Riccardo GURRESCH (Ricciardetto)

 

I nuovi e i vecchi orologi di Trieste

Il nuovo orologio di Piazza Goldoni - Orologi scomparsi - Piazze, rive e suburbio - Qualche data - Il Nestore degli orologi - I Mori di piazza sulla torre del porto- Lo storico orologio trasportato sulla Loggia - Il nuovo Municipio - «Michez» e «Jachez» redivivi - Ricordi di Guerra

 

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Scarica questo file (Ricciardetto.pdf)I nuovi e i vecchi orologi di Trieste[Il Piccolo delle ore diciotto, 30.01.1923]74 Downloads

 

La digitalizzazione dell'archivio storico de Il Piccolo di Trieste e la sua libera accessibilità hanno facilitato il "ripescaggio" dell'articolo che presentiamo, comparso su Il Piccolo delle ore diciotto il 30 gennaio 1923 (A. 39, Gennaio, 30, fasc. 751, p. 2).
L'autore Riccardo Gurresch (1876-1925), appena celato dallo pseudonimo Ricciardetto, era nato a Gorizia da famiglia tedesca (suo padre era capostazione). Dopo la laurea, conseguita a Vienna, si era trasferito a Trieste per entrare nell'avvocatura erariale (Procura di Finanza). Nel nuovo contesto si era inserito oltre che professionalmente anche come conferenziere su temi letterari, critico teatrale e autore di seguitissimi articoli pubblicati sul Il Piccolo incentrati sulla «vita triestina dell'Ottocento, con qualche rapida punta negli anni di prima e in quelli di poi». Per comporli, si documentava a fondo: «ormai tutte le ore che avesse libere, le passava alla Biblioteca civica o dagli antiquari a ritagliare vecchie cronache triestine, vecchie raccolte di giornali, a rintracciarvi vecchie figurette e il colore del passato. Il materiale immenso che egli si veniva formando assumeva, passando per la sua fantasia di poeta, un'ariosa trasparenza, dove egli fondeva il suo vivido senso del comico con una delicata malinconia». Oltre che con Il Piccolo collaborò , usando lo pseudonimo Ariele, con Il Lavoratore sul quale negli anni di guerra pubblicò «alcune note sugli aspetti trasognati della città moribonda che restano tra le memorie più penetranti più liriche di quegli anni» e altre di critica teatrale. Dopo la sua morte una scelta di articoli, curata dall'amico Silvio Benco, venne raccolta in un volume intitolato Vecchia Trieste (Anonima libraria italiana, 1930).
L'articolo sugli orologi triestini, godibile e ben documentato, riveste un certo interesse anche per la storia dell'orologeria pesarina. Si apre, infatti, con l'orologio di piazza Goldoni, collocato (non si sa quando, però, forse dopo la prima guerra mondiale) dalla ditta Solari sul palazzo Tonello, allora anche sede de Il Piccolo, e inoltre ricorda l'orologio, ancora oggi funzionante, installato in precedenza dai fratelli Solari sul palazzo Municipale.
Non è, però, esente da inesattezze.
Ci riferiamo, in particolare: a) all'attribuzione della costruzione del Nestore degli orologi (quello collocato sul palazzo della Borsa) all'orologiaio Antonio Sebastianutti, che in quell'edificio realizzò invece la meridiana a camera oscura e, successivamente, intervenne solo per sostituire le campane dell'orologio installato nel 1816 da Giacomo Solari, come ben narrato dall'ing. Paolo Alberi Auber in un articolo che si può leggere su questo sito; b) all'assenza di riferimenti sull'orologio installato nel 1747 sulla torre del Mandracchio da un gruppetto di pesarini guidati da Giacomo Capellari, documentato da una iscrizione conservata nell'Orto lapidario di Trieste. All'atto della demolizione della torre (1838) l'orologio venne trasferito sul palazzo della Loggia, e poi, demolita anche questa tra il 1871 e il 1873, donato alla villa di Prosecco, che a sua volta «lo cedette in cambio d’uno meno accidentato all'orologiaio del luogo». Riccardo Gurresch ritiene invece che quell'orologio fosse il primo orologio triestino - «con più di cinque secoli sulle spalle» in quanto installato nel 1356 -, rientrante nel gruppo, abbastanza ristretto, di orologi pubblici realizzati in Italia (e in Europa) entro la metà del trecento.
Nell'articolo non sono ricordate le istallazioni degli orologi di Villa Bottacin (1854, Giovanni Solari) e della chiesa di San Giovanni decollato (1876, Antonio Solari), ma in compenso vengono indicate una serie di date utili per future indagini: Chiesa Greca (1819), Sant'Antonio Nuovo (1849), San Giacomo (1857), Arsenale Lloyd (1858), Pescheria (1912).
Adelchi Puschiasis
(Le citazioni virgolettate sono tratte in gran parte dall'articolo «Riccardo Gurresch», apparso su Il Piccolo edizione del mattino del 5.9.1925, e, in piccola parte, dall'articolo commentato.)


