Arturo Magrini

 

BOSCHI CONSORZIALI CARNICI.
Divisi od uniti?

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Scarica questo file (Boschi.pdf)BOSCHI CONSORZIALI CARNICI. Divisi od uniti?[Tipografia Editrice Gio. Batta Ciani, Tolmezzo, 1905]231 Downloads
Boschi consorziali carnici. Divisi od uniti?

 

On. Sig. Delegati del Consorzio Boschivo Carnico, On. Sig. Sindaci dei Comuni Consorziati.

L'Assemblea Consorziale il 16 Settembre 1901 incaricò la propria Giunta di determinare le norme e i modi per la divisione del Patrimonio Consorziale, convocando poi l’Assemblea e sottoponendole progetti concreti. L’Assemblea stessa il 2 Decembre 1902 confermò tale deliberazione. E di poi, il 16 Novembre 1904, l’Assemblea, perché i Delegati possano sentire i rispettivi Consigli Comunali, deliberò di sospendere ogni decisione sull’argomento, raccomandando alla Presidenza di convocare l’Assemblea nella primavera del 1905.

Per un intempestivo ed ozioso ricorso l’azienda Consorziale restò paralizzata parecchi mesi, e quindi tale convocazione si dovette protrarre.

Radunavasi intanto la Vostra Giunta, il 27 Giugno p. p., per formulare delle proposte precise circa lo scioglimento del Consorzio da sottoporre all'Assemblea.

La Giunta, come era facile prevedere, non fu concorde nelle idee.

E così mentre, l’assessore Barbacetto proponeva la divisione per mezzo della gara fra i Comuni Consorziati; il collega Marchi — se la divisione dovesse avvenire — preferiva l'aggiudicazione od assegnazione, mediante un collegio arbitrale, trovando in ogni altro modo difficoltà gravissime e da lui ritenute insuperabili. Il Nigris suggeriva di revocare quanto si è fatto finora in linea amministrativa; osservava che i Comuni non possono aspirare ad aste pubbliche od anche a licitazioni private e consigliava di vendere il Patrimonio Consorziale per trattativa privata ai Comuni, secondo regole da determinarsi, previa autorizzazione del R. Prefetto. Il collega Da Pozzo, a cui si associò il vostro Presidente, riteneva impossibile materialmente e certo grave di conseguenza addirittura imprevedibili fra i singoli Comuni qualunque forma di divisione o di distribuzione del patrimonio Consorziale, compresa quella accennata dal Marchi, senza fermarsi sulla illegalità dell’intero procedimento divisionale, nel riguardo dei Comuni enti tutelati da autorità e da leggi speciali. Per ciò intendeva proporre all'Assemblea, sotto forma di pregiudiziale, di revocare ed eventualmente dichiarare l'abbandono delle prese deliberazioni di massima intorno alla divisione del Patrimonio.

Avendo la proposta pregiudiziale il diritto di precedenza, la Giunta unanime stabilì di rimettersi alle decisioni dell’Assemblea, incaricando il suo Presidente di riferire in argomento.

Ed a ciò io ora mi accingo, confidando nella vostra indulgenza se dovrò, forse, dilungarmi di troppo ed anco ripetermi; lo che io faccio per un riguardo ai numerosi elementi nuovi entrati nelle delegazioni a partire dai primi tempi in cui si cominciò a discutere sullo scioglimento.

Sarà opportuno dapprima qualche cenno cronistorico sulla dibattuta questione.

Il 31 Agosto 1871 veniva stipulato dai nostri Comuni il contratto d’acquisto in comunione dei Boschi Demaniali, e questo contratto fu approvato colla legge 2 Luglio 1875 N. 2566 (serie II) che statuisce la vendita, di Boschi della Carnia a dieciotto di quei Comuni, costituiti in Consorzio. L'articolo 19° di questo contratto stabilisce che «i Municipii acquirenti si obbligano a non vendere ad altri gli stabili che acquistano col presente atto.»

L’Assemblea provvisoria nell'addottare lo statuto che doveva regolare l’azienda Consorziale, stabilendo e confermando la costituzione del Consorzio, poneva per ultimo inciso all’art. 1°....

La costituzione in Consorzio non esclude però che la comunione possa venire disciolta nei primi cinque anni successivi al saldo delle somme dovute al Governo, sulla proposta di almeno dieci Comuni, e poscia anche su quella di un solo.

