Enrico AGOSTINIS

 

I toponimi Forni in Carnia e le fonti storiche

Da un falso problema alle non-soluzioni

 

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Scarica questo file (ToponimoForni.pdf)I toponimi Forni in Carnia e le fonti storiche[© 2020 Enrico Agostinis]313 Downloads

 

Una volta di più, ma questa in maniera più viva, oltre che per la consueta ospitalità − e il non scontato editing, che rende il testo decisamente più fruibile − ringrazio Adelchi Puschiasis per l'intensa dialettica, il confronto e lo scambio di idee che hanno accompagnato la stesura di questo testo, aprendo anche interessanti prospettive per lavori futuri.


Il fatto

Per moltissimi toponimi carnici, soprattutto quelli che identificano i villaggi più distanti dalla pianura, quelli della Carnia più "profonda", le prime attestazioni scritte in buona parte risalgono ai primi secoli del secondo millennio. Alla base di ciò stanno numerose e diverse ragioni di carattere prevalentemente storico e documentale. Fra queste la colonizzazione più tarda e non sistematica (ad es. non vi fu centuriazione) delle valli carniche rispetto alla pianura, e l'assenza di cronisti e di cronache. Per tacere delle travagliate vicissitudini che hanno caratterizzato la storia della Carnia e del Friuli, traversie che a loro volta hanno contribuito, nel corso dei secoli, alla dispersione dei già di per sé poco numerosi documenti antichi.

Tuttavia, la età relativamente tarda delle citazioni toponimiche di cui sopra, approssimativamente datate fra il tardo XII e il XIV secolo, non esclude in alcun modo che gli insediamenti così denominati e gli stessi toponimi possano essere anche di molto anteriori a quell'epoca: al contrario, essa ci segnala solamente che le testimonianze storiche disponibili per molti toponimi carnici non vanno più indietro di quell'epoca. Eppure, spesso sono proprio le datazioni cronachistiche a essere usate a mo' di blasone dai vari borghi, quasi a mettere in evidenza o a sottolineare quarti di (antica) nobiltà altrimenti di difficile reperimento e di ancor più difficile sostenibilità.

Questo sembra essere il nostro caso, dove tre ville carniche si confrontano in campo aperto l'una contro l'altra armate di argomenti e perizie e pareri, ciascuna mettendo sul terreno a un tempo logica (propria) e irrazionalità (altrui), tutte sottolineando e omettendo secondo convenienza.

L'antefatto

Intorno al 1760 lo studioso cividalese Bernardo Maria de Rubeis1 trascrive un antico documento attestante la donazione effettuata nell'anno 778 dal duca franco Masselio − o Massellio, o Massellione o altro ancora, secondo grafia − a beneficio dell'abbazia di Sesto al Reghena2.

Qui di seguito è riportato l'oggetto della donazione, con qualche necessaria puntualizzazione.

Nella trascrizione integrale di de Rubeis l'oggetto della donazione vera e propria è preceduto dai preliminari di rito (contestualizzazioni, invocazioni e riferimenti al regno e alle recenti conquiste di Carlo Magno, come Carolo Regi, ex quo Austriam peoccupavit), seguito dalle altrettanto consuete ammonizioni e minacce di sanzioni a chi ardisse ostacolare il dettato della donazione ecc., e infine dalla qualifica e firma del notaio rogante. Oltre a omettere detti preliminari e finali, inessenziali ai nostri fini, nel testo sono state sciolte alcune abbreviazioni ed eliminati alcuni segni d'interpunzione allo scopo di renderne più agevole la lettura. La grafia del trascrittore è tuttavia inalterata.

[...] Ego Masselio prestante Domini misericordia dux, si merior (mereor) donator & offertor vester do, dono atque offero predicta Sancta Ecclesia sita in loco Sexto seu vobis beato Abbati & Monachis ibidem commanentibus propter mercedem pro Domino nostro Carolo Regi et anime ejus remedium, Villam que sita est in Montanis, que dicitur Forno cum omni adiacentia vel pertinentiam suam, ut est terris, casaleis, pratis, pascuis, silvis, pomiferis, montibus, aquis, astallariis, casis, curtis, ferro, & ramen, peculio majore & minore, mobile & immobile dequantum ad ipsas casalias pertinere videntur, vel quidquid nostri homines ad manum suam habere dignoscitur, sicut ad Curtem Regiam nobis commissa pertinuerant, per mercedem anime mee, seu ad luminaria, vel ad stabilitatem Regni Domini nostri Caroli proficiant in aumenti. Nam ut supra statuimus, liceat ipso Sancto Venerabili loco a presenti die habere & possidere, nullum hominem inquietantem aut contradicentem [...] (de Rubeis 1762, pp. 292, 293)3.

Nella sua essenza il testo della donazione è comprensibile anche a chi non abbia grande dimestichezza con il latino, ma eccone comunque le parti più salienti in una traduzione di fine '800.

[...] Io Masselio [...] do, dono ed offro alla predetta Santa Chiesa situata nella località di Sesto, ossia a voi Beato Abbate e Monaci quivi dimoranti, ad utilità del Pio Signor Nostro Re Carlo e suffragio dell'anima sua; un villaggio situato fra i monti che si chiama Forni con tutte le sue adiacenze o pertinenze quali sono le terre, i casali, i prati, i pascoli, i boschi, i pomiferi, i monti, le acque, gli stavoli, le case, i cortili, il ferro ed il rame col più grande e più piccolo peculio4, coi mobili ed immobili alle stesse case appartenenti, o che nostri uomini conoscono avere in loro mani; come appartenevano alla regia corte a noi commessa [...] (De Santa 1893)5.

La sostanza di questo documento, variamente riletto, commentato e interpretato, è alla base della disputa fra borghi carnici di cui sopra, dove ciascuno rivendica per sé la corrispondenza e l'identità con quella Villam que sita est in Montanis, que dicitur Forno del documento.

Liruti: la mossa del cavallo, o lo spariglio

Prima di scendere nell'arena − tale fu e tale ancora è − con i contendenti si rende tuttavia necessario un breve excursus intorno al testo della donazione e al suo più conosciuto interprete (sic), colui che attraverso la sua opera condizionerà la successiva storiografia e, a cascata, anche il lavoro dei non-storici, cronisti, redattori e consimili. Non è un personaggio che prende posizione in questa contesa: in altre è certamente schierato, e forse questo suo coinvolgimento in altre controversie, apparentemente lontanissime dalla nostra trattazione, condizionerà anche questa. È Gian Giuseppe Liruti6.

Facciamo dunque ritorno al testo originale latino della donazione. Più che con la trascrizione di de Rubeis (pressoché integrale, sottolineo) gli storici friulani sembrano familiari proprio con questa, assai più parziale, di Liruti, (auto)asserito scopritore del manoscritto a suo dire giacente presso l'abbazia di Sesto7. Nella sua ponderosissima opera (5 volumi) a cui qui attingiamo L. riprenderà ripetutamente il tema della donazione di Masselio, senza trascriverla integralmente e neppure con il dettaglio di d.R.8, ma con l'aggiunta di alcuni particolari di sua propria mano. Eccone una sua traduzione.

Il nostro Duca Massellione [...] essendo in persona in Sesto donò allo stesso Abate Beato il Castello di Forno con la Villa posta nelle nostre Alpi Giulie o Carniche, con tutti i diritti, rendite, Masnata, e le Miniere di Ferro, e di Rame [...]9.

Il passo in cui Liruti ridisegna collocazione e caratteristiche dell'oggetto della donazione.

Il passo in cui Liruti ridisegna collocazione e caratteristiche dell'oggetto della donazione

Nell'opera di L. il testo sopra riportato precede un'altra ancora più sintetica traduzione, cui segue una trascrizione anch'essa incompleta del testo latino10.

Se non proprio ambigua, la mossa di L. sulla scacchiera della ricostruzione della donazione è sfuggente se non incomprensibile: rimuove e aggiunge, amplifica e riduce al punto che le sue numerose "novità", di varia natura e non di poco conto, e alcune addirittura importantissime, necessitano di una trattazione specifica per ciascuna di esse. Eccole di seguito, in ordine di importanza crescente: 1) fra i benefici oggetto della donazione L. include anche il diritto di masnada; 2) fa la sua comparsa un castello; 3) fanno la loro comparsa anche le miniere di ferro e di rame; 4) le montanis in cui è sita la Villa del Furno sono identificate con le nostre Alpi Giulie o Carniche11; 5) scompare lo status di curtis regia della Villa del Forno.

  • 1) e 2) Tanto il castello che la masnada sono libere inferenze di L., probabilmente sulla base dello status di curtis regia della Villa del Forno, status esplicitamente affermato nell'atto di donazione ma omesso da L. nella sua trascrizione12. Detto altrimenti, secondo il pensiero di L., se curtis regia è, la residenza del gastaldo o chi per esso sarà verosimilmente un castello (nell'accezione altomedievale del termine), e altrettanto verosimilmente le sarà associato, come spesso accadeva, il diritto di masnada13. Si tratta dunque di induzioni di L., apparentemente sensate e forse anche fondate, ma non certe. Per inciso, negli anni successivi la quasi totalità di tutti coloro che avranno parte in questa vicenda tralascerà il dettaglio della masnada, mentre al contrario il castello rientrerà ripetutamente nella trattazione, mai però in maniera risolutiva.
  • 3) Anche le miniere sono una libera associazione di L. tra il Forno e il ferro & ramen del testo originale, in pratica una metonimia dei due metalli. All'apparenza naturale e persino logico, questo accostamento ha tuttavia in sé numerosi elementi di arbitrarietà e di incertezza. Anzitutto, nel testo della donazione non si fa cenno alcuno a miniere, di qualsivoglia natura. Inoltre, il Forno non è necessariamente un forno minerario; parimenti, ferro & ramen può anche riferirsi, se non ad altro ancora, alla lavorazione dei metalli, e non dei minerali, lavorazioni generalmente effettuate in luoghi diversi e spesso lontani da quelli di estrazione e purificazione del minerale. In conclusione, sulla base del testo della donazione non è affatto certo che nelle vicinanze del Forno esistano miniere, siano esse di ferro, rame o altro ancora. Tuttavia, sarà proprio questo l'elemento principale di tutta la trattazione da parte dei posteri.
  • 4) L'ubicazione del Forno nelle nostre Alpi Giulie o Carniche. Nel testo originale riportato da d.R. si fa menzione di generiche montanis, non di nostre Alpi ecc.: inoltre, di questo importantissimo dettaglio L. non specifica la provenienza14.
  • 5) Infine, a dispetto dell'asserita presenza nella Villa del Forno del castello e del diritto di masnada, che abbiamo ipotizzato inferenze di L. sulla base della curtis regia, nella trascrizione di L. quest'ultima, fondamentale caratteristica non è più presente15. L'assenza di questa peculiare caratteristica condizionerà pesantemente la ricerca dell'ubicazione della Villa del Forno, e la sua associazione agli odierni toponimi.

