Rigolato tra XVII e XIX secolo

Si riporta, con qualche adattamento, il testo dell'intervento letto nella sala municipale di Rigolato la sera del 17 luglio 2010, durante la presentazione ufficiale del volume Rigolato tra XVII e XIX secolo. Anime, fuochi, migrazioni (Forum, Udine, 2009, pp. 571, 27,50 €), alla quale concorsero Elisabetta Navarra e Alessio Fornasin.
L'intervento è già stato pubblicato in «Quaderni dell’Associazione della Carnia Amici dei Musei e dell’Arte», 15 (2010), pp. 42-53.

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Anime, fuochi, migrazioni

Copertina1. Ringrazio il Sindaco, l’Amministrazione comunale e l’Associazione culturale Giorgio Ferigo, che hanno organizzato l’incontro, nonché Elisabetta Navarra, Alessio Fornasin e tutti gli intervenuti. Esprimo, inoltre, riconoscenza all’ex sindaco Marcello Candido per aver a suo tempo iniziato ad operare in modo da giungere alla pubblicazione del libro, realizzata, poi, dall’attuale amministrazione.

2. Da ragazzo pensavo che Rigolato non avesse storia. Ricordo un viaggio in Sicilia fatto in gioventù; ogni incrocio presagiva qualcosa di noto, studiato sui banchi di scuola fin dalle elementari; la Storia, con la esse maiuscola, faceva capolino continuamente e ovunque. Al contrario credevo che Rigolato scaturisse direttamente da oscure e nebbiose foreste primordiali, mancasse di passato; non c’era memoria scritta, non esisteva una cronologia se non a partire da tempi molto recenti. I nostri antenati li immaginavo prima cacciatori, poi allevatori, agricoltori, boscaioli, muratori, piccoli artigiani (sicuramente mai, strano a dirsi, commercianti e tanto meno commercianti ambulanti). Oggi penso che l’archeologia abbia molto da dire e che la storia dell’intera Carnia antica e alto-medioevale attenda d’essere (ri)scritta. Ma non occorre retrocedere di tanto nel tempo. Alcuni anni fa Giorgio Ferigo, recensendo il saggio di Alessio Fornasin Ambulanti, artigiani, mercanti, notava come «il manuale di ogni carnico», ovvero la Storia della Carnia di Pio Paschini, saltasse a piè pari il periodo veneto quasi si trattasse d’un intermezzo senza storia, immobile, indegno d’essere narrato. A colmare parzialmente questo vuoto c’era solo La casa e la vita in Carnia di Lodovico Zanini che, però, «era un testo senza contesto», sono parole di Giorgio Ferigo. Negli anni ’80 e ’90 del Novecento si è assistito, invece, a un rifiorire di studi sull’età moderna, avviato da Furio Bianco e proseguito da una serie numerosa di studiosi, tra i quali Giorgio Ferigo, appunto, e i presenti Alessio Fornasin ed Elisabetta Navarra. Accanto a questa storiografia ne è esistita un’altra ‘minore’, concentrata sul «particulare» delle comunità locali, che sento molto vicina: penso ai lavori di Antonio Roja, Pietro Cella, Fortunato Molinaro; religiosi, diversi tra loro, eppur accomunati dal legame profondo col territorio e le comunità di cui erano espressione e in cui vivevano; i soli, per lungo tempo, capaci di raccontare la storia della gente comune attingendo direttamente da quegli archivi parrocchiali che loro stessi contribuivano a creare e conservare.

