Giuseppe MARCHI

 

NOZZE ANGELI - TOSCANO

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Scarica questo file (nozze.pdf)Nozze Angeli-Toscano[Stabilimento Grafico Gio. Batta Ciani, Tolmezzo, 1912]390 Downloads
Nozze ANGELI-TOSCANO

 

Mione

Gentilissima Signorina,

desiderando di darLe una prova dell'affettuosa compartecipazione mia all'esultanza della Sua Famiglia, nel giorno faustissimo del Suo matrimonio, ho divisato di pubblicare una memoria che, tornando ad onore del venerato di Lei Padre ed a vantaggio della Carnia che pur Ella ama, non può non riuscirLe gradita.

La memoria lucida e dotta che Le offro, è opera dell'egregio mio amico Cav. Giuseppe Marchi, il quale la scrisse col convincimento che i fatti in essa esposti, mentre dimostrano l'attività feconda e sapiente del di Lei Padre, dovrebbero riuscire di esempio a quanti desiderano di accoppiare l'interesse proprio colla prosperità dell'intera regione.

Gradisca, gentilissima Sposa, questo mio modesto tributo di riconoscenza, cogli auguri più fervidi e cordiali.

Ovaro, Settembre 1912.

Dev.
Sartogo Melchiorre

 

COLTURE FORESTALI ISTITUITE dal Cav.r Luigi Micoli-Toscano NEI SUOI TERRENI IN Carnia

>Agrons e Mione

Il perché di questa pubblicazione

È costumanza antica quanto gentile di evocare in occasione di nozze qualche fatto notevole riferentesi alla regione, al paese natio, od alla famiglia di uno od altro degli sposi per farne tema di pubblicazione. Ora, stringendosi in nodo nuziale la gentile Signora Renza Micoli-Toscano, vuolsi renderLe un tale omaggio e riesce quindi indicato ricordare cosa legata alla Sua patria ed alla Sua famiglia ed a Lei gradita.

Assolvere un tale compito, non è punto difficile, poiché numerose sono le memorie pervenuteci di gesta brillanti avvenute nella valle di Gorto, culla dei Toscano, e numerose e distinte son le vicende della stessa Sua famiglia.

Potrebbero scegliersi nel campo religioso, attenendosi esse alla egemonia chiesastica della Pieve di S. Maria, «titulus - plebis matricis - totius canalis Sapatae et Cerciventi», alle cerimonie liturgiche che svolgevansi in tutta la vallata, al patrimonio d'arte raccolto nelle chiesette sparse ovunque nel Canale di Gorto. Altrimenti potrebbero scegliersi nel campo civile, attenentisi esse alla supremazia temporale, alla lotta diuturna per il dominio della valle, in cui rifulse la figura maschia e bellicosa di Ermanno, il castellano di Luincis. Ma questi argomenti assurgono a valore storico e van trattati da chi ne ha la voluta competenza.

Potrebbero scegliersi nelle antiche vicende famigliari, in cui emersero Giovanni Micoli, noto per rettitudine e per rigore, e Francesco suo figlio, che riorganizzò le sostanze ed eresse il palazzo, oppure in quelle recenti, ricordandosi ognora la virtù e la carità di Maria madre dei poveri, oppure di Luigia, avvinta per patriottismo e sposa per amore all'Ing. Linussio, di aspetto dolce, mesta e pensosa essa era, ma dall'ardire indomito e ribelle al servaggio della patria, si che fu ad un punto dal finire i suoi giorni nelle carceri dello Spielberg. Che più?

Ma questo è soggetto di poema, e se Dio vuole, sorgerà un giorno colui che evocherà la fulgida epopea del riscatto nazionale in Carnia.

Senza però ricorrere alle antiche istorie della valle, senza evocare gli antichi eventi della famiglia Toscano, evvi un'opera recente, sapiente e feconda, opera di civile progresso, che assai a proposito si presta all'uopo e che merita e vuolsi ricordata: le colture forestali istituite dal Cav.r Luigi Micoli-Toscano nei suoi terreni in Carnia.

