Giovanni GORTANI

 

Le vecchie famiglie di Gorto

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Scarica questo file (Le vecchie famiglie di Gorto.pdf)Le vecchie famiglie di Gorto[Giovanni Gortani,Tipografia de Marchi, Tolmezzo, 1898]1086 Downloads

 

Le vecchie famiglie di Gorto

Pregiatissimo Signore
Signor Giuseppe Micoli


Muina

 

Da molti anni unito a Lei da vincoli di vera e riconoscente amicizia mi gode l'animo nel salutarLa, oggi, Sposo felice e contento, e Le faccio l’augurio che questa felicità e contentezza mai abbiano ad offuscarsi.

Quale espressione della lieta compartecipazione dell’animo mio alla simpaticissima Festa di oggi, che ricorderà l’esultanza di quanti, con me, ravvisano ed ammirano in Lei e nella di Lei Graziosissima Maria, doti non comuni di mente e di cuore, io, mi permetto di licenziare per le stampe una memoria, gentilmente favoritami, dall’Egregio Sig. Dott. G. Gortani, con la sicurezza che’Ella, vorrà gradire, con questo, la riconferma della mia più sentita amicizia.

Aff. e obbligatiss.
Melchiorre Sartogo

Ovaro 22 Agosto 1898.

1.

Fra' più antichi documenti rimastici in Friuli c’è un diploma abbastanza conosciuto del primo Berengario, rilasciato nel 914 dal suo castello di Garda, in favore di un sacerdote aggregato alla Chiesa d’Aquileia. In esso è detto che, ad instanza del pio marchese Grimoaldo, il sovrano rilascia a codesto prete — Petro de Castro Julio sex massaricias juris regni sui, in Comitato, Forojuliensi adjacentes, — e poi le viene così specificando:

  • la prima a Lauco,
  • la seconda a Lovaso, — località ne’ pressi d’Invillino, ricordata ancora in un atto del 1562, poi convertita in Solevàs,
  • la terza in Lagunar, — che converrebbe rintracciarla fra le tante Laune disseminate per la Carnia,
  • la quarta in Vinadia, — che se non è bene precisata, dovea trovarsi in ogni modo lungo il rio Vinadia,
  • la quinta in Reng,
  • la sesta in Gorgo, — entrambi due nomi sconosciuti, a meno che, quanto a quest’ultimo, non lo si volesse, così ad orecchio, interpretare per Gorto.

In quella vece è ineccepibile il ricordo che se ne fa nell’atto di fondazione dell’Abazia di Moggio, dovuta al Patriarca Uldarico I., e che si assegna comunemente all’anno 1118. Innanzi tutto in quel documento si trovano dettagliati i beni assegnati in dotazione al cenobio erigendo dal conte Cazelino istitutore, indi quelli aggiuntivi in larga misura dal Patriarca medesimo, fra’ quali sono annoverate le tre Pievi di Dignano, di Cavazzo, e di Gorto. Erano dunque tre Pievi preesistenti, e forse di data remota, sebbene mai ricordate in documenti anteriori; né per tutto quel secolo rinviensi di Gorto altra memoria, né della sua Pieve.

Nel secolo dopo, sull’ acque tenebrose dell’obblio rimase a galla appena il nome d’alcuni valligiani di Gorto, — p. e. un Giovanni di Culina (1264), un Pietro di Canfinello (1265), un altro Pietro di Prico (1266), e poi Norando figlio di Marino di Brico, che avrebbe ad essere la stessa cosa (1267), e un Varnero di Guart, probabilmente di Luincis (1270), e i montanari di Cludini, come coloni della Sede Aquilejese (1275) nonché dei signori di Brazzacco (1286), e per ultimo quei d’Avaglio e di Liariis investiti del monte Arvenis (1295).

A cominciare dal trecento, abbiamo già una certa abbondanza di memorie di Gorto, se non altro, negli archivii delle sue chiese, dal cui esame si vengono a rilevare certe consuetudini che oggidì si direbbero delle strane anomalìe: per dirne alcuna, a mo’ d’esempio quel vedere assistere per testimoni ai testamenti i congiunti del testatore, gli stretti parenti di qualche erede o legatario, e così i preti in tempo che c’erano sempre dei legati per le chiese o per chi vi officiava, e non rare volte eziandio delle donne.

Ebbene quei testamenti, quei contratti venivano rogati ovunque fosse, al coperto e allo sciorato, nella camera o nella cucina del testatore, sotto il portico, nell’orto o nel cortile d’alcuno dei contraenti, o dei testimoni, o de’ notai roganti, quand’erano indigeni: oppure lungo la via, o in qualche chiesa, sovente in quella della Pieve, o nel suo peristilio, o nel cimitero, però non mai nella maggior solennità del 15 agosto, a differenza dei nodari del Canale di s. Pietro che, a farlo a posta, nella gran festa di s. Pietro in Vincola erano sempre lassù d’attorno la Collegiata coll’arco teso per cogliere qualche cliente nel trabocchetto.

Parecchi di quegli atti sono stati eretti in Ovaro, quelli sopra tutto di don Carismano, il quale abbinava in sé le due mansioni di nodaro e di curato, ostentando di rimpatto dose doppia d’ignoranza. Uno ve n’è del 1409, rogato — in platea ville de Ovaro sab tileis, — un altro del 1531 in Mignulesco, dov’era allora la casa canonica del Vicario d’Ovaro, — e poi un terzo e un quarto, stesi dal 1533 in poi sotto il porticato o nel negozio di ser Ottaviano aromatario, pigliatelo poi come volete, per uno speziale o un pizzicagnolo, ciò che non deroga al suo onore d’avere per figlio un ser Nicolò de’ Giorgi Nodaro del Canal di Gorto, — nientemeno! quanto dire un autocrate di tutte le Russie, o giù di lì.

Nel 1368, il 15 giugno, ne fu steso uno a Liariis — super pratum ubi fit festum sancti Viti, — s’intende già festa da ballo, che non rare volte l’andava a terminare anche quassù fra
«Baci di Nenne e colpi di pugnale»
come le sagre napoletane di Piedigrotta.