In generale, l'impressione che emerge abbastanza chiaramente dagli scritti di L. intorno alla donazione è di un vivo interesse per il donatore e l'abbazia beneficiaria, di un'attenzione piuttosto vaga per la donazione in sé, e di un sostanziale disinteresse per i dettagli della donazione stessa (pur lasciando tracce pesantissime proprio in questo senso). In sostanza L. si appaga di un corretto posizionamento di Masselio nella gerarchia franca e, quanto a collocazione geografica, si spinge a ubicare la Villa del Furno nelle generiche "Alpi Carniche", insomma nella Piccola Patria, e tanto sembra bastargli.

Ciò nonostante saranno proprio i dettagli, quei particolari quasi gettati lì con nonchalance da L. nella sua "versione" a risultare gli elementi salienti della disputa: marginali il castello e il diritto di masnada, fondamentali le miniere. Elemento forte e anzi fortissimo, queste ultime, in virtù dell'associazione al Forno e al ferro & ramen della donazione. Di fatto, d'ora in avanti la presenza delle miniere sarà ritenuta condizione necessaria per l'ubicazione della Villa que dicitur Forno: una semplice ipotesi fondata su una metonimia diverrà il cardine principale − e talvolta l'unico − della ricostruzione storica.

A questa trascrizione/interpretazione interpolata di Liruti e, verosimilmente, non a quella letterale di de Rubeis attingeranno in seguito generazioni di storici e letterati, da Grassi a Joppi a Paschini16 allo stesso e già citato De Santa, fino ai laureandi del nostro tempo: come già fece L. (ma, come abbiamo visto, anche lo stesso d.R.) più che all'oggetto della donazione − che, in un contesto più vasto, in sé non è altro che una fra le tante, e certo non la più importante − le attenzioni della storiografia sono rivolte soprattutto all'atto in quanto tale, al donatore (già abbiamo accennato alla difficile collocazione di Masselio nella gerarchia e nella cronologia dei duchi franchi), al contesto storico (la transizione fra dominio longobardo e franco) e, stante la sua storica importanza, all'abbazia beneficiaria.

Manoscritto di Vincenzo Joppi.

L’apparentemente inspiegabile associazione della citazione bibliografica delle Dissertationes di de Rubeis con la ripresa letterale delle annotazioni nelle Notizie di Liruti in un manoscritto di Vincenzo Joppi

Esattamente come già L. gli storici non sembrano invece gran che interessati ai pratis, pascuis, ferro & ramen e quant'altro ancora; così come neppure la Villa in Montanis que dicitur Forno sembra solleticare la loro curiosità, quanto meno al punto da spingerli a indagare sulla ubicazione di questo non secondario soggetto comprendente tanto bendidio − boschi, malghe, frutteti e via dicendo, insomma un complesso agricolo e silvopastorale decisamente den dotato − e che deve anche fornire un ritorno economico di non poco conto.

A richiamare invece l'attenzione di cronisti e redattori di dépliant turistici − con metodi ed esiti talvolta assai discutibili − sarà proprio quell'ubicazione del Forno negletta dagli storici, mentre la curtis regia cadrà in un oblio quasi totale, fino a tempi recenti rimossa persino dalle citazioni della donazione17.

I pretendenti e il contesto

Se, come vedremo, già alla fine del XVIII secolo qualche studioso si lancia in congetture più o meno ardite circa l'ubicazione della Villa que dicitur Forno, è solo un secolo più tardi che si inizia a portare argomenti a supporto di una possibile identificazione del luogo, contestualmente innescando il germe della competizione fra i diversi borghi portatori − in epoca contemporanea − del toponimo Forno, o Forni che dir si voglia.

I toponimi con radice forno − più precisamente, nel latino furnus e poi fornax − non sono numerosissimi: in tutta Italia, considerando i soli comuni (senza le frazioni), da Fornace a Fornovo san Giovanni se ne contano solo 9 (DT), di cui 3 in Friuli (Forni Avoltri, Forni di Sopra, Forni di Sotto, tutti in Carnia). I toponimi in regione diventano circa 10 se si considerano anche le frazioni o le località censite, queste ultime suddivise fra le provincie di Udine e Pordenone (v. DTFT).

Non disponiamo invece del conteggio globale dei microtoponimi sull'intero territorio friulano: se in chiave toponomastica le frazioni sono pressoché interamente censite dagli studiosi, i microtoponimi lo sono in assai minor misura, e in maniera oltremodo disomogenea.

Sebbene per molti (micro)toponimi friulani con la suddetta radice − fra essi anche alcuni villaggi e località minori − siamo in possesso di documentate notizie storiche, questa trattazione sarà circoscritta ai soli comuni carnici già citati, escluse dunque le frazioni e i microtoponimi, salvo eccezioni funzionali alla trattazione generale. Ciò in quanto tutti e 3 i comuni rivendicano la "titolarità" − ovviamente denegando quella altrui − del primo documento conosciuto, ossia proprio il nostro filo conduttore: la già pluricitata donazione dell'VIII secolo in cui si fa riferimento a una Villam que sita est in montanis que dicitur Forno.

Sebbene l'origine dell'elemento comune di questi 3 toponimi sia indiscussa sotto il profilo etimologico − per tutti la radice è nel già citato lat. furnus=forno, attraverso il friulano for (REW3602)18 di identico significato − non altrettanto si può dire degli aspetti funzionali, dal momento che allo stesso termine "forno" o anche "fornace" può essere associata una pluralità di funzioni fra loro diversissime, aventi in comune il solo principio base del calore: così vi sono i forni da calce, quelli minerari, quelli per la cottura dei laterizi o delle ceramiche ecc., fino a quelli per il pane e consimili. Attività oggi svolte unicamente a livello industriale − tranne la cottura del pane, che tuttavia ha oggi anch'essa una componente industriale in continua espansione − ma fino a un passato recente, approssimativamente fino al XIX secolo, di dimensioni assai minori e molto più diffuse sul territorio. In tempi non antichissimi − nella montagna carnica in qualche caso fino ai primi decenni del XX secolo − nei villaggi anche i forni per la cottura del pane erano frequentemente in comune, delocalizzati essenzialmente per ragioni di sicurezza (v. più oltre), e vi si accedeva a turno, per lo più su base settimanale19. La distinzione fra tutti questi diversi tipi di forno non è di poco conto giacché anch'essa − soprattutto essa, associata alle miniere − sarà portata ad argomento asseritamente dirimente a sostegno di una parte contro le altre.

Già questo fa intendere quale sorta di visione presbite dei documenti sia alla base della contesa: ci si focalizza su elementi del tutto inessenziali, se non inventati di sana pianta (oltre alle miniere & connessi altri ve ne saranno, ancora più marginali), e se ne tralasciano altri già sotto gli occhi e autenticamente dirimenti: uno per tutti la curtis regia, elemento maggiormente caratterizzante del luogo.

Andiamo dunque a osservare da vicino i pretendenti, prima attraverso una descrizione dei tre villaggi, e quindi seguendo l'ordine cronologico delle argomentazioni di ciascuno.

Forni di Sopra e Forni di Sotto

Forni di Sopra (loc. Fòr di Sore, 907 mslm), e Forni di Sotto (loc. Fòr di Sot, 777 mslm), insieme conosciuti anche come Forni Savorgnani per via dell'appartenenza, dal XIV secolo, alla nobile famiglia udinese dei Savorgnan, sono situati nella parte superiore del Canale di Socchieve o alta val Tagliamento, e devono evidentemente i loro attributi Sopra/Sotto alla rispettiva posizione sul territorio. Separati da circa 7 km (e 130 m di dislivello) costituiscono due entità amministrative distinte come anche, in Friuli, Tramonti di Sopra e di Sotto20, e a differenza di Sauris e Cercivento dove, pur in presenza delle due borgate di Sopra e di Sotto, il Comune è unico.

L'intera val Tagliamento è storicamente percorsa dalla principale via di collegamento fra il Friuli e il Cadore, già frequentata in epoca romana come testimoniano i ritrovamenti archeologici sparsi per l'intera valle, dal comune di Enemonzo (Quinis) in bassa valle fino a Forni di Sopra (Andrazza).

Nulla si sa intorno alla distinzione toponimica fra i due borghi, forse sopravvenuta in un secondo momento in epoca di antropizzazione più intensa o più stabile, la cui datazione non è nota ma è certamente anteriore, forse di molto, al 1200. La prima menzione storica è di entrambi i Forni, risale al 1206 e riguarda una lite qui vertebatur inter [...] com(mu)nis Furno Superioris ex una parte et [...] Furni Inferioris [...] ex altera (De Vitt 1983, p. 129)21.

Quanto al furnus-forno del toponimo, mancano totalmente notizie e riscontri sul territorio. Le poche menzioni sono anzi ricostruzioni au contraire, effettuate a partire proprio dal ferro & rame e dalla ormai scontate miniere. Di fatto, fosse un forno o una fornace e vi si fondessero metalli o cuocessero laterizi o producesse carbone, nulla è dato sapere.

Gli abitanti dei Forni Savorgnani sono detti indistintamente Fornês, "Fornesi".

Forni Avoltri

Forni Avoltri (localmente Fór Davùatri, 888 mslm), insieme dei borghi di Avoltri (più antico, dal lat. ab ultra, "oltre" il Degano) e di Forni (probabilmente funzionale al primo, un tempo sorta di sua dépendance), è situato nell'alto Canale di Gorto o valle del Degano22, alla confluenza in esso del rio Acqualena che scende dal valico di Cima Sappada.

Il tracciato che con numerosi ponti sul Degano e i suoi affluenti23 risale la parte superiore del Canale di Gorto, supera il valico di Cima Sappada e raggiunge il Comelico è praticato sin dal Medio Evo: tuttavia, la datazione più antica ipotizzata per l'insediamento di Sappada non precede l'inizio dell'epoca patriarcale (XI secolo), ed è improbabile che prima di tale data vi fossero insediamenti stabili anche in questa parte della valle, nell'alto bacino del Degano24.