Oggi alfine che il problema forestale è entrato nella coscienza di tutti, oggi che la legislazione nazionale lo ha elevato a questione di Stato, oggi che il culto dell'albero per virtù di civiltà rifiorisce come ai tempi di Roma antica, ora che tutto un vasto programma di restaurazione del monte si svolge ad opera di istituti pubblici e di aziende private, oggi torna altrettanto indicato quanto doveroso ricordare ciò che il Cav.r Luigi Micoli-Toscano, il pioniere dei rimboschimenti, compiva mezzo secolo fa, con chiarezza di concetto, con rettitudine di metodo, con ardore e con fede di apostolo, mirando ad insegnare, a dare esempio, ad incuorare i preposti della Carnia ad arricchirla ed a farla bella e felice.

È perciò ed è così che il compito dell'omaggio viene assolto con questa illustrazione, sia pur breve ed imperfetta, ma però fedele ed esatta, dell'opera civile del Cav.r Luigi Micoli-Toscano, padre della sposa.

I criteri direttivi delle colture

A parte tutto ciò che si riferisce a fabbricati, opifici, etc., la famiglia Toscano da tempo lontano possiede in Carnia un patrimonio consistente in terreni parte zappativi, parte prativi, parte boscati, ora raggruppati e prossimi fra loro, come quelli nei pressi di Mione, ora sparsi lungo la valle ed isolati, come quelli di Ovasta, di Ovaro e di Muina, tutti in Comune di Ovaro, ed altri tanti siti in diversi Comuni di Gorto, e consistenti ancora in terreni pascolivi e boscati siti nell'alta valle della Pesarina ed in quella del Lumiei.

I coltivi ed i prativi, dotati di convenienti fabbricati, per l'addietro formavano delle unità agrarie, o colonie, che in massima parte si concedevano in affitto come si concedevano in affitto i pascoli alpini o malghe, nel mentre il bosco, una volta maturo, veniva utilizzato direttamente. Tal forma di conduzione è quella generalmente seguita in Carnia per le possidenze di qualche importanza, e serve a disimpegnare il proprietario dalle cure della coltivazione assicurandogli un reddito netto fisso. Questo metodo però, se da un canto lo solleva dalle occupazioni agrarie e gli garantisce una rendita annua, dall'altro non gli consente piena libertà di regolare la coltivazione dei terreni e di portare in questi e nei metodi di coltura quelle migliorie che si manifestano adatte e quelle riforme che la scienza, continuamente progredendo, suggerisce come veramente vantaggiose. Per tal fatto troppo spesso le colonie rimangono alla sola mercé dell'affittuale che ha interesse a sfruttarle senza certi riguardi e, scarso di mezzi e privo di nozioni scientifiche, non è in grado di concepire e por mano ad una coltura razionale di esse che richieda opere di qualche importanza ed antecipazione qualsiasi di capitali.

Il Cav.r Micoli-Toscano non si cullò nel dolce far niente, non si mostrò pago della quiete, non si accontentò di fare come facevano i nonni; giovane ancora, ma maturo di mente e di studio, si propose di trovare un più adatto e migliore indirizzo nella coltura dei suoi terreni, e vi riuscì concretandolo nei tre principi: - «intensificare la coltura del prato nei terreni piani od a lieve pendìo, con irrigazioni e concimazioni, rivestendoli ancora di alberi resinosi - sopprimere o quasi il prato nei terreni a forte pendìo destinandoli interamente a bosco prevalentemente resinoso e secondariamente latifoglio - circoscrivere il pascolo agli altipiani dell'alpe ridonando ai versanti ripidi del monte la loro veste naturale, la selva».

Concepito questo piano, il Cav. Luigi Micoli-Toscano ne intraprese l'esecuzione verso il 1860, iniziando una serie di opere dirette ad irrigare i terreni prativi e coltivi, utilizzando le acque scorrenti presso gli abitati e gli stavoli e guidandole con opportuna rete di canali sulle varie plaghe dei fondi, così da servirsene anche per impastare, condurre e spargere il letame su tutta intera la prateria, e ciò con l'effetto di aumentare la produzione foraggiera e di migliorarne la qualità. Un esempio tipico di tali lavori è dato dal fondo Raviestis, sito poco sotto a Mione, e che estendesi in parte sull'altipiano, in parte sul pendìo che scende al Degano. Quivi si son raccolte le acque piovane che scorrono nel villaggio (e quelle di rifiuto della fontana), tutte cariche di immondizie, in un canale acciottolato che scende fino in fondo allo stabile e si sono creati numerosi altri canali minori che si diramano ai lati, a guisa di una larga spina di pesce, con che l'acqua ed il letame delle concimaie spappolato, giungono su tutti, anche i più estremi punti della prateria. Per tal modo questo stabile da cui precedentemente si ricavavano 120 quintali di fieno, oggi, e dopo destinata una parte a bosco e dopo alberata buona parte del rimanente, ne produce circa 400.