3. Quello a cui ho sommariamente accennato è il patrimonio di ricerche accumulato nel tempo del quale ho cercato di giovarmi, attingendovi il più possibile. Quanto al mio libro la sua architettura si è delineata nel 2003, subito dopo la stesura del primo capitolo, in cui cercavo di rispondere alla domanda: quanti erano gli abitanti di Rigolato nell’anno 1800?
Contrariamente a quanto si è portati a pensare, per gran parte dell’Ottocento, e particolarmente nella prima metà, mancano informazioni sistematiche e dettagliate sulla popolazione. Ho cercato di rispondere ugualmente a quella domanda ricostruendo a tavolino nominativamente, nome per nome, la popolazione residente al 31 dicembre 1799. Per raggiungere l’obiettivo ho utilizzato tutte le fonti disponibili, in particolare quelle di movimento del Settecento e del settantennio 1800-1871. Il libro descrive questo percorso di ricerca.
Il lavoro si presenta suddiviso in tre parti: I) la prima dedicata all’analisi critica delle fonti e dei dati conosciuti e alla ricostruzione della popolazione al 31.12.1799; II) la seconda riservata all’analisi di alcuni aspetti demografici e alla ricostruzione di alcune vicende dei secoli XVII e XVIII; III) la terza incentrata sulla descrizione del territorio, dell’assetto proprietario, degli aggregati domestici d’inizio Ottocento e sulla dinamica demografica del periodo 1800-1871.

4. Voglio ora descrivere brevemente le principali fonti documentarie che ho utilizzato, in particolare quelle conservate negli archivi parrocchiale e comunale. Esse costituiscono un patrimonio importante, che sarebbe bello veder valorizzato con interventi di catalogazione e conservazione. Ma prima di entrare nei dettagli posizioniamoci un attimo a inizio Ottocento, il punto da cui parte il racconto.
Quelli a cavallo tra Settecento e Ottocento sono anni difficili, densi di sconvolgimenti e di difficoltà d’ogni tipo; s’avvia una «rivoluzione passiva», imposta dall’alto e dall’esterno, destinata a sconvolgere in un lasso di tempo molto breve assetti durati per secoli, apparentemente immutabili. Ricordo solo che Rigolato, come il resto della Carnia, dopo la dissoluzione, nel 1797, della Repubblica Veneta, fece parte della provincia Austro-Veneta del Friuli fino al 1805, del Regno d’Italia napoleonico fino al 1813, e del Lombardo Veneto fino al 1866. Il Comune amministrativo di Rigolato come lo intendiamo oggi nasce a inizio Ottocento. In precedenza ciascuna villa faceva comune a sé, ed era amministrata dalla vicinia, l’assemblea dei vicini, ovvero dei fuochi con diritto di voto, formalmente aggregati alla comunità. I territori della Parrocchia di San Giacomo di Rigolato e delle antiche ville, aggregate nell’attuale Comune di Rigolato, hanno sempre coinciso. Sempre a inizio Ottocento prende forma il primo catasto particellare, del tutto simile a quello attuale. Il territorio del comune amministrativo viene ripartito in cinque comuni censuari, ricalcanti (a parte Campiut) quelli delle antiche ville.
L’asse principale di comunicazione con l’esterno è costituito dalla strada di San Candido, nel tracciato pensato e realizzato (nel 1762) dai veneziani come alternativa alla Pontebbana. Nel 1809 risulta «percorribile durante tutto l’anno dai carri del paese», s’impiegano 8 ore per arrivare a Tolmezzo, 4 per raggiungere Sappada, e 16 ore e ½ per il passo di Monte Croce di Comelico. L’arrivo da Comeglians viene descritto dalla Guida della Carnia un secolo dopo, nel 1906, in questo modo: «partendo da Comegliàns si sale circa per un quarto d’ora, per discendere poi, a passare il rio Margò, 50 metri più in basso, e salire, per rampa molto ripida per cavalli, circa 90 metri, portandosi a Mieli di Sotto … Da Mieli, discendendo rapidamente, la strada porta in un quarto d’ora al cosiddetto ponte di Lapolêt, dal quale un altro erto tronco di strada in mezz’ora conduce a Magnanins e da qui in un quarto d’ora a Rigolato».