Gli accessi verso la Carinzia (Fleons, Veranis e Sesis) e lungo la valle del Piave (Acquatona) iniziarono ad avere una certa importanza strategica − non certo economica ma prevalentemente militare e sanitaria, in caso d'epidemia − solo verso la fine del XIV secolo, quando Sappada e Forni Avoltri furono aggregate al Quartiere di Tolmezzo in funzione di "custodia", in tempo di contagio e di guerra, dei sopracitati "passi" verso l'esterno25. In ogni caso, fino agli ultimi decenni del '700, quando la Serenissima procedette alla sua sistemazione intervenendo pesantemente sul tracciato con sostanziali modifiche e migliorie, la via per l'Alto Gorto rimase un percorso ripido, difficoltoso e malagevole, in gran parte precluso al transito carraio e pressoché impercorribile d'inverno nella ripida salita (la Clevo) da Avoltri al valico di Cima Sappada, e soprattutto attraverso la gola ghiacciata dell'Acquatona lungo il Piave e che da Sappada porta al Comelico.

Quel che è certo è che, rispetto agli altri due principali Canali di Carnia, il già citato Canale di Socchieve e il Canale di san Pietro o valle del But, il Canale di Gorto e soprattutto la sua parte superiore, a monte di Comegliàns, rimasero a lungo ai margini dei grandi traffici di merci e di persone fra il Friuli e il Norico o il Cadore. Una testimonianza indiretta di ciò è la parlata, assai conservativa anche rispetto alle altre parlate carniche, degli abitanti di tutti i villaggi dell'alto Gorto, da Valpicetto fino a Givigliana e Collina, che oggi costituiscono i comuni di Rigolato e Forni Avoltri26.

La prima attestazione certa per Avoltri risale al 1303 (in villa de Avoltri, v. Candussio 2012, p. 144), mentre la prima menzione del toponimo composto nella sua interezza è del 1327 (de Furno Avoltri, v. Candussio 2012, p. 275). Ammesso che toponomastica e semantica siano concordi, ossia che ai Forni di nome corrispondano i forni di fatto, del tutto verosimilmente questi ultimi erano originariamente al servizio delle miniere di Avanza, nell'alto corso del Degano a monte di Avoltri. È l'ipotesi più probabile ma non l'unica27, in quanto non si può escludere che qui fossero semplicemente "confinate" tutte le attività della villa di Avoltri che richiedevano il fuoco continuo, come forni da calce, fucine e quant'altro28.

Gli abitanti di Avoltri sono localmente detti Davuatrìns ("Avoltrini"), quelli di Forni sono detti invece Fornéts ("Fornétti"). Tuttavia questa è una distinzione esclusivamente locale: già a Sappada, a Frassenetto (e frazioni) e oltre il Ponte Lans (a Rigolato), ossia nei paesi già "foresti", tutti gli abitanti di Forni Avoltri sono indistintamente Fornétti.

La parola alla scienza

Alla voce Forni, nel dizionario/repertorio di toponomastica del Friuli Venezia Giulia più esteso e particolareggiato da di Prampero ai giorni nostri, con efficace sintesi si afferma quanto segue:

L'incertezza sull'esatta indicazione dei nomi non si limita ai Forni della Carnia [...] ma va estesa probabilmente anche al villaggio di Fürnitz posto poco oltre il confine (DTFT, p. 370)29.

Come si vede gli studiosi di toponomastica sono, giustamente, assai più cauti della pubblicistica d'effetto di enti, comuni, consorzi, aziende e altro ancora che frequentemente si lanciano in arditi accostamenti toponomastici di dubbia validità scientifica, e talvolta anche di assai incerto buonsenso. Davanti a un lungo elenco di toponimi come Forno, Furnis, Furni e altro ancora, tutti privi di sicuri riferimenti precisi sul territorio e in presenza di numerosi candidati all'attribuzione, il responso non può essere altro che quello sopra citato: il dubbio, l'incertezza, l'incognita accettata − quanto meno pro tempore e in attesa del suo scioglimento − come elemento intrinseco della ricerca scientifica.

Con questa manifestazione di cautela e di saggezza potremmo dichiarare chiusa in anticipo ogni possibile contesa intorno all'ubicazione dell'oggetto della donazione, la Villa del Forno: anzi, la contesa non avrebbe mai dovuto aprirsi. Secondo chi si occupa di toponomastica con approccio scientifico, non solo quel toponimo non può essere associato con certezza ad alcuno dei toponimi oggi esistenti nell'area di "pertinenza" dell'abbazia di Sesto al Reghena, ma potrebbe anche non corrispondere ad alcuno di essi, da Forno di Zoldo a Fürnitz, riferendosi a un luogo di cui nella toponimia locale si trova più traccia.

Come abbiamo anticipato, le cose andarono e ancora vanno diversamente. Tuttavia, il percorso che ha portato e porta tre villaggi carnici a riconoscersi ciascuno nel documento della donazione e ad appropriarsi del "titolo" è indubbiamente interessante, tanto sotto il profilo metodologico che storico e anche, in certo senso, antropologico30.

La contesa I. I Forni Savorgnani

Nel 1782, pochi anni dopo la pubblicazione dei lavori di de Rubeis e di Liruti, lo storico Nicolò Grassi dà alle stampe il suo Notizie storiche della Carnia, un compendio di storia, geografia ed economia dei Canali della Carnia e del capoluogo Tolmezzo. A proposito di Forni di Sopra e Forni di Sotto, Grassi scrive

Uno di questi Villagj già dieci secoli sono, cioè l'anno dell'Era Cristiana 778, fu dato in dono alla Chiesa della Badia di Sesto da Massellione Duca del Friuli; e lo ricaviamo da Carta di Donazione, che trascritta dal Sig. Liruti non sarà discaro che qui io la riporti (Grassi 1782, p. 174).

Segue la trascrizione/traduzione dell'atto di donazione come riportato da L.

Anche Grassi nella sua annotazione introduce arbitrariamente alcune novità, andando ben oltre la sua stessa fonte: a suo dire la Villa que dicitur Forno è uno dei Forni Savorgnani − uno di questi Villagj − ma non specifica quale dei due. Peraltro, Grassi non dà conto di come e neppure del perché egli giunga a questa conclusione: certamente da L. prende i castelli e le miniere, non presenti nel testo originale della donazione, ma come tutto ciò conduca ai Forni Savorgnani Grassi non dice31.

Al contrario, dal contesto delle sue Notizie storiche emerge anche qualche contraddizione, ma l'A. non sembra darsene gran pena: ad esempio, nel suo testo Grassi dedica un intero capitolo − in verità non particolarmente dettagliato − alle miniere della Carnia, nel cui elenco tuttavia non compaiono i Forni Savorgnani (Grassi 1782, p. 24). Se ai Forni Savorgnani non sono presenti miniere, quali altri forni (da cui il toponimo) vi sono? È una domanda che lo storico carnico non si pone.

Ciò che è ancora più curioso è che fra le suddette miniere della Carnia Grassi include quelle di Avoltri (Grassi 1782, p. 26), senza tuttavia che il dubbio dell'identificazione della Villa del Forno con Forni Avoltri neppure lo sfiori. Naturalmente non conosciamo le ragioni della scelta di Grassi a favore degli uni e a scapito dell'altro, né l'argomento in sé è di capitale interesse in questa sede. Tuttavia possiamo ipotizzare che i Forni Savorgnani, feudo di una grande famiglia friulana, nella visione di Grassi godano di maggior credito che non Forni Avoltri, villa posta agli estremi confini della Carnia e priva di quarti di nobiltà.

Come che sia, Grassi scioglie d'impeto − meglio sarebbe dire "taglia" − buona parte del nodo-quesito che L. aveva introdotto nella collocazione geografica del Forno introducendo un ambiguo "Alpi Carniche".

La contesa IIa. Forni di Sopra

Un altro passo nella direzione dei Forni Savorgnani, più mirato e apparentemente più argomentato rispetto a Grassi, lo compie il citato De Santa che, nel prosieguo della traduzione che già abbiamo prodotto, così commenta i contenuti dell'atto di donazione.

Da quest'atto di donazione emerge anzitutto che un villaggio dei Forni fu giurisdizionalmente soggetto all'abbazia di Sesto, e fra due propenderei a ritenere essere il villaggio di Forni di Sopra, perché appunto nel suo territorio vi ha una località ancor oggidì chiamata Badia, e Cella chiamasi pur oggi una sua frazione. In secondo luogo risulta dall'atto stesso, che in quel tempo vi erano nel territorio delle miniere di ferro e di rame, il che verrebbe pur confermato dal nome stesso di Forni. Tali miniere però vennero forse del tutto esaurite per modo che oggi non si può decifrare il luogo di loro antica esistenza (De Santa 1893).

Alcuni accenni ai castelli dei Forni Savorgnani, presenti nel testo e qui non ripresi, sono generici e non in relazione al lascito di Masselio.

Nativo di Forni di Sopra, ecclesiastico (sarà nominato vescovo di Sessa Aurunca) e in seminario allievo anche di Paschini, De Santa non è tuttavia uno storico né della ricerca storica possiede gli strumenti, o quanto meno non ne fa uso. Ciò nonostante egli è molto più categorico di Grassi rispetto al quale, in chiave identificativa del Furno, si spinge assai oltre proprio, e forse comprensibilmente, verso il villaggio natio. Tuttavia, le sue certezze − l'unico suo dubbio riguarda la scomparsa delle miniere, ma non la loro esistenza: sono forse esaurite ma certamente sono di antica esistenza − non hanno grande efficacia probatoria. Per tacere del fatto che, esaurite e scomparse le miniere, altrettanto dev'essere accaduto anche al forno che sicuramente lavorava il minerale estratto ma anch'esso non si trova.

Quanto poi all'argomento principe di monsignor De Santa, ammesso e per nulla concesso che i toponimi Cella e Badia siano in qualche modo connessi all'abbazia beneficiaria32, questa non si trova a Forni di Sopra ma a Sesto al Reghena, lontano 120 km., e i (micro)toponimi saranno eventualmente da cercare laggiù. È assai improbabile che alcuno dei monaci di Sesto, il signor abate per primo e tutti gli altri a seguire, abbia mai messo piede da queste parti (e, nel caso, neppure a Forni di Sotto o a Forni Avoltri): i reverendi percepivano le rendite, e a ciò bastava il gastaldo o chi per esso.