Quanto fu fatto in Raviestis, venne eseguito anche nelle altre grandi colonie di Granbosco, di Colari, di Baut e di Amboluzza, ed ovunque e costantemente con identico metodo e con eguale diligenza, ed ovunque ancora con l'effetto di raddoppiare e triplicare la produzione del foraggio.

Manco a dirlo, di conserva a questi lavori, vennero restaurati ed ingranditi i fabbricati di abitazione dei coloni e riformati gli stavoli per un miglior ricovero degli animali e per la capienza dei foraggi.

Mentre il Cav. Luigi Micoli-Toscano dava mano ad una tale innovazione, iniziava eziandio e simultaneamente le piantagioni di larici e di abeti, precisamente sugli stessi terreni in cui mediante quei lavori intensificava la coltivazione prativa; poiché, come si è detto, una parte di essi veniva destinata alla produzione foraggiera, quella piana o quasi, l'altra a pendìo più o meno forte, veniva invece destinata a bosco; e tali piantagioni di abete e di larice estendeva a molti altri terreni situati nel bacino di Ovaro, parte sulla destra, parte sulla sinistra del Degano. E mentre ancora compiva opera così vasta nelle praterie in Comune di Ovaro intraprendeva ed avanzava l'intensificazione e la trasformazione del bosco sulla montagna Rioda sita nell'alto bacino della Pesarina.

Per osservazione diretta come per nozione scientifica, Egli comprese che, tanto i terreni del bacino di Ovaro quanto quelli dell'alta valle di Pesaris, sono sommamente adatti allo sviluppo ed alla prosperità dell'abete e del larice, dacché i primi appartengono all'orizzonte limite fra il Permiano ed il Trias inferiore e sono costituiti dalla zona a Bellerophon con formazione calcare - gessifera, i secondi appartengono alla base del Trias infe­riore e sono formati da arenarie e da calcari micacei a Navicella costata, e gli uni e gli altri ricchi dei migliori elementi utili alla vegetazione, ove abbonda cioè l'argilla frammista al calcare ed ove frequenti sono le sorgive.

Le osservazioni del Cav. Micoli-Toscano lo portarono a ritenere poco adatti alla coltura dell'abete e del larice i prati in Comune di Ovaro volti a mezzodì con sottosuolo di natura ghiaiosa, tenace e troppo esposti alle valanghe, che a suo avviso meglio si adattano allo sviluppo del pino, del castagno e della quercia; avendo avuto ben presente che, mentre le prime piante consentono lo sviluppo dell'erba, specie il larice, le seconde la eliminano affatto e che, mentre l'abete ed il larice offrono prodotti di valore elevato ed a scadenza relativamente breve, il pino, il castagno e la quercia offrono una produzione di minor valore ed a scadenza lontana, per cui, se i primi possono ritenersi rimunerativi, i secondi non possono riguardarsi altrettali.

Nelle sue piantagioni il Cav. Micoli-Toscano agì e procedette con criteri diritti e precisi. All'impianto del larice destinò i prati posti sui versanti rivolti a Est, a Ovest e a Nord, quasi totalmente coperti di muschio e quindi produttivi di poca erba, terreni poi solitamente morbidi ed in maggior parte protetti dai venti, condizioni queste favorevoli alla coltura di quella pianta; ne destinò anche di quelli volti a mezzodì, ma con terreno soffice e sciolto. Sulle falde poi a forte pendìo ove scorrono nevi, al larice associò l'abete, ossia adottò una piantagione mista che la esperienza dimostrò indicata, poiché, come Egli bene osservò, il larice dal tronco debole nella prima età si curva facilmente e si schianta sovente sotto il peso della neve, mentre l'abete dal tronco robusto lo protegge e lo salva, sopportando esso il peso della neve medesima; il larice poi dalle foglie sottili e rade permette la circolazione dell’aria nelle selve più dense e la foglia stessa caduca giova a concimare il terreno, così che le due piante crescono assieme rigogliose e fitte e come suol dirsi sono simpatiche fra loro. Mentre poi la prima forma consente lo sviluppo dell'erba nel prato, la seconda lo esclude affatto.