L'orologio di piazza Goldoni, costruito dalla centenaria ditta Solari di Pesariis (Udine), il quale dopo tanti anni silenziosi batte giulivo le ore sul pittoresco mercato della frutta e di notte vigila col suo grand'occhio giallo come un vecchio amico, invita il cronista dei giorni andati a sfoderare qualche data e a evocare qualche ricordo.

Ecco, nella stessa piazza - allora detta «delle Legna» - prima che il «Piccolo» mettesse l'orologio sul frontone dell'ex palazzo Tonello, sull'ingresso d'una modesta orologeria faceva bella mostra di sé un segna ore primitivo, che non badava a mezz'ora di più, mezz'ora di meno: placida epoca dell'omnibus e del «chi va piano va sano...».

Tra le piazze principali, la sola piazza Garibaldi è senza orologio, se così vogliamo chiamare il tondo vuoto e paziente sul tetto della nuova casa Brunner. I vecchi abitatori del rione Barriera potevano invece regolarsi con l'orologio dell'Asilo Gentilomo: edificio melanconico sparito col suo tisico giardino una ventina d'anni fa: oggi là vociano gli strilloni d'un cinematografo popolare...

Un altro orolgoio fu travolto con l'edificio che lo ospitava, quando la palazzina del Governo marittimo, sulla riva del Mandracchio, fu demolita per innalzare il mastodontico albergo «Savoia».

Ogni piazza di Trieste ha ormai il suo orologio: la piazza dell'Unità sulla torre del Municipio, la piazza della Borsa sopra le colonne doriche del palazzo eretto dal Molinari, la piazza Vittorio Veneto sulla facciata del palazzo delle Poste, il campo San Giacomo sul campanile della Chiesa, la piazza della Libertà sulla stazione centrale: orologio degli addii e dei ritorni. Due piazze più modeste - Cavana e Venezia - si contentano d'un orologio di farmacia, non rischiarato di notte. E uno puà vantare anche piazza degli Studi, sebbene per saper l'ora occorre un giro vizioso: bravo chi scopre subito il quadrante sul campanile di Sant'Antonio vecchio...

Dalla piazza San Giovanni si può sbirciare l'orologio collocato alle spalle della chiesa di Sant'Antonio nuovo. A proposito, leggiamo in un giornale del 1850, questo curioso «desiderio del pubblico»: c'è chi lo vorrebbe sul frontespizio del tempio cristiano, segnale e guida ai naviganti, specialmente nelle «notti procellose»! Che mai ci fa un orologio sul di dietro? Il «cittadino che protesta» non ce lo dice espressamente, ma lo fa capire...

Allora sulle rive non c'era che l'orologio sulla chiesa dei greci, indecifrabile dopo il tramonto. C'era, sì, com'è oggi, al mare un altro segnalatore del tempo, scrupolosamente esatto, ma invisibile, senza quadrante né lancette, che si faceva vivo una volta al giorno e con voce poderosa: il cannone ai piedi della Lanterna, che per annunciare giulivamente il mezzodì aspettava la caduta della palla nera dall'alto: allora la segnalazione giornaliera partiva dall'Osservatorio annesso all'Accademia di commercio e nautica.

Di data recente è il bravo orologio che batte le ore dalla nuova Pescheria; di ieri e di precisione, quello della Capitaneria di porto, sul poggiuolo del palazzo Carciotti.

Per completare l'elenco, ricordiamo gli orologi suburbani: l'ospedale di tappa in via Fabio Severo e la fabbrica di birra, adagiata ai piedi verdi del Boschetto; infine due orologi molto consultati, perché molto in vista, che servono da insegna e da richiamo a un orologiaio del Corso e a uno di via Battisti.

Come s'è visto, Trieste, se non ricchissima, non è punto povera di orologi pubblici. Magari tutti fossero andati sempre di accordo! Una volta certi orologi avevano idee tutte proprie sul fatale andare del tempo: chi lo precorreva e chi gli zoppicava dietro! Oggi, sia detto il vero, non possiamo troppo lagnarci: tanto i nuovi che i riparati, come si dice in gergo teatrale, si fanno onore o almeno non guastano l'insieme. E fra i recenti ci sono alcuni di cartello!

Ma anche i vecchi non fanno cilecca. Il Nestore degli orologi pubblici è quello della Borsa. Come si sa, la piazza omonima sorse sull'area delle antiche saline, e anche dopo tagliava la piazza un canale, detto il «piccolo» che si prolungava fino alla chiesa del Rosario e che fu interrato nel 1798, quando s'incominciò a edificare il vistoso palazzo dedicato a Mercurio. La Borsa fu inaugurata nel 1806 e dieci anni dopo (1816) sul frontone fu posto l'orologio a campana, opera del triestino A. Sebastianutti. Sul pavimento della «Loggia», lo stesso orologiaia collocò un altro segnalatore del tempo: la meridiana solare, formata da una fascia rettangolare, scolpita in pietra viva nella direzione del meridiano di Trieste, su cui batte il raggio del sole attraverso un foro circolare aperto nel muro all'estremità australe della fascia.