Curiosamente neppure De Santa fa menzione della "regia corte", da lui stesso tradotta in questi termini, e soprattutto nulla dice della presenza in loco di un eventuale castello che pure le fonti storiche affermano essere esistito anche a Forni di Sopra ancora al tempo della cessione dai di Nonta ai Savorgnan, 500 anni dopo la donazione. Di fatto De Santa riprende le notizie e gli argomenti di Liruti e Grassi, aggiungendo il solo dettaglio della precisa localizzazione del Forno a Forni di Sopra, ma senza a ciò addurre sostanziali argomenti a supporto.

Mettiamo in croce il povero De Santa, il cui peccato(!) principale è forse l'affetto per il paese natio, ma le sue assai poco scientifiche conclusioni faranno scuola. Egli è il primo a individuare con sicurezza la Villa que dicitur Forno in Forni di Sopra, ma gli effetti giungono ai giorni nostri. Le affermazioni di De Santa saranno poi riprese, talvolta selettivamente ma sempre acriticamente, non solo da una pubblicistica vastissima, soprattutto locale (o localistica), ma anche da una storiografia un po' distratta o poco interessata alla coerenza del quadro complessivo in tutti i suoi aspetti e le sue sfaccettature economiche, sociali, geografiche e persino toponomastiche. Di questa coerenza spesso latitante o solo parziale, secondo convenienza, sono infarcite decine di testi, libri e riviste, saggi, opuscoli, guide e dépliant, per tacere del web. In chiave storiografica, in epoca recente troviamo − finalmente − varie e circostanziate riprese del testo integrale della donazione, con le quali sembra spezzarsi il monopolio delle citazioni di Liruti. Tuttavia, gli esiti finali in termini di collocazione geografica del Forno sono ancora in linea con quelli di De Santa.

Infine, dall'oblio (dove farà immediatamente rientro) rispunta la curtis regia, sin qui sistematicamente trascurata. Compare in una trascrizione integrale del manoscritto originale (Della Torre 1979, pp. 87-88), poi ripresa parzialmente anche in altra parte del testo

[...] unam villam que dicitur Forno [...] sicut ad curtem regiam, in nota p.d.p. individuata con Forni di Sopra in Carnia (Ibid., pp. 39, 40).

Da parte di altro autore, esplicitamente tratto da de Rubeis si trova anche

[...] sicut ad curtem regiam nobis commissam pertinuerat (Brozzi 1973, p. 43).
La curtis regia, posta a Forni di Sopra, fu donata nel 778 dal primo duca franco Masselio, al monastero di Sesto (Ibid., p. 42).

Argomento preminente della donazione non sono qui le miniere, ma la località privilegiata per la sua collocazione rimane sempre, e senza dubbio alcuno, Forni di Sopra.

La contesa IIb. Forni di Sotto

Detto e scritto di Forni di Sopra (altro ancora ci sarebbe, ma sostanzialmente si tratta di ripetizioni del già detto), nella contesa non poteva mancare il borgo gemello: Forni di Sotto, come abbiamo visto storica rivale di Forni di Sopra soprattutto per questioni di pieve, quest'ultima sita "di Sotto" e da cui dipende la "semplice" parrocchia "di Sopra".

In verità, seppure in tono un po' minore e forse con minore determinazione33, ma anche in sedi "ufficiali", i Fornesi di Sotto riprendono gli argomenti dei loro colleghi-rivali di Sopra:

il primo documento che conosciamo su Forni è un diploma del 778, con il quale Masselane, Duca di Baviera, "...per amor di Dio e per la salute del suo sovrano Carlo Magno, dona all' abate ed ai monaci di Sesto (Sesto al Reghena) la villa di Forno e le sue pertinenze...". Il nome Forno - oggi Forni - va collegato con ogni probabilità alle miniere di ferro e rame, esistenti a quei tempi nella zona, citate nello stesso documento, da cui pare sia derivato il nome del villaggio, anzi dei due villaggi, Forni di Sotto e Forni di Sopra34.

Altrove si punta su argomenti più specifici di Forni di Sotto, come i ruderi del castello (c'è anche una plaçe Cjascjèl ma, come già abbiamo accennato in precedenza, nel XIV secolo un castello è attestato anche a Forni di Sopra, dove c'è pure una località Cjastelàt) e la presenza della pieve (la cui esistenza nell'VIII secolo, al tempo della donazione, è peraltro improbabile), ma di sostanziale − e sostanzioso − rimane assai poco.

Come ben si vede, tuttavia, anche per i Fornetti di Sotto l'argomento principe rimane sempre quella parte della donazione di Masselio − qui divenuto Masselane − inerente al ferro & ramen e che, complice l'ormai remoto ma sempre immanente intervento di Liruti35, prosegue il suo percorso di trasformazione ad usum Fornesiorum: qui troviamo infatti le miniere di ferro e rame, esistenti a quei tempi nella zona, citate nello stesso documento da cui pare (vivaddio) sia derivato il nome ecc. Ormai le miniere non sono solo "esistenti" ma anche "citate nel documento". Povero de Rubeis (e anche povero Masselio).

La contesa III. Forni Avoltri

L'identificazione della Villam que sita est in Montanis que dicitur Forno con Forni Avoltri è ormai talmente radicata, propagata e diffusa (Forni Savorgnani esclusi, beninteso) da sfiorare il pensiero unico. Digitate "Forni Avoltri" su Google − anche i più accaniti compulsatori di palinsesti e incunaboli, di pergamene e paleotipi, rigorosamente in originale, non possono sfuggire all'abbraccio motorizzato di Google − e incapperete in un numero sterminato di citazioni a opera di chicchessia: da Wikipedia (non può mancare) allo scatolificio (!), dall'associazione sportiva all'agenzia turistica, ognuno tira la tunica del povero Masselio e cavalca la sua donazione in chiave fornetta.

Donde viene codesta sicurezza che sembra travolgere le timide avances rivendicatorie − a questo punto sembrano solo tali − dei Fornetti di Sopra e di Sotto? Viene per esclusione dei titoli altrui, in primis proprio quelli dei Forni Savorgnani, unici e soli concorrenti di Forni Avoltri al titolo di "Forno più antico di Carnia". Insomma, una volta dimostrato che non sono − non possono essere!, secondo la vulgata fornetta − i Forni Savorgnani, chi altro se non Forni Avoltri?

Gli storici e gli studiosi di toponomastica qui c'entrano poco o nulla. Niente Masselio e neppure abati e pertinenze varie. Anche di De Santa rimane tutt'al più il sommesso tifo per la propria squadra, non certo la sua analisi, ingenua fin che si vuole, del latinorum della donazione con tutti i connessi limiti, vincoli, delimitazioni &c. del testo. C'entra ancora e naturalmente Liruti, "inventore" delle miniere del Forno, ovunque esso sia ubicato. Infatti, per Forni Avoltri più che per ogni altro concorrente nella contesa sono le miniere a dimostrarsi carta vincente, argomento principe, inconfutabile verità scientifica. Non è più tempo di storici, o presunti tali, ma di scienziati.

[...] l'asserito riferimento ai Forni Savorgnani del primo documento storico d'importanza mineraria della Carnia [...] non trova riscontro con la realtà geologica del sito, attualmente priva di qualche interesse giacimentologico [...] (Carulli 1981, p. 99)

per poi proseguire, dopo una parziale trascrizione dell'atto di donazione, con

Ricordando quanto espresso in precedenza, pare più probabile individuare il villaggio citato nell'attuale località di Forni Avoltri (anche se è riconosciuta, su base storica, una maggiore antichità ecclesiale alla frazione di Avoltri) in quanto lo specifico riferimento al rame trova un preciso riscontro metallogenico con la mineralizzazione del vicino giacimento di M. Avanza (Ibid., p. 101).

E con ciò, asseriscono i Fornetti, l'argomento è definitivamente chiuso.

L'autore di quanto sopra è un geologo e comprensibilmente si muove, con approccio scientifico, sul terreno a lui più congeniale. Il quale terreno -- naturalmente le ormai famigerate miniere − tuttavia si è sin qui dimostrato intrinsecamente insufficiente a giustificare di per sé qualsiasi attribuzione dell'identità della Villa que dicitur Forno oggetto della donazione.

Insomma, se mai l'esistenza delle miniere fosse realmente materia dirimente − o, ancor meglio, il solo argomento − per definire l'identità del Forno, la palma del vincitore andrebbe senza alcun dubbio a Forni Avoltri. Purtroppo, come penso di aver sin qui dimostrato, le miniere sono tutt'altro che dirimenti, e anzi in questa ormai lunga dissertazione ne mettiamo in discussione persino l'esistenza: sebbene tutti coloro che mettono mano all'argomento proseguano imperterriti nella loro monocorde sonata sulle miniere e relativi forni, nel testo della donazione di miniere non si fa menzione, e anche l'associazione fra ferro & ramen e le miniere stesse è arbitraria e non provata.

Tuttavia, per rimanere al testo di Carulli, è lo stesso A. a suggerire, quasi a mo' di messa in guardia, alcuni elementi di criticità che vanno oltre − o, meglio, precedono − il suo pur pregevole contributo tecnico-scientifico. Il Prof. Carulli, l'abbiamo già scritto, non è uno storico e neppure uno storiografo, ma nel suo testo sopra ricordato scrive una frase dall'inequivocabile sapore storiografico, ossia

pare più probabile individuare [...] anche se è riconosciuta una maggiore antichità ecclesiale alla frazione di Avoltri36.

È dunque lo stesso perito di parte, l'autore del responso che a detta di molti mette fine alla disputa, a nutrire qualche dubbio di carattere storico, accennando a una "maggiore antichità" riconosciuta ad Avoltri, la controparte di Forni oltre il Degano. Inoltre, quell'è riconosciuta pare sottintendere che si tratta di cosa nota, di informazione di dominio pubblico. Il professore ha perfettamente ragione, e non si tratta di un semplice dettaglio. Oppure, se lo è, è dettaglio fondamentale.

Come abbiamo già accennato in precedenza, per secoli il villaggio fu Avultro-Avoltri, e Forni non ne fu altro che un microtoponimo o una semplice pertinenza, tant'è che per secoli la denominazione fu Furno de Avultro in tutte le sua varianti (Fors di Oltri ecc.). Nulla più che una sorta di dépendance come oggi potrebbe essere un quartiere periferico, una zona artigianale o un sobborgo industriale37. Detto altrimenti, sotto il profilo formale il “Forni” dell’attuale Forni Avoltri non ha mai avuto vita propria, ovvero non è mai stato in sé soggetto autonomo di diritto.