Le piantagioni

Sempre nei prati, le piantagioni di solo larice si son fatte a filari traversali alla falda del versante distanti fra loro da 3 a 4 metri e le piantine sono state poste a due metri runa dall'altra, riuscendo in tal modo facile la falciatura dell'erba, giacché tale distanza è presso a poco quella di un colpo di falce. In qualche sito sono state eseguite più fitte, a metri 3 per m. 1.50, e le piante hanno raggiunto egualmente il loro completo sviluppo; in questo caso esse hanno raggiunto maggior altezza, ma son riescite più sottili, senza perdere per questo il loro pregio commerciale.

Nelle falde completamente boscate, dopo opportuno espurgo delle latifoglie, le piantagioni regolari sia dell'abete che del larice si son fatte collocando le postime a m. 1 ad 1.20 fra loro, nelle irregolari a distanze varie e sempre superiori.

I larici si sono piantati solitamente nella seconda metà di ottobre fino al sopraggiungere dei geli e le operazioni vennero riprese in primavera dopo sgelato il terreno; però se la piantagione autunnale diede buon esito, specie quando fatta con tempo umido, quella primaverile non riuscì tale, specialmente quando il terreno si mantenne gelato sin oltre la metà di aprile. Nei prati sfaldativi, dopo 6 o 7 anni dall'impianto, i larici vennero sramati sino a due terzi di altezza, e tale operazione venne ripetuta ogni due o tre anni sino a che raggiunsero l'altezza di 12 metri, eseguendo quest'opera sempre nel mese di marzo. Ciò ha consentito di continuare lo sfalcio dell'erba per oltre 20 anni, sfalcio che in molti siti continua ancora a seconda della densità delle piante e della esposizione del terreno.

Giusta i dettami del Cav. Toscano, la piantagione è stata fatta in modo semplicissimo. Un operaio con un tridente sollevava la zolla erbosa, smuoveva il terreno di sotto e vi collocava la pianticella di larice distendendone le radici che copriva tosto con terra minuta, indi rimetteva la zolla comprimendola fortemente col tallone. Un ragazzo lo seguiva conficcando nel terreno accanto alla piantina un paletto di sostegno, servente anche contro il peso della neve e di direzione ai falciatori in occasione del taglio dell'erba. A questo modo un operaio con un ragazzo piantarono comodamente circa 200 larici al giorno.

Nelle plaghe di terreno più o meno boscato, ma con piante di faggi ed altre latifoglie di scarso reddito, venne intrapresa un'opera di espurgo e di estirpazione graduale delle stesse con corrispondente loro sostituzione mediante altre di abete e di larice di gran lunga più rimunerative, attendendo per più anni al taglio dei rampolli che le prime davano dal ceppo, così da scongiurare che le giovani resinose restassero aduggiate dall'abbondante fogliarne delle latifoglie, più pronte delle altre a crescere e perciò tendenti a soverchiarle; e tali operazioni vennero eseguite a più riprese a seconda delle varie circostanze e con tatto e prudenza tanto maggiori quanto più manifesto si presentava il pericolo di frane e smottamenti, così che alcuno di questi ebbe mai a verificarsi a causa delle operazioni medesime.

Oltre alle piantagioni di larice puro nella massima parte dei prati, oltre a quelle miste di larice ed abete in altra minor parte, furono curati impianti sia di resinoso sia di latifoglio sulle pendici friabili e franose, sui lembi dei rivi e torrenti, ovunque interessava di rinsaldare il terreno e di proteggerlo contro l'azione degradante degli elementi, presidiando eziandio con palizzate alcuni punti ove la minaccia di scoscendimenti era maggiore e completando la difesa con opere di sistemazione nei rughi, quali briglie in sasso ed in legname.

Così queste opere razionalmente collegate alle piantagioni vennero a costituire un insieme armonico che assicura piene ed intere le finalità fisiche ed economiche della sistemazione.

Alquanto diverso si presentava il problema nell'alto bacino della Pesarina, cioè nella montagna Rioda, e differenti perciò furono quivi i criteri direttivi e difforme lo sviluppo delle operazioni.