Lo statuto, approvato dai rispettivi consigli comunali, venne sottoposto all’autorità tutoria, per la sua sanzione. Ma la Deputazione Provinciale, allora tutrice, si dichiarava incompetente ad approvarlo.

Trascorsi i termini di cui all’art.° 1° dello Statuto, e soddisfatto il prezzo d’acquisto al Demanio, si cominciò a pen­sare alla divisione.

L’Assemblea, nella seduta dell'11 Settembre 1883, incaricava una speciale Commissione.

1.° Di esaminare come una divisione dei beni Comuni potrebbe eseguirsi, studiando un sistema economico di rilievo e stima dei singoli boschi ed un modo pratico di reparto, sia per singoli comuni, sia per gruppi di Comuni o per canali....

2.° La possibilità, il modo, i vantaggi e gli inconvenienti che presenterebbe un’alienazione per lotti dei Boschi Consorziali.

Questa Commissione (I. Renier, G. B. Bruseschi ed A. Parussatti), nella sua relazione 11 Settembre 1883, prima di entrare nel campo delle indagini ad essa commesse, si fa il quesito :

«La divisione per comuni o per gruppi di comuni sarebbe veramente preferibile al Consorzio?»

E risponde:

«In generale la proprietà esclusiva è stimolo maggiore che la comunione alla buona conservazione e miglioramento dei fondi, perché tutti si lavora più volentieri quando si sa di farlo nel proprio interesse che non quando lo si fa per sé e per altri. Però — nel caso nostro — è necessario riflettere che i Consorti non sono individui, ma Comuni, e quindi enti morali anche essi, e per ciò la divisione non produrrebbe il vantaggio di affidare i beni divisi all'attività individuale.»

E più innanzi

«In caso di divisione solo una parte dei Comuni Consorti potrebbe avere la sua quota di boschi nel proprio territorio; a molti sarebbe necessità assegnarla assai di lontano; per cui potrebbe anche darsi che, pur riportando i primi un vantaggio, un danno ai secondi derivasse. — Il Consorzio avrebbe anche il vantaggio di imporsi al mercato. — Compiuta la divisione, i singoli comuni si farebbero, anche senza volerlo, la concorrenza; i negozianti, o dall'uno o dall'altro, troverebbero più facilmente legname d’acquistare, mentre il Consorzio, posto in condizioni normali, e quindi senza urgenze di procedere a vendita, per la grande quantità di boschi di cui è proprietario, potrebbe in certo modo costringere i negozianti o a scemare — per difetto di merci — il loro commercio, locché evidentemente non succederebbe, od a pagare i legnami quello che valgono.»

Questa Commissione trova necessaria una stima dei Boschi Consorziali, tanto per dividersi, quanto per restare uniti, poiché, per bene amministrare un patrimonio, è necessario conoscerlo; ... e si riserva di pronunziarsi poi circa una divisione od un'alienazione del patrimonio.

Il Dott. P. Beorchia-Nigris, allora Presidente del Consorzio, anche scriveva:

«Non abbiamo mai abbastanza comprese le difficoltà che si presentano alla esecuzione dei vagheggiato partaggio, sotto molteplici riflessi considerate. Importante ci sentiamo anche noi inclinati a ritenere che sarebbe più consentaneo all'indole dell'affare l'abbandonare l'idea della divisione e che, nell'interesse dei Comuni Consorziati, sarebbe miglior partito il conservare il Consorzio.»

Se mai si volesse procedere allo scioglimento della Società, Egli consiglierebbe un assegno per vallata....

«ma, ripete, tornerebbe più utile e conveniente la conservazione dell’attuale Consorzio, in vista anche alla tenuità delle spese d’amministrazione, rilevata in sole L. 1500 ecc. ecc.»
«Ed anche conservando le attuali spese di amministrazione, divise per i 19 Comuni Consorziati importerebbero ad ogni singolo comune l'annuo aggravio di circa 90 lire, somma abbastanza leggera in un affare che si presenta abbastanza rilevante.»

E osserva anche il Beorchia:

«Un altro modo di sciogliere il Consorzio sarebbe quello di alienare l’intera proprietà acquistata, per dividerne poi il ricavato. Pare che ciò non sia consentito per patto espresso dell’atto di compravendita, e meno a privati estranei al Consorzio. Infatti il Nazionale Governo si sarebbe determinato a cedere i boschi in Carnia ai Comuni acquirenti a patto di conservarli, rinunziando a quei sperati maggiori corrispettivi che avrebbe potuto conseguire da ditte private, se questi boschi li avesse posti in vendita a lotti determinati. Ora se i Comuni volessero disfarsi dei loro quoti, vendendo a privati fuori della Società Consorziale, farebbero quella speculazione che il Governo poteva fare per suo conto. Quindi è che difficilmente le Autorità Amministrative approverebbero la determinazione di alienare tutto, o parte dell’ente Consorziale.»