Perché dunque, se il villaggio più antico (la villa vera e propria) era Avoltri, e Forni ne era una semplice appendice, perché mai nella donazione si scrive Villam que dicitur Forno, e non Villam que dicitur Avultro? Ammesso e non concesso, beninteso, che la stessa Avoltri già esistesse come villa nell'VIII sec., ciò di cui è lecito dubitare (v. quanto già espresso in chiave storica per Forni Avoltri).

Sulla parte mineralogica c'è davvero poco da aggiungere. Il contributo tecnico-scientifico di Carulli è indiscutibile e, una volta definito e accettato l'argomento minerario come chiave di volta del problema, la sua conclusione pro Forni Avoltri e contra i Forni Savorgnani è perfettamente logica. Sfortunatamente − anche per il Prof. Carulli, tirato per i capelli in una contesa che non solo non gli appartiene ma, visti i presupposti, non è neppure tale − le miniere non c'entrano nulla.

In definitiva, assumere le miniere a bocca di... Forno come argomento dirimente sembra un'interpretazione ad usum Fornettorum: secondo questo approccio, da condizione già necessaria − Liruti scripsit, anche se fu "fondata" su una semplice metatesi − ora l'esistenza delle miniere diviene anche condizione sufficiente. Decisamente troppo.

Ma c'è anche altro: i pomiferis (où sont les pommes d'antan a Forni Avoltri?), e soprattutto la ineludibile Villa definita nel documento sede di curtis regia. Dov'era la curtis regia ad Avoltri, e a maggior ragione nella sua banlieue che a quel tempo era Forni? Dove sono i resti della curtis in quella che oggi è Forni Avoltri? Un'attestazione storica, un sedime come quello dei castelli di Forni di Sotto e di Sopra, quattro cocci, tre monetine, due fibule, un finimento, mezza trave, qualcosa insomma, qualsiasi cosa d'epoca longobarda... Una curtis regia non è certo una reggia e neppure una corte regale, ma è pur sempre un'entità rilevante, sufficientemente trafficata e relativamente popolosa (per quel tempo), se non altro per il personale di servizio, per chi vi lavora: possibile che al Forno-Forni Avoltri non ne sia rimasto nulla?

È possibile che non si trovi nulla, sì. Perché con tutta probabilità i Longobardi − e lo stesso vale per i Franchi − quassù, in cima al Canale di Gorto, sono come l'abate di Sesto a Forni di Sopra: mai visti, o comunque mai vi insediarono quella curtis regia imprescindibile per individuare in Forni Avoltri il Forno oggetto della donazione franca.

Un falso problema

Sulle ragioni che hanno spinto decine di studiosi seri e stimati − e un numero ancora più rilevante di soi disants tali − a spendere risorse e a spendersi per trovare una collocazione attuale alla Villa que dicitur Furno non mi esprimo. Per gli studiosi, forse il desiderio di colorare lo spazio bianco delle carte geografiche, quell'ambizione che spinse i navigatori oltre le Colonne d'Ercole e gli oceani; per altri e meno preparati forse il campanile, il desiderio di primeggiare sul vicino, il blasone di una nobiltà un po' usurata dagli anni ma pur sempre tale, almeno nella visione di chi porta il titolo a dispetto dell'abito un po' frusto.

Resta il fatto che sin dall'inizio era evidente che il testo della donazione non sarebbe stato sufficiente a identificare con certezza il luogo oggetto della donazione. Era sufficiente forse ad escluderne qualcuno: Forni Avoltri, ad esempio, di cui è persino fortemente in dubbio la stessa esistenza nell'VIII secolo e che certamente, proprio a fronte dello stato di sostanziale spopolamento delle alte valli della Carnia, non poteva ospitare una curtis regia. Lo stesso vale, seppure in minore misura, per Forni di Sopra, anch'essa sostanzialmente periferica rispetto ai centri della vita altomedievale, e Forni di Sotto, di poco più vicina (o meno lontana) 38.

Ecco una domanda che in tutta evidenza gli studiosi &c. non si sono mai posti, sebbene la risposta contribuisca di per sé a sfrondare il ventaglio dei pretendenti: di quante curtes regiae poteva disporre re Desiderio nelle Alpi Orientali, e segnatamente in Carnia? Verosimilmente non decine, e altrettanto verosimilmente non poste in cima a valli impervie e con vie di comunicazione approssimative come quelle dell'VIII secolo.

A dispetto delle "invenzioni" di Liruti, forse sin dall'inizio bisognava cercare altrove: ancor prima che sulla carta geografica − in ogni caso una mappa dell'VIII secolo, e non di oggi − sui documenti, a partire dal principale "concorrente" di Liruti stesso, de Rubeis.

Il coup de théatre

Abbiamo lasciato le Dissertationes di Rubeis nel primo capitolo di questa lunga saga, quasi che oltre al testo letterale della donazione avesse poco o nulla altro da aggiungere.

Così fan tutte, così fecero tutti, almeno a quanto consta. Tuttavia, solo 4 pagine dopo il testo della donazione d.R. riprende l'argomento, aggiungendo alcuni dettagli:

Masselio itaque Dux fuerit in montanis, nempe in Carnia Forojulio proxima, ubi Villa Furno. Hæc fuerit Curtis Regia, eique a Carolo dono tradita: & hanc ipse Virgini Deiparæ obtulerit in Cœnobio Sextensi. Hæc vero dictam per conjecturam. (de Rubeis 1762, pp. 296, 293)39.

De Rubeis, Dissertationes, p. 296
De Rubeis, Dissertationes, p. 296. La ipotetica sequenza dei viaggi di Masselio, prima nei monti ove è situata la Villa Furno, vicino a Carnia Forojulio, oggi Zuglio, e poi all'abbazia di Sesto

Questa breve annotazione in d.R., che non risulta mai ripresa né tradotto in precedenza, può essere resa come Masselio vero nobile fu sui monti ove, situata proprio vicino a Zuglio, [si trova] la villa del Furno. Questa fu Curtis Regia, e fu a lui concessa in dono da Carlo, e da qui [andò] all'abbazia di Sesto a porgere [il dono] alla Vergine Madre di Dio. Ciò è quanto si ritiene sia accaduto [...]40.

Si tratta evidentemente di un punto chiave per la lettura e interpretazione del testo della donazione, poiché in questa nota di d.R. l'ubicazione del Furno è definita con estrema precisione.

Allo scopo è di assoluta importanza comprendere come anche per d.R., così come per tutti gli storici dei secoli successivi, elemento centrale dei loro studi e del loro interesse è la storia longobardo-franca, o tutt'al più la storia dell'abbazia sestese, di cui questa donazione altro non è che un elemento accessorio, per non dire secondario. E anche nel contesto della donazione l'attenzione principale è sulla figura del donatore, Masselio, in quanto personaggio semisconosciuto alla "grande" storia e alle gerarchie note della nobiltà franca: si tende così a relegarlo in un ruolo di secondo piano, di nobiltà minore; oppure, in quanto pur sempre destinatario di un dono da parte di Carlo in persona (la curtis regia del Furno), e dunque persona di rango, si ipotizza la possibile identità Massilone-Tassilone, duca dei Bavari e cugino dello stesso Carlo. E così a finire sotto la lente d'ingrandimento è tutto ciò che riguarda Masselio, dagli atti formali (la donazione) e alle loro date, fino ai semplici spostamenti.

Nel periodo sopra trascritto si ipotizza dunque − perché risponde a un principio logico, anche se non v'è certezza che le cose siano andate esattamente così − che prima di portarsi a Sesto, dove avrebbe poi offerto in dono la curtis regia del Furno alla Vergine Madre di Dio, cui l'abbazia è dedicata (santa Maria in Sylvis), Masselio si sia recato alla curtis regia ricevuta da Carlo.

Detto altrimenti, la conjectura riguarda la sequenza degli spostamenti di Masselio, o tutt'al più la sua visita al Furno, ma non l'ubicazione della Villa Furno, che è nempe Carnia Forojulio proxima.

Oltre a precisare l'ubicazione della Villa Furno l'annotazione di d.R. sottolinea nuovamente un elemento cardine già presente nel testo della donazione, ossia la qualifica della Villa come curtis regia, donata a Masselio da re Carlo in persona.

Infine, è importante sottolineare come l'identificazione del Carnia Forojulio del testo − e dunque della Villam que dicitur Forno − con Zuglio sia da considerarsi evidente e al di là di ogni dubbio. Nelle sue Dissertationes d.R. utilizza Forojulio tanto per Zuglio che per Cividale, ma le due località sono sempre univocamente definite dal contesto o da precisi attributi. Ad es., per Cividale d.R. scrive Forum Julium Castrum aut Civitatem, Civitate Forojulii, Forojulio Municipio seu Civitate (de Rubeis 1762, pp. 293, 295, 296) ecc.

Ancora Liruti: la mossa del cavallo o lo spariglio ex post

Appaiono ora in tutto il loro peso gli interventi di Liruti, e meglio si comprende l'accostamento scacchistico e al gioco di carte: in particolare, oltre alla già nota e tutt'altro che trascurabile rimozione dello status di curtis regia del Forno, pesa anche e soprattutto l'assenza del riferimento a Carnia Forojulio già presente nella nota di d.R. È un'omissione grave e gravida di conseguenze, per di più inspiegabile da parte di L. soprattutto alla luce della sua insistita "inclinazione" per Zuglio in altri contesti. Quali che ne siano le origini, forse ancor prima e più dell'"invenzione" delle miniere è proprio questa lacuna alla radice di tutto ciò che verrà poi, fino ai giorni nostri.

Perché L. imbocchi questa via non è dato sapere. Personalmente, all'origine di questa indubbia carenza intravedo solo due possibilità: 1) L. non ha preso visione della postilla di d.R. con il viaggio di Masselio e l'ubicazione della Villa del Forno nelle vicinanze di Carnia Forojulio: non dunque censura ma semplice disattenzione, e quindi anche l'identificazione delle montanis ove è sito il Forno con le Alpi Giulie e Carniche è una induzione dello stesso L.; oppure 2) L. conosce la postilla ed è al corrente che il Forno e la curtis regia longobardo-franca sono presso Forogiulio, ma nella sua ricostruzione omette entrambi i dettagli41, in tal modo rimuovendo quello che egli percepisce come un declassamento della grandezza romana o latina di Forum Iulii a semplice curtis, ancorché regia, degli invasori. Opinione mia personalissima, e per quel che vale, costretto a scegliere fra le due possibilità citate opterei per la seconda. Resta il fatto incontrovertibile che L. rimuove quei dettagli, importantissimi per tutta la storiografia a venire.