Queste ebbero per obbiettivo tutta la falda del monte Rioda volgente a N. O., dai brevissimi piani pascolivi sottostanti alla vetta sino in basso nel letto del torrente Ongara, per una lunghezza cioè di 3 Km. ed una larghezza da 500 a 800 metri ; ad una altitudine da 1300 a 1700 s. l. m.

Una operazione di espurgo del faggio era stata fatta ancora nel 1836, e tosto si propagò l'abete ed il larice, ma la omissione delle cure dirette a combattere il latifoglio per la riuscita del resinoso portò alla conseguenza che il faggio in pochi anni riacquistò il sopravvento e minacciava di soperchiare e soffocare con un generale aduggiamento tutte le piante resinose.

Fu perciò che poco dopo il 1860 vennero nuovamente intraprese le operazioni di trasformazione della faggeta in abetaia e per più anni di seguito vennero poi estese le cure volute per assicurare la completa riuscita del larice e dell' abete, che per tal modo crebbero rigogliosi, cosicché ora la falda del monte Rioda dal basso fin quasi alla cima è rivestita di piante resinose di mirabile bellezza.

Nel corso delle operazioni, vicende avverse non mancarono per certo, specialmente per quanto riguarda il larice. Talvolta primavere ed estati molto asciutti fecero perire in numero notevole le piantine; falciatori malpratici ne recisero e ne offesero in numero notevole ove l'erba alta le nascondeva alla vista; le capre lasciate spesso senza custodia s'introdussero talvolta nelle piantagioni cimando le piantine e rodendone il fusto; le nevi qualche inverno pesarono di troppo sulle piantine, specie sui margini dei fondi, e ciò con danno non solo, ma con infinita tristezza del selvicultore. Per tutte queste cause avverse, fra il primo e il terzo anno dell'impianto, circa metà delle postime piantate andò perduta, ma si provvide sempre alla loro sostituzione nell'anno susseguente.

Le colture forestali istituite dal Cav. Micoli-Toscano, quali sopraaccennate, sono svariate a seconda della ubicazione dei terreni, della loro natura, della loro esposizione ed a seconda di particolari e specifiche circostanze. Esse possono qualificarsi :

  • piantagioni di abete regolari (a filari)
  •           »            »      irregolari
  •           »      di larice regolari (a filari)
  •           »            »      irregolari
  •          »             »      ed abete regolari su prato
  •          »             »             »      irregolari     »
  •          »             »             »      sopra faggio
  •          »        di quercia
  •         »         di larice ed abete regolari su pascoli
  •         »             »              »      irregolari       »

Il seguente quadro riassume per sommi capi le colture fo­restali con indicazione dei principali elementi delle medesime.

RIASSUNTO DELLE PIANTAGIONI ESEGUITE

RIASSUNTO DELLE PIANTAGIONI ESEGUITE

I risultati delle opere

Da un esame dei terreni si rileva che nei prati piantati a larice questi si contano in numero di 150 a 200 circa per ogni 1000 mq., occupano cioè mq. 5 a 7 per ciascuno; nei prati piantati ad abeti questi si contano in numero di 100 a 150 circa per ogni 1000 mq., occupano cioè da 10 a 12 mq. per ciascuno; nei prati piantati ad essenza mista di larice e di abete questi si contano in numero di 100 circa per ogni 1000 mq., occupano cioè circa 10 mq. per ciascuno. Naturalmente ove al larice e all'abete è frammisto il faggio, come nelle falde ripide e rocciose e lungo le sponde dei torrenti, le medie preindicate si riducono a metà ed anco oltre.

Una statistica delle piante ora esistenti dà i seguenti risultati.

Statistica delle piante ora esistenti

La varietà delle altitudini a cui sono collocate le piante (da m. 450 a 800 in Ovaro e da m. 1300 a 1800 in Rioda, s. l. m.), la differenza dei terreni su cui si nutrono, le esposizioni diverse e tante altre cause, influiscono sulla durata del periodo necessario alla maturazione, che perciò varia dai 50 ai 100 anni per gli abeti e dai 70 ai 125 per i larici. Dato lo sviluppo quasi completo ormai assunto da una parte considerevole delle piantagioni e date le epoche diverse in cui vennero piantate le postime, fra breve potrà istituirsi una rotazione delle prese legnose con un periodo di circa 25 anni; e così si inizierà l'êra dei frutti, con soddisfazione più che legittima per il selvicultore, ma forse non tanto viva quanto quella provata durante le svariate operazioni da esso compiute.

