel comune di Forni Avoltri i fuggiaschi furono un'esigua minoranza, un po' per le ragioni ricordate da Vittorio Romanin, ovvero per la repentinità dell'evento, la vicinanza alla prima linea e l'impraticabilità delle vie di fuga, un po', probabilmente, per una minor propensione all'abbandono delle proprie cose legata al ricordo, ancora vivo, dei patimenti subiti durante l'esodo forzoso dei primi giorni di guerra. Il censimento del 1918 contò solo 48 profughi, il 3,9% dei residenti accertati nel 1911, ultimo dato ufficiale conosciuto51.

 

Da «Posta aerea Carnia», 1 (1918) - Forni Avoltri Da «Posta aerea Carnia», 1 (1918) - Rigolato

«Posta aerea Carnia», 1 (1918) - dal sito web 14-18 - Documenti e immagini della grande guerra

 

Secondo la stessa fonte a Rigolato furono 184 su 1913 (9,6%), a Comeglians 386 su 1864 (20,7%), nel circondario di Tolmezzo (mandamenti di Ampezzo, Tolmezzo e Moggio Udinese) 20.729 su 63.143 (32,8%)52.

Nell'alta Val di Gorto il numero dei profughi si mantenne ben al di sotto della media carnica e raggiunse il minimo proprio a Forni Avoltri.

Tabella 1
VENETO
Treviso Romanin Leopoldo fu Mosea c/o Direzione Poste - ufficiale postale
Romanin Virginio di Pietro
LOMBARDIA
Bergamo Romanin Luciano III Liceo, Sem. vescovile, chierico
Sombreno Romanin Valentino c/o Giovanni Locatelli
Del Fabbro Luigia in Romanin c/o Giovanni Locatelli
Bisuschio Molinaro Fortunato parroco
LIGURIA
Genova Romanin Michelina fu Michele
Romanin Elisa fu Michele
Romanin Maria fu Michele
LAZIO
Roma Caneva Alberto fu Leonardo via Cola da Rienzo 163
Caneva Giuseppe fu Leonardo via Cola da Rienzo 163
Sottocorona Gola fu Giacomo via Torre Argentina 26; anni 15
Vidale Margherita fu Giacomo via Torre Argentina 76; maestra; a. 23
Vidale Giuditta fu Giacomo via Torre Argentina 76; anni 19
Vidale Maria fu Giacomo via Torre Argentina 76; anni 26
Vidale Luigia fu Giacomo via Torre Argentina 76; anni 14
Albano Raber Antonio
Bernabò Palmira in Raber
Raber Osvaldo segretario comunale
Raber Adele
Raber Noemi
Raber Palmira
CAMPANIA
Napoli Bruseschi Anna in Vidale Eugenio e figlie Posillipo, Villa Bramante
SICILIA
Santa Ninfa Caneva Armida di Vittorio anni 2

 

A Sappada, per la quale, in teoria dovrebbero valere le considerazioni svolte per Forni Avoltri, invece i profughi costituirono la maggioranza della popolazione, 780 su 1.131 (68,9%)53, secondo i dati censuari, o l'intera popolazione, secondo le fonti parrocchiali (riquadro 9)54; questo per effetto di un anomalo «consiglio» di evacuazione impartito dal maggiore generale Comandante del 7° Settore Giulio Fiastri a ritirata già avviata, il 28 ottobre 191755; che non di semplice consiglio si trattasse è dimostrato dall'arresto, il giorno stesso, del parroco don Ferdinando Polentarutti «perché, all'ordine assoluto di immediato sgombro, chiese tempo per mettere in salvo il bestiame e ciò nell'interesse della popolazione e dello stesso esercito»56. A Sappada non si verificò, insomma, una profuganza «volontaria», ma un vero e proprio sfollamento coatto.

9 - Lo sgombero di Sappada nella Cronaca parrocchiale
«Il 28 ottobre, giorno di lutto e di pianto, giorno fatale dello sgombero di Sappada ordinato dalla prepotenza militare sotto la minaccia di distruzione del paese e di fucilazione a chi si opponesse ai loro ordini. Esodo della popolazione la sera del 28 mentre la pioggia cadeva a secchi e del 29 ottobre di mattina mentre fioccava la neve. Esodo, dico, pietoso, lacrimevole, tragico; alcuni impazzivano, altri morivano per via. Durante il viaggio il popolo di Sappada fu disperso per tutto l'Italia; alcuni furono portati in Piemonte, altri in Lombardia. Chi nella Calabria e chi in Sardegna; i genitori furono divisi dai figli e viceversa; il marito fu diviso dalla moglie e la moglie dal marito. Il gruppo più fortunato si trovò col Signor Cappellano don Emidio Troiero nella Toscana.
Io non ebbi la fortuna di poter accompagnare il mio popolo. La sera del 28 infausto ottobre venni arrestato, tradotto a Santo Stefano, poi a Belluno, dove venni accolto da un tenente dei Carabinieri con mille rimproveri, e gettato nelle carceri civili e poi militari.
Di là pieno di fame venni tradotto a Ravenna in quelle carceri militari, dove fui visitato e consolato da due lettere del nostro amatissimo Mons. Arcivescovo per opera del quale dopo un mese di carcere venni messo in libertà il giorno 6 dicembre 1917 e il giorno 7 arrivai ad Arezzo e potei avere la consolazione di vedere il Sig. Cappellano e un buon numero di parrocchiani che mi accolsero festosamente. Il giorno 8 dicembre potei celebrare di nuovo, dopo 40 giorni di privazione di questo unico conforto...»
APS, Cronaca parrocchiale 1917/28 ottobre-1930/21 settembre, I, pp. 1-3, ripreso da Elpidio Ellero, Autorità militare italiana e popolazione civile nell’udinese (maggio 1915 - ottobre 1917). Sfollamenti coatti ed internamenti, in «Storia contemporanea in Friuli», vol. XXVIII (1998), n. 29, 9-107, p. 30 e 61.

«Il giorno 16 di Marzo 1919 ritornai ad Arezzo per organizzare col Sig. Cappellano il ritorno dei profughi che avvenne a mezzanotte. Il 22 partenza da Arezzo con un treno speciale fino alla Stazione di Villa Santina. Da Villa Santina fu condotta a Sappada tutta la popolazione dei profughi di circa millenovecento con trenta camions. Il 25 Marzo nella Chiesa parrocchiale si tenne una funzione solenne di ringraziamento al Signore pel felice ritorno.»
APS, Cronaca parrocchiale 1917/28 ottobre-1930/21 settembre, I, pp. 5-6; ripreso da Elpidio Ellero, Storia di un esodo. I friulani dopo la rotta di Caporetto. 1917-1919, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, Udine, 2001, p. 235.

Grazie all'attività di ricognizione dei profughi carnici svolta da Michele Gortani e dal suo staff, nel quale operavano anche personaggi gortani, come Amedeo Zanier e Gustavo Tavoschi, costituito prima in Ufficio profughi, con sede a Pisa, e poi in Commissariato profughi, con sede in Firenze, si conoscono i nomi di alcuni dei 48 profughi censiti e delle località in cui vennero accolti (Tabella 1); da essi sembra di cogliere, così come accertato anche in altri contesti, una buona presenza di soggetti appartenenti a famiglie legate all'apparato amministrativo pubblico e/o allo strato più benestante della popolazione (com'è il caso dei Raber, di Valentino Romanin e sua moglie Luigia Del Fabbro, dei Vidale sfollati a Posillipo), a parte il parroco di cui s'è già detto.

Per quanto riguarda Collina troviamo i «signori Caneva», come vengono designati, con deferenza e rispetto, da Gaetano Sotto Corona, che li incontra nei giorni drammatici della disfatta, sulla via di fuga, lungo la Val Tagliamento, e che ritornano a più riprese nei suoi ricordi di guerra57. Considerata la sua età, c'è da supporre che la collinotta Armida figlia di Vittorio Caneva, nata nel 1915, fosse aggregata a qualche gruppo parentale; probabilmente alle zie materne Angelina e Caterina di Pietro Tolazzi, di anni 27 e 23 rispettivamente (alle quali va forse aggiunto anche Pietro Tolazzi di Antonio, di anni 33), che risultano rifugiate anch'esse a Santa Ninfa58.