La guerra è finita (ma nella foresta ancora non lo sanno)

Ormai assodato che si tratta di Carnia Foroiulii, o Iulium Carnicum, insomma di Zuglio, dobbiamo risolvere e vincere definitivamente le obiezioni degli ultimi giapponesi resistenti nella foresta (carnica), che sottolineano come qui, a Zuglio, di miniere di ferro e rame non vi sia traccia nel giro di decine di km42.

Ebbene sì, vi sono ancora obiezioni e obiettori in questo senso. Dopo avere ricordato − repetita... ma è l'ultima volta − che i forni non servono solo a purificare i minerali ma anche ad altro, ricorriamo a un esempio dei giorni nostri, in Friuli.

Alle Ferriere Nord di Osoppo e all'ABS di Bottenicco ci sono fior di (alto)forni, ma non ci sono miniere di ferro nel raggio di decine (centinaia?) di km. Possiamo allora ipotizzare che il Forno della donazione non fosse altro che il Bottenicco e l'Osoppo di quel tempo: i metalli arrivano dal Norico attraverso Monte Croce Carnico, lungo la ottima strada che conosciamo, e qui sono fusi e lavorati. Ipotesi riduttiva e persino banale, ma funziona.

Tutto chiaro? Non esattamente

Non tutto è chiaro poiché del Furno non conosciamo ancora l'ubicazione esatta: è nempe proxima, sicuramente molto vicina a Carnia Forojulio, forse persino nella Zuglio attuale, ma non sappiamo con esattezza dove. Possiamo prendere una mappa e un compasso, puntare quest'ultimo sul campanile di Zuglio e decidere "quanto" proxima: 2 ore di cammino? Con il compasso tracciamo una circonferenza con un raggio di 10 km (per nempe proxima forse basterebbe un'ora di cammino, 5 km), e all'interno di essa si dovrà trovare la Villam que sita est in Montanis. Se ci accontentiamo di questo margine di incertezza, e magari operiamo al fine di ridurlo ulteriormente, tutto può essere considerato chiaro.

I Forni carnici

In verde la posizione della Villa del Forno secondo de Rubeis, presso Zuglio, e in rosso quelle dei tre Forni carnici, non esattamente Carnia Forojulio proximi (da Google Maps)

Tutto ciò avrebbe avuto un senso già da secoli, dal 1762, qualora la postilla sulla visita di Masselio al Furno fosse stata presa in considerazione, ma così non fu e il corso degli eventi prese tutt'altra piega. Già nei decenni immediatamente successivi alle pubblicazioni di de Rubeis e di Liruti prese avvio una sorta di rincorsa − inizialmente al di fuori di ogni intenzionalità, ma a partire già dal XIX secolo perfettamente consapevole e competitiva − per "appropriarsi" di quella denominazione di Forno. Una gara che ancora oggi, dopo oltre 200 anni, è ancora in atto, stupidéçs inclusi.

Qualche ipotesi: certo audace, forse anche temeraria

Oltre alla esatta ubicazione del Forno (sempre che sia argomento così appassionante), restano da chiarire alcuni dettagli relativi alle caratteristiche e alle pertinenze del luogo.

Forse intorno a pratis, pascuis, silvis, pomiferis ecc.? Certo che no: è roba che si trova dappertutto, e sono pertinenze persino banali per una curtis regia. Già, proprio curtis regia, un complesso abbastanza importante da essere proprietà di re Desiderio in persona a cui Carlo la sottrae per donarla a Masselio, ma anche particolare sin qui totalmente negletto.

Forse un'altra chiave di lettura va cercata proprio per gli abusati e malintesi metalli, il ferro & ramen un po' sbrigativamente e rozzamente mutati in miniere. Insomma, seppure sommessamente, qualcosa da dire ancora c'è. Certo, in ottica diversa da quanto prospettato sopra. Certo, può e anzi deve esserci altro oltre a Forogiulio intesa come stabilimento siderurgico: dopo tutto una curtis regia ridotta a fonderia mi sembra una soluzione minore, anzi minima se non infima. Dobbiamo provare a guardare oltre, sempre nel campo delle possibilità e ben sapendo che la certezza documentale non sarà forse mai raggiunta. Riprendiamo dunque gli ormai noti metalli, ma in un'ottica completamente diversa e maggiormente consona allo status di una curtis regia, ancorché nella periferica Carnia.

Ferro & ramen (il secondo è aferesi di aramen o æramen, da aer, aeris=rame) potrebbero essere una metonimia per significare oggetti in ferro e rame, più precisamente armi e monete. Ossia, e più verosimilmente, il diritto di portare le une e di coniare le altre. In sostanza il diritto di masnada (ricordate Liruti?)43 e una zecca per moneta minuta, esclusivamente in rame o in bronzo (non d'oro, non d'argento)44.

Nella latinità classica fra i significati metonimici di ferro e rame si trovano proprio le armi e le monete, e poi

l'anno 1778 [a Giulio Carnico] si ritrovò un conio d'acciaio, bello e intero, alto 4 pollici e di proporzionata grossezza, colla effigie di Tiberio Cesare e colla sopraiscrizione seguente TI. CAESAR DIVI AUG. F. AUGUSTUS IMP. VII P. M. Da ciò prendiamo un forte argomento, che in Giulio Carnico fosse stata zecca, tanto più che nel sito circonvicino ove fu dissotterrato detto conio trovati furono molti frammenti di crogivoli che inservito avranno per fondere ogni sorta di metallo (Grassi 1782, p. 63).

Più avanti lo stesso A. riporta un parere dell'abate Cortenovis45 a proposito della moneta di cui sopra e di un'altra

di conio minore [...] e con forti ed incontrastabili ragioni fa vedere ch'essi appartengono alla città di Giulio Carnico, stata Colonia Romana e dov'era la Zecca col privilegio di coniare tali monete (Ibid., p. 64-65).

Che in epoca romana a Iulium Carnicum fosse presente una zecca non può certo costituire una sorpresa. Tuttavia, né i ritrovamenti né i pareri di autorevoli numismatici provano alcunché circa l'esistenza di una zecca da quelle stesse parti 750 anni dopo Augusto e Tiberio, e soprattutto con due distruzioni totali alle spalle, prima nel 610 da parte degli Avari e poi nel 705 degli Slavi. Tuttavia, non possiamo neppure dimenticare che, donazione alla mano, a questo Forno collocato in posizione vicinissima a Iulium Carnicum ormai distrutto46 era attribuita la dignità e il ruolo di curtis regia, privilegio cui forse a quel tempo nessuna altra villa in Carnia poteva ambire.

In secondo luogo anche i Longobardi − nel 778 i Franchi li hanno sconfitti solo 4 anni prima, e ancora ne mantengono la struttura statuale − devono pur coniare moneta da qualche parte. A oggi, a est dell'Adda (il fiume era confine fra Neustria e Austria) sono state censite in tutto 3 zecche longobarde, mentre a ovest sono più del doppio: di queste 3 rilevate a oriente la più vicina a Cividale, capitale del Ducato longobardo del Friuli, è individuata a Treviso, a sua volta capitale dell'omonimo Ducato. Fate un po' di conti.

Quasi certamente in epoca longobarda si coniava a Cividale, ma solamente laggiù? Infine, pur con tutto il rispetto per la curtis regia della nostra Villa que dicitur Forno, una zecca che conia spiccioli di rame a uso delle esigenze minute del circondario non è certo attività esclusiva di una metropoli, e dunque è compatibile anche con questo benedetto borgo di cui stiamo cercando di definire le caratteristiche.

Tracce

La mia pressoché nulla conoscenza di dettaglio dei dintorni di ciò che oggi è Zuglio mi impedisce di pronunciarmi sulla possibile esistenza in loco di qualcosa − un microtoponimo, un edificio, un rudere − che possa richiamare il termine forno.

Tuttavia, forse è il caso di abbandonare finalmente un gioco durato già troppo a lungo: oltre che dalla carta geografica (1200 anni pesano moltissimo) forse dobbiamo accettare la cancellazione della Villa que dicitur Forno anche dalla memoria. Accantoniamo dunque la pregiudiziale toponomastica (basta forni) e cerchiamo altre tracce sul territorio.

Negli immediati dintorni di Iulium Carnicum, anzi proprio in comune di Zuglio si trova Formeaso, un tempo Furmia o Formia, località menzionata tanto da Quintiliano Ermacora nella seconda metà del XVI secolo che da Grassi due secoli più tardi47. A quale fonte l'uno e l'altro abbiano attinto le denominazioni latine non è dato sapere, ma Grassi vi si dilunga essendo egli originario proprio di Formia-Formeaso.

È credibile perciò che allorché Zuglio era città, chiamata Giulio, Formeaso fosse un sobborgo della medesima, detto Formia o ad Formias; poiché quivi a' miei giorni sono rinvenute Cornici, e grosse basi di colonnami di pietra, e quello ch'è più osservabile medaglie antiche Romane d'oro e d'argento non poche [...](Grassi 1782, p. 116).

Come già Iulium Carnicum ovviamente anche Formia fu devastata dagli Avari e dagli Slavi. Nondimeno, oltre a reperti di età romana a Formeaso si trovano anche labili tracce longobarde, come la chiesa di san Michele le cui origini remote si fanno per l'appunto risalire a quel periodo48.

Un poco più lontano da Zuglio, nelle vicinanze di Fusea49 (oggi frazione di Tolmezzo) nel 1879 fu rinvenuta quella che è detta la Cort dai Salvàns, antico insediamento nel quale sono stati ritrovati reperti di età varia, dal protostorico alla tarda romanità50. Non è cosa di cui ci si possa o debba stupire, e non insistiamo più di tanto neppure sul friulano cort, che sicuramente deriva dal latino curtis ma, oltre che essere l'aggiunta dai Salvàns denominazione probabilmente recente, è anche termine diffusissimo a indicare genericamente uno spazio chiuso, in tutto in parte, come ad es. un cortile fra le case.

Annotiamo invece che, sempre nelle vicinanze di Fusea, si trovano anche una località Fornâs e un rio omonimo. È molto probabile che in loco si trovasse una fornace, forse anch'essa relativamente recente, ma non avendo una diretta conoscenza dei luoghi è meglio astenersi dal trarre pericolose conclusioni.

Avviso ai naviganti

Sono solo esempi, neppure indizi di quanto si può trovare in Carnia Forojulio proxima. Tuttavia, piuttosto che ricorrere a forzature (già fatto troppe volte) e a invenzioni di sana pianta (è stato fatto anche questo) è meglio riconoscere che più oltre non si può o non si sa andare. Queste sono le nostre Colonne d'Ercole.