5. Le fonti demografiche vengono, in genere, suddivise in due grandi categorie: I) fonti sul movimento naturale della popolazione (registri battesimo, sepoltura, matrimonio…); II) fonti sullo stato della popolazione in un istante determinato (stati delle anime, censimenti…). Con riguardo alla loro provenienza, sono anche distinte tra: a) fonti d’origine religiosa; b) fonti d’origine civile.
L’obbligo di tenere i registri dei battesimi e dei matrimoni risale al Concilio di Trento; solo successivamente, col Rituale Romanum di papa Paolo V, viene esteso al registro delle sepolture. A Rigolato i registri di battesimo e matrimonio vennero istituiti nel 1574. Non si sa quando cominciarono le registrazioni delle sepolture, quelle giunte fino a noi partono dal 1618. La serie di registri ci è giunta quasi completa; presenta, infatti, alcuni buchi, dovuti a incuria e a perdite di varia natura. La mancanza più rilevante riguarda il periodo 1603-1617, privo di registrazioni. Altri vuoti, in genere coincidenti col passaggio tra un parroco e l’altro, si notano soprattutto nel Seicento. I primi registri dei battesimi, dei matrimoni e delle sepolture, scritturati fino al 1701, sono rilegati assieme in un unico volume; successivamente, invece, vi è identità tra volume e registro. Così abbiamo: il II volume dei battesimi che arriva fino al 1764, e il III fino al 1829; il II volume delle sepolture che arriva fino 1799 e il III sempre fino al 1829; il II volume dei matrimoni che arriva fino al 1829.
L’uso dei registri parrocchiali per scopi demografici deve fare i conti col loro essere registri «sacramentali» e non «anagrafici». Il limite più importante riguarda le sepolture che per gran parte del Seicento e del Settecento non rendono conto, se non in minima parte, della mortalità infantile. L’accuratezza delle registrazioni è strettamente connessa alla figura del parroco; vi è una notevole variabilità legata a fattori casuali. Fino a tempi non molto lontani il parroco veniva eletto dai capifamiglia o dai fuochi delle ville, riuniti in assemblea generale sulla Ropo, il 25 luglio, giorno della sagra patronale di san Giacomo apostolo; durava in carica 3 anni; all’atto dell’insediamento doveva sottoscrivere un vero e proprio contratto che disciplinava minutamente diritti e doveri suoi e delle comunità. Presunti brogli elettorali e mancata rinuncia al beneficio triennale furono spesso occasione di diatribe, che, come detto, non mancarono di riflettersi negativamente sulla tenuta dei registri canonici, specie nel Seicento. Ci sono pervenuti i ritratti di alcuni tra i parroci rimasti in carica più a lungo, ovvero dei principali artefici dei registri canonici ed anagrafici appena illustrati. È grazie al loro lavoro che oggi possiamo ricordare persone e ripercorrere eventi altrimenti inghiottiti dal tempo. Li mostro brevemente, augurandomi che vengano studiati come meritano, così come compaiono in alcune fotografie scattate negli anni ’70 del Novecento: a) Giacomo Vidale, prima economo, dal 1686 al 1688, e poi parroco, dal 1688 al 1728; protonotario apostolico; b) Nicolò Vuezil, parroco dal 1737 al 1752, fece costruire a sue spese la canonica; nel suo testamento dispose un legato di 4.000 fiorini per la mansioneria di Ludaria; c) Giovanni Battista Gussetti, cappellano dal 1763 al 1765 e poi parroco per ben 51 anni, dal 1765 al 1816, arcidiacono di Gorto; d) Odorico da Pozzo, originario di Maranzanis, parroco dal 1828 al 1851; e) Pietro Gortani, originario da Cabia, cappellano dal 1849 al 1851 e parroco di Rigolato dal 1851 al 1899.