Il saccheggio delle case dei profughi per opera dei rimasti, ancor più che degli invasori, fu generalizzato, e contribuì non poco a guastare i rapporti tra queste due componenti della popolazione a guerra finita, ma nelle relazioni dei parroci di Forni Avoltri e Rigolato il problema non assume una rilevanza particolare.

Don Giuseppe Simonitti sembra escludere l'intervento di rigoladotti: «In quasi venti case abbandonate o mal custodite da incaricati deboli, due o tre furono spogliate un po' alla volta a quanto si dice dai gendarmi locali residenti a Forni Avoltri e dai pochi militari che qui alle volte soggiornano»59. C'è da ritenere che in questa zona il fenomeno sia stato meno evidente che altrove semplicemente perché le dimensioni della profuganza furono più contenute.

10 - Lettera di Eugenio Gussetti dall'esilio
Soresina 6-12-918

Caro Tita
In questo momento ricevei la tua cartolina - in data 27 novem. - Dalla quale, rilevo prima di tutto che state bene, e poi le condizioni della mia casa - devastata - dai ladri del paese.
In primo luogo ti raccomando caldamente, tenermi da conto, almeno di quanto è rimasto, ritirando le chiavi, se non le hai a tua disposizione, chiudendo per bene tutto - credo ci saranno le porte; e facendomi subito, riordinare e pulire lintero fabbricato; rimettendo anche se occorre - riparature al coperto, con tegole od altro; come sai; o avevo delle tegole al piano delle cantine - se i ladri non le abbiano prese; questi lavori, li farai eseguire da qualche uomo adatto, e quelli della pulizia interna, da qualche donna.
Favorirai pure, cercare un uomo di tua fiducia, e mandarlo a visitare tutti i miei boschi, e farai utilizzare qualsiasi merce, che vi fosse deperita o atterrata. Anzi darai l'ordine, oltre a questo, a tale persona, che fino al mio arrivo, tenga la sorveglianza dei boschi, e a Colle Maggiore, che lasciai delle cataste di legna, se vi fossero ancora metterle in ordine, così pure farai osservare da Bepo dal Scior di riordinare i coperti dei fienili, tanto in via di Sotto, come a Ricul, così pure quello in paese.
Se è possibile e se puoi trovare personale, fammi pure riordinare anche esternamente nel d'intorno della casa; prendi un uomo - stabile - che il tempo permetta - se vi fosse caduta della neve - vedi farmi scaricare i coperti, guardami anche bene del fienile in paese.
Credo eseguirai bene ogni cosa e ti dò parola che al mio rimpatrio se arrivo a pedinare gli autori dei furti commessi in casa mia la pagheranno cara, davanti ai tribunali, il dubbio, per non dire la certezza, metterei la mano sui ladroni, che mi spiace più che non se avessero svaligiato i nemici tedeschi.
Ora mi hai inteso, ti raccomando ogni cosa, e t'incarico in qualunque fatto riguardante la mia azienda. Le mie condizioni, è inutile spiegartele, sai, i dispiaceri che continuamente sono bersagliato. Alla mia venuta soddisferemo i nostri affari.
Ora sono a pregarti, date le condizioni di un esilio così lungo, ed essendo ansioso come puoi immaginare, d'un rimpatrio quanto prima; ma essendo stanco di ricorrere alle autorità Prefettizie di costì, finora non potei mai ottenere tale rimpatrio, e nemmeno temporaneo. Oggi, proprio fui a Cremona, davanti al Prefetto, ove mi suggerì, anzi m'assicurò, che per rimpatriare quanto prima ci vuole l'autorizzazione del Prefetto di nostra provincia, come tanti han fatto, quindi, fa scrivere subito dal Sindaco nostro al Prefetto di Udine, dicendo che la mia casa è abitabile e che urge la mia presenza cola, per diversi motivi. Se hai combinazione, far pervenire tale domanda, magari personalmente, oppure coi mezzi che tu credi più solleciti; Ti prego di nulla trascurare, Poiché senza tale autorizzazione, chi sa quanto qui ci trattengono, sarei venuto anche a mie spese, ma non mi fu permesso.
Vorrai darmi con una lettera in espresso dettagliati schiarimenti, prima di tutto di mio padre e sorella, che dalla tua cartolina mi resta a dubitare. Dimmi pure francamente, se è successo qualcosa di male. Io non farò saper nulla a sorella Giacomina; appunto è meglio che tu scrivi lettera che viene aperta solo da me. Mi farai pure sapere se vi è in paese qualche altra novità d'importanza.
A descriverti il mio esilio, sarebbe troppo lungo, ti narro soltanto che il viaggio fu disastroso, e che ho girato tutta l'alta Italia, fui due mesi a Cuneo, 7 mesi vicino a Como, e dora, da tre mesi mi trovo qui a Soresina vicino cremona. Il resto racconterò al mio rimpatrio.
Raccomandandoti nuovamente ogni cosa, e attendendo ansioso un tuo scritto, speroin breve con la pratica su accennata, di poterti abbraciare unitamente tuo fratello, parenti ed amici.
Durante l'estate, più volte ho tenuto relazione con tua mamma e tuo fratello Bepo, incoraggiandoli, e offrendomi sempre pronto a qualunque bisogno avessero avuto, come potranno dimostrarti dalle mie lettere alla loro venuta, Ringrazierai l'amico Tite di Lies che mai nulla mi rispose, nelle condizioni in cui siamo, spero starà bene.
Io fui ammalato un mese con febbri, ora bene. Saluti cordiali a te e fratelli, mio padre e sorella se esistono.
Amico Eugenio G.
(Archivio privato)

Ma i casi non mancarono; Eugenio Gussetti in una la lettera, spedita agli inizi di dicembre 1918 dal rifugio, divenuto ormai stretto, di Soresina, al perito agrimensore, compaesano e amico, Giovanni Battista Puntil da Rigolato, riguardo al saccheggio della sua casa osserva che gli «spiace più che non se avessero svaligiato i nemici tedeschi» (riquadro 10).

Nell'anno dell'occupazione all'assenza dei profughi veri e propri, censiti o meno, s'aggiunse poi quella dei maschi sotto le armi, fatti prigionieri o riparati oltre il Piave. Tra questi troviamo Gaetano Sotto Corona e, con lui, un gruppetto di collinotti e giviglianotti di cui si parlerà in altro scritto.

L'occupazione

Don Pietro Cella ci ha lasciato un succinto e vivido racconto dell'anno d'occupazione, visto da Givigliana, dove risiedeva ed operava come mansionario. La raccolta e le requisizioni di armi e indumenti militari abbandonati dall'esercito italiano iniziarono immediatamente; vennero censiti popolazione e bestiame e subito attuati i primi prelievi di vacche da macello.

I primi tempi ci fu da vivere della raccolta dei magazzini militari e delle provvisioni fatte nei negozi rimasti, ma già nell'inverno i viveri cominciarono a mancare. Subito cominciarono le requisizioni per le case, di armi, e indumenti militari, ma senza grave danno. Fu creata una commissione comunale per il censimento della gente e del bestiame per ordine degli invasori e si fece subito un primo prelevamento di vacche da macello. La scuola, chiusa in ottobre, fu riaperta in gennaio, come le altre del comune.
Si era chiusi in una specie di limbo oscuro, senza giornali, senza notizie. Le voci più fantastiche prendevano forma di verità ed erano credute e talora mettevano subbuglio nella gente. Un giorno si diceva che gli italiani erano in avanzata dal Cadore, un altro che erano arrivati al Tagliamento. I patimenti fisici e morali facevano sperare in una prossima miracolosa guarigione60.