Poi, come la storia insegna, c'è sempre qualcuno che prima o poi va oltre. Il non plus ultra non è mai assoluto. Per fortuna.

Ai naviganti, buon vento.


Riferimenti bibliografici nel testo

  • Bassetti 2011. Sandro Bassetti, Historia Sextij, Dallo Gran Diluvio a Hoggi, Lampi di stampa, Milano 2011.
  • Brozzi 1973. Mario Brozzi, Tracce del possesso terriero longobardo nel Ducato del Friuli, in Memorie Storiche Forogiuliesi, vol. LIII, Deputazione di Storia Patria per il Friuli, Udine 1973.
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  1. Al secolo Giovanni Francesco De Rossi, assume il nome di Bernardo Maria al momento della presa di voti di domenicano (NL, p. 616): nelle sue opere si firmerà con il proprio cognome latinizzato, de Rubeis, e con questo nome sarà qui sempre citato, spesso abbreviandolo in d.R. 

  2. Per l'accesso al documento d.R. ringrazia esplicitamente l'arciprete di Gemona, lo studioso Giuseppe Bini (v. De Rubeis 1762, p. 292), che già nel 1754 ha raccolto in un cartulario i documenti più antichi dell'abbazia di Sesto (v. Bassetti 2011, p. 46), oggi all'Archivio di Stato di Venezia (Congregazioni soppresse, Sesto) . In buona sostanza d.R. non accede ai documenti presso l'archivio abbaziale di Sesto poiché nel 1760 non si trovano più colà ma, già da oltre 5 anni, sono in possesso di Bini, probabilmente a Gemona. Si tratta di un dettaglio rilevante, in contrasto con quanto affermerà in seguito Gian Giuseppe Liruti. 

  3. Una trascrizione molto più recente del testo della donazione è in Della Torre 1979, pp. 87-88 (v. anche più avanti). Nell'opera di d.R. il testo della donazione è virgolettato. Inoltre, la correzione nella prima riga (mereor) è dello stesso A., e sembra voler sottolineare la meticolosità con cui il documento è stato ripreso alla lettera, compresi gli errori di grafia. 

  4. Nel diritto romano il peculio era il patrimonio affidato dal titolare della patria potestà a un figlio o a un servo perché lo amministrasse e ne godesse, senza tuttavia averne la formale proprietà. Oltre che il patrimonio in sé il peculio venne a definire anche l'atto di affidamento e le limitazioni connesse: ad es. l'affidante (qui il feudatario) rimaneva civilmente responsabile dei debiti contratti dall'affidatario (qui l'abbazia) solo nei limiti dell'ammontare del peculio. 

  5. Nella pur ottima e pressoché letterale traduzione c'è una piccolissima e forse inevitabile interpretazione arbitraria: il termine astallariis, come tale sconosciuto al latino, è reso con "stavoli": approssimazione per approssimazione forse sarebbe stato meglio "stalle" o "ricoveri per animali" (v. Du Cange, p. 1040, s.v. stallarius). Inoltre, Furno è già tradotto con "Forni", in tal modo anticipando ulteriori passi in avanti dell'A. Tuttavia entrambi gli interventi sono di nessun conto ai fini interpretativi del testo della donazione. Più rilevante invece è un altro intervento del traduttore, laddove egli interpreta e traduce curtem regiam con "la regia corte": meglio sarebbe stato lasciare inalterato l'originale latino, poiché con la traduzione si viene a perdere il preciso significato della locuzione. Si tratta infatti della curtis regia, variante peculiare di una ben precisa organizzazione territoriale dell'Alto Medioevo. «Nell'economia agraria dell'alto Medioevo la curtis era il complesso del fondo dominante e dei fondi annessi coltivati da liberi, semiliberi o servi, che costituivano nel loro insieme l'unità economica e giuridica detta sistema curtense. Era un'organizzazione economica chiusa, dove si compiva l'intero ciclo di produzione e scambio. In essa si distinguevano il dominio (pars dominica), che il proprietario teneva in coltivazione diretta, e il massaricio (pars massaricia), concesso ai coloni per la coltivazione. La c. era allo stesso tempo un'unità economica e amministrativa, rafforzata dall'immunità tributaria e giurisdizionale e gestita da un unico capo che esercitava direttamente la giustizia su tutti i dipendenti» (Enciclop. Treccani). Una struttura già di per sé notevole che nel nostro caso assume una valenza di assoluto rilievo poiché si tratta di una curtis regia, ovvero di una pertinenza personale del re (Desiderio prima, e Carlo poi). Le implicazioni di questo ineludibile ma omesso dettaglio − la Villa del Furno nell'originale esplicitamente definita curtis regia − saranno sistematicamente trascurate nell'individuazione dei borghi candidati a identificarsi nella Villa stessa. 

  6. Nelle frequentissime citazioni Liruti sarà spesso abbreviato in L. 

  7. L. sostiene di avere trascritto l'originale del manoscritto nell'abbazia di Sesto. Tuttavia egli inizia la stesura delle sue Notizie nel 1772, 10 anni dopo la pubblicazione delle Dissertationes di d.R. e 18 anni dopo che Giuseppe Bini aveva raccolto e asportato da Sesto tutti i documenti antichi (v. nota ^2^). Bini muore a Gemona nel 1773, e tutto lascia pensare che abbia ancora presso di sé i documenti di Sesto. 

  8. Nelle sue pur imponenti Notizie (in 5 volumi si tratta di oltre 1600 pagine) Liruti è assai parco nelle citazioni del contemporaneo de Rubeis, già allora storico di fama con alle spalle numerose e imponenti pubblicazioni, ma che i rapporti fra i due studiosi non fossero proprio idilliaci è cosa nota: «il rapporto che [d.R.] intrattenne con Liruti fu alquanto movimentato, tanto da connotarsi per l'acretudine, sentimento tipico di questi eruditi friulani» (NL, p. 912-913). Di fatto i due studiosi proseguono una diatriba iniziata già da tempo, originata da controversie editoriali e da accuse di concorrenza sleale, e caratterizzata da differenti visioni storiche: «la confusione generata dall'interpretazione incerta dei toponimi Forum Iulii e Iulium Carnicum determinò numerosi malintesi nell'attribuire a Zuglio piuttosto che a Cividale le vicende che gli auctores antiqui avevano tramandato; questa ambiguità, nata fin dai primi tentativi di identificare l'antica Forum Iulii, prima capitale del ducato longobardo, associandola all'una piuttosto che all'altra sede, sfocerà nel corso dei secoli in un dibattito sempre più acceso» (Iridio-Spinazzè 2013, pp. 23→). L. fu strenuo assertore dell'uso della denominazione Forijulii per l'intero Friuli sin dall'epoca romana (per le epoche successive sosterrà l'utilizzo di Forogiulio) individuandone l'origine in Zuglio a scapito di Cividale. L. stesso svuota poi di significato − di fatto denegandole − tanto la presenza dei Carni in Friuli e le denominazioni a essi connesse (niente Regio Carnorum: i Carni sarebbero stati gli abitanti della Carinzia, v. Liruti 1777, Tomo I, pp. 21→) quanto la denominazione Austria in uso presso i Longobardi e fatta propria − se non promossa − dal cividalese de Rubeis (in realtà Austria indicava un territorio assai più vasto a est dell'Adda: territorio di cui peraltro, a dispetto della capitale posta a Cividale, il Friuli era parte minoritaria). 

  9. Liruti 1777, Tomo III, p. 71. 

  10. Ibid., p. 151 e pp. 152-153. 

  11. Anche il termine Alpi Giulie è parte integrante della diatriba fra eruditi di cui sopra. L. lo utilizza per indicare, a suo avviso più correttamente − o più "friulanamente": già erano Alpes Iuliae in epoca romana... − proprio le Alpi Carniche. 

  12. Nei suoi 5 voll. delle Notizie L. menziona una sola volta una curtis regia, ma non a proposito della donazione di Masselio. 

  13. «Nel Medioevo, [è definito masnada] l'insieme dei servi ministeriali, originariamente schiavi, adibiti nella casa del signore alle occupazioni domestiche; ottennero, grazie soprattutto alle armi che recavano in guerra al loro signore, concessioni di feudi, entrando a far parte della gerarchia feudale» (Enciclop. Treccani). 

  14. Stando al documento, con montanis si potrebbe intendere ogni gruppo montuoso dal Cansiglio alle Alpi Giulie, poiché in tale vasta area che l'abbazia di Sesto fu titolare di beni. Perché dunque non vedere nelle montanis il Bellunese (e identificare Forno di Zoldo con il Forno) oppure le Alpi Giulie (e, di pochissimo oltre confine, identificare Fürnitz con il Forno, v. più oltre)? 

  15. Oltre a questi 5 "ritocchi" ve n'è ancora un altro di L., decisamente essenziale. Tuttavia, poiché la successiva storiografia − e la conseguente "disputa dei 3 comuni" − si è sostanzialmente basata su questo testo, aggiunte e omissioni comprese, della capitale omissione si tratterà più oltre. 

  16. In una nota manoscritta Joppi riporta il riferimento bibliografico alle Dissertationes di d.R., ma il suo appunto riprende esattamente le aggiunte introdotte da L. nelle Notizie e assenti nell'originale della donazione, come «castello [...] masnade e miniere di ferro e rame» (Joppi, 278, fasc. 2). Dal canto suo anche Paschini, chiosando una breve frase del lascito, scrive «con tutte le pertinenze, fra le quali anche miniere di ferro e rame» (Paschini 1927, p. 13, e anche in Marinelli 1924, p. 168). 

  17. Ciò non desta meraviglia poiché il primo a rimuovere la curtis regia dal suo commentario è proprio Liruti. Nel tardo '800 De Santa la manterrà solo nella traduzione − in maniera impropria, come abbiamo visto, e probabilmente senza coglierne il reale significato − ma non nelle conclusioni che ne trarrà. 

  18. Il friulano vi è tuttavia reso con forn. Altri (micro)toponimi in regione hanno radice in fornax (REW3451) attraverso il friul. fornâs, ma il perimetro semantico è lo stesso di furnus

  19. L'attività di fornaio come oggi è comunemente intesa, ossia di produzione in proprio e vendita del pane, è certamente antichissima ma assai poco diffusa nelle aree rurali − e ancor meno in Carnia − fino alla prima metà del secolo scorso, quando il pane di frumento, il "pane "bianco", iniziò a imporsi anche sulle tavole dei montanari carnici. Nel Medio Evo era forse più diffusa la presenza di forni ove ciascuno faceva cuocere il proprio pane dal fornarius: nel tardo Medio Evo quest'ultima attività − gestione o talvolta semplice custodia del forno − era soggetta a concessione feudale e come tale oggetto di tassazione, solitamente in natura sotto forma di pani. Con il tempo il termine fornatico, che in origine identificava la concessione, per metonimia venne a identificarsi con il tributo. 