Nel 1567 una prima volta, e dopo, un’altra nel 1603 sotto la data del 31 agosto s’incontrano due documenti eretti sul prato di s. Martino, dove sembra che in quella giornata ricorresse una qualche sagra o una fiera.

Risulta pure da quelle carte che, almeno fino dal 1378 nella Pieve di s. Maria c’era una Fraterna, che poi da un testamento del 2 aprile 1416 si viene a rilevare intitolata a s. Elena e s. Michele, ed anzi che la Fraterna medesima aveva anch’essa la sua chiesuola speciale — in cemeterio Plebis s. Mariæ. — Ora, siccome da un contratto eretto in Venzone nell’aprile 1431 risulta che poco tempo prima la Pieve di s. Maria era stata distrutta da un incendio, per cui un mastro carpentiere lì del paese s’impegnava entro luglio di darla rifatta (il che non concorderebbe colla data scolpita in una pietra confitta nel coro, 1464): ebbene, o in quell’incendio o nella rifabbrica pare che la chiesetta della Fraterna sia sparita. Tuttavia dopo d’allora quella Fraterna è ricordata spesso nei testamenti, e nei contratti di mutui livellarii: con di più si viene anche a conoscere che lì proprio sulla collina aveva una casa di propria appartenenza, forse nel basso, presso l’entrata, dove si scorgono tuttora murazzi in rovina. Quella casa la si trova così ricordata: — il 12 settembre 1557, — actum super colle Plebis, ante domum Fraternitatis ss. Michaelis et Hellene Plebis Gorti.

Anche in Gorto nel medio evo c’era l’uso di ministrare a Pasqua l’Eucaristia sotto ambe le specie del pane e del vino; almeno in qualche testamento parlasi di secchie di vino destinate a quest’officio. Che se era mente dei testatori di far onore per la circostanza al vino paesano, il quale sendo confezionato con uve immature non perde l’aspretto originario fino che non sente i calori di luglio, figuriamoci un po’ i visacci e gli sberleffi che dovevano fare a Pasqua quelle devote e quei devoti, nel sentirsi rodere le gengive e serrare le mandibole dal razzentino!

E c’era l’uso altresì di donare alla chiesa, di solito, qualche misura d’olio per illuminarla: lo si scontava a cinque soldi la libbra, per cui i lasciti di tale natura abbondavano, onde ne doveva essere dell’olio d’avanzo anche per condire l’insalata al sagrestano. Invece più rari e più parchi erano i legati di cera. Un solo benefattore di Ravascletto nel 1373 ne largheggiò in un colpo solo quattro libbre - ad stateram ligneam, - pel suo s. Matteo, per s. Giorgio, e per la Pieve; mentre nel 1420 un altro d’Agrons limitavasi a regalare alla sola Pieve - unum duplerium cere unius libre ad stateram ferri. - Quale ne fosse il divario tra le due stadere non lo so dire, se pure non era quello che tra la libbra grossa veneta e la minuta.

Da un testamento del 1433 risulta che, per l’esequie dei morti, competeva all'officiante, - secundum usum Contrate, - l’offertorio e il desinare tanto nel giorno dell’inumazione, come nel settimo e nel trentesimo. Così pure si sa che la gente di polso costumava anche in Gorto, per la ricorrenza degli anniversarii, di ricordarsi anche dei proprii compaesani, lasciando loro delle limosine o settimine, su per giù, di questo stampo, — uno staio di segala, un altro di frumento, due pesinali di fava, trenta libbre di cacio (1371), — al che taluno usava aggiungere anche qualche secchio di vino.

2.

Del resto da codesti archivii di sacrestia non c'è a dir vero da poter ritrarre altro profitto, né lusingarsi che ne rispecchino le vicende dell’epoca, né i costumi e le abitudini della vita intima degli abitanti. La maggiore dovizia è quella de’ nomi, — nomi di chiese, nomi di villaggi, e di persone, di camerari, di preti officianti: di alcune famiglie, di contraenti, di benefattori, di notai roganti, nonché dei villaggi, e dei terreni contrattati o dati a cauzione ad pias causas.

Passando a rassegna la lista di quei nomi, ne occorre di riscontrarvi prima di tutto che fra’ luoghi abitati d’allora parecchi subirono delle trasformazioni: lasciamo stare Ambuluzza, antico villaggio che avrebbe per base la sola tradizione, ci rimangono Prencis e Tavosco, villaggi abbandonati, e Canfinello, Ambladisa, Rivinalio, Cuzinalia, e forse qualche altro, non villaggi ma semplici casali, rimasti assorbiti dalle ville contermini, epperò dimenticati.

Delle chiese attuali di Gorto se ne trovano ricordate parecchie; di alcune altre se ne presume già l’esistenza dai nomi dei titolari ormai usati dagli abitanti.

  • In un testamento del 1305 in favore della Pieve si trova fatta allusione eziandio — aliarum Capellarum ad eandem Plebem subditarum, — citandone poi per nome soltanto quelle di s. Vigilio d’Ovaro e di s. Giorgio di Calgareto.
  • Nel 1310 fa capolino s. Stefano di Cella,
  • nel 1316 s. Martino al ponte,
  • nel 1319 s. Lorenzo di Clavais,
  • nel 1322 s. Croce di Luincis, s. Canciano di Prato, s. Giacomo di Rigolato,
  • nel 1323 s. Matteo di Monajo,
  • nel 1327 s. Odorico d’Ovasta,
  • nel 1333 s. Andrea di Zovello,
  • nel 1335 s. Nicolò di Comeglians,
  • nel 1341 s. Tomaso di Cludini, s. Nicolò di Vuezzis, s. Michele di Collina,
  • nel 1342 s. Vito di Liariis,
  • nel 1346 s. Michele di Trava (nella Pieve d’Invillino ), s. Giacomo di Pesariis, s. Lorenzo di Forni, s. Giovanni di Frassineto;
  • poi successivamente, in epoche diverse, s. Pellegrino d’Entrampo, s. Pelagio di Muina, s. Nicolò d’Agrons che sarebbe il terzo. Ed è strana la devozione per questo santo che avevasi fin d’allora ne’ paesi nostri. Appena passata la Fella, nel primo paese di Carnia, ecco, ci si affaccia s. Nicolò d’Amaro a farci gli onori di casa: in valle di Gorto l’abbiam veduto in Agrons, a Comeglians, e a Vuezzis; in quella di s. Pietro ci abbatteremo ben quattro volte nel santo medesimo, — s. Nicolò di Alzeri ne’ pressi di Piano, — s. Nicolò di Lauzana a Paluzza, poi convertito in locale scolastico, — s. Nicolò di Ligosullo, — e s. Nicolò di Tavella a Sutrio, quest’ultimo forse introdotto negli ultimi secoli, ma gli altri tre esistevano già al cominciare del trecento.