Il raccolto del 1917 era stato abbondante «ma nell'inverno e nell'autunno una vera invasione di accattoni del Comelico aveva battuto alle porte e la gente impietosita e nella speranza di una prossima liberazione aveva dato con abbondanza. S'aggiunga l'invasione dei prigionieri russi che sbucavano dai boschi e discendevano giganteschi e timidi alle case per un boccone qualunque da sfamarsi; e quella dei prigionieri italiani che il buon cuore delle famiglie non si rifiutava mai di soccorrere, e si capirà che le scorte di viveri dovettero presto esaurirsi»61.

La scarsità di viveri e il timore della deportazione caratterizzarono l'intero periodo d'occupazione. La popolazione cercò di difendersi nascondendo il più possibile viveri e vestiari.

Per tutto l'anno tormentato dell'invasione i viveri ed i vestiari di casa furono dovuti tenere nascosti sottoterra o in antri segreti, con gran pericolo di essere scoperti, e molta roba marcì a quel modo e altra fu perduta. Era una vita di continue angustie. Ognuno era preoccupato per sé, però molti si aiutavano fraternamente del poco che potevano e avevano. Le sofferenze morali e gli spaventi erano ugualmente rovinosi. Gli uomini erano in continuo pericolo di essere deportati per lavori dove si sentiva dire che molti morivano di stenti, e il nome di Toblach risuonava come un sinistro spauracchio. L'anelito per la liberazione era vivissimo; ovunque si facevano funzioni religiose propiziatorie62.

A febbraio vennero requisite le campane: 9 a Forni Avoltri; 8 a Rigolato con Givigliana e Ludaria (28,76 quintali); 6 a Sappada e Cima Sappada (58 quintali); 13 a Comeglians (40 quintali)63. Stando a don Antonio Roja «Quei di Collina han voluto risparmiare agli Austriaci la fatica dell'andar fin lassù a toglier le loro, e si sono profferti di condur non solo le proprie ma anche quelle di San Giovanni di Frasseneto. E le han levate dai campanili e rotte in pezzi piccoli e condottele agli Austriaci in Rigolato»64.

Non mancarono episodi di sabotaggio meno legati alla quotidianità, come l'occultamento di materiale bellico (riquadro 11).

11 - Dispetti agli invasori
«Un giorno il mansionario passando per Collina inferiore, vide schierati sulla piazzetta tre bellissimo cannoni di bronzo, del peso ciascuno di Kg. 487 e un mortaio. Ad un uomo di Collina che passava di lì chiese:
— Perché sono qui questi cannoni?
— I tedeschi li hanno fatti raccogliere e domani li condurranno in giù.
— E perché li avete lasciati sequestrare?
— Ma... e che vi dovevamo fare?
— Nasconderli, cari signori, nasconderli. Son valori questi, e a lasciarli al nemico è dargli arma contro di noi. Dove erano?
— Su pei monti, uno qua, uno là. Li avevamo tra i piedi quando si saliva a cercare roba militare nelle trincee.
— E non li avete rotolati giù pei burroni, che almeno non li potessero estrarre? Non valgono questi cannoni ben più che mille stracci?
— Eh si, caro signore, rispose l'uomo; lei ha un bel dire, ma sa pure che siamo tra le spie, e chi si può fidare? Si sta poco ad essere fucilati.
— Pur troppo è vero, continuò il mansionario, ma quando proseguiranno con quei cannoni?
— Oggi la gente di Collina riposa e domani li trascina a Rigolato. Intanto i tedeschi vanno al Volaia.
— Al Volaja? Ce ne sono ancora lassù?
— Si uno.
— Grande?
— Come quelli lì, di quasi sette quintali.
— E lo lasciate requisire?
— Lo hanno già in nota. Chi osasse portarlo via sarebbe fulminato senza misericordia.
— Peccato di quei magnifici cannoni!
— Ma si veramente, peccato! Il mansionario tornò di corsa a Givigliana, fece chiamare Gortana Giuseppe che era nella fluitazione del legname, raccolse altri quattro uomini, di cui tre sono ancora viventi, e li avvisò.
— In Volaja c'è un cannone di bronzo di cinque quintali. Domani non sarà più; i tedeschi lo requisiranno. Questa notte bisogna farlo sparire. La luna è tonda, rischiara tutta la notte. Corda e leve di legno, e partenza. Intesi?
La piccola pattuglia partì. Furono fatiche mortali, ma il cannone fu nascosto al sicuro, sotto una rovina di sassi e ghiaione; la slitta che lo portava fu allontanata dal posto per farne perdere le traccie e un mortaio di bronzo da un quintale fu portato a seppellire in paese. Nel domani e per vario tempo l'argomento del giorno a Collina e dintorni, fu la scomparsa misteriosa del cannone di Volaia. Il tenente di artiglieria tedesco addetto al recupero era furibondo. Fu sparsa ad arte anche la voce che potesse essere trafugato da tedeschi di là dal confine. Il tenente fece proibire di lasciarsi vedere nell'antica zona del fuoco, pena la fucilazione; fu ordinato di denunciare i temerari autori del furto, ma la cosa restò un mistero per tutti.
Tornati gli italiani, il cannone ed il mortaio furono denunciati, ma il comando militare ne fu quasi seccato. Un drappello di soldati di artiglieria venne a Givigliana a prendere il mortaio, ma con aria quasi di sospetto contro chi l'aveva nascosto. Del cannone di Volaia nessuno si preoccupò altro che per proibire che il paese lo raccogliesse per farne qualcosa per il monumento ai Caduti. Ora poi è trafugato davvero, e non si sa quando né da chi, o si sa anche troppo bene. Così vanno le cose!»
Pietro Cella, Memorie di Givigliana, Premiato Stabilimento Tipografico L. Lukezic, Gorizia, 1928, p. 55-56.

A partire da marzo, la penuria di viveri spinse a lunghe migrazioni verso il Friuli, alla ricerca di grano.

In marzo cominciò a farsi sentire sul serio la penuria dei viveri e da allora cominciò e durò poi per tutta l'estate, la migrazione, in carovane d'uomini e di donne, in cerca di grano per il Friuli, portando denaro e specialmente vestiari e burro e formaggio per il cambio, e le usure dei friulani in quelle occasioni furono spesso incredibili. Chi saprebbe ripetere le traversie ed i patimenti di quei tristi pellegrinaggi? Tutta l'estate passò così, tetra, paurosa65.

Il parroco di Ovaro osservò che la penuria di cibo costrinse gli abitanti «per molto tempo e per gran parte, a sfamarsi col cibo proprio degli animali per non morire dalla fame, ed a pellegrinare, per tutto il periodo dell'invasione, in tutto il basso Friuli per l'acquisto di poco granoturco ad un prezzo fenomenale e con passaporto pagato ogni dieci o quindici giorni con una corona; passaporto che d'altronde molto giovava perché il grano acquistato a carissimo prezzo, per viaggio veniva sequestrato da quei barbari comandi locali austro-tedeschi-ungheresi»66.

Molti si muovevano senza permesso, rischiando di incappare in severe sanzioni, come accade a un gruppo di sette donne fornette, forse guidate dalla più anziana, nell'ottobre del 1918, «punite senza misericordia» e minacciate in caso di recidiva di denuncia «al tribunale per ulteriori azioni penali» (riquadro 12).

Secondo il parroco di Pesariis «l'affamata popolazione fu costretta a piedi per molti kmetri a tutte le inclemenze del tempo girovagare con barelle, gerle in cerca di grano. Raggiunse Portogruaro Sacile Pordenone Latisana Palmanova Cividale Monfalcone Codroipo Udine occupando settimane di assenza e portando in media in ischiena un carico di 70. 80 kgmi ed in parte tutto portando di notte tempo per non cadere in preda dalla rapace gendarmeria»67. Quello di Prato Carnico conferma il quadro, osservando che «fin dal febbraio 1918 la popolazione fu costretta a recarsi, percorrendo centinaia di Chilometri, in Friuli a provvedere granaglia, sottostando prima allo scambio formaggio e burro, poi a pagare a prezzo di ultra che usura suddetta merce»68.