L’ufficio di stato civile nasce nel 1806, con l’entrata in vigore del codice civile napoleonico. Da allora i registri parrocchiali e quelli «civili» coesistono. Questi ultimi assumono la veste di atti pubblici, con forza di certificazione legale. I registri del periodo 1806-1814 sono conservati nell’Archivio di Stato di Udine. Seguono uno schema predeterminato, che fornisce informazioni (professione, età, ecc.) diverse da quelle usualmente contenute nei registri parrocchiali. L’atto viene redatto dall’ufficiale di stato civile, alla presenza nel caso di nascita (e non più di battesimo, quindi) del dichiarante tenuto a presentare il neonato e di due testimoni; tutti gli intervenuti sono tenuti a sottoscriversi. Dal 1816, con l’entrata in vigore del Codice civile austriaco, i parroci divengono ufficiali di stato civile. I registri canonici continuano a coesistere con quelli civili (anche se sono entrambi compilati dal parroco).
I registri «civili» del periodo 1817-1871 sono conservati nell’archivio parrocchiale. Hanno una forma standardizzata, prestampata, stabile per tutto il periodo. Sono stati compilati con diligenza e forniscono una buona serie d’informazioni. Nel caso delle nascite le notizie comprendono oltre ai dati del neonato (giorno di nascita, nome, sesso, legittimità/illegittimità) e dei genitori (nome cognome, residenza, religione e professione) anche quelli dei padrini, e degli eventuali testimoni. Questi ultimi erano tenuti a sottoscriversi. La capacità di firmare è stata considerata un indicatore di alfabetizzazione, usato per stimare il peso dell’analfabetismo. Nel registro dei morti oltre ai dati del defunto (nome e sesso, età, religione, condizione, domicilio, genitori) compaiono anche quelli relativi alla circostanza dell’evento (le date e i luoghi di morte, della visita d’accertamento, della tumulazione) nonché all’ultima malattia o al motivo della morte. Il registro dei matrimoni è ancora più complesso, in quanto accanto ai consueti dati anagrafici e alla condizione e religione degli sposi e dei genitori, contiene anche quelli dei testimoni che, come tutti gli intervenuti alla formazione dell’atto, erano tenuti a sottoscriversi.
Fino ad oggi non è stato reperito nemmeno uno di quegli Status animarum che pure i parroci erano tenuti (dal 1614) a redigere annualmente per individuare quanti assolvevano al precetto pasquale. La prima vera anagrafe, impiantata nel 1811, è andata in gran parte dispersa; è disponibile solo per Magnanins e Valpicetto. Si stratta di un foglio mobile che raccoglie i dati individuali dei membri delle famiglie insediate in una determinata unità abitativa (cognome e nome, figliazione, data di nascita, patria, tempo di dimora, professione, stato civile, osservazioni). Più o meno le stesse notizie compaiono nei registri del Ruolo della popolazione del 1833 e del 1850, giunti integri fino a noi, che, però, sono redatti su fogli prestampati, rilegati in volume e sono conservati nell’archivio parrocchiale, il primo, e in quello comunale, il secondo. Fino al 1871 mancano censimenti regolari e sistematici della popolazione così come li conosciamo oggi. Esistono rilevazioni saltuarie, sprovviste dei caratteri di universalità e simultaneità che caratterizzano i censimenti attuali, svolte con finalità eterogenee, che a livello comunale restituiscono dati aggregati e privi di dettagli. In questo contesto il ruolo della sovrimposta personale (una fonte fiscale) si è rivelato decisivo per ricostruire la popolazione alla fine del 1812 e tracciare un punto intermedio tra il 1800 e l’anagrafe del 1833. L’imposta personale colpiva i maschi tra i 15 e i 60 anni. Il registro è volto ad evidenziare questo elemento, ed elenca la popolazione per unità abitativa secondo la progessione del numero civico.