E si arriva al 1886.

Con la loro relazione — 29 Luglio 1886 — Bruseschi, Parussati e Renier si domandano in qual modo potrebbe compiersi la divisione.

«Pensando alle varie possibilità si trova che il reparto dovrebbe farsi o per Canali o per Comuni: e questo ultimo o per attribuzione, o per estrazione a sorte, o mediante incanti. Sarebbe possibile e da suggerirsi una divisione per Canali? Ad avviso dei sottoscritti (Renier, Bruseschi, Parussatti) no certamente. Non sarebbe possibile, perché ci vorrebbe il consenso di tutti i Comuni interessati, non essendoci patto o disposizione di legge che potesse obbligarvi i dissidenti; e quel consenso non potrebbe sperarsi, sia perché, ad ottenerlo, ci vorrebbe la certezza e la convinzione in tutti che la stima in ciascun canale sia stata proprio eseguita cogli stessi criteri; sia perché — molto probabilmente — non vi aderirebbero i Comuni nel cui territorio non si trovano boschi. — Non sarebbe poi neppure da suggerirsi perché si escirebbe da un Consorzio per istituirne tre altri, locché, senza togliere gl'inconvenienti della Comunione, scemerebbe di molto i vantaggi del Consorzio attuale e porterebbe ad un aumento nelle spese di amministrazione. Astrattamente potrebbe forse dirsi che una prima divisione per canali faciliterebbe poi il successivo reparto per Comuni; ma — in pratica — rimarrebbero sempre per tale reparto tutte o quasi le difficoltà, che in seguito si esporranno e che si avrebbero per dividere il Patrimonio Consorziale addirittura fra Comuni.

Passando quindi ad esaminare i varii modi con cui questa ultima divisione si potrebbe compiere, incominciamo dall'attribuzione.

Quei Comuni nel cui territorio si trovano dei boschi, verso assegno dei medesimi fino alla concorrenza della loro quota, certamente aderirebbero a cotesto sistema di reparto; ma invece molto difficilmente vi aderirebbero gli altri Comuni, sia per diffidenza sull’esattezza delle stime, sia perché in sostanza essi verrebbero a percepire una quota, quantunque in sé stessa dell'istesso valore, in relaziono però alla possibilità di utilizzarla, da parte del proprietario, di valor inferiore.

Un reparto per assegno potrebbe mai conseguire l'approvazione di tutti i Comuni interessati?... no di certo: e ciò basta perché non sia pratico, giacché il reparto per attribuzione non è possibile senza l'accordo di tutti gli interessati, non potendo neppure venir imposto dall'autorità giudiziaria, se non quando i condividenti concorrono per quote ineguali (art. 684 e 996 alin., cod. civ.).

Venendo alla divisione per estrazione a sorte, questo sistema avrebbe il vantaggio di rendere relativamente tranquilli gl'interessati sull'eguaglianza delle quote; ma viceversa avrebbe l’immenso svantaggio di probabilmente scontentar tutti. E come nò se a Forni di Sotto potrebbero toccar in sorte i Boschi di Paularo, o Treppo-Carnico quelli presso Sauris ecc. ecc.? Né le permute sarebbero facili, giacche per togliere i capricci della sorte, sarebbero in molti casi necessarie permute parecchie, e quindi il contento di varii Comuni, sempre difficile ad ottenersi, e ciò senza tener conto delle gravissime spese che all'uopo sarebbero necessarie. Si osserva poi anche, che — per parere concorde di cinque periti — i boschi del Consorzio non sono comodamente divisibili, nei sensi dell'art. 9S8 cod. civ., e conseguentemente essere necessario ricorrere agli incanti. Ma questo partito è legalmente possibile?

L’art. XIX del contratto 31 Agosto 1874, stipulato fra i Comuni e lo Stato, è così concepito:

I Municipii acquirenti si obbligano di non vendere ad altri gli stabili che acquistano col presente atto.