12 - In Friuli senza permesso
Punizioni per aver passato il confine del distretto senza permesso.
(Traduzione)
I. e R. COMANDO DI TAPPA DI COMEGLIANS.
Avvisi generali Nr. 61
Comeglinas, 4 ottobre 1918
Al Sindaco di OVARO
Il Sindaco di Forni Avoltri deve avvisare le seguenti persone, che si sono recate in Friuli senza permesso, che saranno punite senza misericordia, e, in caso di recidiva, denunziate al tribunale per ulteriori azioni penali.
ROMANIN Maddalena,32anni di Forni Avoltri casa N.12,
ROMANIN Luigia,35''8,
ROMANIN Rosalia,30''22,
ROMANIN Zezilia,38''17,
ROMANIN Domenica,35''18,
ROMANIN Rosalia,57''18,
ROMANIN Carolina,33''3,

 

Dr. GEORGEWICI, Hptm.
m.p.
Laura Calò, Le donne friulane e la violenza di guerra durante l’occupazione austrotedesca 1917-1918. Alcuni esempi per la Carnia, in Enrico Folisi (a cura di), Carnia invasa 1917-1918. Storia, documenti e fotografie dell’occupazione austro-tedesca della Carnia e del Friuli, [Comune di Tolmezzo], Tolmezzo, 2003, p. 114.

Nell'estate del 1918 a causa della scarsità del raccolto e delle requisizioni delle mucche da latte, il problema alimentare si fece drammatico.

La raccolta del diciotto fu molto misera e fu quasi tutta consumata già prima del tempo di maturazione. Molte famiglie patirono la fame o si nutrirono di cibi impossibili. Le requisizioni quanto mai spietate, ridussero d'autunno il paese a pochissime vacche da latte. Non mancarono le ingiustizie fra i caporioni del paese, e le scene di povere famiglie senza mezzi, private dell'ultima risorsa, l'ultima vacchetta, furono strazianti. La desolazione era terribile e solo in Dio si sperava salute.

Risorsero alcune industrie casalinghe: la filatura della canapa e della lana e la distillazione, con alambicchi improvvisati, dei grappoli di melissa, di sambuco e anche di radice di genziana per estrarre acquavite, ma con poco tornaconto. La ricerca poi di tabacco selvatico per i boschi fu generale69.

La presenza di prigionieri italiani e russi aggravò il problema alimentare e causò anche inconvenienti maggiori, come s'intravede da una nota di Don Antonio Roja del 17 luglio 1918 su un episodio accaduto a Vuezzis.

Anche in Carnia questo dei prigioneri è divenuto un affar serio. Non solo specialmente ne' paesi alti sono sempre alle porte a domandar alcun che da mangiare a quei che non ne hanno nemmeno per sé, come fanno i più pacifici, ma alcuni, e specialmente i Russi che si tengono più in alto, rubano pecore, capre e anche qualche vacca; come han fatto in Corce sopra Fielis.

A Uezis poi la settimana passata è stato trovato ucciso un uomo padre di famiglia. Era andato al molino con due pesinali di granoturco. Non tornava mai e gli sono andati in contro. Lo trovaron morto colpito alla testa, e il sacco della farina era andato. Lassù han costituite delle guardie borghesi per custodia delle case e stalle e campi. Talora poi avvengono vere scaramuccie con questi prigionieri ladri70

Nell'ultimo periodo dell'occupazione agli effetti delle requisizioni si sommarono quelli della «spagnola», rendendo la situazione drammatica anche dal punto di vista sanitario.

Gli ultimi giorni di schiavitù furono addirittura atroci. Infieriva in paese una specie di febbre spagnola. Ai venti di ottobre avvenne un'ultima requisizione di vacche, quella che riduceva all'osso troppe disgraziate famiglie. Il pianto delle povere donne era straziante. Fu tenuta una tumultuosa adunanza in casa del consigliere anziano, dove alcune povere donne, a cui si portava via l'ultima vacchetta mentre la si lasciava a certi caporioni, non poterono che sfogarsi in lagrime e grida di imprecazione. Era l'ultima prova. Fu sparsa anche la voce di fuggire con le vacche ai monti, ma non fu ascoltata, per paura del peggio71.

La liberazione

Arrivò, infine, la liberazione. «Finalmente ai Santi venne la liberazione. I campanili, muti a forza, si trovarono come per incanto imbandierati di tricolori e la gioventù del paese si ornò di coccarde italiane; ma gli italiani liberatori non si videro che molti tardi»72.

Nel dopoguerra, a dispetto dei patimenti e delle vessazioni subite, le denunce per i danni affondarono presto nella melma d'una burocrazia cieca e inaffidabile.

Invece le denuncie, modestissime per lo più, dei danni di guerra, non ebbero esito, e ciò in grazia di un emerito pescecane, imboscato tutta la guerra, da Comeglians, il quale tornato da profugo dopo la liberazione, si fece grande alfiere del patriottismo, dispensando a suo piacimento certificati di austriacantismo e di italianità presso le autorità italiane di cui era, a burla dell'onore della patria, fiduciario73.

La relazione di don Fortunato Molinaro sui danni di guerra (riquadro 13) è, a causa della sua assenza durante «l'invasione barbara», una delle più stringate tra quelle inviate dai parroci carnici all'apposita commissione d'inchiesta istituita nel dopoguerra. Da essa, comunque, si apprende che nel comune di Forni Avoltri vennero requisiti almeno 600 bovini e metalli, campane incluse, e che vi furono saccheggi di biancheria e utensili culinari74.

13 - Danni di guerra
«Forni Avoltri, 16 Gennaio 1919
In riferimento al foglio della «Reale commissione d'inchiesta sulle violazioni al diritto delle genti commesse dal nemico» mi onoro significare:
Che non essendo stato presente a questo popolo durante l'invasione barbara ho potuto semplicemente raccogliere fin da quando mi son premurato tornare fra i miei parrocchiani, grida collettive di sdegnazione contro gli invasori.
Così come nei paesi vicini anche in questo comune hanno rubato quasi tutti i bovini (n. 600) unica ragione di sussistenza per la nostra gente. Molte famiglie son restate completamente senza di quell'unico ristoro.
Mi risulta che se non completamente, almeno in parte hanno saccheggiato le case di biancheria e di utensili culinarii.
Posso con certezza asserire che della mia canonica ho semplicemente ritrovate le pareti; anche queste deturpate.
I barbari, anche in questo paese, hanno profanato la Chiesa spogliandola di campane (n. 9) e hanno denudato i campanili della lamiera di rame per il peso comulativo di kg. 512.
Ho curato e avvisato il popolo, ché ciascuna famiglia sollecitamente presenti alle autorità militari il proprio rapporto in oggetti.
Con osservanza.

Il parroco di Forni Avoltri.
Sac. Fortunato»
Reale commissione d’inchiesta, Risposta dei parroci della montagna friulana al questionario inviato dalla reale commissione d’inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico, in Enrico Folisi (a cura di), Carnia invasa 1917-1918. Storia, documenti e fotografie dell’occupazione austro-tedesca della Carnia e del Friuli, [Comune di Tolmezzo], Tolmezzo, 2003, p. 166-167.