Oltre ai nomi comuni di battesimo, tolti dai santi del calendario, come s’usa tuttora, vi troviamo mescolati non tanto di rado degli altri più o meno locali. Allora c’era l’andazzo, molto più spiccato fuori di Gorto, di appiccicare ai neonati il nome dei paesi: così sul primo ingresso di Carnia ci si abbatte in un Amarese e un Tumicino, indi all’imbocco di val di Gorto, un Avalino ed un Travano: poi lungheggiando il Degano ci avverrà d’intopparsi in un Liargiano, un Clavaiano, poi risalendo la Pesarina, un Priano, un Trujano, un Osaino. Nè v’era difetto di Toscani, giacché se ne incontrava a Comeglians, a Muina, a Ovaro, a Rudella uno che pell’appunto era figlio di ser Romano, e taluno anche a Tolmezzo: de’ Romani poi c’era la fiacca addirittura, massime nelle Cure di sopra: oltre ad uno in Agrons, e quello sporadico di Rudella ve n’era di raccolti tra Povolaro, Mieli e Tualiis, altri dispersi fra Collina, Givigliana e Ludaria, ed altri fra Zovello e Monaio: del resto lo scialacquo maggiore lo s’è fatto del nome generico, Gortano, che fu usato ed abusato un po’ da pertutto; né il vezzo limitavasi ai nomi maschili soltanto, che c’era anche nomi di donna, come Franza, Florenza, Provenza, Marchiana.

C'era peraltro anche una serie di nomi esotici, forse introdotti in paese dai primi Gismani, a cui da’ Patriarchi bavarici venne affidato il feudo di Luincis; e sono di questo stampo: — Corrado, Carismano, Ermano, Enrico, Guecello, Geroldo, Guglielmo, Norando, Valcone, Vargendo, Valtero e Varnero, che si appaiavano a maraviglia con una qualche Adeleita, o un’Amaranza, Belia, Brunissa, Cunionda, Dolza, Ellica, Galliana, Malvina, Meinarda, Palomba, Polalda, Suriana, Vinta e Valdrada: o non sembra di leggere una pagina di storia longobarda?

Qui verrebbe in taglio di stendere anche la serie di nomi dei terreni ricordati in quei documenti, ma questo saprassello di noia vuolsi risparmiarlo a chi legge, anche per non guastare un argomento, che trattato ex professo con corredo maggiore di materiali, e con sufficiente conoscenza de’ luoghi potrebbe riuscire uno studio di discreta importanza.

Quanto alla parte aneddotica, alla vita famigliare di codeste genti, passate a rassegna fin qui, da quelle aride pergamene si può espilare quasi un bel nulla. Senonché dall’incontrare ad ogni pie’ sospinto della gente che si sposta, o che emigra fuori di patria, è facile concludere che l’insufficienza dei prodotti del suolo compulsava anche in allora la gente esuberante ad esulare per vivere. E poi nel vedere così spesso i testatori chiamare le mogli o le figlie a raccogliere l’eredità, fa nascere il sospetto che la prole mascolina sia già sparita, forse nei frequenti contagi, resi più esiziali per l’igiene trasandata, pel difetto assoluto di personale sanitario, per gli abitacoli insufficienti, malsani, e mal difesi. Con questo si spiegherebbe quel frequente abbandono de’ villaggi nativi per andare a piantar sede altrove, per lo più ne’ paesi meglio locati, come Ovaro, Comeglians e Luincis che già costituivano i centri principali di attrazione, però anche spesso in paesucoli peggiori e fuor di mano, ove l’attrazione dovevano esercitarla le sposine ereditiere, che, come anche in giornata, mettevano in uzzolo anche le brigate de’ pretendenti d’allora.

3.

Prima d’avviarci con la sfilata dei capischiatta di Gorto occorre intenderci un po’. I cognomi, o nomi di famiglia, così in Carnia come in Friuli, cominciarono a diffondersi appena nel quattrocento; ond’è un affare molto arruffato quello di sbrogliarne le fila tese tra le famiglie anonime di prima per trovarci i nessi d’unione con quelle di dopo, contraddistinte coi veri cognomi, dove per quanta pratica si possa avervi, o per quanto ricco il corredo di notizie, è forza aggirarcisi pressoché sempre a tentoni.

E un altro avvertimento da premettersi è anche questo. Il Quartiere antico di Gorto, che in questo secolo fu trasformato, prima, in Cantone, e poscia in Distretto, stendevasi da Cludinico a Sappada, e da Pesariis a Zovello, mentre la giurisdizione ecclesiastica della Pieve abbracciava anche Cercivento, come sta scritto su d’una lapida nel coro di essa Pieve,

TITVLVS
PLEBIS MATRICIS
TOTIVS CANALE, SAPATÆ
ET CERCEVENTI
CELEB: DIE XV AVGVSTI

Senonché un tale Zuane Freducio, nativo di Givigliana, poi trapiantato a Vuezzis, ne rende avvertiti che il nome propriamente di Gorto ha limiti più angusti. E difatti, nel suo testamento in data del 14 gennaio 1455 nell’assegnare i confini a un suo prato ne’ pressi di Gracco, che intendeva legatare alla Pieve, lo dice situato — in loco dicto Barazeit de supra via, juxta viam per quam itur in Gorto, — quanto a dire che il Gorto d’una volta, il Gorto vero si limitava al doppio Vicariato della Pieve, cioè tanto quello a lettere Luincis, quanto quell’altro a latere Ovari, con di più la Curazia di s. Giorgio, e lì si arresta.