— E la legge 2 Luglio 1875 N. 2566, art. 1° statuì:

— Sono approvati i seguenti contratti stipulati, per causa di utilità pubblica dall'amministrazione demaniale dello Stato — 1, 2, 3, ... 10° — di vendita di boschi della Carnia a dieciotto di quei Comuni, costituiti in Consorzio, pel prezzo di L. 455. m., come da stromento ecc.

E qui — con dotta disquisizione — si viene a rispondere affermativamente alla domanda proposta. — Ma di parere diverso fu l’Autorità Tutoria.

Conclude la bellissima relazione 29 Luglio 1886 proponendo la divisione del Consorzio - e - ritenendo i beni di questo non comodamente divisibili — di eseguire detta divisione mediante incanti dei singoli Boschi. E suggerisce d'interpellare prima tutti i Consigli dei Comuni interessati, e — in caso di risposta affermativa da parte della maggioranza, di compiere tutte le pratiche necessarie per la divisione mediante incanto, ottenendo il riconoscimento da parte dell’autorità governativa del diritto del Consorzio di procedervi.

Il 13 Agosto 1886 la Giunta Consorziale sentiva lettura d’una memoria del Presidente (Dr P. Beorchia-Nigris ) il quale concludeva

ritenendo in definitiva che sia piuttosto da consigliarsi la conservazione del Consorzio, non trovando né possibile, né utile qualunque modo di scioglimento — o che — in ogni ipotesi egli riterrebbe preferibile la divisione per gruppi di Comuni.

— La Giunta si trovò discorda in argomento e decise di rimettere la questione all'Assemblea.

E così si arriva alla memorabile seduta dell’Assemblea dei giorni 26 e 27 Febbraio 1887. — In essa varii Delegati partecipano i voti dei Consigli Comunali che rappresentano: e questi voti sono disparati. — Si discutono e si votano molti ordini del giorno.

Dapprima si ammette la divisione del Consorzio (voti 9 favorevoli, 7 contrari e 2 astenuti).

La divisione per incanti viene respinta (contro voti 9, favorevoli voti 8, ed 1 astenuto).

La proposta di dividere per assegno viene pure respinta (voti favorevoli 9 contrari 9).

Anche la divisione per estrazione a sorte viene respinta (con voti 15 contro 3 ).

E nulla avendosi così potuto concludere, si incarica la Giunta di fare pratiche col Governo del Re, per sapere se questo nulla avrebbe da opporre nel caso che l' Assemblea — nuovamente convocata — eventualmente decidesse di dividere per incanti. —

Si giunge alla seduta dell’Assemblea del 22 o 23 Maggio 1890, e questa volta — fatto appello alla concordia — si delibera la divisione dei Beni, ritenuti non comodamente divisibili, mediante incanti (giusta l'art. 988 cod. civ.), al primo dei quali dovevansi ammettere solo i Comuni Consorziati. — Dieci Comuni aderirono a tale decisione e nove si pronunziarono contrarii.

Infine, il 12 Luglio 1891, per Decreto Reale, furono revocate tutte le deliberazioni del Consorzio e dei Comuni, riferentesi alla divisione mediante incanti pubblici, perché lesive l’art. XIX° del contratto 31 Agosto 1874.

Per qualche tempo la pratica rimase sospesa.

Di poi — con nuova recredescenza dell’ossessione di scioglimento — l'Assemblea il 18 Giugno 1895 deliberò di far pratiche presso il Governo per l’abrogazione dell'art. 19 del contratto d’acquisto ; ma troppe difficoltà si opposero al conseguimento di tal fine.

Allora l’Assemblea del 25 Luglio 1898 statuì la divisione per gare fra i soli Comuni del Consorzio, esclusa ogni aggiudicazione a privati.

A questa seguì la delibera della stessa Assemblea, del 25 Aprile 1899, che nominò un solo perito estimatore del Patrimonio Consorziale, poiché la stima fatta da cinque periti anteriormente parve non ispirata ad unità di criteri. Mentre il geometra Marchi stava elaborando la stima dei Boschi Consorziali, l’Assemblea, il 16 Settembre 1901, incaricò la propria Giunta di determinare le norme ed i modi per la divisione del Patrimonio Consorziale. — Ed in omaggio a questa ed a successivo deliberazioni dei Delegati e della Giunta Consorziale, sono venuto riepilogandovi cronologicamente le varie fasi od i dibattiti occorsi per lo scioglimento o meno del Consorzio.