La relazione di don Giuseppe Simonitti, parroco di Rigolato, pur più dettagliata, rimane stringata, quasi riluttante verso le richieste di un'autorità, quella civile, riconosciuta sì, ma pur sempre altra rispetto a quella religiosa; l'aggettivazione adottata nella sua esposizione nulla concede alla retorica patriottarda del dopoguerra: «sono spiacente di poter fare ai singoli Numeri e Lettere del questionario proposto solamente quelle osservazioni che stimo degne di nota»75. Per quando riguarda le requisizioni dei bovini ricorda che «il Comune fu multato di lire trecento e di una trentina di bovini in più» per aver ritardato la consegna; in tutto vennero requisiti bovini per «700 capi piccoli e grandi lasciando ai duemila abitanti presenti appena 320 capi», 14 suini, due equini «verso rilascio di Buono. Ovini solo in cambio di bovini»; «la popolazione soffre ora le conseguenze della mancanza del latte e dei derivati», ma senza «che sia ancora per questo aumentata la mortalità». Vennero inoltre requisite la biancheria, «alcuni capi a scelta delle singole famiglie che in effetti diedero un totale di più di mille capi: pagati poco», la lana, «a scelta come sopra per un totale di Kgr. 14 e rilasciato Buono», il rame «fuori d'uso per un totale di Kgr. 240, rilasciato Buono», il fino «Kgr. 1400 e rilasciato Buono», formaggio «Kgr. 150» e burro «Kgr. 30 e non fu pagato in nessun modo»; «parte del macchinario di una segheria a forza elettrica e le campane (lasciando l'unica o la più piccola nelle singole chiese... e rilasciato buono». Alcuni maschi furono obbligati a lavori forzosi ma «soltanto in lavori comuni non pericolosi» anche se «furono retribuiti con scarso vitto e di cattiva qualità e con moneta veneta o corone sotto le quattro o cinque lire o corone». Quanto ai furti e saccheggi «l'esercito invasore fece qualche furto di biancheria e formaggio e abusiva appropriazione specie nei negozi: non mi consta di vero saccheggio».

Note


  1. Gaetano Giuseppe Sotto Corona, «Memoria di mia vita», 1927, p. 32. 

  2. ibidem

  3. ivi, p. 34. Il racconto di Gaetano Sotto Corona coincide con le osservazioni di Michele Gortani, relative all'intera Carnia: «Nell'autunno del 1914, scoppiata ormai la guerra europea e dopo ultimato il tumultuoso ritorno in Patria dei nostri emigrati, i quali per la sola Carnia ascendevano a circa 15 mila e costituivano il grosso dell'emigrazione temporanea locale, si verificarono gravissime condizioni in riguardo all'alimentazione di tutta questa gente, la quale, mentre rientrava in gran parte in Patria senza aver potuto realizzare (o soltanto in piccola parte) i suoi guadagni, si trovava a dover far fronte al pagamento dei debiti incontrati dalla famiglia durante la buona stagione, ed ai bisogni dell'inverno», in Ce Fastu?, n. 44-47 (1968-1971), a cura di Novella Cantarutti, con allegata l’edizione della Deposizione dell’on. Gortani prof. Michele, Deputato di Tolmezzo effettuata il 7.10.1918, in Roma, presso la Commissione d’inchiesta istituita con R.D. 12.1.1918, n. 35, p. 177. 

  4. Sotto Corona, «Memoria di mia vita» cit., p. 35.  

  5. «A differenza del resto del fronte, suddiviso in Settori assegnati alla responsabilità di un Comando di Armata la parte di fronte che va dal Peralba (escluso) al Montemaggiore (escluso) per le sue particolari caratteristiche, venne affidata alla ZONA CARNIA, indipendente, incentrata sul Comando XII° Corpo d'Armata del Gen. Lequio, con compiti esclusivamente difensivi tra il Peralba e Pontebba, offensivi tra Pontebba e Uccea...», Pierluigi Giampaoli, La Grande Guerra in Alta Val Degano, Aviani & Aviani editori, Udine 2012, p. 24. 

  6. Mario Maffi, L’onore di Bassignano. Il maggiore piemontese che non volle fucilare gli alpini del Val d’Adige, Gaspari editore, Udine 2010, pp. 25-26. 

  7. Giuseppe Del Bianco, La guerra e il Friuli, Libro IV - Sull’Isonzo e in Carnia; V - Gorizia; VI - Disfattismo, Del Bianco Editore, Pradis di Colloredo di Montalbano 2001, vol. II, pp. 12- 13; la parte evidenziata in corsivo compare in nota (n. 7); il corsivo è nostro. 

  8. Giampaoli, La Grande Guerra cit., p. 429. 

  9. Sotto Corona, «Memoria di mia vita» cit., p. 35. 

  10. «La superiorità  numerica delle forze all'inizio del conflitto suggeriva l'occupazione di posizioni che in seguito non si riuscì a conquistare nemmeno a costo di gravi perdite. La lungimiranza e l'esperienza austroungarica avevano fatto predisporre varie postazioni particolarmente forti mentre noi ci limitavamo quasi esclusivamente a ricognizioni a ridosso del confine per non allarmare gli Austriaci avendo dichiarato la nostra neutralità  allo scoppio del conflitto il 28 luglio 1914», Giampaoli, La Grande Guerra cit., p. 32. 

  11. Fortunato Molinaro, La cura di Sopraponti e le sue ville (Carnia), Tipografia Doretti, Udine 1960, pp. 103-104. 

  12. ibidem

  13. «In un Riepilogo Servizio Bassignano accennando alla conquista di passo Sesis, specificò: "La posizione dopo tre giorni venne ceduta alla 4 compagnia dell'8° bersaglieri" ma venne poi riconquistata dagli austriaci e non fu mai più ripresa durante l'intero conflitto, nonostante molti contrattacchi italiani», Maffi, L’onore di Bassignano cit., p. 34. 

  14. Giampaoli, La Grande Guerra cit., pp. 357-358. 

  15. Citazioni tratte dal Diario storico della 17 compagnia del battaglione Dronero riportato in Maffi, L’onore di Bassignano cit., pp. 34-37. 

  16. Sotto Corona, «Memoria di mia vita» cit., p. 35. 

  17. Angelo Dreosti e Aldo Durì, La Grande Guerra in Carnia nei diari parrocchiali e nei processi del tribunale militare, Gaspari editore, Udine 2006, pp. 14-15. 

  18. Il numero degli internati non si conosce con precisione; le ricerche di Elpidio Ellero forniscono una quantificazione parziale dalla quale estrapoliamo: Collina 1; Comeglians 4; Forni Avoltri 4, Ravascletto 14; Rigolato 6; Sappada 5 ― Elpidio Ellero, Friuli 1914-1917. Neutralità, guerra, sfollamenti coatti, internamenti, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, Udine 2007, pp. 197-198. 

  19. Pietro Cella, «Liendes di vuere (dialet dal Cianâl di S. Pieri)», in Ce Fastu?, vol. V, n. 8 (1929), pp. 129-132, pp. 129-131. 

  20. La medesima connessione è sostenuta da Giuseppe Del Bianco, non sospettabile di preconcetti verso l'esercito: «Eppure i primi contatti dell'esercito con i carnici non erano stati molto felici, o perché nuocesse il fatto che tra la popolazione operaia erano largamente diffuse teorie socialiste e utopie anarcoidi antimilitariste ― allora di moda ― e di cui gli emigranti che tornavano dall'estero facevano pompa [...] ovvero perché durante il periodo della neutralità erano stati individuati taluni più che in altre zone, i quali senza scopo di lucro, ma per leggerezza o millanteria o per ignoranza, avevano rivelato alle autorità austriache di confine i nostri movimenti militari, movimenti del resto fatti alla luce del giorno e che tutti, anche i ciechi, avevano potuto vedere. Nocque poi ai carnici [...] la difficile parlata [...] e il loro animo pensoso e chiuso [...] Austria e Germania avevano per lunga tradizione di anni, da padre a figlio, dato agli uomini lavoro, alle famiglie pane: Austria e Germania avevanli accolti bambini, sulla soglia della vita, e forse davanti ad essi, a pochi metri da essi stavano ora in trincea coloro medesimi che li avevano ospitati e nutriti [...] Queste considerazioni fecero sorgere in taluno ― e ciò non può meravigliare ― il sospetto che i carnici, di fronte alla guerra combattuta a due passi dalle proprie case, con l'incombente minaccia di una invasione, contro nemico che fino a ieri era stato per molti fratello, fossero rimasti sordi e riluttanti alla voce della Patria. E vi fu anche chi andò più in là, e nei primi giorni che segnarono l'apertura delle azioni belliche ritenne la popolazione di alcuni paesi connivente col nemico. Il 5 giugno del 1915 venne fatto sgombrare Forni Avoltri perché si diceva abitato da spie...», Del Bianco, La guerra e il Friuli cit., pp. 250-251; e ancora: «Il sospetto era sorto dal fatto che nessuno dei movimenti delle nostre truppe, nel settore di Forni Avoltri, era passato inosservato agli austriaci, i quali avevano potuto prendere tempestivamente disposizioni atte a frustrare ogni nostra sorpresa. [...] Un disertore irredento spiegò l'enigma: la natura specialissima del terreno favoriva le intercettazioni telefoniche che venivano fatte tra i nostri Comandi, per cui dispostosi che le comunicazioni fossero effettuate in dialetto, il fenomeno immediatamente cessò...», ivi, p. 271. 