Tutte le descritte piantagioni vennero eseguite fra il 1860 ed il 1884; ossia in poco più di 20 anni con costanza e con amore ammirevoli. Nei primi anni in cui il Cav. Micoli-Toscano intraprese le piantagioni di larice nei prati, incontrò la generale disapprovazione, poiché prima di Lui in Carnia, all'infuori di qualche saggio lungo il lembo dei torrenti, di fianco alle strade e per uso di siepe, non s'erano fatte. Prima d'allora come anche di poi si fece il rovescio; vi fu anzi una gara fra tutti a dissodare terreni boschivi per ridurli a prato, con quel vantaggio poi che pur tutti conoscono. S'era fatta strada perfino l'idea che le foreste resinose rendessero l'atmosfera troppo umida e fredda con danno per le colture di cereali e con perdita di erba nei prati, e si predicava di allontanare i boschi dai villaggi e dai terreni coltivati!

Le colture forestali del Cav. Toscano, mercé una direzione oculata, grazie ad una costante vigilanza e mediante continui risarcimenti, riportarono completo successo, e ben presto nel Canale di Gorto, specialmente in Comune di Ovaro, l'esempio giovò, e parecchi adottarono in seguito la nuova coltura. Si è così che molte praterie di Mione, di Muina, di Ovasta, di Comeglians, per tacere di altri siti, si ricoprirono di piante resinose, e qua e là nelle insenature del terreno, nelle falde ripide ed ombreggiate e sulle pendici scoscese apparvero macchie di abete e di larice, per modo che chi volga ora lo sguardo intorno ad Ovaro, resta compreso ed ammirato nel vedere quella conca tutta rivestita di manto selvoso e le falde tutte dei monti giudiziosamente inframezzate di prati piantati e di bosco che, con la consistenza del suolo e il buon regime delle acque, assicurano una maggiore ricchezza ai loro proprietari.

Poiché, come si è detto, oltre al sopra valore dei terreni dato dalle piante, la specializzazione ed intensificazione delle colture aumentò la produzione foraggiera, cosicché ora, malgrado l'area considerevole assegnata al bosco ed alle piante, il numero dei bovini che possono mantenersi in Ovaro è assai maggiore di quello di prima.

Alle piantagioni ed altre opere sopraccennate il Cav. Toscano ne aggiunse di altre ancora intese a migliorare i pascoli montani. Costrusse a nuovo e razionalmente i fabbricati della malga Rioda ed in questa e nelle altre di Forchia e di Palazzo restaurò i pascoli con estirpazione di cespugli, con spiegamenti, con drenaggi etc. etc. Nei pressi poi della segheria Aplis costruì difese contro il torrente Degano e creò una prateria di notevole estensione che può considerarsi un modello del genere.

Non pago di aver popolato di larici e di abeti i terreni di antica appartenenza della sua famiglia e di averli migliorati in tante maniere, il Cav. Toscano cercò l'acquisto di altri onde estendere anche su questi le colture forestali da Lui così intensamente propugnate ed adottate. Comperò così in varie riprese dal 1885 al 1900 pascoli e boschi in comuni diversi di Gorto e cioè:

Proprietà di pascoli e boschi in comuni diversi di Gorto

Non si tosto ne fu in possesso, circoscrisse il pascolo, soppresse i cespugli, espurgò il latifoglio e piantò dappertutto larici ed abeti, in modo che ora quei latifondi si distinguono dagli altri finitimi e consimili per la densità del bosco resinoso, per la uniformità della vegetazione e per l'aspetto quanto mai bello e gradevole delle falde tutte vestite del loro manto selvoso.

L'opera del Cav. Micoli-Toscano fu nota ovunque specie ai selvicultori ed alle autorità preposte a tale materia, e parole di lode e di incoraggiamento gli pervennero dal Ministero di Agricoltura e dal Comitato forestale della provincia di Udine.

Dopo naturalmente studiato il problema delle colture forestali, Egli ebbe sempre la coscienza di aver proceduto rettamente e bene, tanto nei riguardi della economia generale quanto nell'interesse suo particolare, ed apertasi nel 1884 in Torino una esposizione nazionale vi concorse dando conto dell'opera propria. La Giuria riconobbe l'alto valore delle colture forestali compiute e le apprezzò degnamente assegnandogli una delle più alte distinzioni: la medaglia d'oro. Recentemente poi la «Pro Montibus et Silvis» nella seduta consigliare del 2 Febbraio p. p. gli conferì diploma di benemerenza per i rimboschimenti da Lui eseguiti.