Riassumiamo — e ne è ben ora — in breve la questione.

Il germe della dissoluzione, che è innato in ogni organismo, si innestò nel Consorzio fino dalla sua costituzione. Si comprendeva facilmente che molti Comuni si erano associati all’acquisto dei Boschi Demaniali, agognando a restar di poi proprietari dello foreste site nel loro territorio. Da ciò tutte le varie deliberazioni ed i multipli conati di smembramento del Consorzio che sono venuto ricordando, per cui, da molti anni è prevalsa la massima dello scioglimento, la quale finisce col mantenere il Consorzio pendente fra vita e morte è mezzo dissoluto, mentre pur vive. — Così non la può andare se vogliamo che questo nostro Carnico Ente sia retto dalle norme che governano ogni saggia amministrazione. Bisogna adunque o — in qual si voglia forma — dividersi, o revocare tutte le precedenti deliberazioni in argomento.

Le preaccennate deliberazioni e le variate relazioni ch'io vi riportai, già vi dicono le difficoltà d’una divisione.

  1. Eliminiamo dapprima il reparto per vallata, che non distruggerebbe la forma Consorziale, né farebbe conseguire il loro ideale ai fautori della divisione, che anzi in luogo di un unico Consorzio ne creerebbe quattro, con aumento di spese e senza alcun vantaggio, e rimanendo per tali Consorzii tutte le difficoltà ad ulteriori divisioni che si hanno per l'attuale Consorzio. Per tale reparto occorre l’assenso di tutti i Comuni interessati, nessuna legge potendo obbligare ad accettarlo i dissidenti: e dissidenti dovrebbero logicamente essere i Comuni nel cui territorio non si trovano boschi.

  2. La divisione per assegno ai 19 carattisti fu già respinta dall’Assemblea, il 27 Febbraio 1887. Essa potrebbe solo eventualmente accontentare certi Comuni nel cui territorio si trovano dei boschi; ma non soddisferebbe di certo gli altri, sia per dubbi sull’esattezza della stima, sia perché ossi verrebbero a conseguire una quota che — in rapporto all'utilizzazione — sarebbe di valor minore. — Importerebbe poi una grave spesa peritale ed arbitramentale. — E pure per l'assegno occorre l’accordo di tutti gli interessati, non potendo neppure venir imposto dall’autorità giudiziaria, se non quando i condividenti concorrono per quoto ineguali; ciò che nel caso nostro non è.

  3. La divisione per estrazione a sorte potrebbe scontentare tutti, e già fu rejetta colla quasi unanimità dei suffragi de' Delegati. Se Forni-Avoltri sorteggiasse i boschi di Preone, Treppo quelli di Sauris, Forni di Sotto quelli di Paularo e così via, non varrebbero a rimedio lo permute, le quali dovrebbero essere molteplici, richiederebbero il contento non facile di varii Comuni, ed importerebbero enormi spese. Non arrischiamoci quindi ai capricci della sorte.

  4. La divisione per incanti, che pur presenta innumeri difficoltà, sembrerebbe la più indicata, giacché (per parere concorde di molti egregi periti)i beni del Consorzio non sono comodamente divisibili (art. 988 c. c.). Ma ad essa si oppongono ostacoli legali — prima accennati — per l'art. 19 del contratto 31 Agosto 1874, pel quale «i Municipii acquirenti si obbligano a non vendere ad altri gli stabili che acquistano...» e per la legge, 2 Luglio 1875 N. 2566 (Ser. IIa), che approva «la vendita di boschi della Carnia a dieciotto di quei Comuni costituiti in Consorzio.» Si devono quindi escludere gl'incanti pubblici assolutamente, tanto più che per essi c'è un veto dell’Autorità Tutoria.