  21. Le citate opinioni di don Molinaro e don Cella sono riportate nel (riquadro 4). 

  22. «Nel timore di un'invasione dobbiamo abbandonare in fretta e furia le nostre case. Triste spettacolo di bambini che piangono, di vecchi che salutano la casetta che forse non ritroveranno in piedi, di donne che si affannano a portar via le proprie creature, oggetti di maggior valore e gli animali. Confusione. La mia famiglia si sistema alla meglio in un albergo a Comeglians. Si dorme in una camera occupata da circa una decina di persone. La mamma cucina all'aperto; per pascere le mucche deve recarsi in un paese vicino [...] Finalmente dopo quaranta giorni si può tornare a casa. Si preferisce vivere in pericolo ma al proprio paese. Troviamo qua e là trincee e reticolati...», Tullio Ceconi (a cura di), Tracce di storia per immagini, Coordinamento dei circoli culturali della Carnia, [Cercivento] 1996, p. 98; nel libro vengono riportati ampi «stralci dei ricordi» del prof. Vittorio Romanin Brigidin

  23. «28 Aprile [1916]... Una vecchia ― di età  assai avanzata, ma ancora arzilla ― sta agucchiando, vicino alla finestra. Le domando: ― Il confine è molto lontano di qui? ― Non molto. Due ore o più. ― E come si chiama il primo paese tedesco dopo il confine? ― Luckau. ― Ci siete stata? ― Una volta sola. A Luckau c'è una grande Santuario e tutti gli anni, prima della guerra, si facevano dei pellegrinaggi. Ci vogliono cinque ore di cammino. Si passa da Pierabech e si rimonta il Fleons. La vecchia mi racconta, poi, l'episodio dello sgombero di Forni, avvenuto alcuni mesi fa, sotto la minaccia di una incursione del nemico. - Un giorno, all'improvviso, il Sindaco ci diede l'ordine di andar via. Nessuno restò nel paese. Tutte le case furono chiuse e abbandonate. Che confusione! Che disperazione! Le famiglie povere non sapevano come fare, né dove recarsi. Noi ci fermammo a Ivaro (sic), altri a Rigolata (sic). Donne e bambini piangevano. Scene da piangere. Siamo rimasti lontani quaranta giorni che mi sono sembrati quarant'anni. Ma se tornassero un'altra volta, io non partirei più, anche se fossi sicura di morire fucilata da quei cani. Sono tanto vecchia!», Benito Mussolini, Il mio diario di Guerra (1915-1917), Casa Editrice Imperia, Milano 1923, pp. 144-146. 

  24. Giampaoli, La Grande Guerra cit., p. 13. Analogo giudizio, per quanto riguarda Forni Avoltri, è espresso anche da Elpidio Ellero: «Forni Avoltri, Sigiletto, Frassenetto, Collina e Collinetta furono località per le quali lo sfollamento venne deciso per obiettive ragioni di incolumità della popolazione. I fatto diedero ragione alla scelta delle autorità militari perché nel 1916 (luglio ed ottobre), Forni Avoltri venne pesantemente bombardata dall'artiglieria austriaca che provocò vittime tra i civili», Elpidio Ellero, «Autorità militare italiana e popolazione civile nell’udinese (maggio 1915 - ottobre 1917). Sfollamenti coatti ed internamenti», in Storia contemporanea in Friuli, vol. XXVIII, n. 29 (1998), p. 29. Un elenco dei «bombardamenti segnalati dai diari storici dei reparti su Forni Avoltri» in Giampaoli, La Grande Guerra cit., pp. 457-459. 

  25. Sotto Corona, «Memoria di mia vita» cit., pp. 35-37. La madre è Giulia Di Sopra (1839-1929) di Antonio Cjanöf da Collina piccola, Elda è la figlia (1909-1997) di Gaetano; «Lacognata Verginia» è Virginia Maria Di Sopra Cheché (n. 1878); «giovanni bandol» è il cognato Giovanni Zanier di Bandol (1872-1938), sposato con Eliana Di Sopra; «Erminia» è Erminia Di Sopra (1882-1961), sposata con Pietro Gortana di Neno (1882-1955). 

  26. ivi, p. 37. Su questo periodo si veda anche il racconto di don Antonio Roja (riquadro 5). 

  27. ivi, p. 38. 

  28. ivi, p. 38-39; «Giuseppe sarturut» è Giuseppe Isidoro Tamussin Sarturut (1886-1965); «Marcello» sta per Marcello Giuseppe Tamussin Bortul (n. 1886). 

  29. ivi, p. 39; «fulin»: «L'area identificata dal toponimo è quella che circonda il ponte sul rio omonimo lungo la strado di Créts», Enrico Agostinis, I luoghi e la memoria.Toponomastica ragionata e non della Villa di Collina, Territorio della Carnia, www.aleraltogorto.org, 2016, p. 128; «buros»: «Prato in pendio moderato... sottostante l'abitato di C[ollina]P[iccola]», ivi, p. 72; «nel stali di mascerio»: nel fienile di Maşério, ivi, p. 145. 

  30. a crociatèt: comando militare che ordina al soldato d'imbracciare il fucile col calcio stretto al fianco destro; ed è posizione preparatoria per lo sparo. 

  31. Sotto Corona, «Memoria di mia vita» cit., pp. 39-41; «Severino Barbolan» corrisponde a Severino Tommaso Barbolan Tûš (1889-1919); «Pietro Barbolan»: Pietro Barbolan (1871-1951), zio paterno di Severino. La casa abitata allora da Gaetano Sotto Corona, a Collina Grande, dovrebbe corrispondere all'edificio denominato in Tuto e quella di Pietro Barbolan a quello chiamato in Tûsj (Enrico Agostinis, Le anime e le pietre. Storie e vite di casa e casate, di uomini e famiglie. Piccolo grande zibaldone della villa di Culina in Cargna, www.aleraltogorto.org, 2020, pp. 115-117, case n. 234 e 232, rispettivamente - piantina a pp. 165). 

  32. Sotto Corona, «Memoria di mia vita» cit., pp. 42-43; «Marina a S. Giorgio»: Marina Sotto Corona (1915-1982), battezzata nella chiesa di San Giorgio (parrocchiale di Comegliàns); «mio cognato»: Giovanni Della Pietra da Calgaretto (n. 1863), marito di Virginia Maria Di Sopra (n. 1878). 

  33. «... nella notte sul 25 novembre 1916, a casera Plumbs perirono trenta alpini. Svegliaronsi in quella notte di tregenda gli abitanti di Collina, presi dallo spavento al boato che fece il fiume di neve rovinando a valle, e tutti dissero che l'anima stessa di Francesco Giuseppe, giunta all'inferno, aveva ottenuto dal demonio quest'ultima vendetta, perché mai slavina cadde più grande in quella zona, né mai alcuna, a ricordo di uomo, ingoiò tante vittime e tante cose», Del Bianco, La guerra e il Friuli cit., p. 297. In realtà i morti furono trentuno, trenta artiglieri e un soldato del Genio. 