Ed ora incominciamo.

Cludinico.

Se n’hanno scarsissime notizie de’ suoi vecchi inquilini, che ne vengono segnalati appena al cominciare del quattrocento.

Un Giacomo da Pozzo q. Giovanni di Cludinico, nel 1419, a Comeglians, è compreso fra’ testimoni a un contratto, poscia nel 1423 è accasato a Tolmezzo; e in seguito, suo figlio Nicolò nel 1447 abitava a Ovaro, dove nel 1487 aveva fissato dimora un altro compaesano, Pietro q. Leonardo di Ruvis.

In data del 24 aprile 1540, da Udine, Madonna Tranquilla, figlia del pittore Martino da Udine, da Gian Bellino suo maestro ribattezzato pel Pellegrino, rilasciava quitanza ad un Candriella di Cludinico a saldo d’un gonfalone di seta, forse dipinto dal di lei padre per quella chiesa.

Ovaro.

L’abitato in origine v’era un po’ sparso, onde appariva quasi un complesso di villaggetti distinti, — Ovaro, Mignulesco, Rudella, a cui forse sarebbe da aggiungere qualche altro, come un Colle, un Ortal.

Da un Vargendo di Mignulesco, il quale funge da testimonio in un contratto del 1318, e da Leita sua moglie, ne sono usciti tre figli, Biagio, Jacopo e Mattia, vissuti fra il 1323 e il 1344. Ora s’avverta che proprio in questi anni, cioè nell’intervallo fra il 1326-33, un Carlavario della Torre, nipote del Patriarca Pagano, fu Gastaldo di Carnia, e che giusta in quegli anni codesto Biagio di Mignulesco fu ribattezzato per Carlavario, probabilmente per una qualche rassomiglianza di tipo, o di carattere con l’illustre Milanese.

Da Biagio Carlavaro nacque Daniele il notaio, che incontreremo più tardi (1370) col fratello Enrico a Luincis, mentre nel nido paterno di Mignulesco rimase soltanto Odorico, terzo fratello: e doveva essere suo figlio quel Nicolò q. Odorico di Mignulesco, che nel 1449 erasi stanziato in Gemona.

Codesta famiglia può dirsi la sola ancora superstite delle più vecchie d’Ovaro, essendo sparite da secoli, e già dimenticate quell’ altre dei Buinan, di Ortal, di Colle, di Piazza, Birtulini, Cumissi, Toscani, ecc.

Ma l'eccellente postura d’Ovaro, situata allo scarico di tutte le convalli di Gorto, e centro naturale di quel gruppo di sparse villette, formanti l’odierno comune, vi attirò sempre industriali e speculatori da tutte le bande. Ne accenneremo alquanti:

  • 1345 - Venuta e Galiana, figlie di Cambiuto di Clavais,
  •  —   - Nicolino ed Enrico, figli di Filippo sarto di Comeglians,
  •  —   - Jacopo Cupolino (od anche Chapulino) del Cadore,
  • 1346 - Milurino fabro q. Zirardo di Raveo,
  • 1348 - Nicolò q. Enrico olim Mingarda d’Agrons,
  • 1392 - Nicolino q. Giacomo di Pesariis,
  •  —   - Pascolo q. Giacomo di Vuezzis,
  • 1394 - Odorlico calzolaio q. Leonardo di Timau,
  • 1420 - Comissio q. Nicolò di Piazza di Pesariis,
  •  —   - Odorlico de Verdis di Lenzone,
  •  —   - Mattia calzolaio q. Tomaso di Liariis,
  • 1447 - Nicolò da Pozzo q. Giacomo di Cludinico,
  • 1449 - Nicolò q. Giacomo fu Vidussio di Liariis.

Non siamo ancora a metà del secolo 15° e la lista è tutt’altro che finita!

Chialina.

Fra’ vecchi abitatori, diremo così, originari, oltre ai Falchitini, ai di Corte, e Verdis o Virdisio, va ricordato un Vezillo qualunque, dal cui testamento raccogliesi che la moglie s’appellava Fiorenza, e della numerosa figliolanza sono distinti tre soli per nome, Candida, Jacopo e Nicolò. Non lo possiamo asserire, ma non è nemmeno improbabile che un qualche rampollo di questa famiglia siasi infiltrato ne’ Fiorenzis di Luincis.

Uno dei Falchitini, Daniele q. Leonardo, che vivea nel 1401, avendo concessa una figliuola per moglie a ser Nicolò de’ Biagii di Liariis, ed accoltolo in casa, questi vi prese nome dalla località dove abitava, e diventò così capostipite dei da Prato di Chialina.

Lenzone.

Nel trecento v’erano in fiore i Solari, i Luciani, i Dotti, i Gusilutta, più tardi i Culini, i Badaldini, i Buldon, i Miraj ed i Moretti.

Nicolò q. altro Nicolò Coglasino che da Lenzone passò a Majaso nel 1404, potrebbe essere anche un antenato dei Coassini di Gradisca, stanteché altre genti sciamarono da Majaso in tempi diversi, fra’ quali i Verzegnassi, i Michieli, i Poiani ed i Cecchini, tuttora fiorenti sulle Basse di Palma.

Verso il 1409 incontrasi a Lenzone Daniele Pirlura q. Liargiano di Liariis; indi nel 1433 anche Jacopo q. Varnero, uno de’ profughi misteriosi di Prencis.

Liariis.

Nel trecento vi si avvicendarono i Mazoculi, i Moraldoni, Nigrulini, da Ponto, Tafanelli e Zutisin che erano soprannomi personali, più che cognomi di famiglia, e così questi altri nel secolo appresso, Bruschittini, Flumiani, Pertani, d’Ariis, di Lunis; i Crosilla ed i Misdariis vi comparvero più tardi.