Considerazioni

Nella relazione che il Cav. Toscano inviava alla giuria di Torino si leggono queste parole che meritano riprodotte a riprova della chiarezza dei concetti che Egli fin da allora aveva del problema forestale (che da tanti anni affatica la mente dei tecnici e degli economisti), e della visione lucida che pure aveva dei vantaggi finanziari ottenibili dalla selvicultura.

«Prescindendo dagli effetti utili delle piantagioni alpine nei riguardi tellurici ed idrografici, che paiono scopo precipuo della nuova legge forestale, al raggiungimento del quale questa industria concorre sì potentemente, se consideriamo la questione solo dal lato economico, egli è certo che se quest'industria fosse estesa generalmente nella Carnia su tutti i fondi incolti di Comuni e di privati e sui prativi tutti che fossero adatti per le piantagioni, in un periodo di 50 anni di qual tesoro non ne sarebbe arricchito il paese? e come meglio si potrebbe provvedere per assicurarsi la consistenza del suolo e regolare il corso delle acque se non coll'estendere le piantagioni non solo nelle località minaccianti frane, ma bensì lungo interi versanti di montagne?
Se non si sviluppa l'amore alla selvicoltura nei paesi ad essa acconci, da qui a mezzo secolo, quando altri più estesi dilapidamenti di foreste saranno compiuti, il legname che è pur necessario per tante applicazioni diventerà un oggetto di lusso con grave danno di tutti.»

Sante parole, ma che in Carnia caddero nel vuoto, dacché, a parte l'opera dello Stato nella valle del Tagliamento, pur troppo non sempre felice, ed a parte qualche timido tentativo di piantagioni eseguite qua e là senza radicata convinzione, senza direttiva razionale, senza ombra di costanza, poco, assai poco, per non dir nulla, si è fatto in materia di colture forestali. Ahimè! l'opera del Cav. Micoli-Toscano è rimasta ancora altrettanto splendida quanto unica in Carnia.

I Comuni, i Consorzi ed i grandi possidenti non hanno mai posto mente al bisogno ed all'utilità della coltura del bosco.

Pur troppo manca in generale ogni nozione di silvicultura e di economia silvana; non si conosce affatto la potenzialità produttiva del terreno montuoso, la virtù rimuneratrice del bosco, quando sia piantato, invigilato e governato, e quando sia considerato e venga trattato come una vera coltura.

Purtroppo tesori ingenti vanno perduti per una colpevole trascuranza, per un vero abbandono in cui si lasciano estesissimi patrimoni boschivi e vastissime plaghe di terreni incolti, spogli di piante, maltrattati dagli elementi, dagli animali e dall'uomo! Purtroppo seguendo una teorica che appellano economia, essi fanno ogni sforzo e cercano ogni espediente per non spendere, credendo così di far del bene e, come essi dicono, di risparmiare, e non si accorgono che questo è il vero modo, il mezzo più adatto per diventare ogni giorno più poveri. In mezzo a un mondo e in epoca in cui tutto e tutti s'adoprano febbrilmente a sviluppare ogni energia, a moltiplicare ed a perfezionare i mezzi di produzione, ad aumentare quest'ultima per aumentare con essa la ricchezza ed il benessere nazionale, in mezzo a questo mondo ed in quest'epoca, essi credono di ben amministrare il patrimonio forestale risparmiando, ovverosia non spendendo in esso, sfruttando in una parola quello che madre natura dà da sola anzi quello che rimane nei boschi dalla furia degli elementi infrenati, dalle insidie di animali piccoli e grandi e dalle malversazioni dell'uomo. Essi fan opera non dissimile da quella del barbaro: spogliano la terra e poi l'abbandonano.