6. Il grafico dell’andamento della popolazione di Rigolato negli ultimi quattrocento anni, dal 1607 al 2007, pubblicato nell’introduzione, equivale ad una sintesi, con prolungamento fino ai nostri giorni, del libro, che si conclude con l’anno 1871 non a caso, ma perché è in quel punto che i dati ricostruiti, relativi ad un’epoca pre-statistica, possono collegarsi con quelli attuali, frutto di censimenti più o meno regolari, universali e simultanei. Il suo tracciato descrive una crescita della popolazione quasi ininterrotta dagli inizi del Seicento fino ai primi anni del Novecento; dapprima, per due secoli, lenta, graduale e con qualche frenata, e poi, nell’Ottocento, vorticosa, esponenziale. La caduta verso il basso abbraccia quasi tutto il secolo appena trascorso, in particolare il secondo dopoguerra. Proprio ora, in questi anni, si è toccato lo stesso livello di quattro secoli fa. I 568 residenti del 2007 sono molto vicini ai 541 del 1647. Se fino agli anni ’80 era l’emigrazione definitiva a pesare fortemente su questo andamento, ora, giunti a livelli così bassi, sono fattori prettamente demografici, come l’invecchiamento e la bassa fecondità, che contano di più.
Negli ultimi quattro secoli, l’emigrazione da Rigolato è sempre esistita e si è sempre manifestata in tutte le sue varianti (temporanea, stagionale, definitiva), ma quella definitiva ha caratterizzato soprattutto il Novecento. Se ne può dedurre che oggi esista e viva una Rigolato invisibile, forse più ampia di quella ufficiale, fatta di rigoladotti nati a Rigolato sparsi nel mondo. È una Rigolato di cui si sa ben poco. Vittorio Vidali, il mitico comandante Carlos, morto nel 1983, nato a Muggia nell’anno 1900 da genitori provenienti da Verteneglio d’Istria, ricorda che i suoi nonni (ma, più probabilmente, bisnonni) «erano arrivati nel cuore dell’Istria con un carro di buoi, provenendo dalla Carnia, da Rigolato, un paesino incassato tra le montagne dove si poteva lavorare da boscaiolo o da pastore. Gente forte, rude, laboriosa». Certo Vittorio Vidali non immaginava che tra i suoi antenati ben pochi fossero stati i boscaioli o i pastori, e molti più, invece, i commercianti che già nel Seicento erano abituati a scorrazzare per l’Europa, nel Settecento facevano fortuna a Salisburgo, edificavano a proprie spese un altare nella parrocchiale, esprimevano notai e agrimensori, ripiegavano, infine, a inizio Ottocento, quando gli antichi traffici erano svaniti, su Verteneglio non come agricoltori senza terra, ma come possidenti, investendo quel che residuava dei loro patrimoni in nuove attività. La visione di Vidali coincide con quella che anch’io, come ho ricordato all’inizio, ho avuto, e che ritenevo, basandomi sulla esperienza e sulla percezione diretta, del tutto evidente, logica e verosimile. Il recupero di memoria storica dimostra quanto, invece, la realtà sia stata più varia, complessa, lontana dall’esperienza immediata di ciascuno di noi, e quanto fallaci possano essere la memoria, il ricordo non suffragati da riscontri «oggettivi».
Concludo con qualche nota aggiuntiva sul libro. Il testo ha una sua complessità, una struttura che può frenarne la fruizione e che richiede un certo sforzo di lettura. Ho cercato di limitare questa pecca tramite gl’indici analitici, partendo dai quali è possibile accedere ai contenuti in modo non sequenziale, seguire curiosità e suggestioni, soffermarsi su singoli elementi e particolari. Non è necessario, insomma, partire dall’inizio, ma è forse meglio saltabeccare qua e là. L’abbondanza di tabelle non deve spaventare più di tanto. Alcune di queste rappresentano semplicemente un modo di condensare contenuti, mentre altre documentano i passaggi logici del discorso, e la loro lettura non è indispensabile per proseguire. Lo strabordare di note non deriva solo dall’esigenza di rendere conto delle fonti da cui ho attinto informazioni e giudizi. Esse sono in gran parte una specie di libro nel libro, rimasto a livello frammentario, collocato, anche visivamente, al di sotto del discorso principale, dove ho accumulato una serie minuta di notizie, nomi e informazioni, che altrimenti sarebbero rimaste ancora nascoste tra le carte impolverate degli archivi.


Per orientarsi

La recensione di Giorgio Ferigo al libro di Alessio Fornasin si trova in «Quaderni dell’Associazione della Carnia Amici dei Musei e dell’Arte», 6 (1999), pp. 91-95.
Le descrizioni degli accessi stradali per Rigolato si trovano in Paolo Foramitti (a cura di), Il Friuli di Napoleone. Atlante dei territori compresi tra il Tagliamento e l’Isonzo, Monfalcone, Edizioni della Laguna, 1994, p. 65, e in Giovanni Marinelli, Guida della Carnia, Tolmezzo, G.B. Ciani, 1906, p. 302.
La testimonianza di Vittorio Vidali sta in Orizzonti di libertà, Milano, Vangelista, 1980, p. 14.

Segnalazioni

Alfio Englaro ha commentato la pubblicazione del libro nella rubrica I libri di Cjargne online da lui curata.