  34. L'elenco delle portatrici di Collina elaborato da Pierluigi Giampaoli ― Giampaoli, La Grande Guerra cit., pp. 477-478 ― include ben 49 nominativi. I figli dei militari o trattenuti alle armi potevano ottenere il libretto di lavoro a partire dai dodici anni compiuti. Quanto a Forni Avoltri «le portatrici del Comune salirono al M. Coglians fino alla costruzione della teleferica. Portarono inoltre i rifornimenti a F.lla Plumbs presso la Sezione da 120G della 221 batteria del 10° gruppo d'assedio ed alla 471° btr. d'assedio dell'89° Gruppo da 95 mm al M. Floriz. Ma di tutti gli altri servizi svolti tra il Peralba ed il Coglians nei viaggi per i rifornimenti, nello sgombero delle nevi, nella costruzione di ricoveri e manutenzione della viabilità non vi sono tracce scritte», ivi, pp. 474-475. Come ha osservato Pietro Cella per Givigliana, ma lo stesso vale per Collina, nei «tre anni di guerra, tra soldati in servizio e operai reclutati per i lavori militari al fronte, si può dire che tutto il paese, uomini e donne, fosse mobilitato in permanenza», Pietro Cella, Memorie di Givigliana, Premiato Stabilimento Tipografico L. Lukežič, Gorizia 1928, p. 60. 

  35. Sotto Corona, «Memoria di mia vita» cit., pp. 43-44; «in Piertio»: forse in Plan di Pièrtios, cfr. Agostinis, I luoghi e la memoria cit., p. 180; «pecol»: su Pecól (dabàs e dadàlt), cfr. ivi pp. 164-165, che ricorda come «Al margine occidentale del Pecól [dadàlt], quasi incombente sui sottostanti Trio Rès, si trova ancora la casermetta della Guardia di Finanza, edificio relativamente moderno (circa 1960) ma anch'esso ormai in disuso. Nel corso degli eventi bellici in corrispondenza della casermetta era posta la stazione della teleferica militare, proveniente da Pecól dabàs»; «crostos»: in cima al monte Crostis; «sulla Biaugios»: in Bióucjos e la relativa Fòrcjo in cui «il sentiero che nelle sottostanti Bióucjos si diparte a dx dalla pista forestale che sale alla casera Plumbs si divide a sua volta in due rami, l'uno sale a sx verso il m. Crostis, l'altro scende a dx in direzione di Givigliana», cfr. ivi, p. 70. 

  36. Sergio De Infanti, nel bel racconto storico «Gorizia è nostra» ― Sergio De Infanti, Gorizia è nostra, Circolo Culturale Menocchio, Montereale Valcellina 2001 ― ha efficacemente ricreato il clima e le problematiche di quegli anni. 

  37. Le citazioni sono tratte da lettere del sindaco di Forni Avoltri riprese da Laura Calò, «Le donne friulane e la violenza di guerra durante l’occupazione austro-tedesca 1917-1918. Alcuni esempi per la Carnia», in Enrico Folisi (a cura di) Carnia invasa 1917-1918. Storia, documenti e fotografie dell’occupazione austro-tedesca della Carnia e del Friuli, [Comune di Tolmezzo], Tolmezzo 2003, pp. 131-132, opera alla quale si rinvia. 

  38. Sotto Corona, «Memoria di mia vita» cit., p. 44; «in giampei»: in Cjampei, «area con pascolo e strutture malghive» non lontana da casera Chianaletta, cfr. Agostinis, I luoghi e la memoria cit., pp. 84-86. «Vale»: Michele Pascolin Vale (n. 1867), fg. di Leonardo e Anna Tamer, sp. nel 1889 con Brigida Gracco (n. 1861) da Givigliana. 

  39. Cella, Memorie di Givigliana cit., p. 52. 

  40. ibidem

  41. ibidem

  42. Antonio Roja, Il Friuli da Caporetto alla vittoria (1917-1918). «Senza alcun barlume d’alba», a cura di Rudi Fasiolo et al., Paolo Gaspari editore, Udine 2000, p. 204. 

  43. ibidem. Parroco di Forni Avoltri è don Fortunato Molinaro (Cornino 1877-1965), fg. di Andrea, ordinato sacerdote nel 1903. Prima cappellano mansionario di Forni Avoltri (1903-1905), poi economo di Sopraponti (1906-1910 e 1914-1917 e 1918-1919). Cappellano di Givigliana è don Pietro Cella, (Cadunea 1887 - Tolmezzo 1948) fg. di Leonardo e Maria Nin, ordinato sacerdote nel 1912, mansionario di Givigliana dal 1912 al 1923. 

  44. Antonio Roja, Tutta una immensa desolazione. La Carnia da Caporetto alla Vittoria nel diario di don Antonio Roja, a cura di Antonina Deotto et al., Paolo Gaspari editore, Udine 1998, p. 75. 

  45. Giuseppe Simonitti (Socchieve 1873 - Rigolato 1943), fg. di Valentino e Maria De Candido, ordinato sacerdote nel 1897, «fu prefetto disciplinare nel Seminario, economo e parroco di Rigolato dal 1902. Dal 1933 era Arcidiacono Vicario Foraneo del Canale di Gorto», Molinaro, La cura di Sopraponti cit., p. 5. 

  46. Roja, Il Friuli da Caporetto alla vittoria cit., pp. 125-126. 

  47. Molinaro, La cura di Sopraponti cit., pp. 105-106. Don Molinaro, «Economus perpetuus» di Forni Avoltri, così giustifica la sua decisione di partire: «Venne invece ciò che nessuno s'aspettava, l'invasione e l'economo perpetuo si trovò nella previsione d'essere fatto internare dalla fazione contraria. Può darsi che il calcolo fosse sbagliato, perché i faziosi, avendo altro di più serio da pensare, si sarebbero astenuti. Fu tenuto consiglio fra sacerdoti, e stabilito che egli solo partisse: e partì. Non fu un viaggio di piacere. Partì addolorato. per dover abbandonare la parrocchia ed una ammalata grave, Maria Candido d'anni 59, che morì il 3 novembre e fu sepolta da un cappellano militare austriaco degli invasori, Adalberto Holis», ivi, p. 103. 

  48. Ceconi, Tracce di storia cit., pp. 98-103. 

  49. Reale commissione d’inchiesta, «Risposta dei parroci della montagna friulana al questionario inviato dalla reale commissione d’inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico», in Folisi (a cura di), Carnia invasa 1917-1918 cit., pp. 163-175. 

  50. ivi, p. 165.. 

  51. Sempre secondo don Antonio Roja «Anche Forno Avoltri avea da abbruciare gli Italiani ed avean già disposte le latte di petrolio e di benzina ed avviata la gente alla fuga. Per ciò don Molinaro partì», Roja, Il Friuli da Caporetto alla vittoria cit., p. 114. 

  52. I dati sono stati ricavati da Anna Paola Peratoner, Michele Gortani e l’attività assistenziale a favore dei profughi carnici 1917/1919, Museo Carnico delle Arti Popolari, Tolmezzo 2004, pp. 81. 

  53. Giancarlo L. Martina, «“Spinti dalla fame e dagli stenti”. L’occupazione austro-tedesca di Ampezzo nel diario di don Vincenzo Rainis», in Pagherà Cadorna. Diario di Don Vincenzo Rainis, a cura di Giancarlo L. Martina, Coordinamento dei circoli culturali della Carnia, 1999, p. 6. Don Antonio Roja annota il 25 marzo 1918 «In Sappada son rimasti circa 400 abitanti. In cinque mesi sono state celebrate in Sappada sette messe. V'è stato anche un prete venutovi dall'Austria», Roja, Il Friuli da Caporetto alla vittoria cit., p. 114. 