Se il Cav. Toscano non avesse dispendiato quel che dispendiò nelle sue colture forestali, avrebbe egli ora quelle centinaia di migliaia di larici e di abeti, il cui valore supera ora e di molto quello stesso del terreno su cui sorgono? E quando Comuni e Consorzi avranno risparmiato, risparmiato e risparmiato, cosa avranno ottenuto con ciò da qui a qualche decennio? Non ci s'inganna dicendo che alla fine essi stringeranno non altro che un pugno di mosche, e così, anziché trovarsi alla pari con gli altri nel campo del lavoro e sul mercato dei prodotti, rimarranno in coda a tutti, carichi di ignoranza e pieni di miseria.

Fortunata la Carnia se invece di dilaniarsi in sterili competizioni, invece di esaurirsi in liti inconsulte, invece di versare le sue energie all'estero, avesse profuso le sue cure e dispendiato un po' di danaro nei suoi boschi, nei suoi pascoli, nei suoi prati; quanto più ricca, quanto più bella, quanto migliore sarebbe ella oggidì.

Fortunata la Carnia se al governo della pubblica cosa fossero stati preposti uomini dai propositi e dal valore del Cav. Micoli-Toscano. Ella sarebbe oggi ben altra! Certamente a milioni potrebbe contarsi la sua maggior ricchezza e a centinaia di migliaia di lire le maggiori sue rendite. E valga al vero: se sopra 200 ettari di bosco e 200 di prato il Cav. Micoli-Toscano ottenne quello che si è più sopra spiegato, seguendo il suo esempio, cosa avrebbe potuto ottenere la Carnia che conta 30.000 ettari di bosco e 20.000 di prato?

Ciò che non fu fatto può ancora farsi, e se questa memoria potrà squillare nelle valli della Carnia e risvegliare le energie assopite, oltre a tributare un omaggio alla Signora Renza, oltre a portare un nuovo conforto al Cav. Toscano, essa potrà riuscire un contributo utilissimo in prò delle colture forestali ed un incentivo giovevole all'economia rurale che ha bisogno intenso ed urgente di innovazioni e di miglioramenti.

La conca di Ovaro

Ora basta; torniamo alla conca splendidissima di Ovaro ove

“Un tappeto di smeraldo
Sotto il cielo il monte par„1

Soffermiamoci e volgiamo intorno lo sguardo. Nel fondo la chiusa di Voltignacco che rinserra il bacino in cui irrompe e scroscia il Degano. Più sopra la pieve di S. Maria di Gorto, maestosa e bella, con la torre aguzza che pare un larice. Ella s'erge sul colle e domina tutto attorno l'ampia vallata, e sembrano ancelle sue Cella ed Agrons che le stanno ai piedi. Di sopra Ovasta che si dispiega a greco sulla costa del monte e sotto ad essa Luincis dalle antiche memorie. E quivi presso S. Martino, la chiesa più antica, testimone dei fasti gloriosi della valle. Più sopra, mollemente adagiata fra le pieghe del colle, Luint, che si asconde fra i boschetti di larice e le macchie di abete, e più sopra ancora Mione, da cui si ammira tutta la valle, da S. Giorgio al colle di Muina, da Agrons a Clavais, ed ovunque l'occhio si posi, lo sguardo riposa sui ripiani variegati che sembrano le onde burrascose di un mare verdastro.

Alziamo gli occhi. Ecco la cornice del quadro. A manca il passo profondo del Volaja e la vetta superba e prettamente dolomitica del Coglians, come gemma splendente sotto un velo nevoso, e i pascoli ubertosi di Crostis e di Taront. Di contro le cime di Tamai e dell'Arvenis degradanti bellamente in prati e in boschi sin presso ai villaggi. A destra le propaggini selvose scendenti all'altopiano di Lauco. A tergo la valle della Miozza, il ciglione delle Navarze e il Col Gentile, dalla cima ricurva come il corno dogale. E in mezzo al pianoro, troneggiante fra le casette di Mione, il palazzo Toscano, che si estolle semplice e grandioso

“Tra il profumo degli abeti
Ed il balsamo dei fior„2

Egli è tutto un poema di bellezza che ricolma l'animo di una letizia delicata ed indimenticabile.

A colorire questo panorama incantevole concorse anche la mente e la mano del Cav. Luigi Micoli-Toscano. Iddio voglia che Egli possa rimirarlo ancora a lungo. Egli lo merita. Tutti glielo augurano di vero cuore.

Tolmezzo, Agosto 1912.

Giuseppe Marchi


  1. In Carnia, Poesie di Giosuè Carducci, Bologna N. Zanichelli 1909. 

  2. ibidem.