Era figlio d’Amarlico di Liariis quel Liargiano padre di Daniele Pirlure che trovammo a Lenzone; invece vi arrivò dal Canale di s. Pietro un altro Amarlico q. Jaconino di Radina (Piano), il quale avendo sposata Giacoma del fu Daniele Lenardini, piantò stanza a Liariis in casa sua.

Clavais.

Per tutto il secolo 14° è assai difficile identificarsi per nome neppur una famiglia: vi troveremo un Odorlico di Selva, un Cunulino, un altro Odorlico q. Merulo, un Miculo q. Ligatto, ed un tal Pietro, uno sventato dissipatore, che incontreremo a Tualiis più tardi.

Per un certo periodo vi spicca una famiglia e nomata di Ambladisa dalla località che abitava; poi verso il 1420 cominciano ad emergere Fedele q. Candidussio, Daniele q. Leonardo d’Orlando, Cristoforo detto Stolfo, Mattia q. Stefano detto Savio. Un Leonardo q. Candido di Clavais che nel 1502 incontriamo a Paularo come Sindico del paese, in attrito col suo Curato, devesi considerare come stipite dei Gortani d’Incarojo, da cui derivano anche gli altri di Malborghetto. Del resto la popolazione di Clavais fu messa a dura prova dai ripetuti incendii. Uno ne sofferse per la caduta d’una folgore nel 1583; un altro del 1630, da cui non s’era riavuta per anco, che si ebbe a subire un terzo nel 1632, onde la più parte degli abitanti posero in vendita gli avanzi de’ lor beni e abbandonarono il paese per sempre.

Un prato — in pertinentiis de Clavaijs, in loco dicto in Grignis, — può darsi che abbia imposto il nome ai de Crignis di Monajo: ma quello ch’è sicuro invece è che un Gualtero q. Nicolò di Zovello v’importò sino dal 1420 il soprannome dei de Colle a Clavais, e che Leonardo d’Ariis, piantatosi a Clavais nel 1483, era figlio del fu Nicolò Pustetto di Ravascleto.

4.

Comeglians.

Anche questa borgata per la sua giacitura bene scelta, era destinata ad essere il punto di convegno per tutte le villette circostanti, una piazza d’affari, uno scalo di scambio e di rifornimento pei valligiani dell’alto Degano, compresa Sappada con tutto il Comelico, ove non era praticabile la naturale discesa da s. Stefano a Gogna per la via della Valle, per cui tutti dovevano far capo ad Udine onde esitarvi le lor derrate, e provvedervi di granaglie e di vini.

Fra le vecchie famiglie di Comeglians sarebbe da annoverarsi quella di Enrico Fantulutto, rappresentata già nel 1308 dai figliuoli Matteo e Toscano: di quello si trovano menzionati i figli Spinello (1316), e Fulchero (1337), di questo, Franza sua moglie, Enrico e Francesco lor figli (1335).

Anche di Pietro Fabro possiamo seguire la discendenza per breve tratto, anch’esso vissuto, col fratello Tomaso, dal 1308 al 1335, si ebbe per figlio Odorlico (1345), e questi a sua volta Pietro e Leonardo (1394), entrambi già morti nel 1421, questo lasciando un figlio Zuane di nome, che fu notajo, quello la moglie soltanto, Pellegrina di Luincis, la quale, perduto il marito, tornò a finire i suoi giorni dove era nata; e quivi, con codicillo del dì 12 gennajo 1422 istituiva erede la sua nipote Margarita, del fu Francesco della Pietra di Calgareto.

Un altro de’ vecchi nodari di Comeglians fu un tale Odorlico (1390) figlio d’un sarto, nomato Diolajuto q. Cumussio o Chiamucino (1345-48). Un terzo nodaro nel 1418 fu anche Antonio, figlio d’un Daniele piovuto dal cielo: e questo serva a far prova quanto difficile sia lo sbrogliare le genealogie delle antiche casate dei nostri paesi.

Di nuovi inquilini non ci fu penuria nemmeno a Comeglians.

Da Clavais vi si trasferì nel 1378 un tale Nicolino q. Filipusio; più tardi un Pietro q. Vorlico, che anzi nel 1390 vi fece testamento: e per ultimo Odorico q. Tomasino, anch’esso di Clavais, nel 1419.

Dipoi ci vennero da Entrampo, fra il 1418-75, Giacomo q. Pellegrino, e Daniele Franceschi.

Calgareto, Runchia.

S’è accennato qui sopra a un Francesco della Pietra di Calgareto, che doveva quindi essere la culla di quella stirpe dipoi diffusa a Zovello e a Cercivento. Ora s’aggiunga che sino dal 1455 erano discesi da Valpiceto per abitarvi due figli d’un Leonardo q. Valtero, nomati Odorico e Nicolò.

Riguardo a Runchia, quando s’è detto che nel medio evo il monaco di s. Giorgio era un altro Nicolò q. Gortano o Gortanusso di Runchia, che aveva un figlio di nome Leonardo, s’è vuotato il sacco di tutta la scienza.

Povolaro.

Per tutto il trecento nemmeno quivi ci avviene di scoprire le radici di vecchie famiglie, che per lo più assumevano il nome dalle località abitate. Tali sarebbero — Antonio figlio di Nicolò di Tavosco (1341), e in seguito Enrico, poi Candido Bilisotto, Gasparo q. Zuane, Giacomo e Nicolò q. Leonardo; — poi c’è Vidone, e Nicolò suo figlio di Rivinalio, Nicolò q. Gusetto di Cuzinaglia, Mattia di Baiarzo, Zuane di Qual, i da Pozzo, i Monco, i Candussi, i Culinassi ecc.

Da un Romano di Qual, vissuto sulla fine del 14° secolo, nacque Leonardo (1449) i di cui figli assunsero l’appellativo da Pozzo, e furono Daniele rimasto a Povolaro, e Giacomo trasferito a Rigolato.