  5. Volendo tentare l'incanto per gare fra i soli Comuni Consorziati, essendo ai Comuni vietata l’alienazione del proprio quoto, questi non possono acquistare un bosco per poi rivenderlo con vantaggio e quindi non possono gareggiare per l’acquisto di un bosco che loro non conviene di conservare, di contro ad altri che hanno tutto l’interesse d'averlo: da ciò ne viene che manca la possibilità della gara, e con ciò la garanzia dell’interesse di alcuni ed anche di tutti i dividenti. «La gara quindi (giustamente osserva il Marchi) senza la possibilità di rivendita dei beni, non sembra efficace a garantire l’interesse reciproco delle parti, e gl'incanti quindi possono risolversi in una spartizione di beni fra i concorrenti che si trovano in migliori condizioni con esclusione degli altri, o per questi senza neanche il beneficio di « un prezzo superiore alquanto a quello di stima.» — Date poi la diversa potenzialità e le diverso condizioni economiche dei Comuni Consorziati, succederebbe che un Comune potrebbe farsi aggiudicare più lotti, e così la divisione a mezzo d’incanti perderebbe il suo proprio fine e si risolverebbe in una espropriazione. Ma (e non dimentichiamo che «per ragioni di pubblica utilità il Governo cedette a 18 Comuni Consorziati i Boschi di Carnia che (art. 15) dovevano «essere sfruttati secondo un piano economico da prestabilirsi» più che una espropriazione, restringendosi alle gare, si incorre in una vera alienazione. Non succedendo di fatti la divisione in natura, il Comune che non può o non vuole adire le aste, cede implicitamente e necessariamente il suo diritto di comproprietà a quello che può e vuole gareggiare: andiamo quindi a cadere nella inibizione del contratto. Ci riduciamo a Comuni che comprano e Comuni che vendono; stante la natura speciale dell'ente compratore e del venditore non si possono invocare le disposizioni di legge che vigono per ogni altra Comunione.
    Né sarebbe seria una gara fra Sindaci o Delegati dei Comuni, ai quali già pubblicamente furono fissati i limiti di prezzo cui possono arrivare.
    Accadrebbe poi (dato si potessero dirimere le predette difficoltà) che i lotti migliori e più vicini a Comuni ricchi troverebbero acquirenti, mentre gli altri lotti resterebbero inalienati: s'avrebbe quindi non diviso il Consorzio, ma ridotto ad uno scheletro spolpato del tutto: resterebbe — con tutti gli aggravi — l’ombra di questa già fiorente Comunione.
    E mi sono forse troppo dilungato e ripetuto per persuadervi che la divisione per gare non è possibile.

  6. Ci troviamo infine di fronte alla divisione giudiziale, che qualche consorte (ab animo irato) avrebbe minacciato di chiedere. E questa sarebbe la peggiore soluzione.
    Qui cedo la parola al collega Da Pozzo. «Non è fuor di luogo (egli dice) il pensare anzitutto alle spese che tutte dovrebbero essere antecipate in proprio dal Comune o Comuni che si facessero attori per la divisione giudiziale. Senza contare quelle di citazione, di atti d’istruttoria e delle eventuali sentenze da notificarsi a tutti i Comuni che costituiscono la Comunione Consorziale, le solo spese di rilievo, di stima e di formazione delle quote ad opere del perito o dei periti giudiziali nominandi sarebbero enormi e tali che non si saprebbe nemmeno approssimativamente indicare. Abbiamo in atti e fu distribuito in stampa a tutti i Comuni « quel pregevolissimo lavoro testé ultimato con tanta competenza ed esaurienza dal nostro collega Marchi: ma tutti sappiamo quanti anni di occupazione ha costato a lui e quanto denaro al Consorzio quel lavoro. Di tale lavoro però il perito o i periti giudiziarii non potrebbero profittare che come fonte di consultazione: loro dovere morale e legale, imprescindibile, sotto il vincolo del giuramento, sarebbe quello di rilevare e stimare ex novo tutte le nostre foreste di un’stesa di Ettari 1606, metro per metro, pianta per pianta. E quale non ne sarebbe mai la nuova spesa?»
    Regola di diritto giudiziale si è che la divisione debba farsi per estrazione a sorte. Ed allora - dopo tanti sacrificii — s'incorre di nuovo nel pericolo che a Forni di Sotto tocchino i boschi di Paularo, a Ligosullo quelli di Sauris... e così via, per modo da non potersi poi neanche accordare con reciproche permute, oltre che per le tante ragioni prima dette, anche perché — esperite le vie giudiziali — più non si scende a transazioni, né a trattative.
    Ho fede che, agendo sine ira et studio, nessun consorte vorrà proporre, né provocare tale disastrosa soluzione.

Noi Delegati dai Comuni abbiamo un mandato ristretto nei limiti della semplice ordinaria amministrazione, dalla quale si eccederebbe quando si volesse accettare il principio della divisione e tanto più quando di questa si volessero fissare modalità per i Comuni che noi rappresentiamo. E quindi scorretto — in linea Amministrativa — quanto deliberò l’Assemblea circa la divisione.