  54. I numeri restano in ogni caso ballerini: «I profughi sappadini furono in gran parte riuniti ad Arezzo, dove, in via della Bicchieraia, trovò sede provvisoria il Municipio di Sappada: il commissario prefettizio Pietro Fasil, grazie ad un'attenta raccolta di notizie, riuscì a ricomporre gran parte delle famiglie smembrate. La città di Arezzo ospitò profughi, e dalle indagini condotte si venne a sapere che persone erano rimaste a Sappada», Alberto Peratoner, Sappada/Plodn: storia, etnografia e ambiente naturale, Associazione Plodar, Sappada 2002, p. 114. 

  55. Il «consiglio» di sgombero emanato dal Comando del 7° settore e il fonogramma di risposta del sindaco erano stati pubblicati sul sito web del Museo della guerra di Sappada «www.ilpiccolomuseodellagrandeguerra.it» consultato il 15.11.2012 ed ora (settembre 2020) non più disponibile; ecco la trascrizione del primo documento: «28/10-917. Comando del 7° Settore. Stato Maggiore - N° 17328 di prot Op. R. Oggetto: sgombero della popolazione civile. Al Signor Sindaco del Comune di Sappada. Necessità militari impongono lo sgombero della popolazione civile di codesto Comune. Lo sgombero non è ordinato dall'Autorità Militare, ma consigliato; e, come il consiglio risponde al sentimento di Patria e di dovere, così sono certo ch'esso verrà seguito dalle popolazioni, guidate saggiamente dalla Amministrazione Comunale e dalla S. Vostra. Le popolazioni dovranno raggiungere Calalzo coi propri mezzi. L'Autorità militare non può fornirne alcuno; si limiterà a non requisire i mezzi di trasporto locali. Confido nell'energico e illuminato concorso della S.V. pregandola di partecipare prontamente a questo Comando il numero esatto dei partenti, all'assistenza dei quali si cercherà di provvedere quanto più sua possibile. Il maggiore generale Comandante del 7° Settore G. Fiastri». Stando a don Antonio Roja «Da Sappada sono partiti il parroco ed il cappellano. Ed il fatto è successo così. Gli Italiani prima di partire avean deciso di abbruciare il paese, quindi era necessario fame partire la popolazione. Chi era disposto a partire, chi no. Il parroco disse sarebbe partito se il più della popolazione partiva, altramente, no. Ciò fu preso come renitenza agli ordini e simpatia per l'Austria. Non gli dettero nemmeno il tempo necessario per prendersi un po' di corredo e di scorta, non lasciavan nemmeno entrare in canonica, lo accompagnarono due carabinieri al camion e venne condotto via. Il cappellano vedendo ciò lo seguì.», Roja, Il Friuli da Caporetto alla vittoria cit., p. 114. 

  56. Da lettera dell'arcivescovo Antonio Anastasio Rossi al sottosegretario all'Interno Giacomo Bonicelli citata in Ellero, «Autorità militare italiana e popolazione civile» cit., p. 62.  

  57. «Poi partii malcontento, siariva stanchi a Forni di Sotto. poi al'indomani ai 4 Novembre verso le ore dieci. Vidi i Signori Caneva subito mi afretai ad avicinarmi per vedere che nuove mi davano, poi li salutai e midisero che stavano bene e che nessuni era partiti»,Gaetano Giuseppe Sotto Corona, «Libro di guerra», 1927, p. 33. Gli elenchi contengono alcune duplicazioni, che sono state espunte dalla Tabella 1 grazie alla loro evidenza; l'unico dubbio riguarda l'eventuale diversificazione tra Luciano Romanin chierico, residente a Bergamo, e Luciano figlio di Valentino Romanin domiciliato a Sombreno, che sono stati considerati, in base alla semplice omonimia, la stessa persona. Luigia Del Fabbro è così ricordata da don Molinaro: «La maestra Luigia Del Fabbro. Era fuggita all'invasione, riparando nel Bergamasco, e la sera del 7 aprile 1918, a Sombreno, in strada, su d'un mucchio di ghiaia, un infarto cerebrale improvvisamente la stese morta. La salma fu trasportata a Forni Avoltri», Molinaro, La cura di Sopraponti cit., p. 57. 

  58. I nominativi delle zie e di Pietro Tolazzi sono ricavati dagli elenchi di Tolmezzo, località d'origine di Anna Tolazzi, madre di Armida ― Ufficio profughi pel circondario di Tolmezzo, «I profughi del circondario di Tolmezzo e la loro attuale residenza», in Bollettino dei profughi dell’«Opera Bonomelli», supplemento al n. 49 (1918). 

  59. Reale commissione d’inchiesta, «Risposta dei parroci» cit., p. 173. 

  60. Cella, Memorie di Givigliana cit., p. 53. 

  61. ivi, p. 54. Anche Vittorio Romanin ricorda: «La situazione è critica ma l'avvenire pare peggiore perché per il prossimo inverno le piccole scorte sono esaurite. Parlandone con la mamma pensiamo di riservare la parte meno dura del fieno di terzo taglio (muiart) per cuocerlo e tritarlo aggiungendovi possibilmente un po' di grasso o qualche altro condimento. Per un certo periodo soggiornano in paese prigionieri italiani e russi che vengono adibiti dai Tedeschi alla raccolta di materiale bellico. I Tedeschi passano loro una razione ridottissima. Nonostante la nostra miseria viene deciso che ogni famiglia accolga alla propria tavola un prigioniero italiano. Per i Russi aiuti minori, poiché i miracoli non si possono fare...», Ceconi, Tracce di storia cit., pp. 103-105. 

  62. Cella, Memorie di Givigliana cit., pp. 56-57. Il riferimento a Toblach/Dobbiaco viene chiarito dalla relazione indirizzata alla «Commissione d'inchiesta sulle violazioni al diritto delle genti commesse dal nemico», composta nel dopoguerra dal delegato arcivescovile di Pesariis, don GioBatta Bulfon: «Nel giugno in tutto il Comune furono requisiti 30 operai per Calalzo, Toblahc sotto il pretesto di tenerli per 15 giorni. Per maltrattamenti subiti dai violenti custodi, per insufficienza di vitto e cattivissimo parecchi disertarono. Dopo alcuni giorni ed alcuni con malattia, i restanti per l'energica intromissione del Sig. Sindaco furono licenziati alle loro famiglie però assai deperiti», Reale commissione d’inchiesta, «Risposta dei parroci» cit., p. 171. 

  63. Opera di soccorso per le chiese rovinate dalla guerra (Venezia), Statistica delle campane asportate dalle province venete dai Germanici e dagli Austro-Ungarici o distrutte nella zona di guerra, a cura di Giovanni Costantini, San Marco (tip.), Venezia 1919, pp. 3-4, 8, 9. 

  64. Roja, Il Friuli da Caporetto alla vittoria cit., p. 102. 

  65. Cella, Memorie di Givigliana cit., p. 54. «Una volta mi reco nel Friuli con mia mamma e una sua amica portando del formaggio e credo anche della biancheria da cambiare col grano. Non vi sono mezzi di trasporto e andiamo a piedi trascinando un carretto a quattro ruote... Neppure i Tedeschi hanno di cui rallegrarsi per il vitto. Un giorno osservo un soldato che rompe una durissima pagnotta aiutandosi con la baionetta; in quel pane c'è una percentuale molto bassa di grano... la muffa di due o tre giorni è abbondante. Sarei felice di ricevere una fetta, ma non dalle mani del nemico... La situazione è critica ma l'avvenire pare peggiore perché per il prossimo inverno le piccole scorte saranno esaurite», Ceconi, Tracce di storia cit., p. 103. 

  66. Reale commissione d’inchiesta, «Risposta dei parroci» cit., p. 169. 

  67. ivi, p. 171. 

  68. ivi, p. 172. 

  69. Cella, Memorie di Givigliana cit., p. 54. 

  70. Roja, Il Friuli da Caporetto alla vittoria cit., p. 175. 

  71. Cella, Memorie di Givigliana cit., p. 57. 

  72. ibidem

  73. ivi, pp. 56-57. 

  74. Reale commissione d’inchiesta, «Risposta dei parroci» cit., p. 166-167. 

  75. ivi, p. 173.