Eredi d’Antonio e di Nicolò q. Odorico folladore di Povolaro (1439) sarebbero rimasti Leonardo ed Enrico di Chiout del luogo stesso, i quali avevano i lor possessi in Valle di Qual e in Ravinalio.

I Monco si ritengono discesi da un Gian Pietro (1429) padre di Daniele e di Candido, dal quale Candido uscirono Giovanni e Odorico. Recarono qualche splendore a questa famiglia i notai e gli ecclesiastici che ne uscirono, uno de’ quali, Don Biagio, nei 1620 fu Curato a Monaio, e poi dal 1635 Vicario a s. Giorgio

Dei primi Culinassi conosciamo Odorico, venuto da Collina a Povolaro per lavorarvi un maso di Nicolò di Maranzanis, indi passato a Tomaso Merlino di Tualiis che finì per cederlo al suo colono Odorico, da cui passò nel 1441 ai figli Giovanni e Nicolò.

I Candussi, al vedere, pigliarono le mosse da un Candido, vissuto facendo il calzolajo prima del 1450, a cui successe Pietro suo figlio, calzolajo lui pure (1471). Un Nicolò Candussio di Povolaro, domiciliato in Arta nel 1541 fu il caposchiatta dei Gortani di Cabia.

Maranzanis.

Pietro nomato Ristizuco (1308), Nicolino q. Enrico (1401) e Daniele suo figlio che faceva il legnajuolo (1418), indi Giacomo e Leonardo q. Candussio Blaviino (1447-61) è tutto il personale degli originarj che si conoscano in Maranzanis. Possiamo aggiungervi come ascitizio un tale Odorlico q. Francesco di Entrampo, che vi avea piantato dimora nel 1?48.

Tualiis.

Omettiamo Mieli e Nojareto, non avendo sottomano pressoché nulla da esporre; sostiamo a Tualiis un istante, ove troveremo un po’ meglio da occuparci.

Il mese di giugno del 1374 i Camerari della Pieve di s. Maria e della chiesa di s. Giorgio recaronsi in Friuli dai nobili signori Simone e Gian Enrico di Prampero, zio e nipote, per indurli a riconoscere certi censi dovuti alle loro chiese in virtù di legati istituiti nel novembre 1321 da ser Tomasino di Tualiis, ed anche da madonna Ellica moglie del fu Valtero di Luincis. Codesti oneri erano passati al cavaliere Ermanno di Carnia, e siccome la di lui eredità era stata devoluta ai Di Prampero, così anche gli oneri dovevano essere a loro carico, al che entrambi si sottomisero senza ostacoli di sorte.

Codesti incliti parentadi lasciano intravvedere che a Tualiis fino dal principio del secolo 14°, c’ era qualche famiglia facoltosa, che s’appellava, come la gente blasonata, semplicemente di Tualiis.

E così nel 24 marzo 1271, un ser Francesco q. Giovanni di Tualiis, sentendosi prossimo alla morte, profonde largamente dei legati a parecchie delle chiese di Gorto, e due settimine generose all’anno in favore degli abitanti di Tualiis e Nojareto. Dipoi assegna alla figlia Adeleita, maritata a ser Pietro di Clavais i terreni del di lei marito che avea dovuto ricuperare, nonché una certa somma mutuata al medesimo, e assicurata sulle montagne di Volaja e Valentina, ed un’altra in aggiunta onde possa riscattare certe campagne da un tal Zuane q. Gualtero, con di più un maso in villa di Grach, e nient’altro! Fatti quindi degl’altri assegni a Madonna Pellegrina sua moglie, di tutto il resto di sua facoltà lasciava erede universale l’altra figliuola Candida, nubile ancora, ma dopo tre settimane anche la Candida faceva testamento, trasmettendo all’Adeleita sorella l’intiera eredità.

Ora la prima famiglia che sullo spirare del trecento si conosca di nome è quella di Macillis, che perdurava eziandio nel secolo seguente, in cui veggonsi emergere anche i Zambiglini, i Bevorchia, e sopratutto i Merlini, forse i più diffusi fra gli abitanti di Tualiis.

Entrampo.

Degli antichi capifamiglia, presunti originari del paese, il più antico sarebbe Odorico detto Bucussio di Canfinello, menzionati sino dall’anno 1308, morto già nel 1323 tanto lui che la moglie Sofia, nonché uno dei figli Guargendo, lasciandone superstiti altri due, Candido e Varnero. Un figlio di Candido, Odorico detto Gransel nel 1368 dimorava a Entrampo.

Contemporaneo con questo v’era un altro Odorico o Durigusso che faceva il calzolaio.

Nicolò q. Stefano viveva a Entrampo nel 1379; da lui nacque Clavajano (1422), padre a sua volta d’altro Stefano cognominato Fenon (1461), nome rimasto alla famiglia, i cui rampolli vi durano tuttora.

Figlio d’uno o dell’altro Odorico era anche Pellegrino, detto Misino, che si presenta la prima volta nel 1421, ed era ancora in vita nel 1452, dalla cui progenie, sempre in aumento, c’è frequente il ricordo per tutto quel secolo: tra gl’altri va notato Giacomo q. Pellegrino che avea piantato casa a Comeglians, e un Antonio Pellegrino q. Odorico, il quale nel 1496 abitava in Cormons. D’un Candussio q. Filippo d’Entrampo, che nel 1420 abitava a Clavais, non se ne conosce altro che il nome.

A codesti presunti indigeni aggiungiamo ora gli avventizi. E per primo un Miculo o Nicolò di Pieria, che nel 1345 acquistava un maso a Entrampo: — dipoi Nicolino q. Leonardo di Plait di Pesariis piantatosi in Entrampo col fratello Martino (1392); anzi questi morendo nel 1429 vi lasciava due figlie sole, essendogli premorto l’unico figlio Amedeo: — e un Verniero q. Tomaso di Prico, che in memoria del luogo d’origine impose a un figliuolo il nome di Priano (1429).