Un altro orologio centenario è quello della chiesa greca (1819). Seguono quello di Sant'Antonio nuovo (1849), di San Giacomo (1857), dell'arsenale lloydiano (1858). Il nuovo palazzo di città lo ha dal 1878. Gli orologi della posta e del «Piccolo» (l'incendiato), datano dalla fine del secolo scorso. Uno degli ultimi è quello della Pescheria (1912).

Un cenno speciale merita il più antico orologio di Trieste, ora scomparso, il quale seguì le vicende del Comune e batté le ore sulla storia della città. Alludiamo all'orologio che segnava il tempo sulla torre chiamata «del Mandracchio», poi «dell'Orologio» e negli ultimi anni «del Porto».

Quando il Comune, liberatosi dal giogo vescovile, poté reggersi con statuti propri pensò a erigersi il suo palazzo curiale nella piazza Maggiore. Fu intorno al 1250. Qualche decennio dopo, un po' più verso il mare, alla riva del Mandracchio, gremito di barche e di vele, si costruì un segno visibile di alta giurisdizione, la torre della città: da un lato piccole locande, dall'altro le tetre prigioni. Nel 1356, sulla facciata prospiciente la piazza, si collocò un pubblico orologio, sotto due figure di bronzo, che dalla patina ossidata presero il none di Mori di piazza, come a Venezia. Più in alto tre campane che chiamavano i patrizi a Consiglio, i negozianti alla Borsa, il popolo all'arringo, martellavano l'annunzio d'una berlina o d'una sentenza capitale, davano il segnale alle trecche di principiare il mercato e alle bettole e alle caffetterie di chiuder con le tenebre.

Comizi, tumulti, cerimonie religiose, impiccagioni: l'orologio segnava inesorabilmente l'andata del tempo e gli automi di bronzo, impassibili, battevano le ore, se già nella piazza pavesata si danzava al suono dei pifferi, si svolgevano le giostre, si dava la caccia al toro...

Nell'inverno del 1690, un incendio furioso incenerì il palazzo di città, che fu poi riedificato, in proporzioni più modeste, per sparire definitivamente nel 1822, e danneggiò non lievemente la torre, rimasta in piedi a sfidare il tempo. Nel 1747 essa fu rialzata e rinnovata, e le tre campane ricoverate in apposita cella trifora, mentre i poveri automi di bronzo, a cui il popolo aveva affibbiato gli scherzosi nomignoli di «Michez» e «Jachez», furono buttati in chi sa che ripostiglio. Da allora i triestini, per significare anni lontani, dicevano: «Ai tempi di ‹Michez› e ‹Jachez›», come nel Veneto si evoca quello di Marco Caco...

Poi venne la volta della torre, decrepita e screpolata, che finì sotto il piccone nel 1838. Il 26 settembre furono levate le campane e la maggiore donata alla chiesa di Barcola. Unico superstite, il vecchio e fedele orologio, fu trasportato sulla «Loggia» (o «Stuba») dirimpetto, che si levava dove oggi è il Municipio.

Ma anche la Loggia aveva i giorni contati e dovette soccombere, quando si diede mano ai lavori del nuovo palazzo di città, tra il '71 e il '73. Il glorioso orologio, con più di cinque secoli sulle spalle, vivacchiò ancora qualche anno, da povero pensionato, in provincia, donato alla villa di Prosecco, che poi lo cedette in cambio d'uno meno accidentato all'orologiaio del luogo. Sic transit gloria...

Nel 1875, sulla torre del nuovo Municipio è stato collocato un grande orologio costruito dai fratelli Solari di Pasariis. Sopra di esso, intorno a una campana fatta col bronzo di una consorella dell'antica torre del porto, stanno due figure di zinco fuso, le cui braccia, mosse da un meccanismo di orologeria, sollevano un martello che batte le ore; un altro martello dà suono ai quarti. I due automi, disegnati dall'architetto del palazzo, Giuseppe Bruni, e modellati dallo scultore Asteo, dell'Accademia di Venezia, cominciarono il loro lavoro il 14 gennaio 1876 a mezzogiorno.

Si vollero così ricordare i Mori della storica torre demolita. La nuova popolazione salutò i redivivi con una gaia canzonetta, di cui ecco il ritornello:

Xe Michez e Jachez
che bati le ore...

E per finire, due ricordi di guerra. Fu già detto che nella storica notte del 23 maggio 1915, mentre la plebaglia giallonera saccheggiava i negozi e assisteva tra urli e risa all'incendio del «Piccolo», la campana dell'orologio di piazza Goldoni, già lambita dalle fiamme, batté tragicamente a mezzanotte gli ultimi dodici colpi, poi tutto precipitò nel rogo...

E un altro orologio - quello del Corso - si fermò improvvisamente quel giorno; i rari passanti, consultando l'ora, vedevano, disorientati, le lancette sempre ferme, per mesi e mesi sulla 2 e 20; l'ora che la città seppe la dichiarazione di guerra dell'Italia, che marciava su Trieste, «la fedele di Roma»...