Quale la conclusione a cui si dovrà venire? Una ed unica certamente (vi dirò d’accordo col collega Da Pozzo) vale a dire che lo scioglimento del Consorzio e la divisione sono benché ornai decretati, ma che un modo pratico onde attuarli non è dato di concretarlo e concordarlo, la onde, per uscire da quella condizione pensile in cui l’Amministra­zione Consorziale si trova davanti alle già prese deliberazioni, unico partito sarà quello di pronunziare la revoca delle deliberazioni stesse od altrimenti la messa dello medesime fuori di ogni considerazione attuale ed avvenire, per continuar a vivere nello stato di Comunione in cui fino ad oggi ci siamo contenuti.

La continuazione e conservazione del Consorzio noi la proponiamo e consigliamo convinti così di curare il maggior benessere dei singoli e della Comunità.

L’osservazione che il Consorzio, cosi come è, costi troppo è smentita dai fatti come anche lo dimostra la relazione Marchi — in vostre mani.

E, invero, eccovi la nota delle spese ordinarie e di amministrazione:

Spese ordinarie del Consorzio

Si à un totale di L. 3870, quasi la metà dello quali per tasse, che uniti o divisi si devono pagare ugualmente, come ugualmente si dovrebbe spendere per una fidata, efficace sorveglianza. Di fronte a tali spese abbiamo un reddito medio netto di circa L. 25 mila annue. Quindi le spese assorbono circa 1/8 delle entrate, cioè meno che per qualsiasi altra azienda pubblica o privata.

Né si comprende l’accanimento nell’annientare il Consorzio se si consideri che in 25 anni dai suoi Boschi si ritrassero L. 797 mila, mentre il prezzo, di acquisto fu di L. 455 mila, e che il valore del patrimonio Consorziale oggi giorno è stimato L. 743 mila. Queste sono cifre più eloquenti di molte parole.

Non si ha quindi a dire che ora il patrimonio è distrutto ed i boschi sfruttati: no. Essi non si ebbero reciso che le piante mature o deponenti e rimasero forniti di un numero tale di allievi d’ogni essenza legnosa da poter assicurare in avvenire mi reddito presso che costante.

L’aspetto dei Boschi ove il latifoglio fu reciso non è certo ora dei più lusinghieri; ma — in brevi anni — vedremo le resine ivi verdeggiare rigogliose e promettenti ricchezza futura.

Le selve del Consorzio (smessa ogni lite o contestazione) hanno ora confini stabili, ben definiti, fatta eccezione di tre boschi pei quali sono ben avviate le pratiche per una delimitazione netta e perpetua, pratiche che — in pochi mesi — spero espletate, senza bisogno di adire al magistrato.

Ora che i Comuni Consorziati hanno un patrimonio depurato e ben delimitato, i cui proventi sono rimunerativi, ora ogni Comune deve pensare che ritrarrà da esso un reddito annuo certo, senza nessuna preoccupazione, senza nessuna spesa; un vero reddito perpetuo consolidato, sul quale tranquillamente può calcolare; una cassa di Risparmio da cui ricavare quanto occorra a fronteggiare le spese straordinarie ed impreviste.

Ed i Comuni collettivamente possessori dei Boschi dovrebbero essere paghi; anche se da questi ritraessero un reddito modesto, quando considerino che essi — possessori delle foreste — possono — nell'interesse generale — assicurare la consistenza dei terreni montani, il buon regime delle acque, la purezza e salubrità dell’aria, lo sviluppo agricolo del paese, la sua nota artistica — che qui attragga il forestiero.

Il Consorzio deve essere il trait d'union fra i Comuni Carnici delle varie Vallate: esso deve mantenersi e migliorarsi colla concordia e non rimpicciolirsi coi dissensi: giammai disgregarsi!

E nell’accordo io confido, auspici le nostre foreste mirabili di bellezza, di forza, di rinnovata giovinezza, meraviglioso asilo nell’estate, tutrici dell’agricoltura e dell’idraulica nell’aspra stagione.

Conserviamo il Patrimonio Boschivo Carnico unito; miglioriamo questo nostro Demanio e semplifichiamone — se mai è ancora possibile — l’amministrazione. Così tuteleremo i nostri interessi morali ed economici ed «eleveremo il concetto delle cose che vanno amate e rispettate per un principio di solidarietà fra i viventi e la gente ancora non nata».

Luint Luglio 1905.

Arturo Magrini