Vi andrebbero aggiunti questi altri; un altro Clavaiano q. Odorico di Stallis di Monaio (1439), e un tale Jacopo q. Giorgio o de’ Giorgi di Muina, domiciliato a Entrampo già sin dal 1495.

I Longo di Entrampo derivano forse dalla progenie di Zuane Longo che viveva a Luincis verso il 1420.

Luincis.

Se ci fosse concesso risalire alle origini dei feudi di Gismania disseminati per le vallate di Carnia, forse ne sarebbe dato di scorgere come il villaggio di Luincis, tutto feudale, fosse stato investito a una sola famiglia: senonché con gli scarsi elementi che ci restano, anteriori al trecento, è impossibile chiarire chi fossero quei primi gismani, e quanti fossero, né donde né quando siano venuti.

Certo è che, sino dal 1311, uno de’ suoi rami, il principale, avea già piantato stanza a Udine, ed è quello d’onde ne uscì Ermanno, il giustiziato del 1351, la di cui eredità la raccolse una di lui figlia maritata a Ulvino di Prampero. Altro de’ suoi rampolli passò a Tarcento, un terzo a Susans, un quarto a Osoppo, e tutto questo fra il 1338 e il 55.

Ora i vuoti lasciativi li vennero colmando a usura i nuovi arrivati.

Se Cosetto Vendramino di Luincis s’avventurò a piantar casa in Ovaro (1346) anche ser Daniele Carlevaris di rimpatto trovò opportuno di trasferire il suo studio di Notaio da Ovaro a Luincis (1370), ove poco dopo lo seguì eziandio il fratello Enrico.

Nel 1370 vennero a piantarsi in Luincis Mattiusso q. Nicolò di Truia insieme coi figli Candussio e Giacomo, — e Stefano detto Treffa q. Cumissio d’Ovasta; nel 1390 Pietro q. Odorico fabro di Comeglians; nel 1410 Jacunutto q. Paolo, — nonché un Nicolò q. altro Nicolò, entrambi d’Ovasta; nel 1447 Zuane q. Gortano fu Odorico Lenan di Ludaria, — e Martino Bariglario di Ovasta; finalmente, per tagliar corto, nel 1449 vi comparisce la prima volta Antonio di Fiorenza q. Nicolò che ne fa ricordare la Fiorenza incontrata a Chialina.

Ovasta.

Sorvolando tre quattro famigliole che si affacciano per breve tratto sulla prima metà del trecento in Ovasta, per tosto ecclissarsi, possiamo fare la prima sosta con Pascolo Picotti q. Pietro, il quale assisteva in Luincis nel 1370 al testamento di Stefano Treffa suo compaesano: notiamo di passaggio che in quel testamento s’accenna di un campo in Agarinis e d’un Maso Beorchia nella tavella d' Ovasta. Lo stesso Pascolo Picotti faceva testamento alla sua volta nel 1381, ed anzi non avendo figli proprii, istituiva erede un figlio del proprio fratello Giacomo, di nome Pietro, da cui scaturirono tanti rampolli tuttor viventi.

Nel 1416 vi fa atto di presenza così di volo un Tiliusso calzolaio q. Giacomo, da cui dev’essere discesa la famiglia nomata della Tiliotta.

Nel 1433 Nicolò d’Agarinis, figlio del fu Nicolò di Sostaso, accasato in Ovasta, abbandonava il nuovo suo nido per discendere a Cella.

Nel 1443 Francesco q. Tomaso, o Timeo, d’Ovasta era passato a Mione.

Nel 1446 vi sono ricordati Zuane della Maestra, e Odorico Bariglario, un di cui figlio o fratello, Martino l’anno appresso lo si trova a Luincis.

Nei 1449 un Leonardo q. Stefano di Punins, e un Giacomo q. Drico (Odorico) sono rampolli anch’essi di famiglie diverse.

Nel 1450 vediamo scaturire tre fratelli figli d’un Marco sconosciuto, e già sparito a quell’ora, e sono Giovanni, Antonio che avea due figli (Marco e Nicolò) e Pietro che n’ebbe un solo Giacomo, nel cui testamento s’affaccia per testimonio ser Zuane de Corte q. Antonio di Rigolato, forse fidanzato o già marito d’una delle tre figliuole eredi del testatore (1488): certo è che il de Corte fino d’allora prese stanza in Ovasta, dove visse fin al 1528, e che nella sua discendenza vedesi ripetuto il nome di Marco.

Nel 1485 era passato in Ovasta anche Pietro q. Mattiusso di Rudella; — nel 1488 v’è ricordato Biagio q. Zuane del Machin, una famiglia tuttora in vita a Pesariis, — nel 1489 Zuane Basso q. Nicolò di Luincis aveva piantato casa in Ovasta.

Mione.

I Bacinelli, gli Armanni, i Piccoli, e Miniotti sono le prime stirpi che si comincia a incontrare a Muina, a cui vengono sovrapponendosi via via, per primo, un Zuane q. Guerra di Givigliana (1348), in seguito un Timeo e un Agarinis d’Ovasta, mentre in ricambio nel 1449 un Varnerio q. Candussio andava a piantar sede a Muina, e nel 1487 un Leonardo q. Francesco era passato a Ovaro.

Luint.

Pare che vi fossero originarj i Ferrolesi o Ferrelaz, almeno sarebbe una delle famiglie più vecchie di Luint. Ne uscì madonna Candida per andar sposa verso il 1338 a Gretto Grampa di Legnidis, il caposchiatta dei Gressani (Grettiani).

Fra’ nativi potrebbero annoverarsi quei della Blasida, i de Colle, i Martini, i Morandini, i Marcuzani, a cui vennero poscia ad aggiungersi un de Franceschi ed un Gortano fu Zuane vivente nel 1421 di cui s’ignora la provenienza, de’ cui discendenti si conoscono due figli soltanto per nome Zuane e Melchiorre.

Verso il 1470 il meriga di Luint era Antonio Timeo, oriundo d’ Ovasta.

Cella.