  20. C'è pure Tramonti di Mezzo, amministrativamente accorpato a Tramonti di Sotto. 

  21. Nella disputa, riguardante i diritti di pieve, a prevalere sarà infine Forni di Sotto. 

  22. Il Degano non nasce come tale: per convenzione assume tale denominazione a Pierabéc, a valle delle confluenze del rio Fleòns, del rio Bordaglia e del rio Avanza. 

  23. La parrocchia a cui appartengono, a partire dal XIV secolo, le chiese degli allora comuni autonomi di Forni Avoltri, Sigilletto e Frassenetto (formanti un comune unico, dove sorge la parrocchiale), e Collina, oggi accorpati nel comune di Forni Avoltri, porta il significativo nome di Cura di Sopraponti. 

  24. Ancorché per via indiretta, alle medesime conclusioni si giunge dall'osservazione dei territori soggetti alle diverse pievi della Carnia, la cui origine è incerta ma databile agli ultimi secoli del primo millennio. Rispetto a tutte le altre pievi − tranne la pieve matrice di Zuglio, che come tale è tuttavia al centro della Carnia − la collocazione della pieve di Gorto è lontanissima dal centro della sua giurisdizione, come se in origine quest'ultima si limitasse agli attuali comuni di Ovaro, Comeglians e Prato Carnico e non raggiungesse, perché non permanentemente abitati, l'Alto Gorto e Sappada. 

  25. La "custodia" non era in armi. Detto altrimenti, in tempi normali le ville deputate si limitavano a una generica sorveglianza (soprattutto in alta montagna non erano neppure presidiati i valichi veri e propri), e non erano sede di guarnigione armata. Avoltri fu bensì sede di muta, ma a questo proposito non tutto risulta chiaro alla luce dell'aggregazione di Avoltri (e Forni), insieme a Sappada, al Quartiere di Tolmezzo nel 1397: muta da e per la Carnia, per il Quartiere di Gorto, o quello di Tolmezzo? E le merci provenienti da Sappada erano soggette a dazio? 

  26. Le peculiarità della parlata dell'Alto Gorto, dove poi ciascun villaggio si distingue anche dai contermini, rimasero assai ben conservate fino alla metà del secolo scorso: da allora sono in via di progressiva estinzione "grazie" al miglioramento delle vie e dei mezzi di comunicazione e del conseguente maggiore contatto con l'esterno, in primis la diffusione della televisione. 

  27. Resti di forni di fusione − o ritenuti tali − sono stati ritrovati in località Pierabéc, molto più prossima alle miniere di Avanza. 

  28. In ogni caso c'è una ragione ben precisa a suffragio della tesi della collocazione dei forni oltre il Degano, lontano dall'abitato: il fuoco. Sin quasi alla metà del XX secolo, con fienili e abitazioni ravvicinate, in gran parte in legno e con focolari privi di camino, i villaggi avevano nel fuoco il maggior pericolo. E infatti gli incendi scoppiavano con frequenza: a distanza di soli 15 giorni, fra gennaio e febbraio del 1903, nella frazione di Sigilletto scoppiarono due incendi, il secondo dei quali distrusse 7 case, diversi fienili e anche la chiesa, e i danni furono limitati solo grazie all'accorrere degli abitanti dei paesi vicini. In ragione di ciò tutte le attività che richiedevano la presenza del fuoco vivo, segnatamente forni, fornaci e fucine, e talvolta anche i forni da pane, erano posti al di fuori dell'abitato. 

  29. L'indicazione dei nomi di cui alla citazione comprende un lungo elenco di toponimi, desunti da fonti scritte in un amplissimo arco di tempo che va dal Medio Evo all'età moderna, dei quali non è ragionevolmente possibile l'associazione ad alcun toponimo conosciuto. Di questo inventario la Villam que dicitur Forno è la prima in ordine di tempo. 

  30. Come si vedrà chiaramente nel prosieguo, è d'obbligo sin d'ora anticipare come tutto ciò sia stato reso possibile anche dalla "disattenzione" degli studiosi e intellettuali che per secoli hanno avallato e utilizzato fonti incomplete, quando non distorte. 

  31. Per completezza non si può tuttavia omettere che già dal 762 l'abbazia di Sesto era titolare, in condivisione con l'abbazia femminile di Salt di Povoletto, di «Casas in Carnia in vico Ampicio» (de Rubeis 1762, p. 284) cioè di "case in Carnia nel villaggio di Ampezzo" − e dunque proprio nel Canale di Socchieve, a valle dei Forni Savorgnani − e di un «Monte in Carnia» (Ibid, p. 285) derivanti dalla donazione longobarda che sancì la costituzione dei due monasteri. Le conclusioni di Grassi circa la corrispondenza del Forno del lascito ai Forni Savorgnani saranno condivise anche da Giovanni Marinelli, che a fine '800 scriverà «In realtà quale dei due [Forni] oggi esistenti sia il Forno in discorso, e dove fossero le miniere, nessuno può dire» (Marinelli 1924, p.671, ma già presente in Marinelli 1898). 

  32. In toponomastica i significati sono per lo più altri, e assai profani (v. Frau 1978, p. 44; DTFT p. 213; Olivieri 1961, p. 125). Inoltre, nella medesima ottica "ecclesiastica" De Santa curiosamente dimentica − amor di patria? − l'esistenza, proprio a Forni di Sotto, di un toponimo Basèlie (it. Baselia, Frau 1978, p. 33), con radice inequivocabile nel lat. basilica, originariamente con il significato di "luogo pubblico" nel foro della città e quindi, in epoca cristiana, "chiesa" e consimili. 

  33. Pur disponendo dei medesimi argomenti dei loro omologhi di Sopra, e forse anche di qualcuno in più, ai Fornetti di Sotto manca una figura di rilievo come De Santa in grado di farsi interprete delle loro istanze e di amplificarle. 

  34. www.comune.fornidisotto.ud.it 

  35. Anche se è lecito dubitare che gli estensori di queste modernissime chiose abbiano diretta contezza degli "interventi" di L. in merito al testo della donazione. 

  36. È pressoché certo che con il termine ecclesiale l'A. intenda la comunità di Avoltri in senso lato, e non già con riferimento alla Chiesa e neppure alla chiesa, che invece era situata proprio a Forni. 

  37. Ancora in epoca patriarcale, e quindi posteriore al XI secolo, titolare di diritti/doveri era il Comune di Avoltri. Quando alle comunità di villaggio − i "comuni" nell'accezione dell'epoca, costituiti dai comunisti (i capi delle famiglie tenenti "loco et foco") e dalle pertinenze della comunità stessa, in larga prevalenza condivise e indivise − fu concesso il beneficio/diritto oggi comunemente conosciuto come "usi civici", beneficiaria fu esclusivamente Avoltri. Al netto delle variazioni e relative complicazioni sopravvenute in epoche successive, segnatamente nel periodo napoleonico e posteriori, vi è evidenza documentale che titolare dei diritti di uso civico per quello che oggi è il villaggio di Forni Avoltri era originariamente la sola Avoltri, di cui Forni era implicitamente parte. 

  38. Pongo ora una domanda che in tutta apparenza gli studiosi non si sono mai posti, sebbene la risposta contribuisca a sfrondare il ventaglio dei pretendenti: di quante curtes regiae poteva disporre re Desiderio nelle Alpi Orientali, e segnatamente in Carnia? Verosimilmente non decine, e altrettanto verosimilmente non poste in cima a valli impervie e con vie di comunicazione approssimative come quelle dell'VIII secolo. Se ciò esclude Forni Avoltri, altrettanti dubbi getta sui Forni Savorgnani. 

  39. Il corsivo è nel testo. La fonte di questa fondamentale annotazione non è nota. Come si vede, lo stesso d.R. utilizza entrambe le grafie Forno e Furno, e anche con altri A. non vi è uniformità grafica: nel prosieguo cercheremo nei limiti del possibile di rimanere fedeli alle grafie dell'uno e dell'altro, tenendo presente che sono comunque equivalenti. 

  40. La traduzione è mia. 

  41. Forse dimentica o forse cancella l'importante dettaglio, ma non del tutto: riduce la proximitas a Forojulio alla collocazione del Forno nelle nostre Alpi Giulie o Carniche

  42. Le più prossime sono quelle di Timau e Promosio, ma forse non rispondono a tutti i requisiti del caso. 

  43. V. anche Du Cange, p. 427 Ferrum Pictavense→, ma la metonimia ferro>armi era diffusa già in età aurea e giunge fino ai nostri giorni attraverso l'espressione (mettere) a ferro e fuoco

  44. V. Du Cange, p. 104 Aeramen. Nella latinità classica aes assumeva anche il significato di denaro in generale. 

  45. Angelo Maria Cortenovis, erudito e appassionato numismatico (v. NL, pp. 825→). 

  46. Secondo alcuni autori, in generale «I luoghi del potere (la curtis regia e la curtis ducis) furono collocati in zone periferiche rispetto all'area occupata dal foro di età romana, nei pressi di edifici pubblici in rovina (domus palaziali, circhi, anfiteatri)» in www.longobardinitalia.it (corsivo e grassetto sono nel testo). 

  47. In Ermacora, p. 34, e Grassi 1782, p. 67, 116. 

  48. Desinan 1993, pp. 127→. Traccia labile ma indubbia. Non tutti i luoghi di culto dedicati a san Michele sono certo suscettibili di derivazione longobarda: quassù a Collina, comune di Forni Avoltri, Carnia profondissima che più non si può, la locale chiesa è dedicata a san Michele Arcangelo, ma credo di poter affermare con un buon margine di sicurezza che mai alcun longobardo mise mai piede da queste parti, e neppure vi si avvicinò. Tuttavia, a detta di studiosi con reputazione migliore della mia, san Michele di Formeaso ha origini longobarde. 

  49. L'assonanza fonetica è casuale: gli studiosi sono unanimi nel ravvisarvi un prediale, e tanto ci basti. 

  50. Quanto a resti di epoca romana, entro una ragionevole distanza da Zuglio la probabilità di trovarne traccia era comunque elevata, dal momento che i resti di quella che fu Iulium Carnicum si trovavano sparsi per chilometri nei dintorni.