Il più vecchio che si conosca degl’inquilini di Cella sarebbe un testatore del 1310, Stefano di nome, i di cui figli Jacopo e Vuecello fanno capolino per un momento nel 1334, poi tornano ad ecclissarsi.

Di Cella sono originari i Vidoni, la cui famiglia risale a un Jacopo e un Antonio fratelli (1421), e scende a Daniele e Nicolò, padre e figlio Vidoni, ambi nodari d’Ovaro fra il 1483 e il 1554.

Anche la famiglia dei Catani, imparentati coi precedenti, come pure quella dei Moretti contavano fra le più anziane di Cella.

Della discesa dell’Agarinis d’Ovasta s’è già detto più sopra.

Agrons.

V’era qui la residenza ordinaria del monaco o sagrestano della Pieve. — Fra gli antichi abitatori vi troviamo Pellegrino, Stefano q. Norando, forse il primo monaco conosciuto, poi due sarti, Enrico e Fiorito, dai quale Enrico discesero Nicolò detto Ferraterio, e Zuane detto Tricca, poi Romano e Varnero, e per ultimo Mingarda, madre di Enrico, il cui figlio Nicolò già lo incontrammo nel 1348 a Mignulesco. — Da Agrons è passato a Muina Vecilo q. Varnero, che vi morì nel 1338; più tardi Matteo detto Pinetto q. Geronimo venne nel 1410 da Luint ad accasarsi in Agrons, indi nel 1448 vi giunse da Pesariis un tale Francesco q. Comissio di Plait.

Muina.

Ed eccoci finalmente al termine del nostro viaggio circolare, proprio di faccia al punto di partenza: Muina difatti rimane di fronte a Cludinico, motivo per cui una testa amena si sognò d’allogare quivi l’Emonia Claudia di Plinio che sarebbe stata invece a Lubiana.

Il paese è ben locato su d’un terreno alluvionale, inclinato fra levante e mezzodì, al coperto dai venti di tramontana mercè lo sperone del Colle di Carso, sopra di cui nel 1687 venne eretta la chiesuola di s. Maria di Loreto, forse sui ruderi d’una specola o castellare romano.

L’abitato è sparso in gruppi divisi, quello di Rio, che sarebbe il principale, quello di Corva e quel di Corvetta, mentre al di sopra del paese, a mezza montagna, rimane tuttora integro ed illeso l’antico villaggio di Prencis abbandonato.

Sui primordii del trecento, dei primi abitatori di Muina non s’hanno che nomi sparsi e isolati, onde è impossibile rannodarli con sicurezza. Tali sarebbero un Vecelluto (1310), un altro Vecello, col figlio Vernero (1323), nonché un Martino di Corva a cui succede poi Domenico (1329), e più tardi, assai più tardi, Odorico (1392) e Guargendo (1420) figli d’un altro Domenico, tutti di Corva1. D’un altro Martino di Corva, che fece testamento nel 1345, la schiatta dev’essere estinta, avendone raccolto il retaggio un suo discendente di Raveo, certo Zuane Lisignul q. Leonardo: come era di Raveo un altro Zuane, suo contemporaneo, figlio di Matteo Jaconissi: che se non aveano piantato casa a Muina, ambidue vi tenevano però dei possedimenti.

Parlando di Agrons s’è accennato a un Varnero, la cui figliolanza passata a Muina, cioè Vecello, Vargendo e Toscano, nel 1346 cedeva un pezzo di terreno in Braida de Sach, lungo il Rio Ruzul, a ser Giacomo e ser Nicolò figli d’Antonio di Muina. A un secolo di distanza, nel 1433, siamo in presenza d’un altro Antonio q. Nicolò detto di Riu, che al vedere doveva essere disceso dal precedente; alquanto dopo, nel 1471 un terzo Nicolò q. Antonio. — Michulus q. Antonii q. Michuli de Muijna — che per l’appunto tiene casa a Rìu, con orto e baiarzo e due campi murati appresso2.

Nel 1420 si trasferì da Muina in Agrons un tale Odorico detto Spangher q. Giacomo, non si sa bene se derivato oppure capostipite di quelli di Voltois.

In data del 1433 c’è il testamento di ser Domenico q. Guargendo di Riu, in cui menziona la chiesa locale di s. Pelagio, la Pieve, e la chiesa della Fraterna de ss. Michele ed Elena, per cui sembra sia rimasta illesa dall’incendio della Pieve nel 1431: alle ultime due lasciò in legato una libbra di cera a stadera di ferro, da estrarsi dall’alveare che ha in casa, o dalle api date a soccida a Margherita vedova del fu Fedele di Clavais, Giacomo q. Varnero di Prencis abitante a Lenzone, ed ai figli del q. Zuane Lisignul di Raveo.

Nel 1449 un Varnero q. Candido di Mione venne quivi a stabilirsi.

Nel 1495 Jacopo q. Giorgio da Muina si trapiantò a Entrampo.

E per ultimo nel 1545 ser Vito q. Osualdo di Corvetta si collocò a Collalto.


Prima di pigliar commiato dal benevolo lettore, siami permesso di chiedere venia pei granchi presi e per le lacune non rare che vi avrà riscontrate in codest’arida e indigesta rassegna, mende dovute in buona parte alle mie scarse cognizioni locali, e al tempo limitato concessomi, locché non mi permise d’illustrare come avrei desiderato il paese d’origine de’ miei antenati.

G. GORTANI

  1. Non è ben chiaro, ma assai probabile che da codesta antica famiglia di Corva siano discesi gli attuali Spinotti di Muina. Un ramo dei medesimi, trasferitosi in Istria da forse due secoli e mezzo, ebbe ad emergere col tempo in Grisignana cosi da venirvi inscritto nel Libro a oro dei Titolati sotto l’appellativo di Corva-Spinotti

  2. Che di qua sia derivata la famiglia dei Micoli possiamo asserirlo con sicurezza sufficiente, e per andarne persuasi basterà volgere un’occhiata allo schema seguente. L’anello che vi manca è facile supplirlo. Tenendo conto del concatenamento sempre osservato degl’identici nomi.
    Micoli